Male l’inflazione a settembre

Istat ha reso noti i dati relativi all’inflazione nel mese di novembre.

La deflazione non si è fermata ma, al contrario, ha subito un ulteriore peggioramento rispetto ad agosto, con un calo dello 0,1%.
Tale risultato viene spiegato da Istat soprattutto considerando all’accentuarsi del calo dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (-2,8%, da -1,2% di agosto).
A determinare questo calo c’è anche il rallentamento della crescita annua dei prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,3%, da +0,7% del mese precedente).
Una diminuzione più contenuta interessa i prezzi degli alimentari non lavorati, scesi di -0,9%, da -1,8% di agosto, ma non hanno saputo contenere i risultati negativi degli altri settori.

A fronte di questa situazione, l’inflazione scende a +0,4%, contro il +0,5% di agosto, al netto dei soli beni energetici.

Il ribasso mensile dell’indice generale si deve al calo dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (-4,8%), dovuti a fattori stagionali, ma soprattutto alla diminuzione congiunturale dei prezzi degli energetici non regolamentati (-0,6%); contribuisce, inoltre, il calo dei prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-0,1%), anch’essi condizionati da fattori stagionali.

L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta dell’1,9% su base mensile e diminuisce dello 0,1% su base annua (la stima preliminare era -0,2%), con un ridimensionamento di un decimo di punto percentuale della flessione rilevata ad agosto (-0,2%).

L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, diminuisce dello 0,4% su base mensile e dello 0,1% rispetto a settembre 2013.

Vera MORETTI

New entry nei prodotti di consumo di Istat

Tra i prodotti che nel 2014 entreranno a far parte del paniere Istat per l’inflazione ci sono anche sigarette elettroniche e caffè in cialde o in capsula, le edizioni digitali dei quotidiani, i sacchetti ecologici per l’organico e il formaggio grattugiato in confezione.

A guardare i beni che quest’anno faranno parte dell’elenco stilato dall’istituto di statistica segnano il tempo che stiamo vivendo e riflettono il cambiamento della società e delle abitudini nella spesa degli italiani.

I prodotti che quest’anno verranno considerati, e relativi ai prezzi al consumo per la collettività nazionale (Nic) e le famiglie di operai ed impiegati (Foi) sono in tutto 1.447 contro i 1.429, suddivisi in 614 posizioni rappresentative.
Il ventaglio si apre fino a 1.463 prodotti e 619 posizioni se si considera l’indice dei prezzi al consumo armonizzato, che permette una comparazione con gli altri Paesi europei.

A gennaio l’inflazione su base annua è rimasta ferma allo 0,7%, valore già registrato a novembre e a dicembre, nonché il più basso in quattro anni, da novembre 2009.
A inizio 2013 il tasso era il triplo (2,2%). Su base mensile un aumento dello 0,2%.

Vera MORETTI

L’inflazione pesa sulle famiglie più povere

Piove sempre sul bagnato: un’indagine Istat ha rivelato che, ad essere maggiormente colpite dall’inflazione, sono le famiglie più povere, mentre per quelle più abbienti non sono emerse particolari variazioni.

In particolare, l’aumento dei prezzi del 2012 rispetto al 2005, per le famiglie con i più bassi livelli di spesa è infatti stato pari al 20,2%, mentre per le famiglie che spendono di più è stato del 16,3%.

Analizzando il lasso temporale tra il 2005 e il 2012, si evidenzia un differenziale inflazionistico a svantaggio delle famiglie con i più bassi livelli di spesa per un ammontare pari a 3,9 punti percentuali rispetto alle famiglie che spendono di più e a 2,7 punti percentuali rispetto alla popolazione nel suo complesso.

Il 2012, inoltre, è stato chiuso dalle famiglie con il livello di spesa inferiore con un’inflazione pari al 4,2%, mentre per quelle con il livello di spesa superiore la crescita dei prezzi è stata del 2,9%, con un differenziale, quindi, di 1,3 punti percentuali.

Vera MORETTI

E la chiamano tredicesima…

Ci vuole un bel coraggio a chiamarla ancora tredicesima. L’iniezione di liquidi nei conti correnti che da sempre le famiglie attendono con trepidazione per la metà di dicembre, quest’anno sarà a dir poco asfittica. Più che una tredicesima, pare una decima, come quella dell’antichità.

A rilevare la contrazione delle tredicesime è stato, come spesso fa, l’Ufficio studi della Cgia di Mestre, il quale sottolinea come le retribuzioni del 2012 siano state riviste al rialzo applicando l’indice di rivalutazione contrattuale Istat, che è aumentato del 1,4%. Successivamente, il valore delle tredicesime riferite al 2012 è stato deflazionato utilizzando l’indice generale dei prezzi al consumo delle famiglie di impiegati e operai che, secondo l’Istat, è cresciuto del 3,1%. Dal momento che ancora non è disponibile la variazione annua riferita all’intero 2012, i due indici sono stati calcolati sulla base del confronto ottenuto tra i primi 9 mesi del 2012 e lo stesso periodo del 2011. E il gioco al ribasso è fatto.

Secondo l’Ufficio Studi, un operaio specializzato, con un reddito lordo annuo di circa 20.600 euro, si troverà la tredicesima tagliata di 21 euro. Un impiegato, con un imponibile Irpef annuo leggermente superiore ai 25.100 euro perderà 24 euro. Un capo ufficio, con un reddito lordo annuo di quasi 49.500 euro, avrà una tredicesima più leggera di 46 euro.

Commenta amaro il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “Purtroppo quest’anno l’inflazione è cresciuta più del doppio rispetto agli aumenti retributivi medi maturati con i rinnovi contrattuali. Se nei primi 9 mesi di quest’anno il costo della vita è cresciuto del 3,1%, l’indice di rivalutazione contrattuale Istat è salito solo dell’ 1,4%. Pertanto, nei primi 9 mesi di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2011, il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti è diminuito“.

Soluzioni? La Cgia propone un taglio del 30% dell’Irpef che grava sulle tredicesime: una soluzione che lascerebbe nelle tasche di un operaio 115 euro in più, 130 euro in quelle di un impiegato e oltre 315 euro in quelle di un capo ufficio, stando alle categorie prese in esame più sopra.

Conclude Bortolussi:Visto l’avvicinarsi del Natale, mai come in questo momento abbiamo la necessità di lasciare qualche soldo in più nei portafogli delle famiglie italiane. Ricordo che a dicembre bisognerà pagare il saldo dell’Imu e una serie di bollette molto pesanti. Pertanto, se non ci sarà qualche provvedimento a sostegno delle famiglie, prevedo che i consumi natalizi saranno molto modesti, con effetti economici molto negativi per i bilanci degli artigiani e dei commercianti“.

Rallenta il carrello della spesa: -1,5%

 

Il carrello della spesa degli italiani va sempre più veloce, nel senso che è sempre più leggero. Coldiretti rendo noto un calo dei consumi di beni alimentari pari all’1,5%, in base all’indagine condotta su dati Istat del mese di luglio 2012 . E se i consumi calano, l’inflazione, a differenza del carrello, rallenta.

Cambiano anche le abitudini degli italiani, che rinunciano a carne e pesce, ma anche a tutti i vizi della tavola: dal cioccolato, ai liquori, ai dessert. Che la crisi possa portare ad un’alimentazione più sana?

La crisi ha portato a una revisione del carrello degli alimentari, con piu’ pasta (+3 %) e meno bistecche (-6 %)” spiega in una nota Coldiretti. Ad essere ridotti in quantità sono anche gli acquisti di pesce (-3 %) e ortofrutta (-3 %), mentre salgono quelli di pane (+3 %) e leggermente di carne di pollo (+1 %).

Ma la crisi sta cambiando anche le altre abitudini alimentari degli italiani – continua Coldiretti –  a partire dal taglio in quantita’ di alcuni piccoli ”vizi”, dal -6 % delle caramelle al -3 %dei liquori. Calano anche gli aperitivi (-4 %), i prodotti a base di cioccolato (-3 %), le bibite (-7 %) e i dessert (-10 %)”.

Il timore paventato da Coldiretti, a fronte di questo sensibile calo dei consumi, resta l’aumento dell’Iva previsto per settembre: “Dinanzi a tale situazione diventa necessario scongiurare il rischio del previsto aumento dell’Iva dal 21 al 23% che costerebbe agli italiani oltre un miliardo solo per le spese alimentari. I prezzi dei prodotti alimentari al dettaglio aumenterebbero in media di un punto percentuale con picchi dell’1,8 % per carne, prosciutto e pesce, con effetti insostenibili sull’inflazione e sull’andamento della spesa”.

 

Confermato dall’Istat l’aumento dell’inflazione a giugno

Il dato definitivo dell’Istat conferma la stima provvisoria elaborata dallo stesso istituto, che vede l’aumento dell’inflazione a giugno dello 0,2% rispetto al mese precedente e del 3,3% nei confronti di giugno 2011 (era +3,2% a maggio).

Rispetto a un anno prima, il tasso di crescita dei prezzi dei beni è pari al 4,2%, dal 4,0% del mese precedente, e quello dei prezzi dei servizi si porta al 2,0% (era +2,1% a maggio). Di conseguenza, il differenziale inflazionistico tra beni e servizi aumenta di tre decimi di punto rispetto a quanto registrato a maggio.

A giugno, il principale effetto di sostegno alla dinamica dell’indice generale deriva dall’aumento congiunturale dell’1,5% dei prezzi dei beni alimentari non lavorati, che determina una sensibile accelerazione del loro tasso tendenziale di crescita (2,6%, dallo 0,8% di maggio). Per contro, un rilevante effetto di contenimento si deve alla flessione su base mensile dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (-2,6%), per effetto del ribasso dei prezzi di tutti i carburanti.

Siamo in guerra? E allora combattiamo!

di Davide PASSONI

C’è chi ancora confonde l’essere pessimisti con l’essere realisti. Brutto segno, specialmente in un periodo come questo. Di sicuro, notizie positive dai mercati e per le piccole imprese ne arrivano pochine, anche da Confindustria. Di solito Viale dell’Astronomia non è solito usare toni allarmistici o catastrofici, ma quanto emerge dal Centro studi di Confindustria non lascia spazio alla poesia: per il prossimo biennio il Pil è visto in calo del 2,4% (2012) e dello 0,3% (2013), con un ritocco al ribasso di quanto previsto nel dicembre dello scorso anno (-1,6% per il 2012, +0,6% nel 2013). “Siamo in piena recessione e non ne usciremo tanto rapidamente“, ha detto il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi.

Il 90% dell’arretramento di quest’anno è già acquisito nel secondo trimestre 2012 (-2,1)“, scrivono gli economisti del Csc, ricordando non solo le conseguenze innescate dall’esito incerto delle elezioni in Grecia, la crisi delle banche spagnole ma anche il fatto che “le istituzioni europee non sono riuscite a trovare una soluzione praticabile e credibile a causa della conyrapposizione degli interessi nazionali dei singoli stati“.

E qui arrivano le parole pesanti. Per il Centro studi di Confindustrianon siamo in guerra: ma i danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto“. Come in un conflitto, sono colpite a morte “le parti più vitali e preziose del sistema Italia“: industria manifatturiera e giovani. “L’aumento e il livello dei debiti pubblici sono analoghi in quasi tutte le economie avanzate a quelli che si sono presentati al termine degli scontri bellici mondiali“, proseguono, tanto per chiarire come siamo messi.

L’occupazione è il fronte più colpito dal “conflitto”: si prevede che il 2013 chiuderà con 1 milione e 482mila posti di lavoro in meno rispettp a inizio 2008. La disoccupazione prosegue a galoppare e a fine 2013 potrebbe toccare il 12,4% dal 10,9% di fine 2012.

Anche sul lato dei consumi siamo messi maluccio: -2,8% nel 2012 e -0,8% nel 2013 con i consumi reali a -4,5% rispetto alla media 2007. Tradotto in soldini, nel 2013 il livello di benessere degli italiani sarà del 10% più basso rispetto alla media 2007, quasi 2.500 euro in meno a prezzi costanti.

L’inflazione nel 2012 dovrebbe salire dal 2,8% del 2011 al 3,1% (opinabile…) per tornare al 2,6% nel 2013 mentre, sempre nel 2013, il deficit pubblico scenderà dal 2,6% del 2012 all’1,6% del Pil, ben lontano dal pareggio di bilancio, come richiesto dal “fiscal compact” e dalla modifica dell’articolo 81 della Costituzione: 1,1% del Pil nel 2012 e 0,4% nel 2013.

Insomma, trovateci una bella notizia, se ci riuscite. Noi ci proviamo e proviamo a guardare dentro quell’Italia produttiva che fa i miracoli soprattutto con l’export, nonostante uno stato miope e rapace; dentro a quella piccola impresa strozzata da tasse e burocrazia che, però, alza la saracinesca ogni mattina convinta di essere se stessa la prima risposta alla crisi; dentro a tutte le realtà produttive che non si rassegnano all’idea di morire per colpe non loro e che ce la vogliono fare. Insomma, cara Confindustria, siamo in guerra? E allora combattiamo. Non per morire con onore ma per vincere, con orgoglio.

