Fattura elettronica, quando è conveniente utilizzarla?

Quando e quanto conviene utilizzare la fattura elettronica? Per rispondere a questa domanda è necessario elencare i vantaggi dell’adozione della fatturazione elettronica per i soggetti obbligati. E quali sarebbero i vantaggi per le partite Iva del regime forfettario per i quali l’obbligo ancora non è scattato ma che presumibilmente, nel corso del 2022, dovranno abbandonare la fatturazione cartacea. Tra i vantaggi che si possono riconoscere nell’adozione della fattura elettronica, rientrano l’accesso al regime premiale, l’emissione e la ricezione delle fatture utilizzando un unico software e la facilità dei rapporti con la Pubblica amministrazione. E ancora le agevolazioni per i rapporti con i soggetti obbligati e, infine, la trasmissione delle fatture emesse al commercialista in maniera rapida.

Partite Iva, con la fatturazione elettronica si accede al regime premiale

Il primo vantaggio dell’adozione della fatturazione elettronica è l’accesso delle partite Iva al regime premiale. Si tratta di un meccanismo, previsto dal comma 74 dell’articolo 1, della legge numero 190 del 2014, che comporta l’abbassamento di un anno del termine di decadenza per la notifica degli avvisi di accertamento. La riduzione passa da cinque a quattro anni. È necessario che il fatturato dell’anno sia costituito solo da fatture elettroniche. La riduzione può arrivare anche a tre anni nel caso in cui le partite Iva a regime forfettario utilizzino gli strumenti di pagamento tracciabili importi superiori ai 500 euro.

Fattura elettronica, la convenienza di emetterla utilizzando un unico software

La convenienza dell’emissione della fattura elettronica, in termini pratici, risiede nel fatto che si può utilizzare un unico software per la gestione di tutta la fatturazione. Infatti, nel caso in cui si decida di utilizzare il software per generare le fatture elettroniche, è necessaria la semplice compilazione e l’invio al Sistema di interscambio (Sdi). Quindi il destinatario riceve la fattura. Il vantaggio è anche nella ricezione delle fatture elettroniche nel software e nella successiva registrazione in pochi attimi. Infine, il software permette di conservare in automatico le fatture sempre all’interno del cloud e di poterle consultare per tutto il tempo necessario. La gestione delle fatture in modalità elettronica permette di accorciare i tempi e lo sforzo e di aumentare la comodità di utilizzo.

Invio e ricezione delle fatture in modalità cartacea: come avviene per chi non aderisce alla fatturazione elettronica?

Per le partite Iva che ancora non aderiscono alla fatturazione elettronica, si ricorre alla consueta formula cartacea. È necessario compilare la fattura in modalità cartacea oppure tramite un programma al personal computer, quale può essere Excel o un programma specifico. Con la fine della compilazione, è necessario convertire la fattura in un formato più facile da gestire, quale può essere il pdf. Al termine, il documento generato può essere inviato tramite email. In caso di ricezione della fattura, le partite Iva possono ottenerle via email dai fornitori. Oppure, con l’adesione alla fattura elettronica, si può ricevere via Pec o tramite il codice destinatario il documento utilizzando il Servizio di interscambio dell’Agenzia delle entrate.

La conservazione delle fatture cartacee o elettroniche

Qualunque sia il modo in cui la partita Iva riceve la fattura, elettronica o cartacea, è necessario procedere con la conservazione. La partita Iva ha l’obbligo di produrre una copia della fattura in modalità cartacea, stampando il documento. La conservazione di consueto avviene in normali faldoni che archiviano tutti i documenti emessi e ricevuti. Aderendo alla fatturazione elettronica la partita Iva ha la possibilità di archiviare e di disporre delle fatture emesse e ricevute mediante il Servizio di interscambio dell’Agenzia delle entrate.

Partite Iva a regime forfettario: obbligo di fatturazione elettronica con la Pubblica amministrazione

Per tutti i soggetti obbligati vige già la necessità di utilizzo della fattura elettronica per i rapporti con la Pubblica amministrazione. L’obbligo vige anche per le partite Iva a regime forfettario. Dal 2015, infatti, i forfettari devono usare la fattura elettronica per i rapporti con le agenzie fiscali, i ministeri e gli enti nazionali di Previdenza. E ancora con le scuole, i Comuni, le Regioni, le Università, le Camere di commercio e le aziende sanitarie. Tutti gli enti della Pubblica amministrazione non possono ricevere o emettere fatture in formato cartaceo. Di conseguenza, non possono procedere con i pagamenti, anche in forma parziale, se i documenti non vengono trasmessi in modalità elettronica. Ed è proprio questo obbligo verso la Pubblica amministrazione che ha indotto molte partite Iva a regime forfettario ad adottare la fatturazione elettronica.

Fattura elettronica, quali sono i soggetti ad oggi obbligati?

L’obbligo della fattura elettronica vige, dunque, per tutte le partite Iva, sia a regime ordinario che forfettario. Mentre per le partite Iva che non siano forfettarie è necessario utilizzare la fatturazione elettronica anche nei confronti delle altre aziende, dei fornitori e dei consumatori già dal 2019. Ad oggi, dunque, nei rapporti privati, risultano esonerate solo le partite Iva forfettarie, dei minimi o in regime di vantaggio. Risultano altresì non obbligati alla fattura elettronica i professionisti che inviano i dati al Sistema Tessera Sanitaria, ovvero i fisioterapisti, i medici, gli igienisti e gli altri soggetti che svolgano prestazioni sanitarie alle persone fisiche private.

Cosa avviene quando una partita Iva obbligata alla fattura elettronica invia o riceve una fattura da un forfettario?

