Pellet: perché il prezzo è così alto? Speculazione o aumento dei costi?

Il costo del pellet è ormai alle stelle, sono numerosi i movimenti che stanno proponendo scioperi degli acquisti per indurre produttori e venditori a ridurre i prezzi attraverso la riduzione della domanda, ma ad oggi non sembra esservi successo per questi. Vediamo però quali sono le cause dell’aumento dei prezzi del pellet e se i consumatori possono in qualche modo intervenire su essi.

La tempesta perfetta ha determinato il costo del pellet

Non c’è una sola causa che ha determinato l’aumento dei prezzi del pellet fino al 100% in pre-stagionale, diverse sono le concause e si cercherà di analizzarle tutte che in realtà sono spesso concatenate. Annalisa Paniz, direttrice generale AIEL, l’associazione italiana energie agroforestali, ha parlato della tempesta perfetta.

Diminuisce l’offerta e aumenta la domanda del pellet a causa della guerra in Ucraina

La prima causa è legata al fatto che in Italia si produce pochissimo pellet, il 15% del fabbisogno, 500.000 tonnellate. Questo implica la necessità di importarlo e già questo rappresenta un costo. A ciò si aggiunge che tra i maggiori produttori a cui l’Italia deve fare riferimento ci sono Paesi come Russia, Bielorussia e Ucraina. I primi due sono interessati da blocchi alle importazioni a causa delle sanzioni, mentre l’Ucraina è in ginocchio a causa della guerra.

A questo primo dato, che comporta comunque una riduzione dell’offerta del pellet, si aggiunge l’aumento della domanda, infatti ad oggi il pellet continua ad essere un combustibile di massa, molto ricercato quindi in Italia e siccome nonostante l’aumento del prezzi al 100% è ancora più conveniente del metano, ci sono molte famiglie che stanno convertendo gli impianti. Si ha quindi uno squilibrio tra la domanda che cresce e l’offerta che diminuisce ed ecco che si verifica la conseguenza più naturale sul mercato, cioè l’aumento del prezzo del pellet.

Costo del pellet determinato dal caro energia

A questo primo fattore scatenante dell’aumento dei prezzi del pellet, si aggiunge l’aumento delle spese per i carburanti. Qui si ritorna al primo problema, cioè l’Italia importa pellet per la maggior parte del suo fabbisogno e l’aumento del costo del carburante va naturalmente ad essere spalmato proprio sul prezzo del pellet.

Il caro energia però non va solo ad incidere sul costo del trasporto del pellet ma anche sul costo di produzione dello stesso, infatti gli impianti che producono pellet possono essere considerati energivori e naturalmente chi produce ha l’obiettivo di lucrare, quindi non può vendere il pellet ad un prezzo inferiore a quello di produzione, anche l’aumento della spesa energetica del produttore deve essere spalmato sul pellet.

Scopri anche quanto dura un sacco di pellet.

All’aumento del prezzo del pellet, consegue anche l’aumento naturale dell’Iva che ricordiamo è al 22%.

Leggi anche: Pellet: quanto costa? Conviene o è preferibile il metano?

I consumatori possono intervenire sulle speculazioni sul prezzo del pellet?

Infine, non manca l’elemento speculativo, è ovvio che in un inverno che si palesa come molto complicato dal punto di vista dei prezzi, i produttori e i distributori sanno di poter agire sui prezzi e lucrare e quindi provano a calcare la mano sui rincari. Solo su questa porzione dell’aumento potranno effettivamente agire i consumatori, ma non di certo fino a riportare il sacco di pellet al costo di un anno fa, cosa attualmente molto improbabile, ma solo al fine di determinare una leggera flessione verso il basso. Fino a quando il consumatore può agire? Relativamente poco, perché il pellet di fatto è poco e a breve ci sarà la corsa all’acquisto per paura di restare al freddo.

I produttori sanno che potrebbe esserci una leggera flessione, dovuta al fatto che le persone dovranno per forza di cose rinunciare al comfort ottimale e fare qualche sacrificio, ma la stessa è anche voluta perché anche loro hanno difficoltà con le materie prime, cioè anche a reperire la legna da trasformare. Proprio per questo una riduzione della domanda, che potrebbe anche non esservi a fronte del costante aumento del costo del metano, per i produttori non appare essere un problema. In conclusione è molto probabile che vi siano ancora aumenti di prezzo del pellet.

Pensioni, quante possibilità ci sono che nel 2023 venga attuata quota 41?

Quante possibilità ci sono che nella riforma delle pensioni del 2023 venga attuata la quota 41 per tutti? Ad oggi, le trattative tra il governo Draghi e i sindacati per la riforma previdenziale del prossimo anno sono ferme. Oltre 3 mesi di stop ai tavoli delle nuove misure pensionistiche che dovranno evitare il ritorno ai vincoli della riforma Fornero di fine 2011. Se non si dovesse intervenire per tempo, con la fine della sperimentazione della quota 100 a 31 dicembre scorso, e in attesa della scadenza della quota 102, attualmente in vigore fino al prossimo 31 dicembre, le vie di uscita dal lavoro rimarrebbero quelle della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni, e quella della pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di versamenti contributivi.

