Cosa si intende per goodwill per un’azienda

Ogni impresa presente e operante sul mercato ha un valore intangibile che va sotto il nome di goodwill. Si tratta, nello specifico, del cosiddetto avviamento d’azienda che è originario quando questo valore intangibile viene creato e generato internamente.

Mentre si parlerà di avviamento d’azienda derivativo quando questo è riconducibile ad attività che sono state acquisite. Chiarito cosa si intende per goodwill per un’impresa, vediamo di chiarire e di approfondire pure tutti i principali aspetti che sono legati proprio all’avviamento d’azienda.

Cos’è per definizione la goodwill o avviamento d’impresa

Come valore intangibile, la goodwill o avviamento aziendale non è altro che il risultato di una differenza. Una differenza che in genere è positiva, e che è data dal valore in eccesso che emerge tra il valore di mercato di un’impresa, e la somma delle attività e delle passività.

Ma ci sono casi in corrispondenza dei quali la goodwill è negativa. E questo emerge, per esempio, quando un’azienda viene ceduta ad un valore che è inferiore a quello che è dato dalla somma delle sue attività e delle sue passività.

In quali casi emerge la goodwill come valore intangibile di un’azienda

La goodwill come valore intangibile di un’azienda emerge quando c’è un’operazione di cessione. In tal caso l’acquirente per rilevare l’impresa dovrà sborsare un maggior costo che è dato proprio dal valore attribuito all’avviamento aziendale. Nel quale può rientrare, prima di tutto, il valore del marchio, ma anche i brevetti, le relazioni con i dipendenti e con i fornitori, nonché la base di clienti che è stata acquisita.

In più, in base a quelli che sono i principi della contabilità internazionale, la goodwill a bilancio non può essere soggetta ad ammortamento, ma annualmente il valore dell’avviamento può essere comunque rivisto e corretto in presenza di cambiamenti.

Quali riferimenti per la goodwill nell’ordinamento giuridico italiano

Nell’ordinamento giuridico italiano non c’è nel codice civile un riferimento esplicito relativo all’avviamento. Ed è per questo che, come sopra accennato, il valore di avviamento emerge per un’impresa italiana quando si effettuano le operazioni di trasferimento, in tutto o in parte, delle quote societarie. Trattandosi di un valore intangibile e soggettivo, di conseguenza, le operazioni di cessione di un’azienda possono avvenire pure attraverso una sopravvalutazione del suo valore di avviamento. Il che comporterà per l’acquirente, nella fattispecie, l’assunzione di maggiori costi.

Come delegare la gestione dei propri crediti ad un’altra azienda

Alle imprese, specie a quelle piccole, capita spesso di avere dei problemi di liquidità quando ci sono dei ritardi sui crediti da incassare. Con i pagamenti dovuti che non arrivano neanche dopo ripetuti solleciti.

Per ovviare a questo problema le imprese possono delegare la gestione dei propri crediti ad altre imprese che sono specializzate proprio nella gestione e nell’incasso dei pagamenti per conto di terzi.

Si tratta, nello specifico, del cosiddetto contratto di factoring che, tra l’altro, può permettere di ottenere pure degli anticipi sui crediti ancora da incassare. Vediamo allora, nel dettaglio, come funziona il factoring ed anche quali sono i vantaggi e gli svantaggi nel delegare a società esterne la gestione ed il recupero dei crediti aziendali.

Cos’è il factoring e come funziona in base al tipo di contratto stipulato

Nel dettaglio, con il contratto di factoring un’impresa delega ad un’altra impresa la gestione dei crediti che vengono ceduti e per i quali l’azienda che delega può ottenere parte di questi crediti in anticipo. Con l’anticipo dei crediti che comporta sempre il riconoscimento, all’azienda alla quale i crediti sono stati ceduti, di un guadagno percentuale sugli stessi.

In altre parole, la società di factoring gestisce, recupera ed acquisisce i crediti a fronte del riconoscimento di una commissione. Questa commissione, inoltre, può essere commisurata al controvalore dei crediti ma anche al rischio che questi non vengano riscossi.

