Aumento pensioni dal 1 gennaio 2023 per rivalutazione retroattiva

L’INPS comunica l’aggiornamento dell’inflazione dell’ISTAT. L’aumento pensioni ci sarà solo dal 1° gennaio 2023 con la rivalutazione retroattiva che consentirà di avere un buon conguaglio.

Aumento pensioni: come si calcola?

Annualmente l’importo della pensione ha un adeguamento in base all’inflazione. La rivalutazione viene fatta in base ai dati ISTAT che rileva l’aumento dei prezzi e determina quindi l’aumento del costo della vita e l’inflazione. L’adeguamento dell’INPS avviene in due fasi. La prima determina un adeguamento provvisorio, basato sulle stime dell’ISTAT provvisorie e applicato dal primo gennaio dell’anno successivo rispetto a quello in cui è stata valutata l’inflazione. Il secondo è definitivo, basato sui dati definitivi e applicato però dopo due anni rispetto a quello a cui l’inflazione si riferisce.

Perché l’aumento delle pensioni ci sarà dal primo gennaio 2023?

Il meccanismo di rivalutazione delle pensioni può effettivamente sembrare macchinoso, in realtà è più semplice di ciò che potrebbe sembrare. Andando nel concreto, nel mese di novembre 2021 l’Istat ha determinato l’inflazione dell’anno 2021 basandosi però sui dati a quel momento disponibili, cioè i primi 9 mesi dell’anno.

L’inflazione in quel momento registrata era all’1,7%, ma l’INPS nell’adeguare gli importi delle pensioni da erogare al primo gennaio 2022 ha applicato l’1,6%.

L’ISTAT ha poi rilevato che in realtà negli ultimi tre mesi del 2021 l’inflazione ha continuato la sua corsa, raggiungendo l’1,9%. L’INPS a questo punto attraverso la Circolare 15/22 ha reso noto che dal primo gennaio 2023 adeguerà gli importi alla reale inflazione del 2021 e di conseguenza verserà ai pensionati i conguagli.

Nel frattempo ha reso noto che invece nei prossimi mesi adeguerà gli importi versati ai pensionati all’iniziale stima dell’ISTAT permettendo così ai pensionati di recuperare lo 0,1%, si tratta di un piccolissimo ritocco.

Cosa succederà con la rivalutazione delle pensioni dal 1° gennaio 2023?

In base a quanto comunicato dall’INPS, dal 1° gennaio 2023 sarà applicato un nuovo aumento. In pratica per un assegno di 1.000 euro l’aumento sarà di circa 2 euro. A questo deve essere aggiunto il conguaglio per i 12 mesi precedenti, questo dovrebbe essere di 2 euro, sempre per una pensione di 1.000 euro  ma calcolato su 13 mensilità.

Chi ora percepisce 1.000 euro, riceverà dal mese di gennaio 2023 1.002 euro a cui si aggiungono ulteriori 26 euro di conguaglio per l’adeguamento all’inflazione definitiva calcolata dall’ISTAT. Nel mese di febbraio 2023 riceverà nuovamente 1.002 euro. Occorre però sottolineare che nel caso in cui i prezzi dovessero continuare a salire, l’importo percepito a gennaio 2023 vedrà anche l’aumento determinato dal tasso di inflazione provvisorio determinato dall’ISTAT sulle stime del 2022.

Naturalmente i calcoli devono essere fatti sul proprio assegno di pensione, ad esempio per chi percepiva 2.000 euro nel 2021, l’aumento ulteriore sarà di 4 euro mensili e il conguaglio sarà di 4 euro per 13 mensilità, cioè 52 euro.

Occorre però sottolineare che l’aggiornamento dell’ISTAT all’1,9% si applica invece fin da subito ai datori di lavoro che vedranno aumentare la spesa contributiva, il minimale giornaliero e le varie tariffe corrisposte ai lavoratori.

Per i pensionati ci sono però ulteriori buone notizie in particolare per coloro che ricevono importi alti, per informazioni c’è l’articolo: Contributo di solidarietà sulle pensioni d’oro: addio dal 2022

Adeguamento indennità di invalidità 2022: piccoli importi maggiorati

L’inflazione pesa nelle casse di tutti gli italiani, ecco perché l’INPS, oltre ad aver provveduto all’adeguamento degli assegni pensionistici, ha perfezionato anche l’adeguamento indennità di invalidità 2022.

Adeguamento indennità di invalidità 2022

L’assegno di invalidità è un diritto di coloro che hanno un’invalidità superiore al 74% e prevede il versamento di un importo mensile, comprensivo di tredicesima mensilità, di piccola entità.