Le partite Iva obbligate all’emissione e alla ricezione delle fatture elettroniche, nei rapporti con un operatore del regime forfettario che non ha l’obbligo di adozione della fattura elettronica, devono adoperare il metodo tradizionale. Ovvero, per generare la fattura elettronica la devono inviare al Sistema di interscambio (Sdi) e poi predisporre una copia analogica (anche in pdf) da inviare alla partita Iva forfettaria. Nel caso di fatture ricevute in modalità cartacea da una partita Iva a regime forfettario, devono registrarla a parte rispetto alle fatture ricevute in modalità elettronica. Si tratta, dunque, di una procedura più complessa che si annulla se anche la partita Iva a regime forfettario adotta la fattura elettronica.

Fatturazione elettronica, la trasmissione delle partite Iva al commercialista

L’adozione della fattura elettronica facilita anche la trasmissione dei documenti al proprio commercialista. Per chi non utilizza la fattura elettronica (partite Iva a regime forfettario) l’invio delle fatture al commercialista avviene presentandole in modalità cartacea. La consegna avviene a mano o via email. Con questa modalità è necessario un lavoro di raccolta e di organizzazione delle fatture che richiede tempo e risorse. Utilizzando la fattura elettronica si ha a disposizione il servizio offerto dal software che permette di velocizzare l’invio dei documenti al commercialista. Il professionista, infatti, ha la possibilità di accedere alle fatture elettroniche della partita Iva e di scaricarle in autonomia.

Partite Iva a regime forfettario: da quando scatta l’obbligo della fattura elettronica?

L’obbligo della fattura elettronica per le partite Iva a regime forfettario è a un passo dall’adozione definitiva, ma non è ancora scattato. Il Consiglio Ue ha approvato la proposta dell’Italia di estendere l’adozione della fattura elettronica anche ai contribuenti del forfettario e, con tutta probabilità, nel corso del 2022 l’obbligo diventerà operativo. Ma ancora non lo è. È necessario che lo Stato emani innanzitutto una norma che introduca l’obbligo della fatturazione elettronica alle partite Iva forfettarie e ai minimi.

Cosa significa che il Consiglio Ue ha accolta la proposta di adozione della fattura elettronica anche ai forfettari?

La richiesta al Consiglio Ue dell’Italia di estendere l’adozione della fattura elettronica alle partite Iva del regime forfettario è stata approvata dall’organo istituzionale europeo. La relativa decisione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Europea (Guce) numero 454 del 17 dicembre 2021. Tale richiesta è stata accolta precedentemente dalla Commissione europea che ha accettato il documento di proposta Com/681 del 2021. Nel documento di proposta sono elencati i vantaggi conseguiti dall’Italia nell’adozione della fattura elettronica per tutti gli altri soggetti obbligati: tale obbligo rimarrà in vigore fino a tutto il 2024.

Quali vantaggi si sono avuti finora dall’adozione della fatturazione elettronica alle partite Iva?

Per l’Italia, l’adozione dell’obbligo della fattura elettronica a tutte le partite Iva, a esclusione dei forfettari, finora ha comportato:

  • il potenziamento della lotta all’evasione fiscale e alle frodi inerenti l’Iva con contestuale riduzione dei tempi per l’individuazione dei comportamenti scorretti;
  • la possibilità, per le partite Iva, di poter utilizzare dei servizi supplementari, come i registri di acquisto e di vendita precompilati, le dichiarazioni annuali Iva precompilate, il prospetto della liquidazione periodica Iva e i moduli di pagamento;
  • la semplificazione degli obblighi delle partite Iva mediante la soppressione della comunicazione dei dati di fatturazione sulle operazioni nazionali e le dichiarazioni Intrastat sugli acquisti.

Partita Iva regime forfettario, ci sono dei costi da sostenere per la fatturazione elettronica?

L’obbligo di emettere fattura elettronica non dovrebbe comportare costi e oneri amministrativi alle partite Iva a regime forfettario. In primo luogo perché oltre il 10% dei forfettari, pur non avendone l’obbligo, utilizza già la fatturazione elettronica. In secondo luogo, l’Agenzia delle entrate ha già messo a punto una piattaforma (on line e tramite applicazione mobile) che consente ai soggetti obbligati alla fatturazione elettronica di poterle trasferire, conservare e consultare.

Fatturazione elettronica alle partite Iva a regime forfettario: cosa avviene ora?

Con il via libera della Commissione europea e del Consiglio Ue, adesso spetta all’Italia decidere se annullare l’esonero per le partite Iva a regime forfettario e dei minimi introducendo, dunque, l’obbligo di adozione della fattura elettronica. Per arrivare a tale obbligo è necessaria l’adozione di una norma nazionale da inserire nell’ordinamento italiano. In attesa dell’estensione dell’obbligo, ad oggi le partite Iva forfettarie sono tenute a emettere le fatture elettroniche nei rapporti con la Pubblica amministrazione. Non sono obbligate, invece, nei rapporti con le imprese e con i consumatori privati.

Le partite Iva a regime forfettarie sono obbligate a ricevere la fattura in formato elettronico?

Secondo la normativa attuale, le partite Iva a regime forfettarie non sono obbligate a ricevere le fatture elettroniche. Possono ricevere dal fornitore la copia analogica della fattura nel formato cartaceo o in pdf, via email o a mano. A scelta, e in alternativa, i forfettari possono comunicare ai fornitori un indirizzo di posta elettronica certificato (Pec) o il codice destinatario per ricevere le fatture in formato elettronico. La ricezione avviene alla propria casella Pec o attraverso il canale telematico accreditato. Ad oggi, in ogni modo, la partita Iva a regime forfettario non è obbligata a conservare le fatture in formato elettronico usando la conservazione sostitutiva. Tuttavia persiste l’obbligo di conservare le fatture di acquisto nel formato cartaceo anche se il soggetto ha ricevuto la fattura tramite la posta elettronica certificata (Pec) oppure attraverso il codice destinatario.

Partita Iva regime forfettario: chiusura e riapertura dopo un anno, si perde l’aliquota del 5%?