Quali sono i tipi di contratto di factoring che possono essere stipulati

Non a caso i contratti di factoring possono essere suddivisi e distinti in due grandi categorie. Ovverosia, il factoring pro soluto ed il factoring pro solvendo. Con il pro soluto è la società di factoring che prende il pieno controllo del credito includendo pure l’eventuale rischio di insolvenza che è a suo carico. Con il pro solvendo, invece, la responsabilità in caso di insolvenza resta in capo all’azienda che ha ceduto i crediti.

I vantaggi del factoring, dal risparmio di tempo al flusso di cassa regolare

Per quanto detto, quindi, a fronte della rinuncia ad una percentuale dei crediti da riscuotere, il factoring è una formula che è in grado di garantire ad un’azienda un flusso di cassa regolare. Ed anche di risparmiare il tempo che, altrimenti, sarebbe necessario per avviare ogni volta le procedure di recupero dei crediti. Tra i solleciti e le eventuali ingiunzioni di pagamento.

Quali sono per le imprese i vantaggi e gli svantaggi dell’outsourcing

Per la fruizione di uno o più servizi, che sono necessari per un’azienda, spesso le imprese si rivolgono ad altre aziende che sono esterne e che sono specializzate. Si tratta, nello specifico, della scelta di esternalizzare uno o più processi al fine di ottenere spesso, attraverso le economie di scala, dei vantaggi economici.

Ci riferiamo, nello specifico, al cosiddetto outsourcing grazie al quale viene delegata a ditte esterne la produzione di un prodotto o l’erogazione di un servizio. Vediamo allora nel dettaglio, proprio con l’outsourcing, quali sono i pro ed i contro per le imprese che fanno questa scelta.

Perché spesso le imprese fanno leva sull’outsourcing

Sul perché spesso le imprese fanno leva sull’outsourcing, c’è da dire che spesso, per un determinato processo, le aziende non sono adeguatamente strutturate. Per esempio non hanno i macchinari necessari per realizzare un prodotto.

E magari questi macchinari sono troppo costosi per poter eseguire il processo per linee interne. In tal caso l’impresa fa leva sull’esternalizzazione anche perché spesso non è solo una questione di investimenti, ma anche di competenze.

Quali sono i vantaggi dell’outsourcing per le aziende

Per quanto detto, le aziende traggono vantaggi dall’outsourcing in quanto possono fruire di servizi in maniera rapida, efficiente ed a basso costo da parte di terzi. Senza investimenti interni e senza la necessità, spesso, di dover sostenere dei costi per la formazione del personale.

In più, l’outsourcing è flessibile in quanto l’impresa, al termine degli accordi, può decidere di esternalizzare lo stesso processo o altri processi ad altre aziende. Così come l’outsourcing può portare ad acquisire beni e servizi con un livello di qualità che l’azienda al suo interno non potrebbe raggiungere in breve tempo.

Quali sono per le imprese i potenziali svantaggi dell’outsourcing

Come per ogni cosa, pure per l’outsourcing ci sono tanti vantaggi ma anche dei potenziali svantaggi da valutare sempre con estrema attenzione. Su tutti la necessità di dover fornire, spesso necessariamente per l’attuazione dei processi tramite esternalizzazione, dati aziendali sensibili.

Inoltre, delegando a terzi l’attuazione di alcuni processi l’impresa non ha modo di migliorarli se non continuando ad affidarsi a società esterne. Con il rischio a regime di perdere letteralmente il controllo non solo sulla qualità, ma anche sulla modalità di esecuzione dei processi stessi.

Come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta?

Le imprese, non solo in Italia, operano e possono operare nei settori economici più svariati. Così come le imprese si distinguono spesso dalle altre in base al numero di addetti. Basti pensare, per esempio, alle cosiddette multinazionali che hanno migliaia e spesso centinaia di migliaia di dipendenti sparsi per il mondo. Ed in generale l’impresa può essere micro, piccola, media oppure grande. Ma detto questo, e volendo sapere di preciso quanti sono gli addetti, come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta?

