Divieto utilizzo camini e stufe a pellet: cosa c’è di vero?

Periodicamente sono lanciati allarmi circa il divieto di utilizzo di camini e stufe a pellet e legna in quanto troppo inquinanti. Si tratta di una notizia non veritiera e fa riferimento al regolamento di alcune regioni italiane, che però non hanno vietato stufe e camini, ma semplicemente hanno imposto dei parametri da rispettare.

Perché si è diffusa la notizia del divieto utilizzo camini e stufe a pellet?

L’Unione Europea negli ultimi tempi sta dettando numerose norme volte a contrastare l’inquinamento ambientale, tra queste vi è il divieto di immatricolazione di autocon motore endotermico (gasolio, benzina) dal 2035. In secondo luogo vi è il divieto di installazione di caldaie a gas già a partire dal 2025. In questo caso trattasi di notizie vere ed è possibile conoscere gli approfondimenti leggendo gli articolo:

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Proprio per questo, quando è stata lanciata la notizia del divieto per camini e stufe a pellet sono in molti ad averci creduto. In realtà anche a livello europeo per ora non vi sono notizie in tal senso. Per quanto invece riguarda le norme restrittive, esse sono state adottate da 4 Regioni: Lombardia, Veneto, Toscana ed Emilia Romagna.

Le norme restrittive per l’uso di camini e stufe a pellet

La Lombardia prevede l’obbligo:

  • per le nuove istallazioni di utilizzare generatori almeno 4 stelle;
  • divieto di utilizzo dei generatori/bruciatori più inquinanti quindi con 0, 1 oppure 2 stelle;
  • obbligo di utilizzo di pellet di qualità certificato conforme alla classe A1 della norma UNI EN ISO 17225-2 da parte di un Organismo di certificazione accreditato.

Il Veneto ha adottato una normativa simile, dal 2017 è in vigore il divieto di usare generatori di calore domestici a biomassa legnosa di classe 0, 1, 2, 3 stelle con potenza nominale inferiore a 35 kW. In Piemonte, e in particolare nelle zone “Agglomerato di Torino”, “Pianura” e “Collina” dal 2019 c’è lo stesso divieto.

Per l’Emilia Romagna il regolamento è più complesso, infatti è vietato l’uso di generatori di calore domestici alimentati a massa legnosa con potenza nominale inferiore a 35 kW con classe inferiore a 3 stelle. Nel caso in cui il livello di inquinamento particolarmente elevato il divieto scatta anche sotto le 4 stelle. Tali norme valgono solo nei comuni ubicati sotto i 300 metri di altitudine.

Infine c’è la Toscana nei comuni nei quali vi è un elevato livello di PM10 è vietato l’utilizzo di generatori con classe inferiore a 3 stelle. Tale divieto non trova applicazione nelle abitazioni in cui la biomassa sia l’unica fonte di calore e in quelle ubicate a una quota superiore ai 200 metri sul livello del mare.

Direttiva case green: ecco chi dovrà ristrutturare casa nei prossimi anni

I cambiamenti climatici sono diventati una vera emergenza e la prima causa è l’inquinamento. Secondo le stime dell’Unione Europea un terzo delle emissioni inquinanti deriva dagli immobili e il 75% degli edifici è poco efficiente. Proprio per questo è in arrivo la direttiva case green dell’Unione Europea che prevede diverse tappe entro le quali si dovrà arrivare alle emissioni zero. Ecco cosa prevede la normativa.

Case green: ristrutturazione entro il 2030 per il 60% degli edifici

La nuova direttiva dell’Unione Europea sulle case green dovrebbe essere approvata il 24 gennaio 2023 dalla Commissione Energia, in seguito dovrebbe essere l’approvazione definitiva del Parlamento nel mese di marzo 2023. In base alle bozze circolanti dovrebbe prevedere un’importante stretta sulle case inquinanti che dovranno essere man mano eliminate anche attraverso lavori volti all’efficientamento energetico.

La direttiva prevede diversi obiettivi, in primo luogo entro il 2030 tutti gli edifici dovranno essere almeno in classe energetica E, hanno tali caratteristiche edifici costruiti dagli anno 80-90 in poi. Oggi in Italia il 60% degli edifici è in realtà in una classe energetica inferiore rispetto alla E, di conseguenza sarà necessario effettuare degli interventi che possano riequilibrare. Proprio per questo motivo molti sottolineano che se la direttiva UE sulle case green dovesse essere confermata, saranno necessari molti interventi di ristrutturazione che possano prevedere un cappotto termico interno o esterno, la sostituzione dei vecchi infissi, l’installazione di pannelli fotovoltaici o comunque altri interventi in grado di migliorare le prestazioni energetiche.

Questo non è l’unico obiettivo, infatti entro il 2033 si dovrà invece arrivare a edifici tutti in categoria almeno D, il consiglio quindi è effettuare direttamente lavori che possano portare a tale classe energetica.

Sanzioni previste

In base al piano attualmente in approvazione entro il 2040 o 2050 sarà necessario arrivare ad emissioni zero, un obiettivo davvero molto importante e non semplice da realizzare. Naturalmente i nuovi edifici dovranno essere già costruiti con criteri green.

Dalla bozza della direttiva sono state eliminate le sanzioni inizialmente previste in caso di mancato adeguamento, tra cui l’impossibilità di concedere l’immobile in locazione o effettuare compravendite, ma questo non vuol dire che non saranno applicate, infatti spetterà agli Stati Membri curare l’esecuzione della direttiva anche attraverso delle sanzioni volte a “punire” i proprietari di immobili residenziali che non dovessero adeguarsi alla direttiva.

Occorre sottolineare che l’effetto immediato dell’entrata in vigore della direttiva green sugli edifici a uso residenziale sarà la riduzione del valore degli immobili che non rispettano i requisiti.

Immobili esonerati dall’obbligo

Sono esonerati dall’applicazione della disposizione:

  • gli immobili di interesse storico, nella versione iniziale della bozza non era prevista questa possibilità, ma questo avrebbe messo in difficoltà soprattutto l’Italia in quanto ha un parco di edifici storici ampio e quindi si presentava il rischio di deturpare il panorama o comunque rovinare siti di interesse storico archeologico con l’uso di pannelli fotovoltaici oppure con coibentazioni. Tale esenzione riguarderà soltanto gli edifici il cui interesse storico è stato dichiarato, cioè dove è presente un vincolo;
  • Saranno inoltre esentate chiese ed edifici di culto, in questo caso senza particolari limitazioni o requisiti;
  • potranno essere esentate le seconde case a patto che siano abitate per meno di 4 mesi l’anno, ad esempio la casa in montagna o al mare;
  • L’ultima esenzione spetta alle case indipendenti di dimensioni inferiori a 50 metri quadri.

Ricordiamo che, anche se in misura limitata, è possibile ancora sfruttare il Superbonus al 90% per il recupero di due classi energetiche.

Superbonus 110%: quali benefici ha portato all’economia del Paese?

Il Superbonus 110% è ormai attivo da oltre due anni. Nel frattempo tante precisazioni normative e cambiamenti, ma di fatto sono molti a ritenere che non si sia trattato solo di un costo, ma di un volano per l’economia del Paese. Ecco i dati più rilevanti.

Bonus 110%: tra i benefici l’aumento del Pil

Il superbonus 110% è la misura che consente di realizzare lavori trainanti e lavori trainati usufruendo di detrazioni fiscali fino al 110% oppure cedendo il proprio credito alle imprese e agli istituti di intermediazione bancaria. Ricordiamo a questo proposito che le regole per la cessione sono diventate man mano più rigide al punto che molti istituti di intermediazione, per evitare di ricadere in responsabilità gravi, chiedono in video per l’asseverazione dei lavori.

Presupposto per poter ottenere il Superbonus 110% è il recupero di almeno due classi energetiche. Il costo in detrazioni speso dallo Stato fino ad ora è di 38,7 miliardi di euro, ma secondo i dati Nomisma, questo esborso avrebbe anche permesso di recuperare un valore economico di 124,8 miliardi di euro, pari a 7,5% del Pil nazionale.

Benefici del Superbonus: riduzione dell’inquinamento

Dai dati emerge anche che gli interventi realizzati hanno consentito una riduzione di 979mila tonnellate di CO2, pari ad un risparmio di CO2 del 46,4%. Il 50% delle installazioni di pannelli fotovoltaici ha riguardato proprio interventi con il Superbonus 110%. La produzione di kW riferibile a questi interventi è di 106 milioni annui e si conta con i cantieri aperti di raggiungere ulteriori 37 milioni.

Leggi anche: Superbonus: si può avere per l’installazione di sistemi di accumulo per fotovoltaico?

Occupazione e recupero urbanistico nelle periferie degradate

Il Superbonus 110% ha portato benefici anche ai livelli di occupazione, infatti ha generato 634 mila occupati. L’intervento ha favorito non solo famiglie con reddito alto, ma ben 438 mila famiglie con reddito medio-basso, cioè inferiore a 1.800 euro mensili.

Secondo il Consiglio Nazionale degli Ingegneri un altro elemento positivo del Superbonus è dato dal fatto che ha consentito di rinnovare il parco edile italiano che in larga parte è stato costruito prima del 1977 e che ha dispersioni termiche notevoli. In questa direzione va anche l’Unione Europea che ha intenzione di obbligare i singoli Paesi Membri ad adottare misure simili.