Nel 2021 l’importo previsto per l’indennità di invalidità era di 287,09 euro, per il 2022, in applicazione della circolare 197 del 2021 dell’INPS, l’importo è stato adeguato all’inflazione dell’1,6% e di conseguenza l’assegno di invalidità è di 291,69 euro.

A questo proposito occorre fare delle precisazioni, infatti coloro che hanno ottenuto il riconoscimento della cecità parziale percepiscono un importo minore: 215,35 € , nel 2021 l’importo per questa categoria era di 213,08 €.

L’indennità di comunicazione per sordo muti è invece di 260,76 euro.

Coloro che in seguito alla valutazione della Commissione risultano ciechi totali hanno il riconoscimento di un’indennità di invalidità di 315,45 €, mentre nel 2021 percepivano 310,48 €.

Ulteriori informazioni sull’adeguamento dell’indennità di invalidità 2022

Si tratta a ben vedere di piccoli aumenti, ma è opportuno sottolineare che, come la stessa INPS afferma, la circolare del mese di ottobre ha il solo scopo di far in modo che i soggetti interessati possano percepire fin dal primo mese dell’anno di importi di valore adeguato all’indice di inflazione. Nel primo trimestre del 2022 si provvederà ad aggiornare l’indice di inflazione con dati correnti. Di conseguenza, visti i costanti aumenti energetici che portano al rialzo dei prezzi di molti beni di uso quotidiano, a partire dagli alimentari, è possibile che nei prossimi mesi ci sia un piccolo ritocco al rialzo.

La circolare 197 dell’ INPS sottolinea anche che per l’anno 2022 e 2023 i requisiti anagrafici per la trasformazione dell’invalidità civile in assegno sociale sono fissati a 67 anni di età.

Ricordiamo anche che il Governo nei mesi passati è intervenuto sulla questione inerente la perdita del diritto all’indennità di invalidità per coloro che hanno un lavoro, indipendentemente dal reddito. A tal proposito il governo ha fissato il limite di redditi da lavoro in 4.391 euro.

Per un approfondimento della questione si consiglia la lettura dell’articolo: Nel decreto fiscale ripristinato l’assegno di invalidità per chi lavora.

Per ulteriori informazioni leggi:

Adeguamento indennità di accompagnamento 2022 dell’INPS

Disability Card: dal 2022 servizi più agili per i disabili

Adeguamento indennità di accompagnamento 2022 dell’INPS

L’INPS con la circolare 197 del 23 dicembre 2021 ha provveduto all’adeguamento dell’indennità di accompagnamento 2022 riconosciuta a coloro che hanno un’invalidità del 100% e, di conseguenza, non essendo autonomi hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro prestando assistenza continua.

Adeguamento indennità di accompagnamento all’inflazione

L’INPS nella circolare rende noto che, al fine di consentire agli aventi diritto di percepire già dal mese di gennaio importi adeguati all’inflazione, ha ritenuto di dover procedere in anticipo avendo in considerazione l’indice di perequazione disponibile al 15 ottobre 2021. In quel periodo lo stesso corrispondeva all’1,6%. L’INPS però sottolinea che nel corso del primo trimestre dell’anno 2022 provvederà ad adeguare nuovamente gli importi attraverso un indice di perequazione aggiornato.

L’assegno di accompagnamento previsto per il 2021 era di 522,10 euro mensili e passa nel 2022 a 528,94 euro al mese. Si tratta quindi di un aumento di poco più di 6 euro.

Assegno di accompagnamento per ciechi totali

Diverso è il caso dell’assegno riconosciuto ai ciechi totali (ex articolo 1 della legge 406/1968), per loro l’assegno di accompagnamento per il 2021 era di 938,35 euro mensili e nel 2022 l’importo viene aumentato a 954,30 euro mensili .

Ultime informazioni sull’indennità di accompagnamento 2022

Ricordiamo che l’INPS eroga l’assegno di accompagnamento, a differenza di altri assegni, ad esempio quello di invalidità civile e i trattamenti pensionistici, per 12 mensilità e non 13 mensilità.

Non percepiscono l’indennità di accompagnamento coloro si trovano in condizione di ricovero gratuito presso strutture per periodi superiori a 30 giorni. Inoltre non percepiscono tale assegno coloro che hanno il riconoscimento di indennità analoghe di accompagnamento, come nel caso di invalidità a causa di guerra, ragioni di servizio o lavoro. In questo caso il soggetto può optare per il servizio economicamente più conveniente. L’assegno di accompagnamento è inoltre cumulabile con assegno di invalidità civile, inabilità e altri trattamenti pensionistici, ad esempio la pensione di vecchiaia o pensioni indirette, ad esempio la pensione superstiti.

Mutui: con la super inflazione, meglio il tasso fisso o variabile nel 2022?

Con la super inflazione, quali saranno gli effetti sui mutui, sui tassi di interesse e sulle rate? Scoprirlo, significa scegliere se convenga stipulare un mutuo a tasso fisso o a tasso variabile. Ma gli effetti si fanno sentire anche per coloro che hanno già stipulato un mutuo, sia a tasso fisso che variabile. Anche se non sempre si tratta di effetti negativi.

Mutui: l’inflazione nel 2022 farà sentire i suoi effetti come per il caro bollette?

L’analisi della situazione dei mutui parte dall’impennata dell’inflazione degli ultimi mesi del 2021. E la platea di chi sceglie un mutuo ogni anno è ampia: circa 200 mila tra quelli di nuova sottoscrizione e le surroghe. A ciò si aggiunge che le bollette energetiche in effetti stanno risentendo dell’impennata dei prezzi. E dunque le famiglie, oltre al caro consumi, si potrebbero trovare nel nuovo anno a dover fare i conti con rate dei mutui più salate. Diventa essenziale, allora, verificare cosa succede a chi sta già pagando un mutuo e a chi ha intenzione di stipularne uno nuovo nei prossimi mesi.

Cosa avviene a chi sta già pagando un mutuo a tasso fisso nel 2022?

A risentirne direttamente dell’aumento dell’inflazione è chi ha già stipulato e sta pagando un mutuo a tasso fisso. Ma, in questo caso, la notizia potrebbe risultare positiva. In primo luogo perché la rata non cambia importo a causa dell’inflazione. Ma soprattutto, in termini reali, il tasso di interesse che viene pagato risulta più basso. Il confronto lo si può fare mediante la sottrazione del tasso nominale debitore e il tasso di inflazione. Per le famiglie che abbiano stipulato un mutuo a tasso fisso in passato dunque vale la regola secondo la quale, con l’aumentare dell’inflazione, si riduce la quota del capitale da restituire in termini reali.

Mutui a tasso fisso già stipulati: con l’inflazione è più difficile la surroga

L’unico effetto negativo per chi ha già un mutuo in corso a tasso fisso è quello delle poche possibilità di cambiare il finanziamento con uno più vantaggioso. Infatti, i tassi di interesse sulla surroga attualmente si attestano a non meno dell’1,5% a fronte di un tasso fisso medio dell’1,1-1,2%. Dunque, se si cerca di cambiare il proprio mutuo, difficilmente si riuscirebbe a ottenere un tasso di interesse più basso.

Mutui, cosa avviene per chi ne sta già pagando uno a tasso variabile?

Come per quelli a tasso fisso, anche i mutui a tasso variabile risentono dell’aumento dell’inflazione. Ma la correlazione avviene in maniera indiretta attraverso gli indici Euribor. Questi ultimi sono i parametri che vengono utilizzati dalle banche per stabilire i tassi di interessi variabili sui mutui e le rispettive rate. Ad oggi gli indici Euribor, nonostante l’impennata dell’inflazione, sono rimasti stabili intono al valore di -0,5%. Circostanza confermata dal fatto che, nel corso del 2021, chi aveva già stipulato un mutuo a tasso variabile, non ha subito incrementi dei tassi di interesse e, di conseguenza, delle rate. Ma è molto probabile che ciò avverrà nel corso dei prossimi anni, dal momento che gli indici Euribor sono dati in risalita dall’attuale -0,5% a +0,4% entro il 2027.

Quanto si pagherà in più di mutuo nei prossimi anni con il tasso variabile?

Gli aumenti degli indici Euribor dovrebbero determinare, di conseguenza, incrementi dei tassi di interessi dei mutui variabili e delle rispettive rate. Si calcola che, nei prossimi cinque anni, l’aumento potrebbe essere di 35-40 euro mensili per chi ha un mutuo residuo da pagare di 100 mila euro. I calcoli sono stati stimati con un aumento di 90 punti base degli indici Eurobor.

Mutui, cosa cambia nel 2022 per chi voglia stipularne uno?

La situazione di partenza dei mutui nel 2027 per chi abbia intenzione di sottoscriverne uno, vede quelli a tasso fisso che provengono da un 2021 all’insegna della risalita. Infatti, a inizio anno si potevano trovare mutui con un tasso fisso anche dello 0,5%. A fine anno, la media del tasso fisso è dell’1,2%. I mutui a tasso variabile hanno invece un indice Euribor del -0,5%.

Mutui, nel 2022 è meglio sceglierne uno a tasso fisso o a tasso variabile?

Per il 2022 sarà molto difficile trovare un mutuo a tasso fisso al di sotto dell’1%. Mediamente, le offerte delle banche si attestano attorno all’1,1%. Si tratta, in ogni modo, di tassi di interesse che possono considerarsi ancora bassi, anche se di gran lunga superiori a quelli di appena un anno fa. Sul fronte dei tassi variabili, la constatazione di aver scelto bene rispetto a un tasso fisso la si potrà avere solo tra cinque anni. Infatti, solo a partire dal 2027 si potrà verificare di quanto siano cresciuti effettivamente gli indici Euribor e dunque calcolare la convenienza rispetto a un tasso fisso. Ma, anche in questo caso, gli effetti dell’inflazione non dovrebbero farsi sentire eccessivamente.

Inflazione italiana, mai così alta dal mese di settembre 2012

L’inflazione italiana aumento a ottobre per il quarto mese consecutivo. Non si registrava una crescita così da settembre 2012. Ecco la situazione attuale.

Inflazione italiana, il punto della situazione

L’inflazione corre sempre più, forse a causa dei prezzi dell’energia. L’indice nazionale dei prezzi al consumo è aumentata del 7% rispetto ad un anno prima. L’inflazione sta toccando così nuovi record, e non succedeva dal 2012. Ciò vuol dire che da 12 anni il livello generale dei prezzi non aumenta così.
Anche se una causa è proprio da ricercare nell’aumento dei prezzi dell’energia. Costo che continua a lievitare da +20% di settembre al +24% del mese di ottobre. La maggiore infrazione potrebbe portare ad una forte riduzione dei consumi, circa 9 miliari e mezzo di euro di consumi tra il 2020 e il 2021.

Inflazione italiana, i valori espressi da Istat

Secondo quanto precisa L’Istat, “i beni energetici continuano a essere protagonisti, contribuendo per più di due punti percentuali all’inflazione e spiegando buona parte dell’accelerazione rispetto a settembre“. Inoltre, l’inflazione acquisita per il 2021 è pari a 1.8% per l’indice generale e a +0.8% per la componente di fondo.

Pertanto l’Istituto Nazionale di statistica rivede al rialzo le stime di inflazione. Infatti nel mese di ottobre, si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, registri un aumento dello 0,7% su base mensile e del 3,0% su base annua (da +2,5% del mese precedente). Tuttavia la stima preliminare era +2,9%. L’ulteriore accelerazione dell’inflazione è in larga parte dovuta, anche in ottobre, ai prezzi dei beni energetici. Accelerano rispetto al mese di settembre, ma in misura minore, anche i prezzi dei servizi relativi ai trasporti.

Come si riflette la situazione sugli italiani

Come che non bastasse  sono aumentati i prezzi anche di beni alimentari come pane e pasta. Ma anche i prodotti per la cura della persona e della casa e quelli dei prodotti al alta frequenza d’acquisto. Il problema è che tutto ciò si ripercuote sia sulle famiglie che sulle imprese.

Le imprese che pagano sempre più lo scotto di materie prime elevate. Con la conseguenza che tendono ad aumentare anche i loro prodotti, per contenere i rincari. E le famiglie che vedono diminuire drasticamente il loro potere di acquisto. Se continua così entro dicembre 20021, il potere d’acquisto delle famiglie potrebbe diminuire di ben 500 euro circa. Senza contare che si avviamo al periodo dell’anno in cui i consumi, di solito, aumentano per effetto delle festività natalizie. Ma quest’anno il copione potrebbe essere diverso.

Inflazione, perché è un dato da tenere sempre sotto controllo

L’inflazione è un dato sempre posto sotto l’attenzione dei governi di ogni singolo stato. Ecco cos’è e perché è sempre sotto controllo.

Inflazione: il significato

L’inflazione è l’aumento continuo e graduale del livello generale dei prezzi. In altre parole qualsiasi bene costa più del solito prezzo. Inoltre questo aumento determina una perdita del potere d’acquisto della moneta. Cioè con la stessa quantità di denaro si può acquistare minore quantità di beni e servizi. Questo rapporto viene espresso in termini percentuali, che prende il nome di tasso d’inflazione. 

Tuttavia capita spesso di sentire dire che si ha bisogno di un tasso di inflazione che non supera il 2%. Questo vuol dire che si ha una “sana inflazione”, cioè un rapporto buono tra prezzi e prodotti o servizi. A maggior ragione a seguito di un grande periodo pandemico, come quello che stiamo vivendo, è opportuno sempre tenere sotto controllo questo dato. Per evitare periodi catastrofici come quello di Wall Street degli anni trenta in America, con ripercussioni su tutto il mondo.

Inflazione e crescita sono due elementi legati a doppio filo

Spesso l’inflazione è legata a periodi di crescita economica. Com’è noto l’attività economia di un Paese, come l’Italia, deve essere orientato verso la crescita. Questo vuol dire che al termine di ogni ciclo produttivo, il punto finale è deve essere maggiore di quello iniziale. Un pò come la situazione in cui si valuta il bilancio consuntivo delle imprese, dopo un anno di attività.

Ma se in un’economia ci sono troppe oscillazioni, queste potrebbero portare seri problemi. Ad esempio quando la produzione rallenta, anche l’occupazione e le retribuzioni ne risentono. Questo può portare ad atti di rivendicazione tra i lavori e tensione sociale in genere. Mentre nei periodi di crescita la ricchezza aumenta di solito aumenta il benessere collettivo, cosa che invece piace a molti. Ma attenzione perché questo può portare a una situazione di elevata inflazione che farebbe cambiare la situazione.

Ma perché è tanto temuta?

L’inflazione, con altra percentuale, ossia l’aumento generale del livello dei prezzi può portare a degli eventi sgradevoli. Ad esempio la storia economica insegna che le imprese tenderanno ad aumentare la loro capacità produttiva effettuando investimenti in misura superiore rispetto al dovuto. Ma spesso sono impegni che non sono capaci di mantenere in un eventuale periodo di crisi. Ed in altre parole conseguenze non positive per la stessa, che avrà costi maggiori ai ricavi e bilanci disastrosi.

Stesso problema può ricadere nelle famiglie e nei cittadini in generale. In una fase di espansione si è più proiettati ad avere un potere di acquisto ed un reddito maggiore. Si tramuta in maggiori investimenti anche per le famiglie che potrebbero decidere di “acquistare un immobile” anche se non ne hanno realmente la potenzialità. Se le cose non dovessero andare come sperato, i problemi saranno seri.

Ma come può fare uno Stato per rendere sotto controllo la situazione?

La risposta degli economisti è abbastanza semplice. Nella fase espansiva il governo può “raffreddare” l’economia. Uno delle leve usate è quella di rendere più costoso l’accesso al credito. Anche se non è l’unica strada, visto che lo Stato potrebbe decidere di aumentare il prelievo fiscale. Oppure ridurre la spesa pubblica potrebbe essere utile.

Mentre in momenti in cui abbiamo una fase di recessione, gli effetti e le cause sono diversi. La domanda di beni e servizi diminuisce, e le politiche statali diventano invece di sostegno e supporto all’economia. Tuttavia in questi casi è frequente un aumento dell’offerta di moneta oppure una diminuzione del prelievo fiscale su imprese e famiglie. Un altro strumento antirecessione di una certa efficacia è l”incremento della spesa pubblica. 

Le varie tipologie di inflazione e in Europa

Esistono varie tipologie di inflazione che sono legate al tasso di percentuale e al suo perdurare nel tempo. I diversi tipi di inflazione sono:

  • Inflazione strisciante: aumento modesto ma prolungato dei prezzi (inferiore al 10%);
  • Inflazione galoppante: aumento rapido e irrefrenabile dei prezzi;
  • Iperinflazione: aumento particolarmente sostenuto dei prezzi (superiore al 50% al mese).

Oltre all’inflazione del singolo Stato, si tiene conto anche di quella che riguarda i Paesi dell’Unione Europea. Il compito di regolare l’inflazione nell’area Europa spetta alla Banca centrale EuropeaQui le politiche sono più complesse perché le politiche comunitarie considerano l’intera area europea. Ma una cosa è certa, fattori economici come inflazione e Pil (prodotto interno lordo) sono dati da tenere sempre sotto controllo.

 

 

Rivalutazione pensioni 2022: novità per tutti dalla Corte Costituzionale

Buone notizie per i pensionati italiani: dal 1° gennaio 2022 sono previsti aumenti delle pensioni. In realtà si tratta di un semplice adeguamento che però quest’anno sarà più sostanzioso, vediamo le prospettive per la rivalutazione pensioni 2022.