Ecco come si fa a sapere quanti dipendenti ha una ditta

Nel dettaglio, per tutte le ditte che in Italia sono iscritte nel Registro delle Imprese, è facile risalire al numero dei dipendenti grazie alla visura camerale. Nella visura, in particolare, è riportato il numero degli addetti non solo fornito come dato complessivo, ma anche come somma dei dipendenti tra quelli che operano nel quartier generale dell’impresa, e quelli che, eventualmente, lavorano invece nelle unità locali. Inoltre, nella visura camerale c’è indicata pure la suddivisione del numero di addetti tra i lavoratori dipendenti, i lavoratori indipendenti, ovverosia i lavoratori senza vincoli formali di subordinazione, ed i collaboratori.

Inoltre, escludendo i lavoratori indipendenti e gli addetti agricoli, e comunque solo per le imprese con almeno 6 addetti dipendenti, nella visura camerale, oltre al numero degli addetti complessivo ed eventualmente suddiviso tra il quartier generale e le unità locali, come sopra accennato, ci sono pure dei dati percentuali.

E precisamente quelli relativi al tipo di contratto, all’orario di lavoro ed alla qualifica. Nello specifico, per tipologia di contratto nella visura camerale viene riportata tra l’altro, per l’impresa in questione, la percentuale di lavoratori che è a tempo indeterminato, la percentuale di addetti che è a tempo determinato e la percentuale dei lavoratori stagionali.

Mentre per l’orario di lavoro nella visura camerale sono riportati i dati relativi agli addetti a tempo pieno ed a quelli che, invece, lavorano a tempo parziale. La suddivisione per qualifica è invece riportata in percentuale tra il numero di impiegati, il numero di operai, il numero di apprendisti e, tra le altre qualifiche, il numero dei quadri ed il numero dei dirigenti.

Come vengono pubblicati i dati sul numero dei dipendenti di una ditta

I dati sul numero dei dipendenti si una ditta sono pubblicati e sono aggiornati sulla visura camerale con una cadenza che è trimestrale. Il che significa che, su una visura camerale che è stata richiesta e rilasciata a giugno i dati riportati per i dipendenti di una ditta saranno quelli aggiornati alla fine del precedente mese di marzo.

Inoltre, il dato sul numero dei propri dipendenti, da parte di un’impresa, può essere come non può essere dichiarato alla Camera di Commercio in quanto non c’è alcun obbligo in tal senso. Con la conseguenza che, nella visura camerale, il dato sul numero dei dipendenti di una ditta può davvero essere quello fornito dall’impresa, oppure si tratterà di un valore che, a livello statistico, è stato fornito dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS).

Millennial è sinonimo di lavoratore

Che le generazioni attuali non godano degli stessi privilegi e delle stesse prospettive di cui, in tema di lavoro e occupazione, hanno goduto i loro padri è un dato di fatto, specialmente per la generazione dei cosiddetti millennial, i ragazzi nati tra il 1980 e il 1995.

A testimoniarlo arriva ora un report di Manpower Group svolto a livello globale, dal quale emerge chiaramente come i millennial sono certi di lavorare molto a lungo e per questo investono molto sulla propria carriera.

Il report si fonda su uno studio internazionale effettuato su 19mila millennial e 1.500 manager addetti alle assunzioni di 25 Paesi e fornisce consigli per aiutare i datori di lavoro a ripensare le strategie per attrarre, mantenere e far crescere nelle loro aziende le giovani generazioni di lavoratori.

Si tratta di un primo report su millennial e mondo del lavoro che Manpower Group pubblicherà durante il 2016. Seguiranno uno studio sulla ridefinizione della formazione e sulle nuove strategie per gestire i millennial.