La chiusura e la riapertura della partita Iva a regime forfettario può far perdere l’aliquota vantaggiosa del 5% per i primi cinque anni di attività del regime forfettario? La risposta è positiva, ovvero dovrà essere applicata l’aliquota della flat tax al 15%, se non dovessero essere rispettate determinate condizioni.

Partita Iva a regime forfettario con aliquota del 5%: i riferimenti normativi

Per verificare la continuità dell’aliquota del 5% del regime forfettario di partita Iva è necessario rifarsi a quanto previsto dal comma 65, dell’articolo 1, della legge 190 del 2014. Il decreto è stato poi modificato dall’articolo 1 della legge numero 145 del 30 dicembre 2018. L’articolo 65, infatti, specifica che, “al fine di favorire l’avvio di nuove attività, per il periodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i quattro successivi, l’aliquota di cui al comma 64 è stabilita nella misura del 5 per cento”.

Quali sono le condizioni per beneficiare dell’aliquota del 5% per le partite Iva a regime forfettario?

Affinché si possa applicare l’aliquota del 5% sui redditi delle partite Iva a regime forfettario è necessario che si verifichino tre condizioni:

  • il contribuente deve aver esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività di cui al comma 54, attività artistica, professionale ovvero d’impresa. Tali attività non devono essere state svolte neanche in forma associata o familiare;
  • l’attività da esercitare non deve costituire, in alcun modo, la mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo. Rimane escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni;
  • l’ammontare dei relativi ricavi e compensi, realizzati nel periodo d’imposta precedente quello di riconoscimento del predetto beneficio, non deve essere superiore al limite di cui al comma 54. Tale condizione è richiesta qualora il lavoratore autonomo prosegua un’attività svolta in precedenza da altro soggetto.

Caso di chiusura e di riapertura della partita Iva a regime forfettario

La chiusura e la riapertura di una partita Iva a regime forfettario potrebbe precludere l’applicazione dell’aliquota vantaggiosa del 5%. E questa condizione potrebbe verificarsi anche all’interno dei primi cinque anni di attività. Prendiamo ad esempio un professionista che, nel 2017, ha avviato un’attività autonoma aderendo alla partita Iva a regime forfettario e applicazione dell’aliquota del 5%. Ammettiamo che il professionista abbia chiuso la partita Iva a regime forfettario nel 2020 per poi decidere di riaprirla nel 2021. Il professionista procede alla riapertura della partita Iva, a regime forfettario e sempre come libero professionista, ma con un codice Ateco diverso.

Partita Iva a regime forfettario, quando si applica l’aliquota vantaggiosa del 5%?

Nel caso in esame il libero professionista, nel momento in cui riapre la partita Iva a regime forfettario, potrebbe continuare a beneficiare dell’aliquota del 5% non avendo ancora terminato i 5 anni di “start up” della prima apertura di partita Iva? Oppure rimarrebbe obbligato all’aliquota normale di flat tax del 15%? Per rispondere a questo quesito è necessario dunque rifarsi a quanto specificato dal comma 65, dell’articolo 1, della legge 190 del 2014. E dunque alle condizioni poste dalla norma per poter beneficiare (o continuare a beneficiare) dell’aliquota del 5%.

Partita Iva forfettaria al 5%, le condizioni poste dal comma 65, dell’articolo 1, della legge 190 del 2014

Non considerando in questo caso l’ultima opzione del comma 65, è necessario verificare le prime due opzioni. In particolare, il professionista con partita Iva a regime forfetario è subordinato alla condizione che non abbia esercitato, nei 3 anni precedenti, un’altra attività di impresa o di lavoro autonomo. Allo stesso modo, è necessario che la nuova attività (con partita Iva di diverso codice Ateco) non si configuri come mera prosecuzione dell’attività svolta in precedenza, sia come lavoratore autonomo che come dipendente.

Quando non si può più beneficiare dell’aliquota del 5% della partita Iva forfettaria dei primi cinque anni?

Nel caso del professionista, le condizioni non sono tali da poter riprendere ad applicare l’aliquota del 5%. Infatti, con la riapertura della partita Iva a regime forfettario, non risulterebbe verificata la prima opzione posta dalla norma. Ovvero, quella secondo la quale la partita Iva non deve aver esercitato un’altra attività di impresa o di lavoro autonomo. Pur rientrando nei 5 anni di start up dall’apertura della partita Iva nel 2017, la chiusura della stessa nel 2020 determinerebbe l’impossibilità di poter beneficiare, di nuovo, dell’aliquota del 5% in riferimento alla nuova attività.

Partita Iva: passaggio da un regime a un altro, come funziona?

Come funziona il passaggio da un regime a un altro della partita Iva? Le partite Iva che abbiano i requisiti per poter aderire al meccanismo forfettario ma che non ne siano interessate, possono fuoriuscire da questo regime. In tal caso, si può adottare il regime ordinario della determinazione delle imposte sui redditi e di quella sul valore aggiunto.

Come avviene la scelta di aderire al regime ordinario di partita Iva?

Nel caso, dunque, che si voglia rinunciare alla partita Iva a regime forfettario per aderire a quella ordinaria è necessario comunicarlo nella dichiarazione annuale dell’Iva. Si procede con la scelta dello specifico campo del quadro VO della dichiarazione Iva che deve essere presentata. Tuttavia, il beneficiario che rinunci al meccanismo forfettario di partita Iva, oltre al regime ordinario, può scegliere quello semplificato.

Partita Iva a regime semplificato: che cos’è?

Possono aderire al regime semplificato di partita Iva:

  • le persone fisiche;
  • le società di persone;
  • gli enti non commerciali.

Per l’adesione è necessario che nel precedente esercizio il volume dei ricavi o dei compensi sia stato inferiore a 400 mila euro per le attività relative alla prestazione di servizi. Per le altre attività il limite è di 700 mila euro. Chi aderisce alla partita Iva a regime semplificato non deve tenere il libro giornale.