Deve, infine, aggiungersi che il Superbonus ha contribuito al recupero del patrimonio edilizio di periferia, in molti casi gli interventi hanno riguardato edifici fatiscenti e datati dove eseguire lavori era impensabile, ad esempio anche gli IACP. Il recupero del patrimonio edile ha consentito anche un notevole risparmio di suolo visto che si sono evitate nuove costruzioni.

Sono aumentati gli introiti nelle casse comunali al seguito del pagamento di diritti di segreteria per Cilas, Scia, Permesso a costruire.

Nuovi dati Istat: il settore automobilistico non è così inquinante come sembra

Se le ultime decisioni dei governi di tutto il mondo, Europa compresa, dicono una cosa, i nuovi dati Istat ne mettono in luce un’altra. L’argomento è la transizione elettrica per il settore automobilistico. Ormai è chiaro che la mobilità su gomma andrà nella direzione della sostenibilità ecologica. Entro il 2035 le auto a trazione elettrica diventeranno le uniche in commercio, e questo per lo meno per quanto riguarda i nuovi veicoli. Ma è davvero così necessario poi rivoluzionare completamente il settore? È così necessario pensare alla completa eliminazione delle auto tradizionali, le auto a combustione o endotermiche?

Secondo l’Istat produrre auto non pare così inquinante

Stando a quanto dice l’Istat, probabilmente è una esagerazione. E se non dal punto di vista dell’impatto ecologico per la circolazione dei veicoli, quanto meno per i cicli produttivi delle fabbriche di veicoli in generale. È ciò che possiamo benissimo anticipare, giudicando i dati che l’Istat ha appena fornito nel suo consueto rapporto annuale.

Il rapporto annuale Istat 2022 e l’inquinamento del settore automobilistico

In 10 anni, cioè da inizio 2010 a fine 2019, l’impatto del settore automobilistico sull’inquinamento non è stato così grave come sembrerebbe in base alle ultime previsioni sulla mobilità elettrica. E ciò che emerge dal consueto rapporto annuale 2022 da parte dell’Istituto nazionale di statistica. Come si legge sul sito “motor1.com”, sulle circa 300 pagine del rapporto dell’Istituto, spesso esce fuori l’argomento automobile o autoveicoli in genere. Ma il collegamento di questi argomenti con l’inquinamento che sicuramente farà notizia. In effetti, almeno secondo i dati dell’Istat, emerge a chiare lettere che l’industria automobilistica in Italia non sia così inquinante, o per lo meno, lo sia in misura inferiore a tanti altri settori, di cui si parla poco da questo punto di vista. Il fatto è che sul settore Automotive l’attenzione è massimale per via della transizione elettrica che porterà al cambio della trazione delle auto e dei veicoli.

Cosa e come inquina il settore dell’auto rispetto a tanti altri settori

Ciò che va detto però è che l’argomento trattato dal sito prima citato non riguarda la circolazione dei veicoli, che poi è alla base delle operazioni dei governi che puntano alla transizione elettrica. Infatti si parla di inquinamento durante i cicli produttivi delle auto e dei veicoli in genere. Produrre auto non è inquinante come altri cicli produttivi di altri settori. Infatti secondo i dati dell’Istituto, i settori della metallurgia, dell’agricoltura e della navigazione sono i più nocivi a livello ambientale. Come inquinamento dei cicli produttivi il settore automobilistico inquina meno anche di quelli dediti alla produzione di minerali non metalliferi. E pari anche al settore dell’aviazione, del legno e sughero e degli alimenti e bevande.

Cambiare conviene? Tutti i dubbi che molti si pongono

In altri termini il settore automobilistico dal punto di vista dei cicli produttivi ha un basso impatto ambientale, alla pari di altri settori come il tessile, l’abbigliamento e i settori di manifatturieri in genere. Resta il fatto che per i governi la circolazione delle auto a benzina o a gasolio inquina molto e pertanto si cerca di intervenire cambiando. Ma occorrerà cambiare anche il ciclo produttivo. Infatti una cosa è produrre auto a propulsione endotermica, un’altra sarà produrre auto elettriche. Con la speranza che l’impatto ambientale della produzione delle nuove auto elettriche sia lo stesso di quelle delle auto attuali.

La circolazione dei veicoli impatterà di meno, questo è certo

Una cosa tutt’altro che è certa dal momento che in molti mettono in luce il fatto che produrre auto elettriche potrebbe essere più inquinante di produrre auto a propulsione termica, cioè le attuali benzina e gasolio. Senza considerare poi eventuali problematiche relative allo smaltimento delle nuove batterie per auto a trazione elettrica. In altri termini, siamo alla fonte di un grande cambiamento, che potrebbe non essere benefico come si immagina. Resterebbe di fatto solo la diminuzione delle emissioni inquinanti di C02 da circolazione con le auto. Perché sui cicli produttivi sono chi conosce bene la materia oggi è autorizzato a fare previsioni.