Pensioni, senza quota 102 i lavoratori rimarrebbero senza misure di uscita anticipata

Proprio nei giorni scorsi, il leader della Lega Matteo Salvini è intervenuto per porre pressione al governo sulla riforma delle pensioni e per rilanciare il vecchio progetto della quota 41 per tutti. Al netto di misure di uscita che riservano l’uscita a una platea ben ristretta di contribuenti (l’opzione donna e l’anticipo pensionistico sociale, ancora da confermare per il 2023), e senza la proroga dell’attuale quota 102, i lavoratori rimarrebbero senza canali di uscita praticabili. E dovrebbero attendere la maturazione dei requisiti della legge Fornero.

Pensioni, quali sono le previsioni del decreto ‘Aiuti’ di Mario Draghi?

Ad oggi non si fanno previsioni sulla ripresa dei tavoli di riforma delle pensioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è impegnato nelle misure da adottare nel decreto legge “Aiuti”, alcune delle quali potrebbero riguardare i pensionati. Infatti, oltre al bonus 200 euro nel quale rientrano i contribuenti in quiescenza, il governo potrebbe prevedere misure per difendere il valore delle pensioni dall’inflazione causata dal conflitto in Ucraina. La road map dei lavori governativi prevede di entrare nel vivo del provvedimento all’incirca per il 20 giugno prossimo, in modo da avere tempo fino al 16 luglio per l’ok definitivo delle Camera.

Il governo pensa a misure nel decreto ‘Aiuti’ per difendere le pensioni  dall’inflazione

Quello della difesa del valore delle pensioni dall’inflazione è un cavallo di battaglia delle sigle sindacali. Che però vorrebbero riprendere i tavoli di trattativa con il governo per creare le condizioni necessarie affinché nella legge di Bilancio 2023 vengano attuate misure di riforma strutturale delle pensioni. A partire dalle uscite flessibili dei lavoratori dall’età di 62 anni o della stessa quota 41 per tutti. Un’ipotesi in comune con la politica di Matteo Salvini a favore dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare in età adolescenziale e che hanno accumulato circa quattro decenni di contributi previdenziali.

Pensioni: Matteo Salvini propone quota 41 per tutti, Forza Italia risponde che è meglio la quota 104

La quota 41 per tutti è un modello previdenziale nemmeno recente di Matteo Salvini. Infatti, la misura avrebbe dovuto rappresentare il meccanismo da introdurre al termine dei tre anni di sperimentazione della quota 100, proprio a partire dal 1° gennaio 2022.

Quota 41 per tutti, ‘senza se e senza ma’

Si tratterebbe di considerare il solo requisito contributivo dei 41 anni di versamenti, “senza se e senza ma”. Ovvero il meccanismo di uscita sarebbe slegato da tutti i paletti che, nella misura attuale, restringono notevolmente la platea di chi può intraprendere questo canale di uscita. Peraltro, a Matteo Salvini ha risposto nei giorni scorso Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, il quale ha espresso la preferenza per la quota 104 rispetto alla quota 41. Si tratterebbe di innalzare la quota con l’età minima di 64 anni di età, in linea con il requisito anagrafico richiesto per varie ipotesi di riforma e per la stessa quota 102, ma aumentando i contributi a 40 anni.

Pensioni, per Antonio Tajani ‘quota 104 è meglio di quota 41’

Quella di Antonio Tajani sarebbe una proposta di riforma delle pensioni che andrebbe ad assicurare l’uscita a chi ha parecchi anni di contributi e, probabilmente, accontenterebbe Bruxelles sui requisiti minimi dal momento che nei giorni scorsi è arrivata dall’Europa la bocciatura sia per la quota 102 che per la quota 100. Per il coordinatore di Forza Italia è occorrente “dare vita ad una nuova riforma che tuteli i contribuenti di oltre 60 anni di età, ma anche i giovani lavoratori”.

Riforma pensioni 2023, probabili tavoli delle trattative con i sindacati in autunno

La bocciatura di Bruxelles, peraltro, ha reso ancora più difficoltosa una riforma delle pensioni che riesca a mettere d’accordo partiti politici, sindacati, lavoratori e imprese. Dopo aver lavorato sui dossier ritenuti più urgenti e dettati dall’emergenza in Ucraina, Mario Draghi potrebbe sedersi al tavolo delle trattative per le nuove pensioni in autunno, quando la riforma dovrà trovare collocazione legislativa nella Manovra di Bilancio 2022.

Pensioni, Draghi sarebbe freddo all’ipotesi di quota 41: ecco perché

Al momento, infatti, il governo sarebbe piuttosto freddo rispetto all’ipotesi della quota 41, da adottare come baluardo per evitare un ritorno alla riforma Fornero. E anche di mettere mano alla misura dei 41 anni di contributi attualmente in vigore. L’uscita con l’odierna quota 41 è possibile solo per determinate categorie di lavoratori, come i precoci, e quelli che svolgono mansioni usuranti. La proposta di Matteo Salvini considera solo gli anni di contributi, a prescindere:

  • dall’età anagrafica di uscita dal lavoro;
  • dall’anno di contributo, attualmente richiesto, versato entro i 19 anni di età.

Pensioni con quota 41, i requisiti richiesti in comune con l’Ape sociale

A questi requisiti si aggiungono quelli in comune con la misura di pensione dell’Ape sociale, ovvero:

  • la situazione di disoccupazione;
  • lo svolgimento di attività usuranti o gravose per almeno gli ultimi 7 anni su 10 e per non meno di 6 degli ultimi 7 anni;
  • lo stato di invalidità civile per almeno il 74%;
  • l’essere caregiver, ovvero prendersi cura di familiari conviventi in condizione di handicap grave.

Pensioni a quota 41 per tutti, quanto costa la misura?

Al di là della volontà politica di aprire tavoli di riforma delle pensioni che abbiano tra le ipotesi quella della quota 41 per tutti, è necessario tener presente i conti dell’Inps sulla misura. L’Istituto previdenziale, infatti, calcola che la quota 41 per tutti costerebbe:

  • quattro miliardi di euro nel primo anno di adozione del meccanismo;
  • valori elevati per tutta la durata;
  • 9 miliardi di euro nell’ultimo anno di un percorso decennale.

Pensioni, la soluzione flessibile dell’Inps che costa meno

Conti alla mano, dunque, il governo sarebbe rimasto freddo di fronte all’ipotesi di una misura così costosa. Le possibilità di uscita anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia convergono su un requisito anagrafico di almeno 63 o 64 anni di età. La spesa per queste misure con requisiti anagrafici si abbasserebbe a 400 milioni di euro. Ma occorrerebbe che il neo pensionato accetti l’assegno calcolato solo con il contributivo fino all’età della pensione di vecchiaia. Dunque, dai 67 anni di età i lavoratori con contributi versati prima della fine del 1995, recupererebbero la quota retributiva.

Contributi a fondo perduto export imprese danneggiate dalla guerra in Ucraina: 2,2 miliardi le risorse

I contributi a fondo perduto alle imprese esportatrici danneggiate dalla crisi conseguente alla guerra in Ucraina e dal conseguente caro prezzi di fonti energetiche, materie prime e semilavorati, saranno gestiti da Simest insieme al ministero degli Affari esteri. Sarà messo di nuovo in funzione il Fondo 394 con finanziamenti fino a 400 mila euro per ciascuna impresa che presenterà domanda. In tutto, le risorse e gli aiuti a favore delle aziende potrebbero raggiungere la cifra di 2,2 miliardi di euro. È quanto riporta la relazione accompagnatoria al decreto legge “Aiuti”. Il provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale lo scorso 17 maggio. Il decreto legge “Aiuti” estende i finanziamenti agevolati già previsti dal decreto legge numero 14 del 25 febbraio 2022.

Quali sono le condizioni di accesso al Fondo 394 per le imprese esportatrici?

L’articolo 5 ter del decreto legge 14 del 2022 prevede, alle lettere a) e b) del comma 1, le condizioni di ammissibilità delle imprese esportatrici ai contributi a fondo perduto Simest e di erogazione dei finanziamenti. La prima condizione impone l’aver avuto rapporti frequenti con i tre Paesi dell’Est Europa (Ucraina, Federazione Russa e Bielorussia). Ovvero, aver realizzato un fatturato pari mediamente a non meno del 20% del fatturato dell’impresa totale mediante operazioni di esportazioni dirette nei tre Paesi. La seconda condizione per usufruire dei contributi a fondo perduto è il limite dell’aiuto. I contributi, infatti, non possono superare il 40% dell’intervento complessivo a sostegno dell’impresa. Inoltre, il regime di aiuti non può prolungarsi oltre il 31 dicembre 2022.

Contributi a fondo perduto imprese dell’export, quali saranno le spese ammissibili?

Le misure di salvaguardia delle imprese esportatrici nei tre Paesi dell’Est europeo mediante l’erogazione dei contributi a fondo perduto sono accompagnate, inoltre, dalla sospensione, fino a 12 mesi, del pagamento della quota capitale e degli interessi delle rate in scadenza dei finanziamenti agevolati concessi a valere sul Fondo 394 nel corso del 2022. Peraltro, il regime di aiuti per l’emergenza della guerra in Ucraina (il cosiddetto Temporary crisis framework), si estende alle difficoltà incontrate dalle imprese imprese esportatrici in questo periodo non solo per i prezzi aumentati dell’energia, delle materie prime, dei prodotti finiti e dei semilavorati, ma anche delle maggiori spese sostenute per il trasporto dei prodotti. Infine, concorre a determinare l’aiuto alle imprese esportatrici anche il rincaro dei prezzi per la ricerca di approvvigionamenti in Paesi alternativi alla Russia, all’Ucraina e alla Bielorussia.

