Partite Iva, una lenta ripresa

Nonostante la crisi economica colpisca soprattutto il lavoro autonomo, i dati degli ultimi mesi sembrerebbe indurre un pizzico d’ottimismo. Come comunica il dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia, nello scorso mese di ottobre sono state aperte 45.045 partite Iva, il 10,55% in più rispetto al mese precedente.

Riguardo alla ripartizione territoriale, il 41,8% delle aperture e’ localizzato al Nord, il 22,8% al Centro ed il 35,3% al Sud ed Isole; il confronto con ottobre dello scorso anno mostra una maggioranza di flessioni, anche sensibili, al Centro-Sud (in particolare Basilicata seguita da Abruzzo, Molise, Umbria e Calabria).

Il commercio e’ sempre al primo posto per numero di aperture di partite Iva per settore produttivo: il 26,4% del totale, seguito dalle attivita’ professionali con circa il 12% e dal settore edilizio con il 9,6%. La quota maschile rimane sostanzialmente stabile, con il 63,4%, mentre quasi la meta’ delle aperture e’ dovuta a giovani fino a 35 anni e poco piu’ di un terzo alla classe 36-50 anni. A fronte di una chiusura delle partite Iva dieci volte superiore negli ultimi cinque anni, un’inversione di tendenza che non può non passare inosservata…

Jacopo MARCHESANO

 

Vuoi una vacanza su misura? Chiama il consulente di viaggio

Tra le figure emergenti nel mondo del turismo c’è quella del consulente di viaggio. Parola di Gianpaolo Romano, amministratore delegato di ‘CartOrange’, azienda che annovera circa 500 professionisti, che lo dichiara in un’intervista al ‘Giornale delle Partite Iva‘. “E’ una delle professioni emergenti – ammette. Come in altri paesi, Regno Unito, Germania, Olanda e Oltreoceano Stati Uniti e Canada, accanto alla figura classica dell’agente di viaggio, si afferma una figura con un taglio più consulenziale e meno legato all’agenzia fisica”.

Esperto nella proposta di vacanze su misura, il consulente di viaggio è sempre più richiesto nel settore turistico. “Il consulente di viaggio in Italia – spiega – può operare solo se ha un rapporto di collaborazione con un’agenzia di viaggio; in altri termini, è un collaboratore di un’agenzia di viaggio, che svolge però la propria attività al di fuori dei locali commerciali”. “L’elemento vincente – sottolinea – è la capacità di offrire una consulenza molto qualificata sui viaggi, sapendo offrire viaggi innovativi e su misura, diversi da quelli offerti nei cataloghi dei tour operator. Per questo, è necessaria una formazione specifica che l’azienda, di cui è parte il consulente di viaggio, deve essere in grado di offrire costantemente”.Per chi vuole intraprendere questa professione, suggerisce Romano, “il primo consiglio è quello di non improvvisare né di operare senza una regolare collaborazione con un’agenzia di viaggio”.

“Naturalmente – prosegue – è poi necessario scegliere l’agenzia di viaggio capace di offrire tutti gli strumenti per raggiungere il successo: formazione, assistenza, marketing, tecnologia. Il suggerimento è quello di scegliere realtà affermate che siano specializzate nella consulenza di viaggi”.

Tributaristi: non serve un nuovo ordine

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di giugno del “Giornale delle partite Iva”, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

Bisogna perseguire il riconoscimento delle associazioni professionali. E affrontare il problema chiave delle pensioni. Parla Riccardo Alemanno, presidente di Int

di ROSAMARIA SARNO

“Il tributarista è un professionista la cui attività di lavoro autonomo non prevede l’obbligo di iscrizione a Ordini professionali. Opera con codice di attività Iva 692013, è intermediario fiscale autorizzato ai sensi del D.P.R. n. 322 del 22/07/98 e successivi decreti ministeriali, può svolgere quelle attività del settore contabile-tributario non soggette a riserva a favore di altre categorie professionali; come gli altri professionisti del settore economico è soggetto agli obblighi relativi all’antiriciclaggio D. Lgs. n. 56/2004; essendo professionista privo di Cassa di previdenza privata è obbligato al versamento dei contributi previdenziali nel Fondo di Gestione separata dell’Inps ai sensi della legge 335/95.

Inoltre i tributaristi, se iscritti nei Ruoli dei periti e degli esperti in tributi, possono svolgere attività loro demandate per legge contestualmente ad altre categorie, quali l’assistenza e rappresentanza avanti le Commissioni tributarie e l’apposizione del visto di conformità”. Così Riccardo Alemanno, presidente dell’Int, l’Istituto nazionale tributaristi, una delle principali associazioni professionali di settore, illustra il ruolo e le competenze di questo professionista. Per esercitare la professione sono richieste formazione e competenze adeguate. “Bisogna distinguere se il tributarista è iscritto o meno a un’associazione di rappresentanza professionale come ad esempio l’Int”, spiega Alemanno. “Infatti, per chiarezza e correttezza, va evidenziato che per svolgere tale attività non è necessario essere iscritti a  un’associazione. Ovviamente i tributaristi iscritti a un’associazione devono sottostare a regole e obblighi che danno una maggiore garanzia all’utenza”.

I tributaristi iscritti all’Int tra i vari obblighi e regole devono:

• avere svolto un periodo di pratica e/o attività nel settore tra i tre e cinque anni, a seconda del titolo di studio;

• essere abilitati alla funzione di intermediari fiscali autorizzati;

• avere partita Iva con codice 692013;

• sottoscrivere adeguata polizza assicurativa di r.c. professionale verso terzi;

• rispettare il codice deontologico;

• svolgere aggiornamento professionale con verifica su  base biennale.

La professionalità deve partire dall’università

Quanto alle attitudini personali e alle abilità necessarie per poter operare, il presidente Int avverte che sono sicuramente fondamentali una preparazione legata al percorso di studi ed esperienza nel settore, abbinate a un costante aggiornamento professionale: “Oggi più che mai è necessario studiare con grande attenzione le incessanti modifiche e novità normative del comparto tributario che il legislatore non fa di certo mancare.

I tributaristi devono svolgere il proprio mandato con correttezza, serietà e competenza, in una sola parola con professionalità”. Ma qual è la posizione dell’Int rispetto al sistema ordinistico: per l’esercizio della professione chiede l’istituzione di un nuovo Ordine professionale o il riconoscimento delle associazioni professionali? “Noi chiediamo il riconoscimento delle associazioni ai sensi delle direttive comunitarie, ovvero la possibilità di rilasciare un attestato di competenza (che già rilasciamo ai nostri iscritti) che, se inserito in normativa diriconoscimento, permetterebbe ai tributaristi di operare anche negli altri Paesi dell’UE. Abbiamo grande rispetto”, chiarisce Alemanno, “per chi ha intrapreso il percorso dell’Ordine professionale e della successiva iscrizione all’Albo, avendo peraltro un ventaglio di opportunità professionali più vasto del tributarista non iscritto ad Albi o Ruoli, ma il nostro obiettivo non è la  costituzione dell’ennesimo Albo professionale.