Inflazione acquisita per il 2012 è pari all’1,6%

Nel mese di gennaio, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), comprensivo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,3% rispetto al mese precedente e del 3,2% nei confronti di gennaio 2011 (era +3,3% a dicembre 2011). Il dato definitivo conferma la stima provvisoria. Lo comunica l’Istat.

L’inflazione acquisita per il 2012 è pari all’1,6%. L’inflazione di fondo, calcolata al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi, scende al 2,3% dal 2,4% di dicembre 2011. Al netto dei soli beni energetici, il tasso di crescita tendenziale dell’indice dei prezzi al consumo scende al 2,2% (era +2,3% a dicembre). Il rallentamento dell’inflazione deriva dal lieve aumento del tasso di crescita tendenziale dei prezzi dei beni (+3,9%, dal +3,8% di dicembre 2011), più che compensato dal calo di quello dei servizi (+2,3%, dal +2,5% del mese precedente). Come conseguenza di tali andamenti, il differenziale inflazionistico tra beni e servizi aumenta di tre decimi di punto rispetto al mese di dicembre.

Nel mese di gennaio, da un punto di vista settoriale, il più rilevante effetto di sostegno alla dinamica congiunturale dell’indice generale deriva dai Beni energetici regolamentati (+3,9%) e da quelli non regolamentati (+4,0%). I prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza aumentano dello 0,8% su base mensile e del 4,2% su base annua (+4,3% a dicembre). L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) diminuisce dell’1,8% su base mensile e aumenta del 3,4% su base annua, in decelerazione di tre decimi di punto percentuale rispetto a dicembre 2011 (+3,7%). Anche in questo caso si confermano le stime preliminari. Si ricorda che l’indice armonizzato IPCA, diversamente dall’indice nazionale NIC, tiene conto anche delle riduzioni temporanee di prezzo (saldi e promozioni). Ciò può determinare in alcuni mesi dell’anno (e gennaio è uno di questi) andamenti congiunturali significativamente diversi da quelli dell’indice NIC. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi, registra un aumento dello 0,4% sul piano congiunturale e del 3,2% su quello tendenziale.

Fonte: agenparl.it

10 anni di euro, 10 anni di mazzate

Ma chi ci crede più alla favola dell’inflazione che sta intorno al 2%? Sorpresa sorpresa… la Bce. Si vede che i signori di Francoforte non vanno molto spesso a fare la spesa o che, in Germania, i panieri sono calcolati in modo differente. Fatto sta, che secondo un articolo pubblicato sul bollettino mensile della Banca centrale Europea, i beni energetici, soprattutto i carburanti, e gli alimentari hanno subito la maggiore impennata dei prezzi dal 2002, anno dell’introduzione dell’euro.

La scoperta dell’acqua calda. Sì, come sa bene ogni persona che fa la coda in cassa al supermercato o al distributore. Ma la sorpresa viene dalle percentuali. Se l’inflazione tendenziale nell’area è stata in media del 2,1% (ma dove???), il rincaro medio annuo dei prezzi dei prodotti energetici è stato invece del 5,4%: +9,6% per i carburanti liquidi. I prezzi degli alimentari trasformati, invece, sono aumentati in media annua del 2,8%.

I prezzi degli alimentari freschi hanno registrato un incremento medio dell’1,9%: 2,4% per il pesce, 2,2% per la frutta, 1,8% per la carne e 1,4% per la verdura. Per quanto riguarda i prezzi dei servizi, rileva la Bce, il tasso annuo di crescita dall’introduzione del contante in euro si è collocato al 2,2%, sostanzialmente in linea con l’inflazione media.

Nei dieci anni dell’euro, nella voce ‘saloni di parrucchiere e istituti di bellezza’ i prezzi sono aumentati del 2,2% all’anno, mentre nella categoria ‘ristoranti, bar e simili’ sono aumentati del 2,8%. Ditelo ai poveri cristi che 10 anni fa per pizza e birra spendevano 10mila lire e oggi se se la cavano con 30 euro possono accendere un cero di ringraziamento…

Complessivamente, dall’introduzione del contante in euro, i prezzi dei singoli prodotti e servizi nell’area, sottolinea la Bce, “hanno seguito andamenti fortemente divergenti. A fronte dell’impatto al rialzo dei prezzi dei beni energetici e alimentari dovuto agli shock sulle quotazioni mondiali delle materie prime, c’è stato l’effetto frenante dei prezzi dei beni Tlc, determinato dai progressi tecnologici in questo settore. Nel contempo, la dinamica dei prezzi dei servizi è rimasta sostanzialmente in linea con il tasso di inflazione armonizzata“. Signori della Bce: che film avete visto in questi 10 anni?