I risultati più significativi che emergono dal report di Manpower Group dicono che:

  • i millennial lavorano più a lungo e più sodo rispetto alle generazioni precedenti. L’84% di loro prevede di interrompere l’attività lavorativa per un periodo superiore a quattro settimane, nella maggior parte dei casi per dedicarsi ad attività ricreative.
  • oltre la metà dei millennial intervistati prevede di lavorare fin dopo i 65 anni, il 27% di oltre i 70 e il 12% dichiara che probabilmente lavorerà fino alla morte.
  • anche se quasi tre quarti dei millennial ha un lavoro a tempo pieno, oltre la metà di loro si dice pronta a nuove modalità di lavoro in futuro, qualora ce ne fosse la necessità. Ben il 34% degli intervistati sta prendendo in considerazione l’idea di iniziare un lavoro autonomo.
  • il 93% dei millennial vuole dedicare tempo e risorse economiche alla formazione personale: più vi è voglia di apprende e migliorarsi, maggiore sarà il successo della propria carriera lavorativa.

Insomma, un chiaro esempio di come i figli stiano scontando i privilegi goduti dai padri e che molti di questi ultimi, egoisticamente non vogliono mollare. Ma di come i figli sono in grado di fare sempre di necessità virtù.

Auto green, Italia leader in Europa

Cresce in Italia e in Europa il mercato delle auto ad alimentazione alternativa, le cosiddette AFVs (Alternative Fuel Vehicles), che comprendono le auto elettriche, ibride, a Gpl e metano. Secondo i dati diffusi da Acea, i Paesi dell’Unione europea allargata e dell’EFTA nel 2015 hanno fatto registrare complessivamente oltre 640mila nuove immatricolazioni di veicoli ad alimentazione alternativa (AFVs), +22% rispetto al 2014.

Una quota che ha fatto salire al 4,5% delle immatricolazioni totali di auto nel 2015 il peso delle alternative, rispetto al 4% del 2014. Inoltre, nel primo trimestre 2016 il mercato delle auto ad alimentazione alternativa registra un +10,7%, con oltre 177mila immatricolazioni e una quota del 4,6% sull’intero mercato.

In questo panorama, cresce il peso delle auto elettriche sul totale di quelle ad alimentazione alternativa, passando dal 23,9% del primo trimestre 2015 al 29,7% del primo trimestre 2016, con un incremento in termini di volumi del 37,5%.

Crescono anche le vendite di auto ibride, +29,7%, con una quota del 42,2% (era del 36% un anno fa), mentre il mercato dei veicoli a gas cala di circa il 20% a causa della contrazione delle vendite in Italia (-20,6%), il mercato più consistente delle auto alimentate a GPL e a metano.

A proposito di Italia, il nostro è il Paese europeo, insieme alla Norvegia, nel quale il mercato ad alimentazione alternativa pesa di più: in Norvegia il 51,5% delle nuove auto vendute ha alimentazione alternativa, in Italia il 10,2%. In termini di volumi per la Norvegia si tratta di 19.094 autovetture, per l’Italia di oltre 53mila. Facile immaginare il perché di questo primato: in Norvegia per la grande coscienza ecologica della popolazione, in Italia per sfuggire a un costo irragionevole dei propellenti fossili e fruire degli incentivi legati alla mobilità green.

L’Italia pesa quindi per il 30% di tutti i veicoli ecofriendly immatricolati in UE-Efta nel primo trimestre 2016 (era il 38% a gennaio-marzo 2015), seguita da UK (14,5%), Francia (13,1%), Norvegia (10,8%) e Germania (8%).

Il successo dell’Italia, è dovuto soprattutto al mercato di auto nuove alimentate a Gas (Gpl e metano): l’80% del mercato a trazione alternativa italiano riguarda le auto alimentate a gas, contro una media europea del 28%, che scende al 4% se si esclude l’Italia.

Nelle sfide legate alla sfera ambientale, il punto di forza dell’industria italiana è aver sviluppato soluzioni innovative a basso impatto ambientale per la mobilità sostenibile, a partire da competenze consolidate nei sistemi di alimentazione a metano e a Gpl e nei sistemi di propulsione.

La filiera industriale italiana del metano per autotrazione, ad esempio, è riconosciuta come leader mondiale, rappresentando circa 20mila occupati, 50 Pmi e un fatturato di 1,7 miliardi di euro. Il restante 20% del mercato a trazione alternativa italiano comprende l’1,6% di auto elettriche e il 18,3% di auto ibride.