Aiuti Simest alle imprese esportatrici, da oggi il Comitato agevolazioni inizia la messa a punto dei nuovi contributi

Dei nuovi contributi a fondo perduto Simest del Fondo 394 sarà il Comitato agevolazioni a fissare i paletti e le condizioni di acceso delle imprese agli aiuti. Proprio nella giornata di oggi, 26 maggio, è prevista la riunione del Comitato. È quindi probabile che si inizi a mettere a punto le condizioni di accesso ai contributi a fondo perduto Simest. Le risorse che potrebbero essere stanziate arriverebbero a 2,2 miliardi di euro. Al riutilizzo del Fondo 394, infatti, concorrerebbero:

  • le risorse avanzati nel 2021;
  • i nuovi trasferimenti disposti dalle recenti manovre;
  • i 726 milioni di euro di cofinanziamento a fondo perduto.

 

 

Contributi a fondo perduto alle PMI colpite dalla guerra in Ucraina fino a 400 mila euro

Il decreto “Aiuti” approvato il 2 maggio 2022 dal governo mette a disposizione delle piccole e medie imprese contributi a fondo perduto per la perdita di fatturato causata alla crisi per le guerra Ucraina. I contributi  potranno arrivare all’importo di 400 mila euro per ciascuna impresa. Gli aiuti saranno legati alle perdite di fatturato degli ultimi mesi. Le risorse stanziate dal governo per i contributi a fondo perduto sono pari a 130 milioni di euro. Per ottenere gli aiuti è necessario aver venduto servizi o beni in Russia, Bielorussia o Ucraina per almeno il 20% del fatturato degli ultimi 2 anni.

Contributi alle PMI fino a 400 mila euro per perdite di fatturato: per cosa si possono richiedere?

Sono 3 sostanzialmente i motivi di ammissibilità ai contributi a fondo perduto per la perdita del fatturato delle imprese. In primo luogo, la contrazione della domanda che si è registrata in questi ultimi mesi; a seguire, l’interruzione dei progetti e dei contratti già in essere; infine la crisi di approvvigionamento delle fonti energetiche con conseguente caro prezzi di energia elettrica e gas. Le risorse stanziate dal governo confluiranno nel Fondo per il sostegno alle imprese danneggiate dalla crisi in Ucraina.

Contributi a fondo perduto alle PMI: quali sono i fondi?

La diminuzione del fatturato per la richiesta dei contributi a fondo perduto deve essere di almeno il 30% nel primo trimestre del 2022 rispetto ai mesi di gennaio, febbraio e marzo del 2019. I fondi stanziati dal governo si sommano alle misure del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), in particolare alle risorse inerenti la promozione dei  patti territoriali volti a trasferire le tecnologie a favore delle PMI.

Quali imprese possono chiedere i contributi a fondo perduto per la crisi ucraina?

Ammesse a ottenere i contributi a fondo perduto sono le PMI  come definite dalla raccomandazione della Commissione europea 2003/361, fatta eccezione per le imprese agricole. Le imprese dovranno presentare vari requisiti in maniera cumulativa. In particolare, oltre alla perdita del fatturato del 30%, deve risultare che le PMI richiedenti i contributi devono aver realizzato negli ultimi 2 anni operazioni di vendita di beni e di servizi ad aziende ucraine o di Russia e Bielorussia. Le operazioni possono consistere anche nell’approvvigionamento di materie prime o di semilavorati. Inoltre, i rapporti con i tre Paesi devono incidere per almeno il 20% del fatturato complessivo dell’impresa richiedente.

Aumento prezzo delle materie prime per la richiesta di contributi a fondo perduto

Le imprese che richiedono i contributi devono rientrare però, contestualmente, in altri parametri. Il prezzo medio di acquisto per le materie prime e per i semilavorati del trimestre che precede l’entrata in vigore del provvedimento deve aver subito un aumento di almeno il 30% rispetto allo stesso prezzo del medesimo periodo del 2019. Nell’ipotesi in cui l’impresa sia stata costituita durante il 2020, il trimestre di riferimento del 2022 deve essere comparato con lo stesso trimestre del 2021.

Diminuzione di fatturato per le imprese che richiedono aiuti per la crisi in Ucraina

Inoltre, sempre nei tre mesi antecedenti la data di entrata in vigore del provvedimento, deve essersi verificato una diminuzione del fatturato di almeno il 30% rispetto allo stesso trimestre 2019. La precisazione inerente la verifica del calo del fatturato si effettua sulla base dei ricavi previsti dal comma 1, lettere a) e b) dall’articolo 85, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).

Come si calcola il contributo a fondo perduto spettante alle PMI per gli aiuti della crisi in Ucraina?

Il calcolo del totale del contributo a fondo perduto che spetta alle PMI per la crisi in Ucraine segue uno specifico meccanismo. Infatti:

  • si applica una percentuale alla differenza tra il totale medio dei ricavi dei tre mesi precedenti a quello di  entrata in vigore del decreto e il complessivo dei ricavi medi dello stesso trimestre del 2019;
  • sul risultato della differenza, i contributi ammontano alla percentuale del 60% se i ricavi medi del 2019 sono superiori ai 5 milioni di euro;
  • del 40% per ricavi del medesimo periodo tra i 5 milioni e i 50 milioni di euro;
  • per le imprese costituite a decorrere dal 1° gennaio 2020, l’anno di imposta da prendere a riferimento è quello del 2021.

Come presentare domanda per i contributi a fondo perduto delle imprese per la crisi in Ucraina?

Per presentare le domande  dei contributi a fondo perduto è necessario attendere il decreto del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise). Il provvedimento stabilirà le modalità di erogazione degli incentivi per le imprese investite dalla crisi in Ucraina. Nel decreto verranno chiariti i requisiti per accedere agli incentivi, le scadenze e le modalità da seguire per presentare la domanda.

Contributi a fondo perduto fino a 400mila euro in arrivo alle imprese per cali di fatturato

Sono in arrivo i contributi a fondo perduto alle imprese per la perdita di fatturato dovuta alla crisi in Ucraina. Gli aiuti potranno arrivare a 400 mila euro per ogni impresa e si baseranno sulle perdite di fatturato registrate a causa delle crisi scaturite a seguito della pandemia di Covid e per la guerra in Ucraina. Le risorse che il governo ha stanziato per i contributi a fondo perduto ammontano a 200 milioni di euro. L’incentivo è contenuto nel decreto legge “Aiuti” che ha avuto il via libera ieri, 2 maggio, nel Consiglio dei ministri.

Bonus 400 mila euro alle imprese per perdite di fatturato: a cosa sono dovute?

Tre sono sostanzialmente le motivazioni ammissibili legate alla perdita del fatturato delle imprese. In primis, la contrazione della domanda registratasi negli ultimi mesi; le altre cause ammissibili alla base del bonus 400 mila euro alle imprese riguardano l’interruzione dei contratti e dei progetti già in essere e la crisi di approvvigionamento delle materie prime con conseguente caro prezzi di gas ed energia elettrica. Le risorse stanziate dal governo confluiranno nel Fondo per il sostegno alle imprese danneggiate dalla crisi in Ucraina.

Contributi a fondo perduto alle imprese: quali sono le risorse?

La riduzione del fatturato per richiedere i contributi a fondo perduto deve essere pari a non meno del 30% nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2022 rispetto allo stesso trimestre del 2019. Le risorse messe a disposizione del fondo si sommeranno alle misure del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), in particolare a quelle per promuovere i patti territoriali volti a trasferire le tecnologie a favore delle imprese.

Requisiti delle imprese per poter richiedere i contributi a fondo perduto per la crisi ucraina

Per l’ottenimento dei contributi a fondo perduto, le imprese dovranno presentare vari requisiti cumulativamente. Nel dettaglio, oltre alla perdita del fatturato del 30%, deve risultare che:

  • le imprese richiedenti negli ultimi due anni hanno realizzato operazioni di vendita di beni e di servizi con aziende dell’Ucraina o della Bielorussia. Le operazioni possono riguardare anche l’approvvigionamento delle materie prime o dei semilavorati. I rapporti con i due Paesi dell’Est europeo devono incidere per almeno il 20% del fatturato aziendale complessivo;
  • il prezzo medio delle materie prime e dei semilavorati nel trimestre precedente a quello di entrata in vigore del provvedimento di legge deve risultare aumentato di almeno il 30% rispetto al prezzo medio di acquisto degli stessi materiali del medesimo trimestre del 2019. Per le imprese costituite nell’anno 2020 si fa riferimento al prezzo medio di acquisto dello scorso anno.

Come si calcola l’ammontare del contributo a fondo perduto delle imprese per gli aiuti della crisi in Ucraina?

Il calcolo dell’ammontare del contributo a fondo perduto spettante alle imprese per la crisi in Ucraine segue un determinato meccanismo. Infatti:

  • si applica una percentuale alla differenza tra il totale medio dei ricavi del trimestre precedente a quello nel quale sia entrato in vigore il decreto e il totale dei ricavi medi del medesimo trimestre del 2019;
  • sulla differenza ottenuta, gli aiuti ammontano alla percentuale del 60% se i ricavi medi del 2019 superano i 5 milioni di euro;
  • del 40% per ricavi dello stesso periodo tra i 5 milioni di euro e i 50 milioni di euro;
  • per le imprese nate a partire dal 1° gennaio 2020, l’anno di imposta di riferimento è quello del 2021.

Come presentare domanda per i contributi a fondo perduto delle imprese per la crisi in Ucraina?

Per la presentazione delle domande occorre attendere il decreto del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) che stabilirà le modalità di erogazione dei contributi a fondo perduto per le imprese investite dalla crisi in Ucraina. Nel provvedimento verranno chiariti i requisiti per l’accesso al bonus, le scadenze e le modalità di presentazione della domanda.

Proroga taglio delle accise sui carburanti fino al 30 giugno. Le novità

Buone notizie per gli italiani, si va verso la conferma del taglio delle accise sui carburanti fino al 30 giugno 2022. La proroga taglio delle accise annunciata dovrebbe essere confermata nei prossimi giorni.