Il regime ordinario delle partite Iva: chi è obbligato?

La partita Iva a regime ordinario deve essere obbligatoriamente posseduta dai contribuenti che abbiano superato i limiti dei compensi e dei ricavi previsti per la contabilità semplificata. Sono altresì obbligate le società di capitali. Nel caso in cui una partita Iva che avrebbe i requisiti per il regime forfettario opti per il regime ordinario, permane il vincolo di tre anni. Al trascorrere del triennio, il regime si rinnova in maniera tacita per ogni anno susseguente. Il regime ordinario permane finché ci siano le condizioni della sua applicazione.

Dal regime di contabilità semplificata a quello forfettario delle partite Iva

Un contribuente che scelga di aderire al regime di contabilità semplificata della partita Iva può nuovamente tornare al regime forfettario. Lo può fare a partire dall’anno successivo a quello di adesione alla contabilità semplificata e non deve attendere il trascorrere dei tre anni. Rimane, in ogni modo, da verificare che abbia i requisiti per la partita Iva forfettaria e che non vi siano cause ostative.

Quando la partita Iva ordinaria può adottare il regime forfettario senza attendere i tre anni?

Ai passaggi tra regimi fiscali delle partite Iva è necessario specificare il funzionamento di un determinato meccanismo. Il contribuente che non ha i requisiti per adottare il regime forfettario deve transitare sul regime ordinario del reddito o nella contabilità semplificata. Si può tornare sempre al regime forfettario (in presenza dei requisiti richiesti) senza attendere il decorso dei tre anni pur trovandosi nel regime ordinario. Il legislatore, in questo caso, ha concesso la possibilità del transito perché la partita Iva ha adottato un passaggio che non è una sua opzione.

Partite Iva, cosa avviene nel passaggio dal forfettario al regime ordinario?

Risulta altresì importante stabilire cosa avviene nel passaggio dal regime forfettario delle partite Iva a quello ordinario. Il regime forfettario consente la rettifica dell’Iva per gli anni nei quali l’Imposta sul valore aggiunto è stata già detratta perché richiesto dall’ordinario. In questo modo, il meccanismo della rettifica permette la coerenza della detrazione avvenuta nei periodi susseguenti a quelli nei quali tale detrazione sia stata determinata. In tal caso si procedere ricalcolando l’imposta detraibile e versandola oppure recuperandone la differenza rispetto alla detrazione originaria.

Rettifica della detrazione Iva nel passaggio dal regime ordinario a quello forfettario

La rettifica della detrazione Iva deve essere eseguita sempre quando si passa dal regime ordinario di partita Iva a quello forfettario. Infatti, il primo consente la detrazione dell’Iva, il secondo no. Pertanto, l’Iva inerente i servizi e i beni non ancora ceduti o usati, deve essere rettificata in un’unica soluzione. Non si attende l’utilizzo dei beni e dei servizi. La rettifica dei beni ammortizzabili va fatta quando non siano stati superati i quattro anni dopo l’entrata in funzione dei beni stessi. In alternativa il termine sale a dieci anni dalla data di acquisto. Se si tratta di fabbricati o di loro porzioni, può essere adottato il termine di rettifica dei dieci anni.

Quando cessa il regime forfettario di partita Iva?

Il regime forfettario della partita Iva cessa a iniziare sempre dall’anno successivo. Non può cessare nel corso dell’anno, come avveniva in precedenza con il regime dei minimi, già abrogato nel 2016. Pertanto, l’adozione di un nuovo regime di partita Iva decorre dall’anno successivo a quello nel quale si sono manifestati i motivi per i quali si è avuta la fuoriuscita.

Partita Iva a regime forfettario: spese e ricavi da verificare a fine anno

A fine anno le partite Iva a regime forfettario sono chiamate a verificare le spese e i ricavi ai fini dei requisiti per mantenere la fiscalità di vantaggio. Restare nel regime dei forfettari comporta il soddisfacimento di determinati requisiti e l’assenza di cause ostative. Due, sono in particolare, i requisiti che devono essere verificati: il primo riguarda il limite dei ricavi o dei compensi percepiti nell’anno prima di quello nel quale si voglia aderire alla partita Iva a regime forfettario (o si voglia rimanere). Il secondo riguarda le spese che sono state sostenute per il lavoro accessorio.

Ricavi per le partite Iva del regime ordinario che vogliano passare al forfettario

In merito al requisito dei ricavi e dei compensi per l’accesso o il mantenimento della partita Iva a regime forfettario è necessario che questi non siano superiori al limite di flat tax al 15% o al 5% (per i primi cinque anni) dei 65 mila euro. Il che significa che, per chi voglia entrare nel regime forfettario, il limite è riferito all’anno precedente a quello dell’adesione. Dunque, per le partite Iva che volessero aderire al regime forfettario nel 2022, è necessario che il volume dei ricavi e dei compensi del 2021 non sia eccedente i 65 mila euro.

Mantenimento del regime forfettario per le partite Iva che già ne fanno parte

Per le partite Iva che già sono nel regime forfettario, la verifica da fare è quella di controllare che i ricavi e i compensi dell’anno non siano superiori a 65 mila euro. Pertanto, i ricavi al 31 dicembre 2021 non devono sforare la soglia della flat tax se si intende permanere nel regime forfettario anche nel 2022. In caso contrario, la partita Iva non può permanere nel regime forfettario a partire dal 1° gennaio 2022.

Partite Iva a regime forfettario, il controllo dei costi del lavoro accessorio a fine anno

La seconda verifica da fare per le partite Iva a regime forfettario (e per il mantenimento della fiscalità di vantaggio) è quella inerente le spese per il lavoro accessorio. In questa categoria rientra il lavoro svolto dal personale alle dipendenze o dai collaboratori. Il limite di costo per il lavoro accessorio è pari a 20 mila euro all’anno. Analogamente ai ricavi, anche questo requisito deve essere verificato a fine anno. In particolare il limite deve essere soddisfatto nell’anno prima di quello nel quale si voglia entrare o continuare a usufruire del regime forfettario. Se al 31 dicembre 2021 la partita Iva ha superato i 20 mila euro di lavoro accessorio, per l’anno 2022 si decade dal regime forfettario.

Partite Iva forfettarie: la verifica di assenza di cause ostative

Oltre ai requisiti per la permanenza o per l’adesione alla partita Iva a regime forfettario sono da verificare che non vi siano delle cause ostative. Si tratta di situazioni che, a differenza dei requisiti, possono ritrovarsi anche nello stesso anno nel quale si fruisce del regime forfettario. Non possono pertanto rientrare nella partita Iva agevolata le seguenti categorie:

  • chi si avvale dei regimi speciali ai fini Iva o di regimi forfettari di determinazione del reddito. In quest’ultima categoria rientra chi vende sali e tabacchi, gli agriturismi e l’editoria;
  • i soggetti che non siano residenti. Fanno eccezione i residenti in uno degli Stati membri dell’Unione europea, quelli residenti in uno Stato che aderisce all’Accordo sullo Spazio economico europeo purché fornisca adeguati scambi di informazioni. La partita Iva è, in ogni modo, assoggettata al limite minimo del 75% di produzione del reddito in Italia.

Regime forfettario delle partite Iva: le altre cause ostative

Tra le altre cause ostative al mantenimento o all’adesione del regime forfettario di partita Iva rientrano:

  • chi effettua operazioni di cessioni di fabbricati e porzioni inerenti o di terreni edificabili, o cessioni intracomunitarie di nuovi mezzi di trasporto. Tale attività deve essere svolta in maniera esclusiva o prevalente ai fini della causa ostativa;
  • le persone fisiche che abbiano delle quote di partecipazione alle società di persone o di controllo in società a responsabilità limitata (Srl) per attività economiche attinenti a quella che svolge il contribuente forfettario;
  • le persone fisiche che svolgano la propria attività in maniera prevalente nei confronti di datori di lavoro. Con il datore di lavoro, la partita Iva forfettaria per incontrare la causa ostativa deve avere dei rapporti di lavoro oppure i rapporti devono essere riconducibili ai due antecedenti periodi di imposta; i rapporti di lavoro possono essere ricondotti anche a soggetti attinenti ai datori di lavoro in via diretta o indiretta.

Partite Iva a regime forfettario e limite di attività di lavoro alle dipendenze

Una ulteriore causa ostativa può essere riconducibile al fatto che una partita Iva svolga del lavoro alle dipendenze o assimilato. Nel caso in cui il reddito da lavoro dipendente dovesse superare i 30 mila euro, si rientra in una delle cause ostative per l’ottenimento o il mantenimento del regime forfettario. La verifica da eseguire al 31 dicembre 2021 è quella che prevede che nell’anno 2021 il reddito percepito dal lavoro dipendente non superi i 30 mila euro. In caso contrario, la partita Iva non potrà mantenere il regime forfettario o non potrà accedervi nel 2022.

Cosa succede se nel nuovo anno la partita Iva emette fatture senza addebito Iva senza rientrare nel regime forfettario?

Fare un’errata valutazione della possibilità di mantenere il regime forfettario di partita Iva non comporta un’immediata esclusione dalla fiscalità di vantaggio. Se la partita Iva emette nel nuovo anno fatture senza l’addebito dell’Iva perché convinta di rientrare nel regime forfettario può sanare la propria posizione. In questo caso è necessario emettere una nota di variazione in aumento che andrà a integrare le fatture originarie.

Partita Iva a regime forfettario: quando conviene aderire per i costi da sostenere?

L’adesione alle agevolazioni tributarie assicurate dal regime forfettario della partita Iva (o dei minimi del 5%) deve essere valutata attentamente per la convenienza nella gestione della propria attività. Il regime fiscale forfettario di partita Iva assicura la determinazione facile del reddito per chi ha un volume di ricavi che non supera i 65 mila euro. A fronte dei vantaggi, è necessario fare un confronto dal punto di vista dei costi che possono essere portati in detrazione. E questo potrebbe rappresentare un punto a favore del regime ordinario di partita Iva, ammesso che l’ammontare delle detrazioni sia maggiore dell’ammontare determinato forfettariamente. Per i forfettari, invece, c’è il divieto di detrarre i costi, a eccezione dei contributi previdenziali. Inoltre, sono pochi gli adempimenti richiesti ai forfettari.

Partita Iva a regime forfettario, che cos’è?

La partita Iva a regime forfettario può essere adottata dai lavoratori autonomi e professionisti che hanno un volume di ricavi annuo non superiore a 65 mila euro. Si tratta di un regime fiscale opzionale e non obbligatorio. I lavoratori autonomi che ne posseggono i requisiti possono adottarlo al posto del regime ordinario. La scelta non è scontata. Infatti, sebbene vari soggetti ne posseggano i requisiti e il forfettario rappresenti un regime di favore, possono esserci dei casi in cui potrebbe essere conveniente adottare il regime ordinario.

Quali sono i vantaggi del regime forfettario di partita Iva?

Due, sono nel dettaglio, i vantaggi del regime forfettario delle partite Iva. Il primo riguarda il modo in cui deve essere determinato il reddito imponibile per l’imposizione fiscale. Il secondo è attinente agli adempimenti. Il calcolo del reddito da assoggettare alla flat tax del 15% (o del 5% per i primi cinque anni di attività) avviene in maniera forfettaria. Dal volume dei compensi e dei ricavi ottenuti in un anno va applicato il coefficiente di redditività che dipende dalla tipologia di attività svolta.

Quali sono i coefficienti di redditività del regime forfettario?

