Imprese edili, 3 morti, ma quali sono i requisiti di queste aziende?

Imprese edili un po’ ovunque grazie alla ripresa del settore delle ristrutturazioni, ma sono tutte in regola? Forse no se ci sono morti.

Morti tre operai mentre lavoravano

Crolla una gru e tre operai perdono la vita. Tre persone che stavano lavorando e che sono state vittime di un incidente o di un fatale errore umano. Pertanto si muore ancora sul luogo di lavoro e ci si chiede se tutte le operazioni sono state fatte secondo le procedure corrette. A lavoro gli investigatori che stanno studiando le cause dell’incidente mortale.

Pare che 9 imprese su 10, a seguito di controlli, sono state dichiarate irregolari. Un dato che sconvolge e fa discutere quello fornito dall’ispettore nazionale del lavoro Bruno Giordano. Dal 30 agosto a metà dicembre sono state controllate molte aziende edili e sembra siano state riscontrate una serie di irregolarità. Problemi soprattutto legati alla sicurezza, formazione, capolarato e poco esperienza.

I problemi delle imprese edili in Italia

Il problema della sicurezza sul lavoro non è certo cosa secondaria. Ma nei contratti di appalto, invece sembra esserlo. Infatti le grandi imprese edili, scaricano attraverso il sub appalto, molte responsabilità alle piccole imprese. Queste pur di lavorare, a volte, possono commettere degli errori.

Tra gli errori più comuni vi è la scarsa formazione del personale. Un costo considerato per molte aziende solo tale e non come quel valore in più che può salvare la vita. Del resto i bonus ristrutturazione hanno fatto si che i cantieri si aprissero e c’è stata una vera e propria corsa all’accaparramento. Ma a quali risultati? 24.000 denuncie all’Inail per gli infortuni sul lavoro e 28 decessi nei primi 10 mesi del 2021

Imprese edili, quali requisiti servono per aprirne una?

Le ristrutturazioni sono diventate un vero e proprio business. Infatti sono circa 11.000 le imprese edili che sono nate quest’anno con codice ateco: costruzioni. Del resto per aprirne una sembra ci voglia davvero poco. Basta recarsi presso la Camera di commercio, dove ha sede l’azienda ed iscriversi come costruttore edile. In altre parole:

  • Aprire una Partita Iva;
  • Iscriverti al Registro delle Imprese;
  • Iscriverti all’INPS e all’INAIL;
  • Ottieni il certificato della Asl che accerti il rispetto delle norme sanitarie;
  • Dichiara l’inizio delle attività al tuo Comune;

Un po’ pochino, per imprese in cui il rischio ed il pericolo sono davvero alti. Quindi occorre un’azione di prevenzione. Ma non solo occorro maggiori ispettori di controllo e formazione per i dipendenti a tutti i livelli. Due elementi che mancano ma che ancora una volta, sembrano essere la scelta migliore per evitare tragedie come quella del ponte di Torino.

Piano operativo per la sicurezza: quali imprese devono redigerlo?

Se sei un’impresa i cui addetti lavorano fuori dall’azienda hai l’obbligo di redigere il POS, Piano Operativo per la Sicurezza, previsto dal decreto legislativo 81 del 2008. Vediamo di cosa si tratta e quali sono i suoi contenuti.

Chi è obbligato ad avere il Piano Operativo per la Sicurezza

Devono redigere il POS le ditte che operano attraverso cantieri esterni e mobili, si tratta in particolare delle imprese edili o  che eseguono lavori di ingegneria. L’obbligatorietà del Piano Operativo per la Sicurezza era già prevista nel decreto legislativo 626 del 1994, oggi invece è disciplinato dall’articolo 89 del decreto 81/2008 (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro) che rimanda all’allegato XV per delineare i contenuti obbligatori di questo importante documento.

La prima cosa da fare è delineare cosa si intende per cantiere mobile: si ritiene tale ogni spazio esterno rispetto alla sede dell’impresa in cui si svolgono lavori di edilizia o di ingegneria civile. Il POS deve essere redatto anche da eventuali imprese che lavorano in subappalto, in questo caso quindi se in cantiere ci sono addetti dell’impresa principale e quelli dell’impresa in subappalto sarà necessario avere due documenti. Il lavoratore autonomo che non si avvale della collaborazione altrui, non ha obbligo di POS.

Nel caso in cui il cantiere mobile o esterno sia gestito da un’impresa pubblica, il POS viene sostituito dal PSS (Piano Sostitutivo per la Sicurezza) i contenuti in realtà non sono divergenti.

Come redigere il POS

Si è visto quali imprese sono obbligate ad avere il Piano, ora vedremo in concreto cosa è necessario inserire in esso.

L’allegato XV al D.lgs 81/2008 (TUSL) sottolinea che per redigere in modo corretto il POS è necessario indicare:

  • i dati identificativi dell’impresa, nome del datore di lavoro, numero di telefono, sede legale e uffici del cantiere;
  • le attività svolte in cantiere (intonaci, scarriolatura materiali sciolti, realizzazione tetti, ponteggi…) e dei lavoratori subaffidatari;
  • il nominativo del medico competente ( questo va nominato solo nei casi in cui è necessario organizzare il servizio di sorveglianza obbligatoria, cioè i lavori comportano rischi specifici, ad esempio in caso di vibrazioni, rumori);
  • il nominativo del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione;
  • nominativo del responsabile del servizio antincendio ed evacuazione, gestione delle emergenze in cantiere e pronto soccorso;
  • generalità del direttore tecnico e del capo cantiere;
  • nel POS deve essere indicato il numero e le qualifiche delle persone che sono destinate a essere in cantiere e le mansioni che gli stessi devono svolgere, in questo modo è possibile individuare in modo preciso anche i rischi;
  • Il piano deve inoltre indicare i macchinari, le strumentazioni, i ponteggi e tutti gli altri elementi presenti in cantiere che possono generare pericoli di particolare entità per i lavoratori;
  • devono altresì essere indicate le sostanze presenti in cantiere che potrebbero essere dannose, ad esempio nel caso in cui sia presente calce o altri materiali che possono risultare potenzialmente dannosi se non usati nel modo giusto.
  • deve fornire un elenco dei dispositivi di sicurezza forniti e gli altri dispositivi e protocolli utilizzati al fine di prevenire infortuni e danni alla salute, l’indicazione di tali misure deve essere correlata all’indicazione dei rischi presenti in cantiere;
  • il POS deve indicare i percorsi di formazione e informazione forniti a coloro che occupano il cantiere.

Ulteriori informazioni sul Piano Operativo per la Sicurezza

Può capitare che una stessa impresa edile o ditta che esegue lavori di ingegneria abbia diversi cantieri esterni rispetto alla sede, in questi casi la normativa prescrive che per ogni cantiere deve essere predisposto un POS, naturalmente non può trattarsi di un documento fotocopia in quanto nella maggior parte dei casi i lavori che si eseguono nei vari cantieri non sono identici e di conseguenza per ognuno devono essere date le giuste indicazioni inerenti mansioni svolte, rischi connessi e misure preventive. Inoltre è molto probabile che per ogni cantiere siano diversi gli “attori”, cioè il RSPP e gli altri soggetti che hanno incarichi inerenti la sicurezza.

Anche in questo caso, come in quello del Documento di Valutazione Rischi, l’obbligo della predisposizione del POS ricade sul datore di lavoro.

Per chi vuole redigere correttamente il POS è possibile richiedere il decreto interministeriale 9 settembre 2014 in cui è presente un modulo da compilare per avere un Piano a norma.

Il Piano Operativo di Sicurezza deve essere consegnato dal datore di lavoro al Coordinatore per l’esecuzione dei lavori almeno 15 giorni prima l’inizio dell’esecuzione dei lavori, nel caso in cui si tratti di un’impresa in subappalto, il POS deve essere consegnato da questa all’impresa affidataria almeno 30 giorni prima dell’ingresso in cantiere, che a sua volta deve consegnare il POS al coordinatore.

In caso di mancata adozione del POS è prevista l’applicazione di sanzioni da un minimo di 3.000 euro a un massimo di 15.000 euro, a questi si aggiunge la pena detentiva di durata fino a 8 mesi. Le sanzioni si applicano anche nel caso in cui il POS sia stato redatto, ma non contenga tutte le informazioni necessarie.

Biancofiore (Ance): Pmi pronte a investire in Iran

La fine delle sanzioni economiche nei confronti dell’Iran è una ghiotta e ricca occasione di business per le imprese italiane, a partire dalle imprese edili. Lo sa bene l’ Ance (Associazione Nazionale Costruttori Edili) che, a conclusione della prima giornata della visita in Italia del presidente iraniano Hassan Rouhani e degli incontri bilaterali, ha commentato questa apertura attraverso le parole del presidente del Gruppo Pmi Internazionale dell’ Ance, Gerardo Biancofiore.

Le Pmi italiane del mondo dell’edilizia e delle costruzioni – ha detto Biancofioresono pronte ad affrontare la sfida del mercato iraniano che oggi si riapre grazie alla fine dell’embargo. La missione della delegazione governativa iraniana è il frutto del grande lavoro messo in campo da tutti gli attori istituzionali in grande sinergia con Confindustria e Ance“.

L’Italia delle costruzioni – ha proseguito Biancofioreè molto amata in Iran e molte nostre imprese, anche di medie dimensioni ma altamente specializzate, negli ultimi decenni hanno realizzato progetti importanti nel Paese”.

La sfida che ci proponiamo come Pmi dell’edilizia – ha detto ancora Biancofioreè di contribuire alla crescita e alla ripresa economica dell’Iran e al contempo di vivere lo sviluppo economico di quel Paese, a cui ci lega una storia di amicizia e grandi scambi commerciali, non da spettatori ma da protagonisti. Ed in quest’ottica saranno tante le aziende italiane a partecipare a febbraio alla missione del Governo in Iran dedicata ai settori delle infrastrutture e costruzioni ed Oil&Gas, che vedrà la partecipazione del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio. La missione, che fa seguito alla tavola rotonda sulle infrastrutture, tenutasi presso l’ Ance il 15 dicembre 2015, è resa possibile dalla collaborazione con la Farnesina, l’Ambasciata d’Italia a Teheran e l’ICE-Agenzia, oltre al sostegno del Mise e del Mit“.

Mercato immobiliare italiano, è ancora notte

Non ci voleva certo un genio dell’economia per prevedere che il mercato immobiliare italiano stentasse a uscire dalla crisi anche in questo 2014. Una difficoltà che ha radici lontane che affondano anche nella crisi senza fine della filiera dell’edilizia, massacrata di tasse e burocrazia fino allo sfinimento.

Dicevamo che non ci voleva un genio dell’economia per certificare lo stato di sofferenza del mercato immobiliare italiano e infatti ci ha pensato l’Istat. Secondo gli ultimi dati contenuti nelle stime preliminari dell’Istituto Nazionale di Statistica, nel primo trimestre dell’anno, l’Ipab, ovvero l’indice dei prezzi delle abitazioni acquistate dalle famiglie sia ad uso abitativo sia come investimento, è calato dello 0,7% rispetto al trimestre precedente; rispetto, invece, allo stesso periodo del 2013, i prezzi hanno subito una caduta del 4,6%.

Èevidente, quindi, che non si arresta il crollo delmercato immobiliare italiano e che, se i prezzi continuano a scendere e la cosa dovrebbe favorire gli acquisti, significa che perdurano condizioni economiche poco rassicuranti.

L’Istat ricorda che il trend negativo del mercato immobiliare italiano è in atto da almeno due anni e che, con le stime dell’ultimo trimestre, la riduzione dei prezzi delle abitazioni ha superato il 10%, attestandosi su una flessione del 10,4% dal 2010, anno in cui l’indice ha iniziato ad essere pubblicato.

Il calo su base trimestrale è il frutto, da un lato, di una diminuzione dello 0,8% dei prezzi delle abitazioni esistenti, dall’altro di una diminuzione dello 0,1% dei prezzi di quelle nuove. Su base annuale, invece, si osserva un calo del 5,3% tra le abitazioni esistenti e del 2,6% tra quelle nuove.

Si costruiscono meno case, si tende a comprare (quando si compra) più l’usato che il nuovo, i prezzi calano ma la gente non compra. Tutti segnali che chi si occupa di edilizia e di mercato immobiliare italiano deve considerare attentamente per cercare di far uscire dalle secche uno dei settori una volta portanti della nostra economia che, dalla crisi che ormai morde da 6 anni, ha avuto i colpi più duri.

Minibond per le imprese edili

E’ stato collocato sul mercato un minibond di 9 milioni di euro dall’azienda edile lombarda Filca Cooperative, che rappresenta un segnale di fiducia da parte del Decreto Sviluppo 2012 nei confronti di un settore in grave affanno.

Ma di cosa si tratta?
E’ un prestito obbligazionario che andrà a finanziare i progetti di investimento delle Cooperative Socie e quotato sul mercato con un tasso fisso pari al 6% e una durata di 6 anni, con rimborso progressivo del capitale a partire dal terzo anno.

Gian Enrico Plevna, presidente di ADB, ha dichiarato a proposito dell’iniziativa: “Quella di Filca Cooperative è la dimostrazione che le PMI possono trovare una valida forma di finanziamento attraverso l’emissione dei MiniBond: siamo sicuri che questo mercato abbia enormi potenzialità e possa rappresentare il punto di riferimento per emittenti con buoni fondamentali e piani di sviluppo ambiziosi“.

Vera MORETTI

No mutuo? No riparti

Uno degli indicatori più significativi di quanto il settore dell’edilizia stia soffrendo la crisi nel nostro Paese è sicuramente quello legato alla richiesta di mutui e alla compravendita di immobili. I dati recentemente forniti dall’Istat non lasciano spazio alla poesia.

Facciamoci male, partiamo subito parlando di mutui. Nel secondo trimestre 2012, secondo l’Istituto nazionale di statistica, i mutui, i finanziamenti e le altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare hanno fatto registrare una flessione tendenziale del 41,2%. Strage in tutte le macroaree del Paese: Nordovest -38,6%, Centro -36%, Sud -44,8%, Isole -58,3%. Cifre da far accapponare la pelle, cifre che dimostrano tre cose: le famiglie non ne hanno più, le banche sono sempre meno propense a prestare denaro, senza domanda l’offerta non c’è e chi la deve sviluppare, le imprese edili e le immobiliari, naufragano.

A picco anche le compravendite immobiliari nel secondo trimestre 2012. Nel dato Istat anno su anno siamo a -23,6% per gli immobili residenziali -24,8% per quelli a uso economico. Anche qui, non si salva nessuna zona d’Italia: sia per il residenziale sia per l’economico le Isole registrano un -30,8%, il Nordest -26,1%, il Nord-ovest -22,6%, il Sud -19,9%. Siamo alle variazioni tendenziali peggiori dal 2008, l’anno di esplosione della crisi a livello mondiale, sia per le convenzioni di compravendite immobiliari nel complesso, sia nello specifico tanto per gli immobili ad uso abitativo, quanto per le quelli ad uso economico.

Spacchettando residenziale da economico, vediamo che, nel caso della seconda tipologia sono le Isole (-38,4%) a registrare il calo tendenziale più marcato, il Sud è a -23,5%, il Nordovest a -22,2%, Centro e Nord-est intorno al 25%. Le compravendite di unità immobiliari ad uso residenziale, infine, calano del 21,8% nelle città metropolitane e del 25,1% nelle altre città, quelle ad uso economico diminuiscono nelle altre città del 27% e del 21% nelle grandi città.

Allora, vi abbiamo storditi con tutte queste cifre? Ne volete ancora? Vi bastano? Noi pensiamo di sì, anche perché, se volete risparmiare tempo, concentratevi su due aspetti: ci sono solo segni meno e sono tutti numeri a doppia cifra. Pensate ancora che ci sia futuro per un Paese così? Vedete ancora la luce in fondo al tunnel, tanto cara all’ormai ex premier Monti? Qualcuno, cinicamente, dice che quella luce siano le fiamme dei disoccupati che si danno fuoco, qualcuno ancora che è il faro della locomotiva che ci sta travolgendo. Noi, modestamente, pensiamo solo che sia la un’illusione ottica.

Edilizia, la strage silenziosa

di Davide PASSONI

Un Paese che non è più in grado di costruire case o grandi opere è un Paese che non è in grado di costruire il proprio futuro. No, non stiamo esagerando, stiamo prendendo atto di un fenomeno che sta investendo uno dei settori che, tradizionalmente, è stato la locomotiva dell’Italia in tanti momenti di congiuntura difficile e che da questa congiuntura economica sta uscendo con le ossa rotte, almeno quanto il Paese: quello dell’edilizia.

A parlare meglio, come sempre, sono i numeri: in tanti provano interpretarli e piegarli ai propri interessi, ma sempre numeri rimangono. In sei anni, dal 2008 al 2013, il settore avrà perso circa il 30% degli investimenti, pari a 360mila posti di lavoro in meno: più o meno come 72 Ilva, 450 Alcoa, 277 Termini Imerese. Lo dice Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance, l’associazione nazionale costruttori edili il quale, presentando nei giorni scorsi questi dati atroci ha messo tutti in guardia: “La situazione è drammatica e, considerando anche i settori collegati, emerge con tutta evidenza il rischio sociale a cui stiamo andando incontro: infatti, la perdita occupazionale complessiva raggiunge circa 550mila unità“.

Un calo che non lascia superstiti praticamente in nessun comparto. La produzione di nuove abitazioni alla fine del 2013 sarà calata del 54,2%, l’edilizia non residenziale privata segnerà -31,6%, le opere pubbliche saranno crollate del 42,9%. In controtendenza solo il comparto della riqualificazione del patrimonio abitativo, in progresso del 12,6%.

Nubi nere anche sul fronte delle compravendite, calate nei primi 9 mesi del 2012 di quasi il un quarto (-23,9%), a fronte di un fabbisogno potenziale di 600mila abitazioni. Tutti dati che inducono l’Ance a constatare come sia “l’estrema incertezza che scoraggia e rinvia le decisioni di investimento delle famiglie, per le difficili prospettive del mercato del lavoro e per la flessione del reddito disponibile“.

E vogliamo parlare di mutui? Parliamone… Secondo l’Istat, nel secondo trimestre 2012 mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare hanno registrato una caduta anno su anno del 41,2%. Se delle compravendite di immobili residenziali si è detto, sul fronte di quelle relative a immobili ad uso economico (esercizi commerciali, uffici, laboratori, capannoni) si è andati ancora peggio: -24,8%.

Guardando ai diversi ambiti territoriali, sempre nel secondo trimestre di quest’anno tanto le compravendite per i fabbricati destinati all’abitazione quanto quelle per i fabbricati finalizzati all’attività economica, hanno registrato cali in tutta Italia, in particolare nelle Isole: -30,3% residenziale, -38,4% economico. Cali più netti nei centri più piccoli (-25,1%), più contenuti nei grandi centri (-21,8%).

Dulcis in fundo, la pillolina dell’Imu che, secondo l’Ance (ma secondo il buon senso, diremmo…), scoraggia l’acquisto da parte delle famiglie che godono ancora di scarsa fiducia da parte delle banche, sempre più restie a concedere mutui e finanziamenti.

Una considerazione finale. Per dare un’idea della drammaticità della situazione in cui versa il settore dell’edilizia è stato utilizzato il paragone di crisi ben più reclamizzate a livello mediatico come quelle dell’Ilva, dell’Alcoa, della Fiat a Termini Imerese. Tutte crisi per le quali il governo si è mosso (più o meno rapidamente) per elaborare se non soluzioni, almeno palliativi. Perché di fronte alla strage dell’edilizia, invece, il silenzio?

Forse perché certe crisi fanno più notizia di altre perché qualcuno è più bravo a “far casino” intorno a esse; forse perché certe crisi sono figlie dell‘insipienza decennale della politica (chi ha permesso di far costruire il mostro Ilva in riva al mare, senza alcuno scrupolo per gli sversamenti in acqua e per le emissioni nell’aria, permettendo poi che tutto intorno nascessero abitazioni senza colpo ferire, perché serbatoi di voti prima che alloggi per la forza lavoro?) che ora cerca di salvarsi la faccia con provvedimenti al limite del ridicolo; forse perché ci sono, per lo Stato, settori produttivi di serie A e di serie B e chi sta zitto ha sempre torto, anche e soprattutto se cerca di salvarsi con le proprie mani. Serie A o serie B, l’unica cosa che vediamo noi e che, di fronte a certe stragi produttivi l’Italia non rischia solo la retrocessione ma il fallimento.

Imprese edili toscane in difficoltà

La crisi continua a mietere vittime e a mettere in ginocchio le imprese italiane.

L’ultimo dato pervenuto riguarda il 60% delle imprese edili toscane che, solo nel primo semestre dell’anno in corso, sono state costrette a limitare la loro attività.
In questa percentuale rientrano, per la maggioranza, le aziende di piccole dimensioni, per le quali il calo ha raggiunto il 15,2%, mentre le medie e grandi imprese hanno registrato una flessione del 12,4%.

A rendere noti questi risultati è stato uno studio di Unioncamere e Ance Toscana, che ha mostrato come solo il 7,6% delle imprese edili sia stato in grado di aumentare la propria attività nei primi sei mesi del 2012.

La crisi è stata assorbita meglio dalle imprese che eseguono lavori per il settore privato, mentre i problemi di liquidità che derivano da ritardi di pagamenti continuano a sussistere nelle aziende edili fornitrici della PA.

A fronte di questi numeri, non stupisce che il fatturato, sempre per il periodo di riferimento, abbia registrato un calo rispetto al primo semestre del 2011, con una conseguente diminuzione anche dei lavoratori del 2,1%.

Vera MORETTI

DURC e INPS, come deve comportarsi una società in accomandita semplice?

Buongiorno volevo sapere se per una S.A.S. l’emissione del DURC può essere negato, se i problemi con l’INPS sono dei soci accomandanti o accomandatari e non sono in alcun modo collegati con la S.A.S. in questione. (Giuseppe F. – Sud)

Gentile lettore, non essendo specificate nel quesito notizie  riguardanti la presenza o meno di dipendenti nella società è opportuno  innanzitutto effettuare un distinguo fra:

  1.  Aziende senza dipendenti e senza obbligo (anche per tipologia di attività svolta) di iscrizione all’Inail, caso in cui il Durc non può essere richiesto, ma è sostituito dal certificato di regolarità contributiva.
  2. Aziende senza dipendenti,  con obbligo di iscrizione all’Inail ed eventuali figure inquadrate alla gestione separata Inps per le quali è possibile l’accesso al Durc.
  3. Aziende con dipendenti e conseguente obbligo di iscrizione all’Inail per le quali è prevista la procedura Durc.

Negli ultimi due casi, pur tenendo presente le svariate interpretazioni di cui è suscettibile  la disciplina Durc, possiamo ritenere che vertendo l’istruttoria sulla regolarità  societaria, essa non debba tenere conto di eventuali situazioni debitorie in capo alla posizione  personale dei soci, in ragione della distinzione fra soggetto giuridico e persona fisica.

Ciò nonostante, facciamo però presente che alcune sedi Inps in fase di istruttoria hanno proceduto alla richiesta di sistemazione contributiva dei soci pur esprimendosi sulla regolarità delle posizioni relative alle società.

Studio Ciraolo