Il taglio delle accise sui carburanti verso la proroga

Il costo dei carburanti è una delle voci che sta mettendo gli italiani in maggiore difficoltà, oltre all’aumento dei prezzi di tutti i generi alimentari. Per cercare di aiutare le famiglie a far fronte a tutte le maggiori spese che stanno arrivando soprattutto dalla guerra in Ucraina il governo ha provveduto con il taglio delle accise sui carburanti. Inizialmente lo stesso era in vigore per 30 giorni, con scadenza al 21 aprile 2022.  Per evitare la scadenza del beneficio al ridosso delle festività pasquali, del 25 aprile e del 2 maggio, il Governo ha quindi provveduto a un’estensione fino al 2 maggio 2022. Ora sembra che si stia lavorando all’ipotesi di conferma fino al 30 giugno, quindi ben due mesi di proroga che faranno tirare un sospiro di sollievo agli italiani.

Proroga taglio accise sui carburanti: da dove arrivano i fondi?

La misura dovrebbe essere inserita nel prossimo decreto energia che il Consiglio dei Ministri dovrebbe varare il 28 aprile. Il taglio dovrebbe continuare ad essere nella stessa misura vista finora, quindi 25 centesimi a cui si aggiunge il risparmio sull’IVA di 5,5 centesimi e che porta il taglio finale del costo dei carburanti a 30,5 centesimi. Questa proroga consentirà anche per tutto il mese di maggio e giugno di avere il prezzo dei carburanti sotto la soglia psicologica dei 2 euro al litro.

Palazzo Chigi ha già reso noto che il disavanzo tendenziale della pubblica amministrazione si attesta intorno al 5,1%, mentre l’obiettivo viene confermato per l’anno in corso al 5,6%. Questo consente di avere ancora qualche manovra espansiva che il Governo vuole sfruttare con il taglio alle accise sui carburanti in modo da favorire tutti gli italiani.

Costo e vantaggi della proroga taglio accise sui carburanti

Il ministro della Transizione Ecologica ha reso noto che il taglio delle accise ha avuto un costo di circa 588 milioni di euro e con l’estensione fino alla fine di giugno si dovrebbe arrivare a un costo di 1,1 miliardi di euro.

Il Ministro dello Sviluppo Economico Giorgetti ha invece dichiarato che per gli italiani il taglio delle accise ha portato a una riduzione del prezzo dei carburanti di circa il 19,2%. Il Ministro ha anche assicurato che è in corso un’azione di monitoraggio sull’andamento dei prezzi dei carburanti e che essa proseguirà anche nel futuro. Deve infatti sottolinearsi che, nonostante il taglio delle accise sui carburanti, continuano a registrarsi leggere flessioni del prezzo dei carburanti verso l’alto.

Rischio di stagflazione in Italia, ma cos’è e cosa rischiano gli italiani?

Negli ultimi giorni abbiamo stesso sentito parlare di un rischio di stagflazione per l’Italia e dopo aver imparato cos’è l’inflazione e cos’è la stagnazione, o recessione, dobbiamo prendere confidenza con questo nuovo fenomeno. Cos’è la stagflazione e cosa rischiano gli italiani?

Cos’è la stagflazione

Il termine stagflazione deriva dall’unione di due termini, cioè stagnazione e inflazione. Essa è caratterizzata dall’aumento contemporaneo di stagnazione (quindi assenza di crescita o crescita molto bassa) e inflazione (aumento dei prezzi), quindi un aumento dei prezzi particolarmente significativo a cui però non corrisponde un aumento delle possibilità economiche delle persone che dovrebbero consumare. Ne consegue un crollo dei consumi. La conseguenza di ciò è una crescita del Paese pari a zero. Al crollo dei consumi e alla stagnazione solitamente segue anche la crescita della disoccupazione.

Il termine coniato per la prima volta nel 1965 dall’ex Cancelliere dello Scacchiere britannico Iain Macleod. La sua teoria in un certo senso andava a colpire le teorie keynesiane che fino a quel momento avevano predominato, infatti non era mai stata contemplata l’ipotesi di un aumento di prezzi affiancato dalla recessione ( o crescita zero). Solitamente si tratta di due fenomeni opposti.

Allarme stagflazione in Italia: Cgia e non solo

A lanciare l’allarme è stata la Cgia, Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre. Segnali di questa potenzialità sono dati dagli aumenti del settore energia (carburanti, metano) determinati dalla crisi in Ucraina, che a sua volta sta portando aumenti a catena per tutti i prodotti di largo consumo, come gli alimentari. Questo settore era stato già colpito a causa dell’aumento del prezzo dei cereali, se a questo si aggiungono i costi per la filiera industriale caratterizzata dall’aumento dell’energia, del costo dei trasporti che subisce l’aumento dei carburanti, il rischio è che ci siano aumenti con percentuali a due cifre.