Sono nove i coefficienti di redditività corrispondenti alle attività inclusive delle partite Iva a regime forfettario:

  • le industrie alimentari e delle bevande, con coefficiente di redditività del 40%;
  • il commercio all’ingrosso e al dettaglio, con coefficiente di redditività pari al 40%;
  • commercio ambulante di prodotti alimentari e bevande, con coefficiente di redditività del 40%;
  • il commercio ambulante di altri prodotti, coefficiente del 54%;
  • le costruzioni e le attività immobiliari, coefficiente del 86%;
  • gli intermediari del commercio, coefficiente del 62%;
  • le attività dei servizi di alloggio e di ristorazione, coefficiente di redditività del 40%;
  • le attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari e assicurativi, con coefficiente di attività pari al 78%;
  • le altre attività economiche, 67%.

Come si determina il reddito imponibile delle partite Iva a regime forfettario?

Per la determinazione del reddito imponibile annuo delle partite Iva a regime forfettario si prosegue moltiplicando il volume dei compensi e dei ricavi per il coefficiente di redditività. Ad esempio, un commerciante ambulante di prodotti alimentari e bevande che abbia un volume di ricavi di 60 mila euro, avrà un reddito imponibile di 24 mila euro. Nel caso in cui la partita Iva abbia più attività (e dunque più codici Ateco), si procede con il calcolo dei singoli settori di attività, applicando ai ricavi il relativo coefficiente di produttività. Risulta importante che, ai fini del mantenimento della fiscalità di vantaggio, non si superino i 65 mila euro complessivi di ricavi e di compensi in un anno.

Quante tasse paga una partita Iva a regime forfettario?

Con l’applicazione del coefficiente di redditività al volume di compensi e di ricavi annui, si ottiene il reddito imponibile. A quest’ultimo deve essere applicata la percentuale del 15% (ridotta al 5% per i primi cinque anni). È importante sottolineare che i costi sostenuti dalla partita Iva a regime forfettario non sono deducibili, proprio perché si applica la forfettizzazione del coefficiente di redditività. Risultano deducibili, invece, i contributi previdenziali.

Convenienza adesione alla partita Iva a regime forfettaria per costi e per la flat tax

Proprio in merito ai costi sostenuti da una partita Iva, si possono fare ragionamenti sulla convenienza dell’adesione al regime forfettario. Infatti, se i costi che si sostengono risultano maggiori dell’ammontare determinato forfettariamente, l’adesione al regime forfettario risulta poco conveniente. Ciò avviene, ad esempio, per i costi elevati di avvio della propria attività. Si consideri inoltre che l’aliquota per i primi 5 anni di attività è pari al 5%. La deducibilità dei costi del regime ordinario della partita Iva deve essere quindi raffrontato con la bassa percentuale di imposte. Con il regime ordinario l’aliquota minima è pari al 23%, superiore anche a quella del regime forfettario dopo i primi 5 anni di attività (15%).

Partita Iva a regime forfettario, i minori adempimenti fiscali

Infine, gli adempimenti fiscali della partita Iva a regime forfettario sono in numero nettamente inferiori a quelli del regime ordinario. Le partite Iva forfettarie non applicano l’Iva e, pertanto, non devono preoccuparsi di tutti gli adempimenti inerenti l’Imposta sul valore aggiunto. Rimangono obbligati solo a mantenere la certificazione dei corrispettivi e a versare l’Iva per determinate operazioni comunitarie.

 

Superbonus 110%: forfettari, pagamenti, Sal e comunicazione Enea, cosa fare entro il 31 dicembre?

Sono vari gli adempimenti richiesti a chi usufruisce del superbonus 110% in vista della fine dell’anno. Chi ha la partita Iva a regime forfettario può arrivare alla cessione del credito o allo sconto in fattura, ma seguendo opportune indicazioni. Altri adempimenti sono richiesti per gli stati di avanzamento dei lavori (Sal) e  i relativi pagamenti. Infine, risulta opportuno soffermarsi sull’invio della comunicazione all’Enea entro il 16 marzo prossimo. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta.

Partite Iva forfettarie: non possono detrarre l’agevolazione del superbonus 110% direttamente

Le partite Iva del regime forfettario, nell’utilizzo del superbonus 110%, non possono detrarre in modo diretto nella dichiarazione quanto spettante. Possono procedere però con la cessione del credito di imposta, trasferendo il beneficio a terzi. L’impossibilità della detrazione diretta nella dichiarazione deriva, come ha spiegato l’Agenzia delle entrate, dal fatto che si tratterebbe di una detrazione dall’imposta lorda. La spiegazione vale per i redditi assoggettati all’imposta sostitutiva o alla tassazione separata.

Partite Iva a regime forfettario e superbonus 110%: cosa fare per la cessione del credito

Per questa ragione, la detrazione del superbonus 110% può essere effettuata dalle partite Iva del forfettario con lo sconto in fattura o con la cessione del credito a terzi. E il credito di imposta si può trasferire anche ai fornitori o a chi risulta cessionario nel contratto di appalto che siano in regime di partita Iva forfettaria o dei minimi. Questi soggetti terzi possono, a loro volta, usare il credito di imposta per pagare l’imposta sostitutiva spettante.

Comunicazione all’Agenzia delle entrate dello sconto in fattura o del credito di imposta

Ulteriori indicazioni sono da seguire per la comunicazione all’Agenzia delle entrate dello sconto in fattura e della cessione del credito. Tale comunicazione deve essere inoltrata entro il 16 marzo 2022 per le spese effettuate durante il 2021. Ragione per la quale non risulterebbe possibile asseverare uno stato di avanzamento dei lavori (Sal) con data al 31 dicembre 2021 rispetto al giorno in cui verrà predisposta la pratica e inviata telematicamente all’Enea, adempimento che va effettuato a gennaio, febbraio e fino al 10 marzo prossimo.