Il ritardo italiano rispetto al mercato dei veicoli elettrici è dovuto sia alla scarsa diffusione della rete di rifornimento, sia alla minor percentuale di popolazione urbana rispetto agli altri Paesi europei (Italia 68,7%, UK 82,6%, Paesi Bassi 90,5%, Francia 79,5, Germania 75,3 fonte United Nations). La popolazione non urbana, infatti, è meno propensa all’utilizzo di auto ad alimentazione elettrica a causa della loro minore autonomia.

Congiuntura, il 2016 parte bene ma il 2015 ha fatto meglio

I dati sulla congiuntura economica relativi all’inizio del 2016 indicano un avvio di anno complessivamente positivo, ma in rallentamento rispetto al 2015, a conferma di un’economia che avanza lentamente. 

I dati congiunturali derivano dall’indagine relativa al primo trimestre 2016, che ha riguardato un campione di più di 2.600 aziende manifatturiere, suddivise in imprese industriali (1.576 imprese) e artigiane (1.190 imprese).

Nel primo trimestre 2016 si registra un rallentamento della crescita della produzione industriale, con variazioni congiunturale (+0,1% dato destagionalizzato) e tendenziale (+1,3%) entrambe positive, ma inferiori ai risultati di fine 2015 (+0,4% congiunturale e +1,9% tendenziale).

Anche per le aziende artigiane manifatturiere la congiuntura a inizio 2016 registra una decelerazione della produzione rispetto ai risultati dello scorso anno, con la variazione tendenziale al +0,7% e la variazione congiunturale che torna negativa al -0,3%.

L’indice della produzione industriale non riesce a superare quota 99, mantenendo la distanza dal massimo pre-crisi intorno ai 9 punti percentuali.

Per le aziende artigiane l’indice della produzione scende a quota 70,4, ma rimane quasi tre punti rispetto al minimo di inizio 2013, recupero realizzato quasi interamente nel corso del 2015, anno caratterizzato da una discreta congiuntura economica.

Per quanto riguarda i settori produttivi, la dinamica tendenziale della produzione risulta essere ancora differenziata, con i 13 settori oggetto di analisi divisi in due tra crescita e contrazione. Guidano i settori in ripresa: chimica e mezzi di trasporto (+2,7%), seguiti da siderurgia (+2,4%), gomma-plastica (+2,3%), meccanica (+1,7%), carta-stampa e legno-mobilio (+1,0%).

Tra i settori negativi metà presenta variazioni della congiuntura di poco inferiori allo zero (abbigliamento -0,2%; tessile -0,6%; alimentari -0,8%) quasi assimilabili ad una stazionarietà dei livelli produttivi; i restanti sono i settori che più hanno risentito della crisi e ancora non accennano a riprendersi (minerali non metalliferi -3,2%; industrie varie 
-2,4%; pelli-calzature -1,4%).

Anche per l’artigianato a livello settoriale la situazione è eterogenea, con il segno positivo che caratterizza circa metà dei comparti. I cinque settori in espansione sono guidati dalle industrie varie (+6,1%), dalla gomma-plastica (+5,9%), l’alimentare (+2,4%) e la meccanica (+1,0%). In leggera crescita la carta-stampa (+0,5%). In contrazione il comparto moda (abbigliamento: -3,9%; tessile: -2,5%; pelli e calzature: -2,1%), a cui si aggiunge la siderurgia (-2,2%), i minerali non metalliferi (-1,5%) e il legno-mobilio 
(-0,4%).

Lo spaccato dimensionale presenta dati di congiuntura sulla produzione positivi per tutte e tre le classi, ma con differenti velocità: più intensa in questo trimestre per le grandi (+1,6%) e più contenuta per medie e piccole imprese (+1,2%), schema che si ripresenta anche per l’artigianato con le imprese più piccole, con un numero di addetti compreso tra 3 e 5, che registrano i risultati peggiori (-0,7%) e quelle di dimensioni maggiori che mantengono crescita tendenziale (+1,1% le imprese da 6 a 9 addetti e +1,7% quelle con più di 10 addetti).