Rivalutazione pensioni 2022

Le pensioni devono essere adeguate al costo della vita e di conseguenza con l’aumento dell’inflazione devono aumentare anche gli importi delle pensioni. Per il 2021 l’inflazione si è attestata intorno all’1,7%, mentre per il 2022 si prevede un’ulteriore inflazione dell’1,3%. Si ritiene che l’aumento delle pensioni si attesterà nel 2022 all’1,5%. Questo vuol dire che l’adeguamento per il 2022 sarà abbastanza percepito dagli italiani, infatti negli anni passati con inflazione vicina allo 0% gli adeguamenti sono risultati davvero irrisori e nel 2021 con inflazione negativa nel 2020, non c’è stato adeguamento.

Ci sono delle variabili però da considerare, infatti in passato più volte le pensioni “alte” hanno subito dei blocchi delle rivalutazioni. Il primo nel 2001 con il meccanismo della perequazione che rivalutava al 100% le pensioni fino a 3 volte il minimo INPS, il 90% per le pensioni da 3 a 5 volte superiori il minimo INPS e il 75% per le pensioni fino a 5 volte superiori, nessuna rivalutazionne per le altre. Poi c’è stata la legge Fornero e il governo Monti che hanno rivalutato solo le pensioni fino a 3 volte superiori rispetto al minimo INPS. Furono rivalutate le pensioni fino a 1405 euro.

Bonus Poletti

Su questa disciplina vanno però ad impattare le pronunce della Corte Costituzionale, questa ha statuito che se anche vi sono dei deficit economici, cioè le casse dell’INPS sono in ristrettezza, la rivalutazione delle pensioni deve comunque esservi, misure differenti possono essere adottate solo per periodi ristretti e non come regime ordinario. Ad esempio già con la sentenza 70 del 2015 boccia i criteri di rivalutazione applicati del 2012-2013, in questo caso si fece fronte alla bocciatura con il Bonus Poletti che reintegrava i pensionati che non avevano avuto la rivalutazione applicando degli scaglioni del meccanismo di perequazione. La rivalutazione del Bonus Poletti (Governo Renzi) prevedeva un reintegro applicato al 40% per le pensioni da 3 a 4 volte superiori al minimo INPS, 20% da 4 a 5 volte, 10% per le pensioni da 5 a 6 volte superiori al minimo e infine nessuna valutazione per le altre.

Questo dovrebbe implicare che, visto il lungo lasso di tempo in cui le pensioni hanno subito la decurtazione della rivalutazione, ora non dovrebbe essere applicato il blocco delle rivalutazioni per evitare incostituzionalità.

Corte Costituzionale: il blocco della rivalutazione delle pensioni è una misura eccezionale

Le pronunce della Corte Costituzionale sono diverse, qui citiamo una molto importante, cioè la 234 del novembre 2020, in questa la Corte Costituzionale ribadisce che è legittimo un provvedimento con cui sia raffreddata la rivalutazione delle pensioni più elevate o sia imposto un contributo di solidarietà a chi percepisce pensioni medio-alte, ma dette misure devono avere una durata massima di 3 anni. In effetti il contributo di solidarietà del Governo Monti aveva tali caratteristiche.

Di fatto il blocco delle rivalutazioni è stato reiterato nel tempo, in particolare con la legge di bilancio per il 2019 (legge 145 del 2018). Tale legge stabilisce che per il triennio 2019-2021 siano oggetto di rivalutazione al 100% solo le pensioni fino a 3 volte il minimo, per il 2021 (anno in cui la rivalutazione non ha avuto luogo in quanto l’inflazione era negativa) la pensione minima è fissata in 515,58 euro, mentre per le pensioni superiori la rivalutazione è decrescente, cioè più è alto l’importo e minore è la percentuale di rivalutazione. Ad esempio per le pensioni:

  • fino a 4 volte superiori al minimo, la rivalutazione è del 97%;
  • per quelle fino a 5 volte superiori al 77%;
  • per le pensioni nello scaglione da 5 a 6 volte superiore al minimo, la rivalutazione è al 52%;
  • la rivalutazione è al 47% dagli importi tra il 6  e 8 volte superiore al minimo;
  • 45%  per lo scaglione fino a 9 volte superiore;
  • 40% tutte le altre.

Corte Costituzionale fissa i paletti per il raffreddamento della rivalutazione

La Corte Costituzionale nella sentenza citata stabilisce che raffreddare il sistema di rivalutazione delle pensioni possa essere considerato legittimo, a patto che siano rispettati dei paletti, cioè che la misura sia volta a perseguire obiettivi interni al sistema previdenziale, quindi i risparmi devono essere in favore dello stesso ente previdenziale che deve però avere delle motivazioni obiettive per esercitare tale blocco delle rivalutazioni, inoltre vi deve essere un orizzonte temporale predefinito (triennale).

Ora, tornando alla questione che qui ci occupa, si è visto che la legge di bilancio per il 2019 ha previsto scaglioni che dovrebbero cessare il 31 dicembre 2021, si deve capire cosa deciderà il Governo per il 2022; il blocco potrebbe essere reiterato, ma ciò farebbe proporre molti ricorsi per incostituzionalità visto che la sentenza della Corte Costituzionale pone dei limiti e sembra difficile giustificare, oggi con debito pubblico alto, ma un Paese in forte crescita e un’inflazione piuttosto alta, un nuovo blocco andrebbe a danneggiare notevolmente molti pensionati.

Quale sarà l’impatto della rivalutazione pensione 2022?

Se la rivalutazione pensioni 2022 sarà all’1,5%, come atteso, su una pensione di 1.000 euro, vi sarà un aumento di 15 euro, naturalmente, deve essere verificato l’importo della tassazione. In genere chi ha una pensione di 1.000 euro si trova nel primo scaglione con aliquota IRPEF al 23% a ciò devono essere aggiunte addizionali regionali e comunali che possono avere aliquote diverse. Tendenzialmente l’aumento netto su una pensione di 1.000 euro potrebbe essere intorno a 11-12 euro mensili. Deve essere considerato che tenendo a mente gli aumenti di luce e gas che a loro volta stanno impattando sulle materie prime ad oggi trasportate su strada, questo aumento è pressoché annientato.

Inflazione in risalita ad agosto, ma la stagione turistica è positiva

Anche Istat lo conferma: ad agosto il tasso di inflazione è risalito all’1,2%, dopo che a luglio era stata dell’1,1%. L’indice nazionale dei prezzi al consumo aumenta su base mensile con una crescita dello 0,3%.

Motivo principale di questo lieve aumento è la crescita del prezzi dei beni energetici non regolamentati, arrivata a +4,3%, dal 2,1% del mese precedente, ma anche la dinamica dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti, ora a +4,4%, rispetto al 3,2% di luglio.

Ciò significa che, al netto dei beni nergetici e degli alimentari, l’inflazione sale di due decimi di punto percentuale (+1,0% da +0,8% di luglio), mentre quella al netto dei soli beni energetici si attesta a +0,9% (come nel mese precedente). L’incremento su base mensile dell’indice generale è dovuto in larga parte ai rialzi dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+3,4%), il cui andamento è influenzato da fattori stagionali. L’inflazione acquisita per il 2017 è pari a +1,4% per l’indice generale e +1,0% per la componente di fondo.

Si legge nella nota Istat: “La risalita di inflazione ad agosto si riflette solo in parte nel carrello della spesa, che vede aumenti dei prezzi dimezzati rispetto all’indice generale. I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, infatti, crescono dello 0,1% su base mensile e dello 0,6% su base annua (era +0,8% a luglio), secondo i dati definitivi Istat, a fronte di un aumento dell’indice generale dei prezzi dell’1,2% su base annua. In particolare, i prezzi degli alimentari aumentano dello 0,1% sul mese e rallentano la crescita annua (al +0,7%, dal +0,9% di luglio)”.

Agosto ha anche visto aumentare i prezzi relativi alle vacanze, a cominciare dai servizi ricettivi, ricreativi e dei trasporti, che testimoniano un buon andamento dei consumi turistici, segnale che è stata una buona annata. Anche se, a parte questi segnali più che positivi, la domanda interna continua ad essere debole.

A condizionare l’indice di agosto sono stati soprattutto fattori esterni e stagionali, con un aumento del +2,5% su agosto 2016 della voce abitazione, acqua, elettricità e combustibili.

È la conferma che il miglioramento attuale della congiuntura italiana è dovuto, in primo luogo, ad un contesto internazionale più favorevole, di cui beneficia anche il turismo. La nostra economia, però, resta distante dal suo potenziale ed anche la dinamica dei prezzi resta pilotata al ribasso dall’ampia disponibilità di fattori produttivi non utilizzati. Occorre consolidare e rafforzare la ripresa in atto per determinare un miglioramento stabile dell’economia, vedremo se la manovra di bilancio sarà in grado di essere d’aiuto”.

Vera MORETTI

La spending review non abbassa la spesa pubblica

Un’analisi condotta dall’Ufficio Studi della CGIA ha rilevato che, nonostante la spending review abbia cominciato ad influire sulla spesa, quest’ultima non è ancora scesa e, anzi, continuando a salire, sta influendo ancora una volta sui cittadini.

Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, ha dichiarato in proposito: “Le uscite correnti al netto degli interessi continuano ad aumentare, in particolar modo, a causa della spesa pensionistica e delle prestazioni sociali. Se in una fase di crisi economica l’incremento delle misure a sostegno del reddito di chi si trova in difficoltà è più che giustificabile, lo è molto meno quello per le pensioni. Con l’ultima Legge di bilancio, ad esempio, è stata estesa la 14esima mensilità per i pensionati a basso reddito, è stata innalzata la no tax area Irpef per gli under 74 e sono state aperte delle finestre in uscita attraverso l’Ape. Misure che, in larga parte, non prevedono una copertura finanziaria sufficiente”.

Ha poi aggiunto il segretario della CGIA, Renato Mason: “Tra il 2000 e il 2016 solo in un anno, il 2009, il saldo primario, dato dalla differenza tra le entrate totali e la spesa pubblica totale al netto degli interessi sul debito pubblico, è stato negativo. In tutti gli altri anni, invece, è stato di segno opposto. Ovvero, la spesa primaria è stata inferiore alle entrate. A ulteriore dimostrazione che in questi ultimi decenni l’Italia ha mantenuto l’impegno di risanare i propri conti pubblici, nonostante gli effetti della crisi economica siano stati più pesanti qui da noi che altrove”.

Analizzando i dati, alla fine del 2017 si prevede che il contributo alla riduzione dell’indebitamento netto rispetto al 2013 sarà di 30,4 miliardi di euro. Oltre la metà di questo sforzo, pari a 16,4 miliardi (il 54,1% del totale), verrà richiesto alle Regioni e agli Enti locali.
Ciò significa che lo Stato comincia a tagliare, anche se il sacrificio più grande viene richiesto alle strutture periferiche, e soprattutto a quelle guidate dai Governatori.

La conseguenza è stata un taglio dei servizi e/o un aumento delle tariffe, che, pur non andando ad alimentare la pressione fiscale, comunque hanno un impatto negativo sui bilanci delle famiglie e delle imprese.

Infatti, tra il 2013 e il 2016 l’andamento delle tariffe regolamentate a livello locale sono aumentate in misura spesso ingiustificata. Se le bollette dell’acqua/fognatura sono aumentate del 20% circa, il servizio di asporto rifiuti è salito dell’8,4, i trasporti multimodali del 5,5, l’iscrizione alle scuole secondarie del 5,1, le mense scolastiche del 4,2, i biglietti dell’autobus del 3 e quelli dei taxi del 2,8.
Al contrario, l’inflazione in questo triennio è aumentata solo dello 0,2%.

Vera MORETTI

Tutti i limiti del Quantitative Easing

Quante sono le aziende italiane che, a oggi, hanno ancora problemi di liquidità a causa della stretta dei prestiti alle imprese da parte delle banche? Moltissime, e questo nonostante il famigerato Quantitative Easing – l’acquisto massiccio di titoli da parte della Bce per riportare il tasso di inflazione al 2% e far respirare l’economia – messo in opera dalla Banca Centrale Europea da quasi un anno, dal 9 marzo 2015.

I 60 miliardi al mese (oltre 713 miliardi da un anno a questa parte) acquistati dalla Bce sembrano dunque non bastare, come testimonia anche una ricerca dell’Ufficio Studi della Cgia sul Quantitative Easing i cui risultati a un anno dall’avvio sarebbero “deludenti”.

Dallo studio della Cgia emerge che, nonostante il Quantitative Easing, nell’ultimo anno il livello medio dei prezzi nell’Eurozona è aumentato solo dello 0,1% e i prestiti alle società non finanziarie (le imprese)sono calati dello 0,7%.

Entrando nel dettaglio dei vari Paesi, lo studio evidenzia gli scarsi effetti del Quantitative Easing anche in Paesi con prospettive di crescita più forti come Germania e in Francia, che registrano tassi di inflazione del +0,2% e del +0,1%.

Nel nostro Paese, nonostante l’acquisto da parte della Bce di oltre 87 miliardi di titoli di Stato italiani, l’inflazione nell’ultimo anno ha fatto segnare un +0,2% e i prestiti alle imprese un -2,3%. Per non parlare dei Paesi deflazione: Slovenia (-0,8% per i prezzi), Spagna e Lituania (-0,5%), Slovacchia (-0,4%) e Finlandia (-0,1%).

Al momento, insomma, la soglia del 2% ipotizzata dalla Bce rimane irraggiungibile e il Quantitative Easing si dimostra tutt’altro che efficace.