Comunicazione all’Enea dei Sal risultanti al 31 dicembre 2021

L’impossibilità, in particolare, è dettata dal fatto che non è possibile inserire manualmente nell’allegato numero 2 della comunicazione, la data dello stato di avanzamento dei lavori e dell’effettiva asseverazione al 31 dicembre 2021, che è antecedente rispetto all’invio della pratica all’Enea. L’alternativa, per i tecnici, è quella di effettuare l’asseverazione per lo stato di avanzamento dei lavori di corsa, entro il 31 dicembre 2021. Ciò rendendo di fatto inutile la scadenza della comunicazione del 16 marzo 2022.

Superbonus 110% e stato di avanzamento dei lavori al 31 dicembre 2021

In merito al superbonus 110% e allo stato di avanzamento dei lavori al 31 dicembre 2021 è da osservare, inoltre, che devono essere rispettate determinate condizioni per avvalersi dello sconto in fattura e della cessione del credito di imposta. La prima condizione è che, al 31 dicembre 2021, i lavori devono essere della percentuale non inferiore al 30% del Sal e devono risultare per lo meno iniziati. Questo adempimento viene osservato mediante il rilascio dell’asseverazione dei requisiti tecnici e l’effettivo avanzamento dei lavori, oltre alla congruità delle spese.

Condizioni per ottenere lo sconto in fattura o la cessione del credito di imposta nel superbonus 110%

Inoltre, per i lavori del superbonus 110% riguardanti i condomini e i privati che vogliano adottare lo sconto in fattura o la cessione del credito di imposta, è necessario che le inerenti spese debbano essere state già pagate. Tutti e due le condizioni (il Sal del 30% minimo certificato e le spese già pagate) devono essere verificate nello stesso anno di imposta. Pertanto, i lavori svolti nel 2021 devono rispettare le condizioni entro il prossimo 31 dicembre. In attesa di ulteriori chiarimenti dell’Agenzia delle entrate, l’allegato 2 della comunicazione da inviare all’Enea contiene come unica data quella nella quale si predispone la pratica per l’invio.

Comunicazione all’Enea dei lavori in superbonus 110%: in attesa di chiarimenti sull’asseverazione del Sal

Pertanto si dovrà considerare, ai fini dello sconto in fattura o della cessione del credito di imposta, che:

  • nello spazio della comunicazione relativo alla data, non si può inserire come data quella nel quale il tecnico asseveri lo stato di avanzamento dei lavori al 31 dicembre 2021. Ciò però creerebbe problemi con la data effettiva e successiva di invio della comunicazione all’Enea essendoci un solo spazio;
  • il successivo inoltro della comunicazione all’Enea nel 2022 (entro il 16 marzo) dovrebbe recare la data di invio;
  • si attendono eventuali correzioni della procedura di comunicazione all’Enea.

Fattura elettronica: arriva l’ok dell’Europa per la proroga e l’ampliamento ai forfettari

Il Consiglio dell’Unione europea ha dato l’ok all’Italia per il prolungamento della fattura elettronica fino a tutto il 2024. Con il prolungamento, arriva anche il semaforo verde per l’estensione dell’obbligo alle partite Iva a regime forfettario. Verrà a cadere pertanto la dispensa particolare per le partite Iva forfettarie che dovranno utilizzare il servizio di interscambio dell’Agenzia delle entrate (Sdi) per emettere e conservare le fatture elettroniche.

Arriva l’ok del Consiglio dell’Unione europea alla fatturazione elettronica ai forfettari

L’autorizzazione del Consiglio dell’Unione europea è arrivato nella giornata del 14 dicembre 2021 per estendere l’obbligo della fattura elettronica ai soggetti che già la utilizzano fino al 31 dicembre 2024. L’organo istituzionale si è espresso anche sulla proposta dell’Italia di estendere l’obbligo di fatturazione elettronica alle partite Iva del regime forfettario. Proposta che era già stata accolta dalla Commissione europea negli scorsi giorni.

Chi potrebbe essere obbligato all’obbligo di emettere la fattura elettronica?

Le partite Iva del regime forfettario dovranno emettere le fatture elettroniche esclusivamente utilizzando il servizio di interscambio dell’Agenzia delle entrate. L’obbligo vigerà per i soggetti economici che siano stabili in Italia. Rimarranno esclusi dall’obbligo, ma con la facoltà di utilizzare la fatturazione elettronica, i residenti all’estero. Si tratta dei soggetti identificati ai fini dell’Iva in Italia attraverso il rappresentante fiscale secondo quanto prevede il secondo comma dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972. L’identificazione può avvenire anche in maniera diretta secondo quanto prevede l’articolo 35 ter dello stesso decreto.

Quali operazioni saranno soggette all’obbligo di fattura elettronica?

Le partite Iva a regime forfettario dovranno utilizzare esclusivamente il sistema di interscambio (Sdi) dell’Agenzia delle entrate. La fatturazione regolerà i rapporti con i fornitori, salvo il caso in cui questi ultimi siano residenti all’estero. Pertanto, l’obbligo vige per le operazioni che intercorrono tra soggetti economici stabili o residenti nel territorio italiano.

Fatturazione elettronica e lotta all’evasione fiscale

Tra i soggetti economici che saranno obbligati all’utilizzo della fattura elettronica rientrano le partite Iva a regime forfettario o di vantaggio esclusi finora dalla normativa nazionale. Peraltro, dai dati forniti dall’Italia, il 10% delle partite Iva forfettarie già utilizza, in maniera facoltativa, la fatturazione elettronica. L’estensione dell’obbligo va nella direzione della lotta all’evasione fiscale e al controllo dei volumi di ricavi che, per gli autonomi del forfettario, non deve superare i 65 mila euro all’anno.

 

Partita Iva forfettaria: possono aprirla anche le organizzazioni di volontariato e di promozione sociale

Anche le associazioni di promozione sociale (Aps) e le organizzazioni di volontariato (OdV) potranno aprire la partita Iva a regime forfettario. Si tratta della novità più importante relativa al Terzo settore introdotta con la conversione del decreto legge numero 146 del 2021 con la modifica di quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972 in tema di applicazione Iva. Le ultime novità sono in discussione al Parlamento. Il voto definitivo si avrà lunedì 13 dicembre 2021.

Terzo settore, quali sono i requisiti per aderire alla partita Iva a regime forfettario?

Per aprire la partita Iva a regime forfettario le associazioni di promozione sociale e le organizzazioni di volontariato devono aver realizzato un volume di ricavi annuo che non superi i 65 mila euro, come tutte le altre società e i professionisti aderenti alla fiscalità della flat tax. Inoltre, nel volume dei ricavi sono incluse:

  • la somministrazione di bevande e alimenti;
  • le attività commerciali che sono assoggettate all’Iva.

Partite Iva a regime forfettario, gli altri requisiti per il Terzo settore e le semplificazioni

Organizzazione di volontariato e associazioni di promozione sociale per applicare la partita Iva a regime forfettario devono seguire le altre regole e i requisiti indicati dai commi dai 54 a seguire della legge di Stabilità del 2015 (legge numero 190 del 2014). L’adesione al regime forfettario comporta anche varie semplificazioni fiscali:

  • non va addebitata l’Iva nella fattura verso i propri clienti;
  • mancata detrazione dell’Iva sugli acquisti;
  • non va liquidata e versata l’Iva;
  • mancato obbligo di presentare la dichiarazione annuale;
  • non c’è bisogno della comunicazione annuale dell’Iva;
  • mancato obbligo di presentare la comunicazione all’Agenzia delle entrate delle operazioni rientranti nello spesometro, ovvero rilevanti ai fini dell’Iva;
  • non c’è bisogno di comunicare all’Agenzia delle entrate le operazioni fatte con operatori che abbiano la residente o la sede nei Paesi della black list.

Ulteriori obblighi che non hanno associazioni di promozione sociale (Aps) e le organizzazioni di volontariato (OdV) col regime forfettario

Inoltre, associazioni di promozione sociale (Aps) e le organizzazioni di volontariato (OdV) che aderiscono al regime forfettario di partita Iva non devono:

  • registrare le fatture emesse, le ricevute e i corrispettivi;
  • effettuare la certificazione dei corrispettivi;
  • procedere con l’integrazione delle fatture da versare entro il 16° giorno del mese successivo ai fini del debito di imposta, senza detrarre l’imposta stessa.

Vendita di beni e servizi da parte delle organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale

Le novità per il Terzo settore dell’adesione al regime forfettario di partita Iva, potrebbero riguardare le operazioni effettuate da alcuni enti. In particolare, le associazioni di categoria, religiose, politiche, assistenziali, culturali, di formazione extra scolastica, sindacali che effettuino servizi oppure vendano beni, compresi bevande e alimenti, recependo corrispettivi determinati, potranno considerare queste operazioni come esenti. Detti beni e servizi, dovranno non essere gravati dall’imposta che andrebbe a colpire essenzialmente i consumatori e gli utenti finali.

Fattura elettronica, obbligo per le partite Iva forfettarie: c’è l’ok della Commissione europea

Si avvicina l’obbligo di utilizzare la fattura elettronica anche per le partite Iva forfettarie, dopo il via libera dell’8 dicembre da parte della Commissione europea. Si attendono adesso solo gli ultimi passaggi: il primo, l’approvazione del provvedimento in uno dei prossimi Consigli dell’Unione europea. Infine, la pubblicazione della Gazzetta Ufficiale della Comunità europea (Guce).

Quante potrebbero essere le partite Iva del regime forfettario obbligate alla fatturazione elettronica?

Con la pubblicazione del provvedimento comunitario nella Gazzetta Ufficiale, l’Italia dovrà recepire l’estensione anche alle partite Iva a regime forfettario dell’obbligo di fatturazione elettronica mediante un norma ad hoc. Il provvedimento potrebbe essere la delega fiscale. L’obbligo scatterebbe per circa un milione e mezzo di partite Iva che, nel 2022, potrebbero diventare di più per via dell’entrata in vigore dell’assegno unico.

Perché obbligare le partite Iva a regime forfettario alla fattura elettronica?

L’obbligo della fattura elettronica per le partite Iva a regime forfettarie consentirebbe di arginare ulteriormente l’evasione fiscale. Peraltro, in ambito di progetti del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), l’Italia dovrà portare a termine entro il 2021 uno studio relativo alla mancata fatturazione da parte dei soggetti obbligati. Nello stesso studio dovranno essere illustrate le misure da introdurre per contrastare la mancata emissione della fattura elettronica dei soggetti obbligati.

Incentivi anche ai consumatori finali per l’obbligo di emissione della fattura elettronica

Lo studio sulla fattura elettronica consentirà anche di porre l’attenzione sugli incentivi a favore dei consumatori finali in merito all’obbligo dei fornitori. Anche in questo caso, si tratterà di misure che il governo metterà in campo per fare in modo che il consumatore chieda l’emissione dello scontrino, della fattura  o della ricevuta. L’allargamento dell’obbligo dell’emissione della fattura elettronica consentirebbe, peraltro, all’Agenzia delle entrate di avere dei dati completi e puntuali delle operazioni effettuate dalle partite Iva a regime forfettario.

Fattura elettronica e rispetto dei requisiti per rimanere nel regime forfettario

In tal senso, l’obbligo di fattura elettronica consentirebbe al Fisco di controllare anche il rispetto dei parametri per poter rimanere nel regime forfettario. Respinta, infine, l’obiezione di un maggior costo per la gestione del regime forfettario, soprattutto per i soggetti più piccoli. Infatti, il Consiglio dell’Unione europea, nella decisione finale che prenderà, terrà conto degli strumenti gratuiti, dei software e dei programmi messi a disposizione delle partite Iva per la predisposizione, per l’invio e per la conservazione delle fatture elettroniche.