L’occupazione per l’industria presenta un saldo positivo significativo (+0,7%) grazie a una consistente contrazione delle uscite (1,1% il tasso d’uscita) e ad una tenuta degli ingressi (1,8% il tasso d’ingresso). In rallentamento anche il ricorso alla cassa integrazione, con una quota di aziende che dichiara di aver utilizzato ore di cassa integrazione che scende al 13,2%, e la quota sul monte ore al 2,0%.

Le aspettative degli imprenditori industriali per la domanda estera e interna si stabilizzano sui livelli di fine 2015. Per la produzione il saldo rimane in area positiva ma si riduce ulteriormente a causa di un incremento dei pessimisti, mentre la quota degli imprenditori che non prevedono variazioni della congiuntura rimane stabile al 58%. In leggero miglioramento le aspettative sull’occupazione, ma rimane elevata la quota di imprenditori che non prevede variazioni nei livelli (84%).

Imprese femminili? Meglio di quelle maschili

Se in Italia è difficile fare impresa, non è certo colpa delle donne, anzi. Le imprese femminili nel nostro Paese godono di ottima salute, come testimoniato dai dati contenuti nel rapporto Imprese InGenere, realizzato da Unioncamere-Infocamere.

Sono numeri e tendenze che parlano chiaro, quelli sulle imprese femminili, capaci di resistere anche negli anni più duri della crisi: tra il 2010 e il 2015 sono infatti nate 35mila nuove imprese femminili, il 65% delle 53mila nuove nate in totale, con un tasso di crescita del 3,1% a fronte dello 0,5% di quelle maschili. Alla fine del 2015 erano quindi 1 milione e 312mila le imprese femminile in Italia e impiegavano circa 3 milioni di persone.

Le imprese femminili sono il 21,7% delle imprese italiane e, nei 5 anni presi in esame dal rapporto, sono cresciute di più al Centro (+6,3%) e al Sud (+1,4%). Per quanto riguarda i settori più gettonati, primo è il terziario, ma marcia assai bene anche l’Ict: +9,5% di imprese femminili, passate da 18.700 a 20.500 del 2015. Una marcia in più anche per le start-up innovative in rosa, passate dal 9% del 2010 al 15, 4% del 2015.

Le imprese femminili sono anche discretamente giovani, poiché quasi 14 su 100 vedono a capo una donna con meno di 35 anni, contro il 10% di quelle maschili. Inoltre, più del 30% delle aziende femminili registrate ha meno di 4 anni di vita, contro il 25% di quelle dei colleghi maschi.

Le imprese femminili scontano però un problema di nanismo. Il 97% di loro ha infatti meno di 10 dipendenti, con una media di addetti di 2,2 a fronte del 3,9 che ri registra nelle aziende maschili.

Se, da un lato, il rapporto Unioncamere-Infocamere mette in luce questa forte spinta imprenditoriale che caratterizza molte donne italiane, dall’altro sottolinea anche la condizione difficile nelle quale versano le donne lavoratrici che non sono a capo di un’impresa.

Sempre nel periodo considerato (2010-2015) il numero delle donne senza lavoro è cresciuto di oltre mezzo milione di unità (522mila), con una quota di inattive del 45,6% contro una media Ue del 33,5%. Tutta colpa di un welfare inadeguato a sostenerle nella cura dei figli, come testimonia il fatto che il tasso di occupazione tra le donne con figli è del 52,7%,. Contro il 68,6% di chi figli non ne ha.

Missione imprenditoriale in Russia, ecco come partecipare

Il Consorzio Camerale per l’Internazionalizzazione e Metropoli – Azienda Speciale della Camera di Commercio di Firenze, promuovono ed organizzano, nei giorni 7/10 ottobre 2013, una missione imprenditoriale in Russia, appositamente dedicata al sistema casa.