Rispettiamo gli Ordini e i loro iscritti, ma esigiamo altrettanto rispetto. Non entriamo nel merito delle loro attività sino a quando le loro iniziative o richieste non rischiano di compromettere la nostra attività. Come già detto, l’iscrizione a un Albo professionale consente di avere prerogative di attività ben più ampie di quelle del tributarista e ovviamente non abbiamo mai contestato tale situazione, ma quando si vogliono creare nuove riserve allora non possiamo stare zitti e fermi. Più in generale, noi abbiamo una visione differente sulla gestione delle professioni, crediamo che sia il sistema delle università che debba dare professionalità. Vuoi fare il libero professionista? Dopo il percorso di laurea, due anni di specializzazione con un sistema coordinato tra università e mondo del lavoro, poi potrai spenderti sul mercato e, se sei bravo, troverai i tuoi spazi. Non siamo d’accordo con l’attuale sistema, troppo autoreferenziale: vorremmo che non ci fossero più diseguaglianze a seconda della latitudine o longitudine della residenza di questo o quell’aspirante professionista.

Come ha affermato una giornalista durante un’intervista, i tributaristi sono dei liberalizzatori ante litteram e, aggiungo io, non sempre compresi e spesso fraintesi; detto questo, devo sottolineare che i rapporti tra i singoli professionisti, siano essi iscritti o meno in Albi, sono spesso volti a una collaborazione professionale, un insegnamento ai dirigenti di Ordini e associazioni professionali, sottoscritto compreso”.

Due le princpali problematiche

Attualmente i tributaristi con partita Iva sono circa 30.000, suddivisi tra coloro che operano con studio o   associazione professionale e coloro che lavorano attraverso società di servizi. “Per quanto riguarda i tributaristi Int”, informa Alemanno, “sono oltre 2.000 gli attuali iscritti di cui 1.850 esercenti attività di lavoro autonomo con partita Iva e i restanti iscritti nella maggior parte dei casi lavoratori dipendenti che desiderano utilizzare i nostri strumenti di aggiornamento professionale per restare sempre al passo con le nuove disposizioni normative e gli obblighi tributari”. Quanto alle problematiche dei tributaristi, il presidente Int sottolinea che sono principalmente due:

“La prima, di tipo tecnico-professionale, si affronta giorno per giorno soprattutto attraverso un continuo aggiornamento e ciò è condiviso con tutti gli altri professionisti del settore; la seconda è causata dalla voglia di  esclusive di talune categorie, voglia che a volte viene soddisfatta dal legislatore o dalle interpretazioni di enti. In tutti e due i casi è fondamentale il lavoro svolto dalle associazioni, per la prima problematica fornendo strumenti di  aggiornamento, per la seconda intervenendo a difesa della categoria nelle sedi competenti e cercando di evidenziare  come il mercato dei servizi professionali sia profondamente mutato rispetto agli anni di creazione degli Albi  professionali. Spesso con risultati positivi, a volte no, ma senza mai abbandonare la strada di una riforma e della  liberalizzazione del settore”. Per quanto riguarda invece i problemi comuni a tutti i liberi professionisti del settore tributario, Alemanno pone l’accento sull’esclusione dai benefici riservati alle imprese di servizi e sul non pieno risconoscimento della loro importanza nello svolgimento della funzione di intermediari fiscali, nonché sulla necessità di dover operare in condizioni di continua emergenza tra norme complesse e scadenze che si susseguono senza soluzione di continuità. “Solo la loro professionalità, e mi riferisco a tutti i professionisti del settore, permette di superare questi ostacoli e di fornire servizi di qualità alla propria utenza. Infine”, aggiunge, “un problema gravissimo per i tributa risti, ma che sta diventando tale anche per chi ha un Cassa di previdenza autonoma, è quello dei contributi previdenziali e di una futura pensione. Noi siamo obbligati, in quanto professionisti privi di Cassa autonoma, al versamento nel fondo di Gestione separata dell’Inps con aliquote oltre al 27%. Un prelievo pesantissimo che impedisce di avere liquidità da investire nella previdenza integrativa. Da anni chiediamo una modifica normativa, ma le esigenze di cassa hanno avuto sempre la meglio sull’equità; anche progetti di legge giacenti in Parlamento prevedono modifiche ma sono rimasti lettera morta. Sono lontani i tempi dei professionisti privilegiati rispetto ad altre categorie”.

I costi per iniziare l’attività e per l’aggiornamento

“È difficile dire con precisione quali sono i costi medi per iniziare un’attività standard come libero professionista perché variano a seconda della sede. Un consiglio è quello di fare investimenti di pari passo con la propria crescita professionale”, suggerisce Riccardo Alemanno. “Comunque oggi il professionista che inizia un’attività deve sopportare costi che un tempo non erano sostenuti nell’ambito di attività professionali: penso alla necessità dei sistemi telematici e dei loro aggiornamenti, di avere un numero adeguato di collaboratori per poter gestire tutti gli obblighi tributari dei propri clienti, delle spese di aggiornamento professionale, di uno studio adatto alle sempre più pressanti esigenze di archiviazione della documentazione. In ogni caso, i costi iniziali minimi di investimento si possono aggirare sui 20.000-30.000 euro escludendo la locazione dello studio o il suo acquisto”. Quanto alle spese generali costanti ordinarie, l’aggiornamento software e hardware richiede circa 10.000 euro annui, altri 20.000-25.000 sono necessari per un collaboratore, 10.000-15.000 per le altre spese di studio, 5.000- 6.000 per l’aggiornamento (libri, riviste, corsi ecc.). “Per questi ultimi, c’è la possibilità di detrarne solo il 50%. Ecco perché cerchiamo di fornire strumenti di aggiornamento di qualità a costi contenuti o come nel caso dell’Int gratuiti per gli iscritti”.


C’è una newsletter tra voi e il mercato

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di maggio del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 30 aprile 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Cristina MARIANI

La newsletter, in italiano bollettino informativo o notiziario, è un modo per costruire e mantenere la relazione con persone che sono (o potrebbero diventare) nostri clienti. Una volta cartacee, ora sono prevalentemente create e inviate via e-mail; oggi tutti, o quasi, usano abitualmente il computer per comunicare e la newsletter digitale è uno strumento decisamente low-cost, alla portata quindi anche dei professionisti.

Come le aziende, anche noi professionisti dovremmo avere una lista di clienti attuali o potenziali, costituita da dati raccolti tramite incontri, eventi di networking, oppure provenienti da richieste di informazioni, segnalazioni, passaparola, ma anche dal sito o dal blog. Contattare regolarmente questi nominativi via mail è un ottimo sistema per tenere viva la loro attenzione, fidelizzarli e aumentare la probabilità che prima o poi si decidano a utilizzare i nostri servizi. E, perché no, se trovano interessante ciò che scriviamo, magari a loro volta diffondano la mail ai propri amici e conoscenti (è facile cliccare “Inoltra”!). Dunque la newsletter può essere vista come uno strumento per:

• acquisire nuovi clienti: per esempio, se sul nostro sito abbiamo una casellina dove il visitatore può inserire il proprio indirizzo e-mail, e quindi abbonarsi alla newsletter, è probabile che, ricevendo regolarmente le nostre comunicazioni, impari a conoscerci e ad apprezzarci;

• trattenere i clienti esistenti: fornire a intervalli regolari informazioni utili e non strettamente pubblicitarie è un modo per dare un servizio utile e creare continuamente valore per i clienti. Una ragione perché il cliente seguiti a scegliere noi anziché rivolgersi a un concorrente.

Come impostare la newsletter
È però facile trovarsi in difficoltà nell’impostare newsletter efficaci e interessanti: quale veste grafica usare? Con quale periodicità inviarle? E soprattutto, che cosa scrivere in queste comunicazioni? In questo campo anche aziende decisamente grandi, con budget importanti a disposizione, inciampano in incertezze ed errori. Sono abbonata alla newsletter relativa ai mobili per ufficio di un’importante catena internazionale di arredamento e il materiale che ricevo è decisamente scadente: comunicazioni sporadiche e discontinue, veste grafica anonima e contenuti banali (un’offerta speciale, il link per scaricare il catalogo e solamente un articolo minimamente utile, cioè sei “suggerimenti” su come ravvivare lo spazio lavorativo, tra cui posizionare le piante, appendere qualche quadro e mantenere i bagni puliti: tutte indicazioni abbastanza ovvie e scontate). Ecco quindi alcuni miei consigli per progettare e scrivere newsletter efficaci:

• Mettetevi nei panni del lettore e chiedetevi: “Se fossi io a ricevere la newsletter, quali informazioni mi sarebbero utili?“. Per essere letta volentieri la mail deve avere contenuti utili e non solo commerciali, altrimenti viene percepita come forma di pubblicità e si rischia che venga cancellata senza essere aperta. Non parliamo quindi solo dei nostri servizi, ma forniamo anche suggerimenti gratuiti su argomenti che suscitino l’interesse di chi ci legge e soddisfino il suo bisogno di informazione, anche se non direttamente collegati a una nostra proposta economica. Ad esempio, la newsletter di un architetto potrebbe contenere idee e proposte per rivedere la disposizione del salotto o suggerimenti sui nuovi colori per tinteggiare le pareti.
• È bene che la newsletter abbia un titolo originale, meglio se simpaticamente collegato al settore, ad esempio “La casa perfetta”. Non deve mancare il sottotitolo, che può anche essere descrittivo: “Notizie dallo Studio Architettura Mario Verdi”.
• Perché il lettore si affezioni alla newsletter e acquisisca familiarità, è utile impostare rubriche con argomento fisso e scegliere un layout (impaginazione) preciso e costante nel tempo, esattamente come succede con le riviste periodiche.
• Una buona newsletter dovrebbe essere arricchita con foto e immagini. Fate attenzione, però, a non rendere la mail troppo pesante.
• È opportuno stabilire in partenza la frequenza (mensile, bimestrale ecc.) e mantenere la regolarità senza saltare uscite.
• La lunghezza ideale è entro le mille parole.
• Le ricerche hanno dimostrato che i giorni più favorevoli per inviare newsletter via mail sono il martedì e il giovedì, tra le 10 e le 12.
• Usate uno stile giornalistico e colloquiale, evitate sia il tono serioso tipico delle comunicazioni ufficiali sia quello eccessivamente commerciale: chi vi legge vi sta dando il permesso di contattarlo con una comunicazione, ma non è necessariamente interessato a tutto ciò che proponete, né è scontato che abbia bisogno di utilizzare i vostri servizi nell’immediato futuro.
• Identificate gli obiettivi: fatturare di più dovrebbe essere l’obiettivo generale, ma è bene individuarne anche di più specifici. Ad esempio, vendere un prodotto o servizio particolare (come promuovere i propri servizi di web marketing) oppure incrementare una precisa categoria di clienti (sviluppare la clientela privata anziché quella aziendale).
• Definire con chiarezza e per iscritto gli obiettivi che ci prefiggiamo con l’invio della newsletter può essere utile per fare scelte precise in merito a contenuti, periodicità, destinatari e frequenza dei cambiamenti. Non c’è niente di peggio infatti che inviare una comunicazione uguale a quella di cinque anni fa: occorre dare l’impressione di freschezza e di adeguamento ai tempi, senza però cadere nell’estremo opposto e disorientare il cliente con grafiche e contenuti sempre diversi. Bisogna dare modo al lettore di riconoscere la newsletter anche tramite la veste grafica: come il colore rosa della Gazzetta dello Sport permette di individuare chiaramente il giornale, così anche i nostri lettori dovrebbero abituarsi (e si spera affezionarsi) alla grafica e al colore della nostra comunicazione.

E-mail marketing: non solo newsletter
Le newsletter sono ottime occasioni per contattare periodicamente i nostri clienti, ma ci sono altre circostanze straordinarie che potrebbero costituire un’opportunità per inviare comunicazioni “spot” via mail, ad esempio:
• novità importanti nella normativa, nuovi adempimenti o obblighi imposti dalla legge;
• offerte speciali o promozioni sui nostri servizi;
• segnalazione di nostri articoli su riviste o partecipazione a convegni;
• inviti a eventi speciali, e così via.

In tutti questi casi è bene usare un tono gentile, non invadente né troppo commerciale, e di enfatizzare sempre un elemento che costituisca un beneficio per il cliente (ad esempio, il ritiro di un gadget o la possibilità di scaricare una guida pratica). Uno studio della Kern Organization del 2008 ha rilevato che le iniziative di e-mail marketing strutturate in questo modo ottengono risultati (risposte, richieste e anche ordini) molto superiori a quelle generiche, fino a dieci volte tanto. Tutte le comunicazioni inviate via mail dovrebbero però essere coordinate sia nella grafica sia nella tempistica, per evitare di inondare il cliente di troppe comunicazioni e di finire, così, per essere percepiti come un fastidio o un inutile spam.

Gestire le liste di nominativi
Arrivati a questo punto della riflessione è abbastanza evidente che avere una lista di nominativi da contattare, cioè clienti attuali o potenziali, costruita e sviluppata in proprio (la cosiddetta house list) è l’ideale per qualunque tipo di comunicazione via e-mail, in quanto si tratta di persone con le quali c’è già stata una qualche forma di interazione. Diminuisce quindi il rischio che la nostra email sia vista o intercettata come spam. Ma come ampliare questa preziosa lista di contatti? Ecco alcuni suggerimenti, tenendo sempre presente che è necessario rispettare gli obblighi imposti dalla legge sulla privacy:
• sfruttare eventuali iniziative di pubblicità online (ad esempio AdWords su Google) per catturare l’indirizzo del visitatore, prevedendo sulla pagina di arrivo dopo il clic un’apposita casella per iscriversi alla newsletter;
• nel caso di attività a contatto con il pubblico, tenere un registro dove i clienti possono indicare il proprio indirizzo per ricevere comunicazioni; non dimenticare di raccogliere la firma con l’autorizzazione ai sensi della legge sulla privacy e consegnare l’informativa sul trattamento dei dati;
• se abbiamo un sito, un blog o una pagina Facebook, invitare esplicitamente le persone a registrarsi alla newsletter, inserendone anche una copia-campione in formato pdf; indicare chiaramente le modalità di iscrizione e cancellazione;
• proporre come incentivo la possibilità di ricevere, in cambio dell’indirizzo e-mail, un qualche tipo di beneficio (una guida informativa, un buono sconto ecc.);
• nel caso in cui si voglia svolgere una campagna email su nuovi nominativi, può essere utile rivolgersi ad aziende specializzate, come ad esempio BusinessFinder (www.businessfinder.it), che gestiscono direttamente l’invio e possiedono elenchi di nominativi di persone che hanno concesso preventivamente l’autorizzazione a essere contattate; in questo modo si evita, dunque, ogni possibile disguido o contestazione riguardo all’interpretazione delle norme sulla privacy.

Per essere ancora più efficace, la newsletter dovrebbe essere “tagliata su misura” per il lettore a cui è destinata. La conseguenza ovvia è che, se abbiamo tipi diversi di clienti, sarebbe opportuno prevedere una newsletter diversa per ognuno dei segmenti in cui la nostra lista di contatti è idealmente suddivisa. Ecco alcune ipotesi di segmentazione:
• clienti attuali/clienti potenziali: chi è cliente già ci conosce, mentre chi ancora non ha deciso di avvalersi di noi potrebbe avere bisogno di informazioni diverse;
• caratteristiche demografiche e geografiche (uomo/donna, Italia/estero ecc.): non è detto che gli uomini siano interessati agli stessi argomenti che invece sono rilevanti per un pubblico femminile, e viceversa;
• clienti abituali/clienti occasionali;
• metodo di raccolta (iscritti tramite il sito, nominativi inseriti manualmente da contatto diretto, visite, eventi ecc.).

È ovvio che segmentare una lista di nominativi ne presuppone la periodica revisione e, quindi, un certo impegno in termini di tempo per l’eventuale passaggio di destinatari da una categoria all’altra (in particolare, da cliente potenziale a cliente effettivo). Ma, anche se può sembrare un passaggio laborioso, prendersi il tempo di predisporre newsletter magari solo lievemente diverse per ogni tipologia di destinatario può aumentarne di molto l’efficacia. Il gioco vale senz’altro la candela.

Paolo Preti: passare dal breve al medio-lungo termine

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di aprile del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 31 marzo 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.


Dialogate con le banche e presentate al meglio il business della vostra società o del vostro studio. È il consiglio che Paolo Preti, docente di Organizzazione delle piccole e medie imprese all’Università Bocconi di Milano, rivolge ai professionisti e ai titolari di microaziende, in vista dell’entrata in vigore dei nuovi parametri di Basilea 3. Secondo il professore, il rischio che si verifichi una restrizione del credito per le piccole e medie imprese è abbastanza concreto, ma il sistema produttivo italiano ha comunque a disposizione alcune armi efficaci per difendersi, almeno se sarà capace di muoversi in anticipo.

In quale direzione?
Innanzitutto, gli imprenditori e i professionisti devono capire l’importanza di una gestione attenta del debito e dei loro rapporti con le banche.

Andiamo per ordine: qual è il primo consiglio che si sente di dare ai titolari di un’azienda?
In primo luogo, è bene che spostino gran parte dei loro debiti con scadenza nel breve termine verso forme di finanziamento di media e lunga durata, almeno quando è possibile.

A quale scopo?
Le linee di credito di lungo termine consentono spesso di attuare una gestione finanziaria più efficiente, evitando molte situazioni problematiche nel breve periodo, determinate da difficoltà temporanee per l’impresa. Inoltre, “spalmando” su più anni l’ammortamento di un prestito, il piano di rimborso diventa maggiormente sostenibile, soprattutto per le società che hanno flussi di cassa ridotti o altalenanti. In questo modo, l’azienda può apparire agli occhi della banca come una controparte affidabile, meno esposta al rischio di non poter onorare i propri impegni.

Così il rating creditizio dell’azienda crescerà?
Diciamo che un’azienda che adotta queste strategie improntate al buon senso ha maggiori possibilità di ottenere una valutazione più elevata. Occorre, però, un ulteriore sforzo per migliorare il dialogo tra gli imprenditori e gli istituti di credito.

Quale sforzo?
In Italia ci sono tantissime piccole società guidate da professionisti bravissimi, che hanno alle spalle una solida cultura industriale. A volte, però, questi imprenditori hanno un difetto: non riescono a mettere in evidenza in maniera adeguata le dotazioni patrimoniali di cui dispongono, le garanzie offerte alla banca o i flussi di cassa generati dall’attività caratteristica dell’azienda.

Come possono riuscirci?
Ad esempio presentando un business plan degno di questo nome, che sottolinei nero su bianco i benefici economici derivanti da un determinato progetto d’investimento, cioè le risorse finanziarie che entreranno nell’azienda negli anni a venire. Si tratta di un documento molto importante, che va redatto con attenzione e, se necessario, con l’aiuto di professionisti
qualificati.

Ma basteranno tutte queste contromisure a ridurre l’impatto di Basilea 3?
Certamente sono un buon inizio. Com’è ovvio, molte piccole imprese hanno difficoltà a dialogare con il sistema bancario in una posizione di forza. Ma la rassegnazione non è certo un rimedio per superare i problemi. Le Pmi italiane hanno sempre dimostrato di essere ricche di inventiva e capaci di sfidare le insidie del mercato in maniera molto flessibile.

Cosa accadrà invece ai piccoli professionisti che hanno bisogno di nuove linee di credito?
Questa categoria di lavoratori si trova in una sorta di limbo. In teoria, i parametri stabiliti dagli accordi di Basilea tendono a equiparare i piccoli professionisti ai debitori privati, che contraggono finanziamenti per motivi personali. Di fatto, però, alla fine le banche tratteranno il popolo delle partite Iva con gli stessi criteri utilizzati per le microaziende, valutando con attenzione il loro merito di credito, la loro solvibilità finanziaria e il patrimonio di cui dispongono.

Dunque, anche per i professionisti valgono le stesse raccomandazioni rivolte alle piccole imprese?
Certo che sì. Dialogare in maniera proficua e trasparente con il sistema bancario è una strategia utile per chiunque voglia indebitarsi. Soltanto così si possono prevenire gravi difficoltà in futuro.

Come votano le partite Iva?

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di marzo del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 28 febbraio 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Alessandro AMADORI*

Nell’ambito delle sue attività di monitoraggio dell’opinione pubblica, Coesis Research ha recentemente verificato (gennaio 2011) le intenzioni di voto di un campione di 300 elettori, appartenenti al popolo delle partite Iva. La metodologia utilizzata è stata quella dell’intervista telefonica Cati (Computer Aided Telephone Interviewing), integrata da sei colloqui clinici di approfondimento qualitativo. L’obiettivo è stato quello di individuare come si distribuiscono le preferenze elettorali in questo segmento cruciale della popolazione italiana, anche in rapporto ai recenti sviluppi del “caso Ruby”.

L’aggregazione delle intenzioni di voto per schieramenti evidenza questo quadro di atteggiamenti: il partito con il maggiore livello di consenso fra le partite Iva resta il PdL, al 31%; a seguire, nettamente distaccato, il PD, al 19%; al terzo posto troviamo la Lega, attestata su un ragguardevole 15%; poi Fli a un consistente 8%, l’Udc al 7%, l’IdV al 6%, La Destra e Sinistra Ecologia e Libertà entrambe al 4%, il Movimento Cinque Stelle al 2%, la Federazione della Sinistra a poco più dell’1%. Nella popolazione generale italiana, invece, gli atteggiamenti in termini di intenzioni di voto si distribuiscono in questo modo: Centrodestra 43%, Centro 12%, Centrosinistra 31%, Sinistra 11%, Altro 4%.

Dunque, mentre tra le partite Iva l’area del centro/centrodestra pesa per il 65% del totale, nella popolazione generale questo peso scende al 55%. La differenza è di dieci punti percentuali. Il che conferma che, nonostante l’evidente crisi del berlusconismo, l’atteggiamento di fondo del popolo degli “autonomi” resta strutturalmente più favorevole nei confronti dell’offerta di centrodestra.

Insomma, nonostante l’indebolimento di immagine e la perdita di gradimento e fiducia che Berlusconi ha subito, per il momento non si può ancora parlare di una ricaduta davvero pesante di questi fenomeni sul livello potenziale di consenso per l’area di offerta politica che sinora ha avuto nel Cavaliere il suo leader di riferimento. Per inciso, va detto che anche nella popolazione generale la tenuta del centrodestra è, per molti aspetti, superiore alle aspettative. A dimostrazione che i meccanismi del voto, e del consenso, sono fortemente contraddistinti da processi inerziali che rendono lenti e piuttosto difficili gli spostamenti da uno schieramento all’altro.

*amministratore delegato dell’istituto Coesis Research

Patti chiari tra cliente e commercialista

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di febbraio del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 30 gennaio 2011 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Laura PESCE

Nel 1997, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha pubblicato l’indagine conoscitiva nel settore degli Ordini e dei Collegi professionali. Dalla ricerca è emerso in particolare che l’utente corre tre diversi tipi di rischio: l’incompetenza del sedicente esperto; una prestazione volontariamente prestata con scarsa qualità; l’irrogazione di un servizio eccessivo, non necessario, al fine di risolvere il problema, con conseguente “lievitazione” della parcella richiesta.

La prestazione professionale deve rispondere ad alcune caratteristiche. Innanzitutto, l’esperto contattato deve avere un elevato contenuto di conoscenza tecnica, che non consente al fruitore di identificare anticipatamente il tipo di prestazione di cui ha bisogno, né di valutare successivamente la bontà della prestazione ricevuta. Inoltre, l’intensità dell’impegno profuso nella prestazione è una scelta di pertinenza del solo professionista. La prestazione è caratterizzata anche da incertezza, che coinvolge entrambi i soggetti in funzione delle variabili che il professionista incontrerà nello svolgimento dell’incarico; quella relativa ai servizi professionali, poi, impatta necessariamente su interessi di terzi, primo fra tutti lo Stato.

Fiducia e delega
Per questi motivi il rapporto professionale trova il suo fondamento nella fiducia e nella delega. Il vecchio Codice deontologico dell’Albo dei dottori commercialisti, modificato in occasione del congiungimento degli Albi dei dottori e dei ragionieri, recitava nel preambolo: “La fiducia è alla base dei rapporti professionali del dottore commercialista“. Al termine “fiducia” sono state date le interpretazioni più disparate, tanto che nella formulazione del nuovo Codice deontologico della categoria unificata dei dottori commercialisti e degli esperti contabili il richiamo al rapporto fiduciario è stato soppresso.

Bisogna tuttavia considerare che il contratto con cui si affida al professionista l’assistenza sarà necessariamente incompleto, in quanto è pressoché impossibile individuare a priori tutte le variabili che si incontreranno nello svolgimento dell’incarico. Va da sé che il rapporto fiduciario non può venire meno, anche se nella nuova formulazione del Codice deontologico della categoria, approvato il 5 novembre 2008, al termine sopra evidenziato sono state sostituite precise regole a cui i professionisti devono obbligatoriamente uniformarsi.

Il rapporto tra commercialista e cliente deve, inoltre, tenere conto del carattere di bene pubblico della prestazione professionale, per cui tale rapporto fiduciario non può esaurirsi tra i due soggetti ma deve estendersi alla società: la collusione tra i due, se arreca un vantaggio al cliente, può causare un danno a qualche “terzo”. Nel campo fiscale, ad esempio, la manipolazione di dati al fine di aggirare l’imposizione tributaria fa sì che il professionista venga meno a quella delega che le autorità pubbliche gli hanno conferito affinché vigili sulla legittimità dei comportamenti dei clienti. Questa delega può essere esercitata dal professionista tenendo un corretto comportamento che consideri di tutti gli interessi in gioco: i propri, quelli del cliente, quelli dei terzi coinvolti nella prestazione professionale e, in generale, della collettività.

Inquadramento dell’attività
L’attività svolta dal professionista iscritto in Albi e Collegi è inquadrata nella fattispecie del lavoro autonomo, disciplinata dagli articoli 2229-2238 del Codice civile e dalle disposizioni generali dello stesso titolo V dell’articolo 2061 (Ordinamento delle categorie professionali). Gli elementi che contraddistinguono la prestazione intellettuale sono:
• l’iscrizione in Albi ed elenchi;
• la personalità della prestazione;
• il diritto al compenso e all’anticipazione di spese e acconti;
• la responsabilità.

Il citato articolo 2229 del c.c. dispone che la legge determini le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi Albi o elenchi, demandando alle associazioni professionali, sotto la vigilanza dello Stato, l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione (esame di Stato), la tenuta degli stessi e l’esercizio dell’azione disciplinare sugli stessi. Quindi colui che intende sentirsi tutelato dovrà accertarsi di aver scelto il professionista tra gli iscritti all’apposito Albo: sul sito Internet dell’Ordine (www.cndcec.it) alla voce “Ricerca professionista” l’interessato potrà trovare, o meglio verificare, l’iscrizione all’Ordine nel distretto (città) competente del professionista a cui ritiene di affidare l’assistenza. Per qualsiasi problema dovesse sorgere nel corso del rapporto basterà rivolgersi all’ Ordine per verificare il corretto comportamento del professionista.

Purtroppo da anni continuiamo ad assistere a un proliferare di “pseudo-commercialisti” che si spacciano per tali ma che, non avendo obbligo alcuno, non sono sempre in grado di garantire un servizio corretto e qualificato. Per arrotondare le proprie entrate svolgono quelle attività che non sono tutelate in modo specifico dalle norme legislative e che vengono comunemente annoverate tra i servizi, come la tenuta della contabilità o la redazione della dichiarazione dei redditi. Bancari, contabili, ingegneri… il mercato “offre” di tutto, ma in questi casi l’eventuale disservizio non è tutelato da nessuno. Se invece il consulete è un commercialista regolarmente iscritto, una segnalazione fatta all’Ordine creerebbe al professionista non pochi problemi in quanto, nel caso di comportamento non consono al Codice deontologico, questi si vedrebbe raggiunto da una azione disciplinare.

Il Codice deontologico del commercialista
Come già accennato, gli obblighi del professionista nei confronti dell’assistito sono individuati nel Codice deontologico della professione di commercialista, definendo la deontologia professionale come un insieme formalizzato di regole di autodisciplina predisposte dalle singole professioni che definiscono la “teoria del dovere” per i professionisti iscritti. Le regole deontologiche possono essere assimilate alle consuetudini e, come tali, quando sono richiamate da regolamenti, assumono piena valenza giuridica. Le norme di deontologia professionale tendono a regolamentare:
• la formazione professionale, considerando che l’aggiornamento deve essere continuo. Il professionista deve rinunciare agli incarichi per i quali non possiede specifiche competenze;
• il comportamento nei confronti dei clienti, che riguarda la riservatezza, il segreto professionale, la copertura dei rischi professionali, la libertà e indipendenza nei confronti dei clienti, le tariffe professionali;
• il comportamento nei confronti dei colleghi, che deve essere improntato su principi di correttezza;
• il comportamento nei confronti degli organi di governo della categoria, che prevedono collaborazione e dovere di denuncia di comportamenti scorretti;
• il comportamento nei confronti delle autorità, che deve basarsi sulla collaborazione e sul rispetto dei ruoli.

Le regole non scritte
Queste le regole generali che il Codice deontologico impone di osservare. Ma altre, non scritte, dettate dal buon senso e dal rispetto che ogni professionista deve avere nel rapporto con il cliente, dovrebbero essere rispettate:
• il cliente va ascoltato, guidato nelle scelte, informato sulle norme che deve osservare;
• nel caso di tenuta della contabilità, il professionista deve verificare i documenti consegnati dal cliente e chiederne, nel caso, l’integrazione;
• sempre nell’ipotesi precedente, il professionista deve rilasciare al cliente un attestato in cui sono indicate le scritture contabili tenute presso lo studio per conto del cliente stesso;
• il professionista deve condividere con il cliente e far firmare i documenti (bilancio, dichiarazioni eccetera) prima della spedizione o dell’inoltro in via telematica dei documenti stessi;
• il professionista deve consegnare al cliente una copia dei bilanci depositati o delle dichiarazioni dei redditi presentate per suo conto, complete degli allegati;
• il professionista deve informare il cliente sulle motivazioni che hanno portato all’emissione da parte dell’Agenzia delle entrate di cartelle esattoriali
o di rettifiche di dichiarazioni;
• il professionista deve illustrare al cliente con semplicità e chiarezza gli elementi essenziali e gli eventuali rischi connessi alla pratica affidatagli.

Non si dimentichi, poi, che la recente giurisprudenza (con la sentenza della Cassazione n. 99616 del 26/04/2010) ha introdotto, collegandola al Codice deontologico dell’Albo, il concetto aggravato di “diligenza media”, e ha esteso la responsabilità professionale al di fuori delle violazioni meramente formali.

Come differenziarsi dai propri concorrenti

Infoiva pubblica in esclusiva un articolo tratto dal numero di gennaio del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 30 dicembre 2010 -, il mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Cristina MARIANI 

I liberi professionisti sono sempre di più, il mercato è diventato affollato e competitivo. I cambiamenti socio-economici di questi ultimi anni hanno ampliato il numero dei lavoratori autonomi, che però spesso hanno alle spalle una carriera come dipendente e, dunque, poca dimestichezza con il “marketing di se stessi”. Inoltre, sono finiti i bei tempi in cui, per alcune categorie professionali, il titolo o la qualifica erano sufficienti per trovare e mantenere i clienti: ad esempio, si vedono spesso messaggi pubblicitari di dentisti e odontotecnici, che fino a qualche anno fa probabilmente non avevano alcun bisogno di promuovere i propri servizi. Dunque è necessario creare un sito o un blog, stampare depliant o brochure di presentazione, magari mettere qualche piccola inserzione su quotidiani o radio locali, cioè svolgere attività di comunicazione. Oggi aprire un sito o un blog è semplicissimo e con i nuovi sistemi gratuiti online è possibile creare da sé efficaci presentazioni e persino predisporre materiali stampati senza bisogno dell’aiuto di un grafico (ma solo, semmai, di quello di un bravo tipografo per la fase di stampa). La tecnologia ci aiuta, mettendo a nostra disposizione strumenti facili e gratuiti: così realizzare la nostra comunicazione personale diventa un’attività decisamente low cost. Ma cosa scrivere sul sito o sul blog? Quali frasi indicare sulla brochure di presentazione? Come presentarsi ai clienti potenziali per convincerli a scegliere proprio noi anziché uno dei nostri dieci o cinquanta concorrenti? Per prima cosa occorre esaminare attentamente le caratteristiche del nostro servizio, così da capire quale di esse conviene mettere in risalto nella nostra comunicazione. È la rapidità del servizio? La puntualità di consegna? Una competenza speciale o un punto di forza difficile da trovare tra chi fa il nostro stesso mestiere? Vietato parlare di “qualità, efficienza, professionalità”: sono tutti elementi necessari per stare sul mercato, e quindi il cliente le dà per scontate.

Come scrivere testi scorrevoli e interessanti
Nel predisporre i contenuti per la presentazione, il sito o il depliant, meglio evitare termini banali e inflazionati (qualità, costante impegno, efficacia ed efficienza), espressioni vaghe che possono voler dire troppe cose (soluzioni globali, massima performance), aggettivi esagerati (prodotti eccezionali, servizio eccellente), di fronte ai quali la tipica reazione di chi legge è quella che alle elementari avevamo davanti al bullo di classe che si vantava di essere il più bravo, il più forte, il più bello: prima di tutto antipatia, poi sfiducia. Se c’è bisogno di scriverlo, probabilmente non è vero. Meglio invece usare la “legge delle 4C”*.

Come individuare i nostri punti di forza
A volte non è facile capire quali sono i punti su cui far leva nella comunicazione perché alcune caratteristiche personali, che pur ci rendono vincenti nei confronti della concorrenza, ci appaiono ovvie e scontate (mentre è solitamente più facile elencare i propri punti deboli). Parto da un esempio personale: recentemente mi è stato offerto un progetto di lavoro molto ben retribuito grazie al fatto che parlo l’inglese a livello madrelingua, cosa che a me sembra normale; invece pare che questa capacità non sia così facile da trovare in un consulente aziendale. Non mi ero resa conto di questo mio punto di forza fino a che qualcuno me l’ha fatto notare, in questo caso offrendomi un ottimo progetto di lavoro. Allora ho riflettuto: quanti di noi non si rendono conto dei loro punti di forza? Come possono le persone, soprattutto le microaziende e i liberi professionisti, prenderne coscienza per poi “vendere” meglio se stessi e i propri servizi? A volte può essere utile vedere noi stessi attraverso gli occhi degli altri. La mia amica Anna è una traduttrice ed è esperta in materia finanziaria, essendo laureata in Economia, cosa insolita per i professionisti del suo settore. Anna, però, non aveva mai pensato di enfatizzare questa sua competenza fino a che non gliel’ho fatto notare: ha quindi impostato la sua comunicazione in tal senso, modificando il biglietto da visita e il sito web, e ha trovato in pochi mesi diversi nuovi clienti. Ma ci sono anche altri modi per scoprire i propri punti di forza. Giorgio è un promotore finanziario e si è reso conto di quali fossero i suoi punti di forza in un modo piuttosto insolito: chiedendo ai suoi colleghi e conoscenti di fornire un’opinione a riguardo per il suo profilo sul social network LinkedIn. Giorgio si è accorto che alcune delle caratteristiche citate (puntualità nel rispetto degli appuntamenti, chiarezza nell’esposizione delle varie opportunità di finanziamento, capacità di spiegare prodotti complicati con parole semplici) non erano quelle da lui indicate nella propria presentazione. Ha così deciso di modificare i testi del proprio sito per includere queste caratteristiche, che non si era mai reso conto fossero così apprezzate. A volte i nostri talenti principali sono invisibili a noi stessi proprio perché sono così naturali da risultarci ovvi e automatici. Dunque, un altro modo per scoprirli, oltre a chiedere a chi ci sta intorno, è rispondere a questa domanda: che cosa mi fa perdere la pazienza? La frustrazione del genio deriva dal presumere che, se una cosa gli viene quasi spontanea, deve essere altrettanto facile anche per tutti gli altri. Chi è naturalmente preciso e puntuale si indispettisce quando gli altri si comportano in modo superficiale; chi ha l’occhio sugli accostamenti cromatici soffre nel vedere una camicia gialla con una gonna verdina, e così via. Infine, uno studio accurato sulle caratteristiche e le modalità di lavoro dei concorrenti ci può fornire spunti utili per mettere in risalto le particolarità che ci contraddistinguono: che cosa facciamo in modo speciale, o anche solo diverso dagli altri?

Per rispondere a questa domanda può essere utile stendere una lista dei benefici suggeriti dai concorrenti nelle loro comunicazioni rivolte alla clientela, ad esempio:

• concorrente A: precisione;
• concorrente B: molti anni di presenza sul mercato;
• concorrente C: economicità;
• concorrente D: facilità di reperire il servizio.

Ora pensiamo alle caratteristiche del nostro prodotto: se ce n’è qualcuna che non è compresa in questo elenco, e che dunque i concorrenti non mettono in risalto, potrebbe essere conveniente per noi puntare proprio su quella. Attenzione, non è necessario che siamo gli unici ad avere quella determinata caratteristica: basta che i concorrenti non la mettano in risalto nella loro comunicazione. Per fare un esempio, pensiamo al settore delle acque minerali: molte di loro sono povere di sodio. ma una in particolare, Acqua Lete, ha scelto di sottolineare questa caratteristica con la pubblicità della particella solitaria. A volte il nostro punto di forza non è una capacità singola, ma l’intersecarsi di più abilità nella stessa persona. Ad esempio, un programmatore esperto di linguaggio Html che sia anche diplomato in grafica pubblicitaria potrebbe essere avvantaggiato nel proporsi come sviluppatore di siti web rispetto a chi ha competenze esclusivamente informatiche. Capire e mettere in risalto ciò che ci distingue dai concorrenti è importante. Tuttavia, la differenziazione è utile solo nella misura in cui il cliente la percepisce e la apprezza: se io sono la sola traduttrice dalla lingua del Kazakistan in Italia, ma nessuno ha bisogno di questo tipo di traduzioni, la mia unicità vale poco. Dunque, prima di pensare a possibili metodi per differenziarci dalla concorrenza, è opportuno fare un’approfondita indagine sulle preferenze della clientela e chiedersi se vale la pena proseguire in questa direzione.

Perché differenziare il proprio servizio?
In altre parole, perché fare tutto questo lavoro di ricerca e comunicazione, che richiede tempo, impegno e riflessione? La risposta è molto semplice: differenziare è utile perché se il nostro servizio non è diverso da quello degli altri, alla fine il cliente decide in base a un solo fattore: il prezzo. Differenziare ci aiuta a ottenere compensi migliori; e di questi tempi, mi sembra addirittura indispensabile.

www.cristinamariani.it

*Secondo Bob Bly, copywriter americano, un buon testo dovrebbe essere:
• chiaro: utilizzare parole semplici, paragrafi brevi, poche subordinate;
• conciso: eliminare ripetizioni, ridurre gli aggettivi, sintetizzare concetti;
• “compelling”: parlare meno di se stessi e più di ciò che interessa il lettore;
non esordire con frasi tipo “I nostri servizi” o “Chi siamo”;
• credibile: essere specifici, includere dati, statistiche, casi di successo.

Donne e mamme sull’orlo della partita Iva

Infoiva pubblica in anteprima e in esclusiva un articolo tratto dal terzo numero del “Giornale delle partite Iva” – in edicola dal 30 novembre 2010 -, il nuovo mensile diretto da Francesco Bogliari, pubblicato da Cigra, distribuito da Mondadori e rivolto al vasto pubblico dei professionisti autonomi.

di Luisa SANTONOCITO

Il marito di Carla si è messo in malattia. Ha il mal di schiena. E Carla, che il mal di schiena l’ha davvero, è costretta ad accelerare il ritmo. Lei nemmeno sa cosa voglia dire “mettersi in malattia” né mai lo saprà, perché non può fermarsi. La sua giornata è inesorabilmente scandita: sveglia alle 7; ore 7,55, i bambini entrano a scuola e non si può sgarrare di un minuto; ore 8, Poldo deve uscire e, si sa, i labrador amano correre anche sotto la pioggia, allora, stivali ai piedi, si affrontano fango e liti canine; ore 8,30, i letti da fare, la spesa da ultimare, la cucina da sistemare dopo la colazione.

E poi via, finalmente nel proprio studio, davanti al Mac, la schiena di Carla trova un po’ di sollievo. E la mente anche. Si può pensare finalmente, scrivere, leggere la posta, dialogare a distanza. La scrivania è piena di memo, a leggerli tutti ci si mette un’ora, e allora via con la prima richiesta e la prima azione stampa. Una lettera, però, fa capolino da dietro il video, appiccicata con un pezzo di pongo rosso (quello di Federico, sei anni e una richiesta costante: “Mamma, giochi con me?“). È la lettera dell’Inpgi, l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, che reclama il “versamento dei contributi minimi per l’anno 2010 per giornalisti con attività libero-professionale“.

Attività libero-professionale: suona bene. Dà l’idea di qualcosa di grosso, di importante, di soddisfacente. E riguarda proprio lei, Carla, ma riguarda anche Beatrice, Paola, Patrizia, Caterina… donne di diversa età, cultura, geografia. Donne che, tra figli, casa e lavoro, hanno imparato a ottimizzare ogni minuto delle 24 ore: una mail tra un allenamento di basket e un compito di matematica, la lavatrice alle due del mattino (all’insegna del risparmio e della disperazione), si dimenticano delle impegnative per importanti esami di controllo, ma guai a non seguire nei dettagli e nei tempi giusti l’incarico affidato dall’unico committente.

Donne con una caratteristica in comune: la partita Iva, sinonimo, per loro, di libertà e al tempo stesso di schiavitù. Sì, perché se sei single e magari puoi contare sull’appoggio dei genitori, puoi lavorare divertendoti in attesa di un posto più sicuro, ma, se la mamma sei tu, la sensazione a fine giornata può essere quella di avere un cappio al collo, altro che libertà. “Le ricordo che il 30 settembre scade il termine previsto per il pagamento…”, la lettera dell’Inpgi parla chiaro, con toni che paiono quasi nervosi. Insomma Carla, lo paghi o no quest’ente previdenziale? Lo pagherà, lo pagherà, il problema è che non ci ha fatto ancora la mano con la sua partita Iva e la sua “libera” professione. Forse perché così libera non si sente, o forse, in fin dei conti, perché in questa libertà non ci crede tanto. “Contribuente regime dei minimi”, nel senso di dividere la propria vita in porzioni precise, nette, immodificabili: massima precisione per un minimo ricavo. Almeno quello monetizzabile, perché se si somma felicità dei figli, bei voti a scuola, soddisfazioni materne e professionali, allora il ricavo è massimo, ma conti reali alla mano c’è da mettersi le mani nei capelli, senza contare il prezzo in termini di vita privata che se ne va: sparita, annullata.

E il futuro? Ci pensi a volte Carla al futuro? Certo se il marito con la schiena dolorante ti sosterrà… Ma se non sarà così? Come andrà a finire per te? E come per Beatrice che un ente di previdenza nemmeno l’ha? Troppe domande per le 9,15 del mattino. Meglio scrivere il comunicato stampa, pensare al titolo del pezzo e avviare il collegamento Internet banking per pagare quella benedetta rata.

Tutto è veloce, immediato, niente errori. “Ma allora, accidenti, perché il tempo non basta mai?“, si chiede Paola puntualmente tutti i giorni. “Ma come, tu che lavori a casa“, la riprendono le altre mamme lavoratrici dipendenti, quasi tutte part time, che alle due del pomeriggio escono dall’ufficio e ci rientrano alle nove del giorno dopo e a fine mese sventolano un bel cedolino con straordinari e ferie pagate, “Ma come, tu che hai tutto il tempo che vuoi, arrivi in ritardo a scuola, ti lamenti, sei stremata? Insomma! Non sei organizzata!“.

Paola vorrebbe spiegare che si è persa nel vortice della vita professionale e familiare, che nulla concede a quella privata, ma non può, deve correre, e non per fare carriera come il marito ma per portare i figli ai campi di calcio, pagare le bollette, sollecitare il pagamento di una vecchia fattura. “Non fermarti!“, dicono quelle come lei, lavoratrici autonome senza busta paga, che magari l’avevano e che vi hanno rinunciato per trasferirsi in un’altra città, per seguire un amore o semplicemente perché hanno avuto la pessima idea di fare un figlio e quindi, declassate e umiliate, hanno deciso di mandare al diavolo l’azienda e mettersi in proprio. “La libertà, sì! Apro la partita Iva e sarò libera. Figurati, con la mia bravura e con la mia esperienza mi rimetterò certamente in pista“. Solo che la pista assomiglia a quella della Formula Uno, velocità a mille, anche in curva. Niente fermate neanche per…

Sì, questa è la vita di molte mamme partita Iva, più o meno benestanti. Che tra figli, scuola, casa e lavoro, si sentono in colpa se decelerano. Quando Patrizia, traduttrice e interprete free lance, si sente dire: “Ma che fortuna hai a lavorare in proprio, così puoi seguire figli, famiglia e casa senza dover fare i salti mortali e vai in vacanza quando vuoi!“, risponde: “Provateci!“. Ma non ha dubbi e con convinzione rivendica la propria scelta. Due figli e un marito libero professionista, anzi a dire la verità sono entrambi liberi professionisti… chissà perché, però, suona sempre meglio se riferito al genere maschile. Patrizia vede il bicchiere mezzo pieno: “L’aspetto positivo è che il lavoro è sempre vario, non hai orari fissi, non sei costretta a lavorare sempre con le stesse persone, sei capo di te stessa… Ma è anche vero che, se non fai attenzione, rischi di non avere più orari e di essere fagocitata da una spirale senza fine di attività famigliari che ti portano poi a dover magari lavorare di notte per riuscire a rispettare le consegne, con il marito che brontola perché non dedichi del tempo a lui“.

Il rovescio della medaglia è dietro l’angolo: “Quando abbiamo avuto Giorgio e Francesca (nove e dieci anni) – continua Patrizianon abbiamo dovuto prendere decisioni su chi si sarebbe dedicato di più alla famiglia e chi di più alla carriera, era già insito nel mio dna. Credevo di essere Wonder Woman e di poter riuscire a crescere i miei figli in armonia almeno fino ai tre anni, conciliando anche il lavoro. E ho rischiato l’esaurimento. Grazie al sostegno di mio marito e alla decisione di ‘spedire’ i pargoli al nido, sono riuscita a reinserirmi sul mercato del lavoro e a ritrovare me stessa… Però quando lui parte per lavoro si prepara la valigia, saluta e se ne va. Quando parto io, devo preparare i vestiti per i bambini per i giorni in cui sono assente, preparare le borse e le borsine per le attività extrascolastiche, controllare che il frigo e la dispensa non siano completamente vuoti, scrivere bigliettini vari per rammentare orari e impegni, e poi finalmente posso prepararmi e partire per la meta lavorativa, saltando in macchina e magari prendendo un aereo al volo!“.

Patrizia ha imparato a conciliare lavoro, casa e famiglia facendo appello a tutto il suo senso di disciplina, grazie anche a una forte unione e a un matrimonio solido. Ma non va sempre così. A volte devi fare i conti con quello che la vita ti riserva. Caterina era una brava PR, lavorava tra Roma e Milano, felice e soddisfatta. Poi ha incontrato l’uomo della sua vita e con lui ha avuto una figlia. Ha lasciato l’azienda, “il posto fisso”, e ha scelto la libera professione tra grandi progetti ed entusiasmo. Non si è sposata. Un anno dopo lui se ne è andato e ora lei è sola con Lucrezia, tre anni, bellissima, e la sua partita Iva che le farà compagnia per molto tempo ancora, forse per sempre. Insieme a un futuro tutto da costruire.