Sembra però improbabile ad oggi un aumento degli stipendi ed ecco perché gli italiani non possono fare altro che ridurre i consumi e quindi la crescita del Paese potrebbe essere annullata, nonostante le previsioni post pandemia fossero piuttosto positive. Il rischio è che la stagflazione vada a rendere vane anche le risorse del PNRR che non riuscirebbero quindi a portare la ripresa economica dell’Italia preventivata. Prezzi alti e zero crescita vuol dire avviarsi alla povertà perché le persone, se dovesse verificarsi lo scenario più catastrofico, non potranno più permettersi lo stile di vita del passato e chi era già in difficoltà, potrebbe avere problemi anche a reperire beni fondamentali. I risparmiatori, si ritroverebbero invece un patrimonio il cui valore, in relazione al potere di acquisto, è ridotto. Proprio questi ultimi sono i più preoccupati perché potrebbero vedere svalutare il denaro risparmiato.

Rischio più elevato per l’Europa

La Cgia non è l’unica preoccupata, infatti parla di rischio di stagflazione anche Michele Cicoria, head of retail and wholesale Italy di Ethenea . Questi prevede che ad essere travolta dalla stagflazione nel dopoguerra sarà soprattutto l’Europa. All’Interno del contesto europeo la stagflazione rappresenta un rischio più elevato proprio per l’Italia, infatti siamo uno dei Paesi con una minore autonomia energetica e questo ci espone al dover importare a prezzi elevati combustibili per produrre energia in quanto abbiamo poche materie prime e fonti rinnovabili non sufficientemente sviluppate. Abbiamo però molte aziende energivore.  Minori rischi vi sono invece per l’economia americana, sia perchél’America è autonoma dal punto di vista energetico, sia perché ha un’economia maggiormente capace di reagire ai periodi di stress.

Nessun allarmismo in eccesso: la stagflazione potrebbe essere presto superata

La Stagflazione non è un fenomeno nuovo, infatti si è già vista nella seconda metà degli anni ’70 del Novecento. Anche in questo caso il fenomeno era legato a un rialzo dei prezzi del settore petrolifero. L’aumento dei costi si trasmise in breve tempo. In quel caso era però vigente la scala mobile che adeguava in modo automatico gli stipendi ai prezzi. Questo determinò un circolo vizioso tenuto sotto controllo con politiche monetarie e con l’eliminazione della scala mobile.

Sia chiaro, per ora il rischio in Italia è contenuto in forza del 235 miliardi di euro del PNRR, ma nel medio e lungo periodo se non c’è un’inversione di tendenza le cose potrebbero cambiare.

Gli scenari possibili sono però diversi, infatti molti economisti/analisti ritengono che a breve il mercato dei prodotti energetici dovrebbe tornare in equilibrio, anche se si tratterà di un equilibrio diverso. E’ molto probabile che il gas russo sarà dirottato verso la Cina che ha manifestato interesse all’acquisto. Ciò comporterà però maggiori costi per la Russia che d’altronde il seguito alle sanzioni applicate dovrà comunque trovare un mercato per piazzare il suo petrolio. La potenza economica della Russia infatti secondo alcuni analisti è sovrastimata. Importa il 75% dei beni di cui le famiglie hanno bisogno e di conseguenza ha la necessità di vendere il gas. Questo potrebbe depotenziare il Paese che potrebbe essere costretto a ridurre le sue velleità con un conseguente riequilibrio dell’economia.

Nuove misure contro la Russia da parte dell’Unione Europea

Nuove misure contro la Russia da parte dell’Unione Europea per cercare di convincere il Cremlino a firmare il cessate il fuoco

Nuove misure contro la Russia, gli effetti si fanno sentire

L’Unione Europea non è scesa in guerra diretta contro la Russia. Ma lo sta facendo attraverso una serie di misure economiche che tendono ad isolare la Nazione. Tuttavia il malcontento degli oligarchi russi si fa sentire. Anche perché sono stati colpiti personalmente nei loro averi. Barche di lusso sequestrate anche in Italia. Ieri  nel porto di Trieste è stato sequestrato il veliero più  grande del mondo. Ma anche misure che prevedono il congelamento dei depositi bancari. E questo si va a sommare con l’insofferenza di molti russi che continuano a protestare contro questa guerra, nonostante continuino gli arresti dei manifestanti.

Mentre molti manager delle grandi imprese russe vanno via via a presentano le loro dimissioni. L’economia russa, legate alle grandi imprese, sta andando giù in fretta. Effetti economici che certo il premier Putin non si sarebbe mai aspettato, ma con cui deve fare i conti. Il crollo della valuta, la corsa al contante e una politica monetaria sbagliata sembrano essere gli ingredienti di un crollo sui capitali. E se la guerra non cessa, una crisi finanziaria profonda è ciò a cui Putin sta portando la sua terra.

Nuove misure contro la Russia, arriva il quarto pacchetto

L’Unione Europea sta lavorando ad un nuovo pacchetto di misure contro la Russia. Tra i punti più salienti:

  • il blocco dell’esportazione dei beni di lusso, come ha fatto l’America per vodka e caviale;
  • divieto di nuovi investimenti europei nel settore energetico russo;
  • rimosso lo stato di nazione “più favorita” nel mercato europeo, annullandone i vantaggi da membro dell’OMC (organizzazione mondiale del commercio);
  • sospensione dei diirtti di appartenenza alle principali istituzioni finanziarie multilaterali. Tra questi il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale;
  • divieto dell’utilizzo delle criptovalute per aggirare la sanzioni;
  • stop all’acquisto di petrolio e gas russo.

Previsto anche un piano d’azione di assistenza macrofinanziaria di 300 milioni di euro per sostenere le finanze dell’Ucraina. Tuttavia si tratta di una prima tranche di un pacchetto da 1.2 miliardi di euro.

Come sarà adottato il nuovo pacchetto?

Il nuovo pacchetto di misure sarà adottato in forma congiunta tra tutti le nazioni del G7. Dunque saranno presenti anche Giappone, Canada, Stati Uniti con lo scopo di isolare il Cremlino. Inoltre la casa bianca fa sapere che darà altri 200 milioni di dollari all’Ucraina da impiegare in armi e servizi militari, come istruzioni e formazione.

I provvedimenti sono stati annunciati dal presidente europeo Ursula von der Leyen e subito attuativo. Si ricorda comunque che queste arrivano dopo altre misure già operative. Infatti il primo aveva  l’obiettivo di bloccare l’accesso della Russia ai mercati finanziari europei, con le grandi banche russe fuori dal sistema swift.

Ed ancora il divieto di esportare aerei, parti e attrezzature dall’industria aeronautica e spaziale in Russia, le tecnologie di raffinazione per l’industria petrolifera. Le restrizioni all’esportazione riguarderanno anche i beni a duplice uso (civili e militari). Nel frattempo continuano gli aiuti ai profughi provenienti da tutto il mondo e la richiesta di cessate il fuoco anche da Papa Francesco.

 

Guerra in Ucraina, le ripercussioni sull’economia italiana

La Guerra in Ucraina segna la fine della pace in Europa. Ma le ripercussioni sull’economia italiana cominciano già a farsi sentire.

Guerra in Ucraina, non sono solo le bollette ad aumentare

La guerra in Ucraina, voluta dalla Russia, è un colpo al cuore nella pace dell’Europa. Qualcosa che cambierà per sempre la vita di quelle terre. Neanche il tempo di respirare per la curva di contagi che scende e di nuovo siamo tutti con il fiato sospeso. Eppure a pochi giorni dal conflitto le economie cominciano già ad accusarne i colpi. Anche per noi italiani le cose stanno cambiando. Non solo il Caro bollette, ma stanno aumentando anche i prezzi di  alcuni elementi di base come la grano e farina.

Per noi italiani la guerra in Ucraina tocca anche il carrello della spesa. Infatti stanno lievitando il prezzo di pane, farina, pasta e biscotti. Inoltre il costo del mais è aumentato del 3.5%, insieme a soia, cereali, e grano tenero. A temere  è anche il Made in Italy. Non solo dal punto di vista alimentare, ma anche per settori come moda, agricoltura, turismo, arredamento e settore farmaceutico.

Guerra in Ucraina, vediamo in dettaglio le ripercussioni per l’economia italiana

La Russia dichiarando guerra all’Ucraina ha scatenato l’indignazione di tutto l’Occidente. Ad esempio il mondo del calcio ha subito reagito spostando la finale di Champions League da San Pietroburgo (Russia) alla capitale Parigi (Francia). Anche il mercato delle auto sta frenando le vendite nei confronti della Russia. E in Europa, gli Stati, stanno lavorando per imporre delle tasse alla Nazione russa.

La paura più grande è che il Presidente Putin per ritorsione possa “chiudere i rubinetti” di gas, da cui siamo direttamente dipendenti. Nel frattempo però aumentano le materie prime per la panificazione, come la farina ed il grano. Il CAI- consorzi Agrari d’Italia lancia un allarme: “Occorre impegnarsi per evitare che questa crisi colpisca consumatori e agricoltori – dice l’amministratore delegato Gianluca Lelli – anche a causa di possibili manovre speculative”.

Gli altri settori economici in crisi

In Russia il Made in Italy è molto apprezzato. Tuttavia la guerra congela circa 27 miliardi di interscambio dell’Italia con Russia (21,7 miliardi) e Ucraina (5,4). Secondo quanto riportano i notiziari le imprese di Veneto, Marche ed Emilia Romagna, da sole, coprono il 34,9% del prodotto italiano in Russia. Anche la filiera farmaceutica potrebbe subire un duro contraccolpo. Il nostro Paese ha esportato in media nel 2020-2021 oltre 310 milioni di euro all’anno di prodotti farmaceutici verso Russia e Ucraina. 

Negli ultimi anni, pre- pandemia, il turismo russo verso l’Italia aveva subito un incremento. I russi amano il nostro Paese, anche per le temperature molto piacevoli. Ma arrivati qui la moda e gli accessori sono sempre stati acquistati, soprattutto quelli di marchi molto noti. Anche perché una delle date segnate in rosso sul calendario è alle porte: il 24 aprile cade la Pasqua ortodossa, che di solito genera in Italia 175 mila pernottamenti di turisti russi e quasi 20 milioni di euro di fatturato per le attività ricettive. Le ripercussioni nell’economia italiana ci saranno, speriamo solo di riuscire a superarle.