L’iniziativa si propone come efficace strumento per esplorare eventuali opportunità commerciali offerte da questo mercato, sviluppare nuovi contatti ed avviare o consolidare relazioni/collaborazioni con partner locali accuratamente selezionati.

I comparti dei settori edilizia ed arredamento particolarmente indicati per l’iniziativa sono i seguenti:arredamento d’interni, esterni e design, porte infissi, serramenti, finestre, arredobagno, maniglie, materiali da costruzione, utensili, murature, vernici, pavimentazione, rivestimenti, idraulica, illuminotecnica, macchinari ed attrezzature per edilizia.

Ecco il programma del viaggio:

Lunedì 7 ottobre: Partenza dall’Italia e arrivo a Mosca

Martedì 8 ottobre: Briefing e inizio attività d’affari

Mercoledì 9 ottobre: Prosecuzione attività d’affari

Gioved’ 10 ottobre: Follow up e rientro in Italia

La quota di partecipazione per ciascuna azienda interessata è di 990.00 euro + IVA ( 1.700 +IVA per le aziende fuori regione Toscana)

Per maggiori informazioni visitare il portale della Camera di Commercio Italia

 

 

Tecniche di hedging per le aziende

Le aziende che utilizzano materie prime, di qualunque genere, possono tutelarsi dai rischi di variazione dei prezzi delle medesime attraverso l’utilizzo di strumenti finanziari derivati. I derivati sono nati proprio per questo preciso scopo, fissare un prezzo, una quantità e una data di consegna del bene,  tutelando venditore e acquirente.

Il bene oggetto del contratto si definisce “sottostante”. Per evitare di impegnare troppi capitali, il derivato serve anche ad impegnare le controparti con un esborso ridotto di denaro, rispetto al valore della quantità complessiva del bene in oggetto.

Coprirsi dal rischio aiuta le imprese a raccogliere più facilmente capitale sul mercato. Attraverso le tecniche di hedging le imprese sono in grado di ridurre i costi di raccolta di capitale esterno, con la conseguenza di essere avvantaggiate rispetto ad altri competitor.

Le più recenti ricerche condotte negli Stati Uniti, in particolare rispetto alla copertura del rischio sui tassi di cambio e sul prezzo delle commodities, avvalorano questa ipotesi: le imprese che decidono di adottare tecniche di hedging su ricavi e costi operativi sono significativamente più favorite nel raccogliere capitale sul mercato, sia sotto forma di debito, che di equity.

L’abbattimento del rischio, ottenuto riducendo la volatilità dei flussi di cassa, consente innanzitutto di ridurre il costo del capitale. Inoltre la decisione di ricorrere a tecniche di hedging rappresenta un “buon segnale” rispetto agli

investitori, che apprezzano la maturità manageriale dell’impresa ritenendola più capace di affrontare eventuali crisi di liquidità e di gestire in modo più professionale i propri investimenti.

In questo momento di crisi industriale e di incertezza creditizia, coprirsi dal rischio – attraverso contratti derivati – può quindi costituire un vantaggio competitivo non indifferente.

Gli studi professionali che sono in grado di aiutare l’azienda ad acquisire questo vantaggio, sono senz’altro pochi e quindi ricercati da quei potenziali clienti che abbiano la lungimiranza di comprenderne i benefici.

Inoltre, lo studio professionale che propone un servizio di copertura dal rischio è valutato positivamente anche dai clienti meno attenti a queste problematiche, in quanto si evidenzia loro un problema e si fornisce la soluzione contemporaneamente. Può essere anche un’occasione per ottenere contatti da nuovi clienti.

Da ricordare che la maggior parte delle materie prime è quotata in Borsa e quindi le aziende che le utilizzano possono coprirsi dal rischio. A titolo di esempio posso citare oro, argento, palladio, nichel, rame, grano, caffè, cotone, carne di maiale, succo d’arancia, petrolio…

Inoltre possono essere coperte le variazioni dei tassi di cambio tra euro ed altre valute. Ricordo che le materie prime sono quotate in dollari Usa ed è quindi necessario coprirsi anche dal rischio cambio euro/dollaro.

dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis