L’Italia non è un Paese per giovani

L’Italia continua ad essere ostile ai giovani, nonostante sia ormai chiaro che, se non si dà loro lo spazio che meritano, si mette a repentaglio il futuro di un intero Paese, troppo ancorato su convinzioni e tradizioni ormai obsolete.

La Cgia Mestre ha confermato questo trend, che non accenna a calare né tantomeno ad invertire la rotta, mettendo in evidenza un preoccupante squilibrio tra gli assegni staccati ai pensionati e gli investimenti destinati all’istruzione.

Dati alla mano, è emerso che l’Italia è il Paese europeo che spende di più per pagare le pensioni (poco meno di 270 miliardi di euro, pari al 16,8% del Pil) ed è, invece, al penultimo posto per le risorse destinate alla scuola (65,5 miliardi di euro corrispondenti al 4,1% del Pil).
Ciò significa che la spesa pensionistica del Belpaese è quattro volte superiore a quella scolastica.

Ma non basta. In nessun altro Paese dell’Unione europea, il gap tra questi due capitoli di spesa risulta così marcato.
La media europea si attesta a 2,6, con pensioni che costano mediamente 2,6 volte ciò che costa l’istruzione), mentre in Paesi come la Francia e la Germania, dove il numero complessivo dei pensionati risulta addirittura superiore al nostro, il rapporto tra spesa pensionistica e spesa scolastica è rispettivamente di 2,7 e 2,5.

Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha aggiunto: “I dati riferiti all’Italia sono in parte condizionati dal trend demografico. Tuttavia, non possiamo disconoscere che le politiche di spesa realizzate negli ultimi quarant’anni abbiano privilegiato, in termini macroeconomci, il passato, ovverosia gli anziani, anziché il futuro, cioè i giovani”.

Vera MORETTI

In aumento testamenti e lasciti solidali

In un continente, l’Europa, che vede aumentare il numero di coloro che decidono di fare testamento, contribuendo all’aumento dei lasciti solidali, l’Italia è il paese che meglio tutela i diritti degli eredi per tradizione e cultura, mentre si piazza tra gli ultimi per il numero di testamenti redatti.

Parlando di numeri, solo l’8% degli italiani ha già fatto testamento, posizionandosi tra i fanalini di coda nel vecchio continente, davanti solo a Spagna, 7%, e Francia, 5%.
Il primato, al contrario, spetta al Regno Unito con una quota del 48%, a seguire l’Olanda (32%), la Germania, che registra il 28% e a seguire il Belgio (25%) e la Scandinavia (20%).

Sono in crescita anche i cittadini europei che inseriscono nel proprio testamento una donazione per una buona causa, e in Italia sono 9 milioni coloro che seguono questo filone, tanto che i lasciti solidali sono aumentati, in 10 anni, del 10%.

Benché, dunque, il Regno Unito sia in testa per numero di testamenti redatti, l’Italia è tra i paesi che meglio tutelano i diritti e il futuro dei propri cari.
Infatti, la possibilità di donare una parte del proprio patrimonio a favore di cause benefiche nel nostro paese non lede i diritti dei familiari, ben garantiti dalla previsione nel nostro ordinamento giuridico della quota legittima, che stabilisce a seconda della composizione del nucleo familiare la parte che spetta a ciascun erede.

Nel Regno Unito, all’opposto dalla nostra cultura giuridica, non è previsto nessun vincolo di destinazione verso i familiari.

Rossano Bartoli, portavoce del comitato Testamento Solidale e segretario generale Lega del Filo d’Oro, ha dichiarato in proposito: “Il comitato Testamento Solidale, con la campagna di informazione su modalità e possibilità di donazioni vuole diffondere e far crescere la cultura dei lasciti solidali in Italia, aiutando a sfatare tabù, come dimostrano gli esempi positivi nel resto d’Europa. Celebriamo oggi insieme, per il secondo anno, la Giornata Internazionale dei Lasciti per ricordare a tutti la possibilità di contribuire concretamente in favore di cause sociali, scientifiche ed umanitarie con un gesto semplice”.

Albino Farina, Consigliere Responsabile dei Rapporti con il Terzo Settore e con le Associazioni dei Consumatori del Consiglio Nazionale del Notariato, ha spiegato: “Oggi, i cittadini desiderosi di avere informazioni corrette sulle regole che i singoli Paesi Europei si sono dati in materia di successioni, possono attingerle dal portale www.succession-europe.eu, creato con il contributo dei notai europei. Gli italiani sono sempre più interessati ad approfondire il tema dei lasciti solidali, in ciò il ruolo “sociale” del notaio diventa decisivo per fornire una consulenza adeguata, senza alcun vincolo o impegno”.

Vera MORETTI

Le 10 verità sulla competitività dell’Italia

L’Italia è tra i cinque Paesi che, al mondo, possono vantare un surplus commerciale manifatturiero superiore a 100 miliardi di dollari.

Questo dato è una delle 10 verità che riguardano la competitività del Belpaese, secondo un’indagine condotta da Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison, illustrata da Marco Fortis, vicepresidente Fondazione Edison, e Ermete Realacci, presidente di Symbola, e che punta a “sfatare i tanti luoghi comuni che non rendono giustizia al nostro Paese e rischiano di distogliere l’attenzione dai suoi reali problemi. Dal 2008 il nostro fatturato estero manifatturiero è cresciuto (+16,5%) più di quello tedesco (+11,6%)”.

Oltre all’Italia, gli altri quattro Paesi sono Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud, mentre Francia (-34 mld), Gran Bretagna (-99) e Usa (-610) vedono la bilancia commerciale manifatturiera pendere al contrario, secondo i dati del Wto.

Le altre nove verità sulla competitività dell’Italia sono le seguenti:

  • Le imprese italiane sono tra le più competitive al mondo. Su un totale di 5.117 prodotti nel 2012, l’Italia si è piazzata prima, seconda o terza al mondo per attivo commerciale con l’estero in ben 935 (dati Istat, Eurostat, Un Comtrade).
  • L’Italia è tra i paesi avanzati che, nella globalizzazione, ha conservato maggiori quote di mercato mondiale. Mantenendo, dopo l’irruzione della Cina e degli altri Brics, il 71% delle quote di export rispetto al 1999: come gli Usa, mentre il Giappone le ha viste ridotte al 67%, la Francia al 61%, la Gran Bretagna al 55% (dati Wto).
  • Il modello produttivo italiano è tra i più innovativi in campo ambientale. Per ogni milione di euro prodotto dalla nostra economia emettiamo in atmosfera 104 tonnellate di CO2, la Spagna 110, il Regno Unito 130, la Germania 143. Più efficienti anche nel campo dei rifiuti: con 41 tonnellate ogni milione di euro prodotto distanziamo di parecchio anche la Germania (65 t).
  • L’Italia è, in Europa, la meta preferita dei turisti extraeuropei. Il primo paese dell’eurozona per pernottamenti di turisti extra Ue, con 54 milioni di notti. Meta preferita di paesi come la Cina, il Brasile, il Giappone, l’Australia, gli Usa e il Canada (dati Eurostat).
  • La zavorra del Pil italiano non è certo la competitività dell’industria, ma il crollo della domanda interna. Il fatturato interno dell’industria manifatturiera italiana ha perso il 15,9% rispetto al 2008, contro lo 0,3% della Germania e a fronte di una crescita del 4,6% in Francia.
  • La crescita degli altri paesi non è fatta di sola competitività, ma anche di debito. Un ruolo decisivo, infatti, lo ha avuto proprio l’aumento del debito: quello aggregato (pubblico e privato) dell’Italia è cresciuto del 61% rispetto al Pil tra il 1995 e il 2012, mentre quello francese cresceva dell’81%, quello britannico del 93%, quello spagnolo del 141% (dati Eurostat).
  • Dagli inizi degli anni ’90 ad oggi la ‘quota di mercato’ dell’Italia nel debito pubblico totale dell’eurozona è costantemente calata. Infatti il peso del nostro debito pubblico rispetto al totale del debito pubblico europeo è sceso dal 28,7% del 1995 al 22,1% del 2013 (dati Commissione Europea).
  • Considerando il debito aggregato (Stato, famiglie, imprese) l’Italia è uno dei paesi meno indebitati al mondo: quello italiano pesa il 261% del Pil. Quello del Giappone il 412%, quello della Spagna il 305%, quello britannico il 284%, quello degli Stati Uniti il 264% (dati Banca d’Italia).
  • Dal 1996 ad oggi l’Italia ha prodotto il più alto avanzo primario statale cumulato della storia: 591 miliardi di euro correnti, ben 220 miliardi in più della virtuosa Germania.

Vera MORETTI

Savings and Loans, una crisi dimenticata

Il congresso concesse alle S&L insolventi di non fallire, nel senso che tecnicamente fallirono ma i debiti non vennero ripianati dalle società, come invece accadeva per le banche Americane nelle stesse condizioni. La situazione venne risolta prelevando dalle casse dello stato 124 miliardi di dollari, provenienti dalle tasse degli americani. Solo la rimante parte di circa 29 miliardi di dollari venne effettivamente pagata dalle società fallite. Il totale della crisi fu quindi un buco di 153 miliardi di dollari.
Sono cifre di tutto rispetto, ma che fanno quasi sorridere se confrontate con l’enorme voragine della crisi dei mutui “subprime”. Vanno valutate per quello cui hanno condotto, cioè la terza grande crisi finanziaria in ordine di grandezza e che ha sostenuto la crisi dei mutui subprime che conosciamo.
La stessa FSLIC dichiarò fallimento, pesando per altri 20 miliardi di dollari sui contribuenti.
Tirando le somme, dal 1986 al 1989 la FSLIC chiuse 296 S&L association, la RTC (la compagnia assicurativa creata in seguito al fallimento della FSLIC) dal 1989 al 1995 chiuse 747 istituzioni , in totale furono chiuse 1043 Savings and Loans Assocation. Dal 1986 al 1995 le società di questo genere si ridussero da 3234 a 1645, cioè si dimezzarono circa.
La crisi si risolse abolendo la FSLIC e introducendo un ufficio del ministero del tesoro che ha l’incarico di sorvegliare gli istituti di credito, creando la Saving Association of Insurance and Fund che ha il compito di assicurare i conti bancari presso le S&L fino a 100.000 dollari, attribuendo a Freddie Mac e Fannie Mae (già, proprio loro!) compiti di sostegno alle famiglie con mutui.
Queste ed altre misure hanno riportato fiducia nei mercati, e soprattutto nella possibilità di contrarre i mutui per la casa, che ha fatto da base per il rilancio del settore immobiliare (fino a poco tempo fa, almeno!).
Le Savings and Loans Associations sono piccole banche, con compiti di sostegno alle famiglie. La maggior parte di esse si è trovata a far fronte a situazioni che non sapevano e non potevano gestire, ed hanno iniziato a cercare rendimenti facili che permettessero loro di sopravvivere.
Le misure adottate dal governo Usa non sono state la cura adatta, hanno dato solo una illusione di risoluzione ed invece hanno fatto avvitare sempre più le S&L su loro stesse, amplificando il debito. Probabilmente se fossero state fermate sul principio, il dissesto sarebbe stato di almeno 10 volte inferiore.
 Questa crisi è stata meno pesante di quanto avrebbe potuto ed inoltre non ha quasi intaccato le borse.
Questo non toglie che  la soluzione blanda e complice adottata dal governo americano e il fatto che sia ampiamente intervenuto per ripianare il debito, ha innescato un meccanismo di protezione delle savings and loans che ha portato alla crisi del 2009.
Ovvero si è fatto credere alle banche che possono permettersi di non fallire, facendo pesare i loro errori sui contribuenti.
Il coinvolgimento dei due colossi Freddie Mac e Fannie Mae nella risoluzione della crisi delle S&L non è un caso e non è un caso se proprio questi due pilastri dell’industria dei mutui americana si sono trovati in gravissime difficoltà più recentemente nel 2008, richiedendo l’intervento del governo americano a loro sostegno.
E per fortuna che negli states si parla di liberismo!
Se fossero propensi  all’intervento statale cosa pensate accadrebbe?

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Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Italia-Olanda, connubio hi-tech

In vista di Horizon 2020, tra i progetti avviati c’è anche quello di rafforzare la collaborazione tra Italia e Olanda su settori strategici ed altamente innovativi.
Se n’è parlato durante l’Innovation Forum, organizzato in collaborazione con l’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi in Italia e tenutosi presso la sede di Confindustria, al quale hanno partecipato Alberto Baban, presidente Piccola Industria Confindustria, Emanuele Fidora, direttore generale per la Ricerca del Miur, Jasper Wesseling, vicedirettore generale Imprenditoria e Innovazione del ministero olandese per Affari Economici e l’Ambasciatore dei Paesi Bassi in Italia, Michiel Den Hond.

Nel corso della giornata sono stati presentati i distretti italiani e olandesi più innovativi, con workshop tematici e interattivi dedicati ai settori della High Tech Mobility, dell’Agrofood Processing e del Life Sciences & Health. Inoltre sono state delineate azioni concrete di follow-up volte a rafforzare ulteriormente la collaborazione tra i due paesi come partner nell’innovazione.

Baban ha dichiarato: “L’Olanda è uno dei paesi leader nell’innovazione a livello mondiale e l’Italia vanta delle eccellenze nei settori hi-tech. I cluster italiani sono apprezzati su scala mondiale per la tecnologia e la qualità dei loro prodotti e rappresentano una componente del nostro settore industriale viva e capace di essere sempre più protagonista. Favorire un interscambio di conoscenze ed esperienze con un paese come l’Olanda, in questa fase, può contribuire a rafforzare quella cultura dell’innovazione oggi indispensabile per il rilancio economico e la crescita“.

Ha aggiunto Den Hond: “Sono piacevolmente sorpreso dal livello di interesse e partecipazione che durante questo forum sia le autorità che il settore privato italiani hanno dimostrato verso le conoscenze e le esperienze olandesi. È la dimostrazione che il modello olandese della stretta collaborazione tra autorità, istituti di ricerca, università e aziende, si può estendere anche a una fruttuosa cooperazione con i nostri partner italiani”.

Si tratta di un connubio prestigioso, poiché l’Olanda è uno dei paesi più innovativi, che vanta distretti molto tecnologici come, ad esempio, il Brainport Eindhoven (nominata nel 2011 la regione più intelligente a livello mondiale e più favorevole per gli investimenti dell’Europa dell’Ovest), la Food Valley NL a Wageningen e il Leiden Bio Science Park.

Queste realtà posizionano i Paesi Bassi all’ottavo posto nel campo della ricerca e dell’innovazione, con ben 8 università nella classifica delle top-100, ma anche in Italia ci sono esempi di eccellenza nei settori dell‘hi-tech e l‘obiettivo è crearne di nuovi.

Il nostro paese, infatti, mira al rafforzamento di collaborazioni con partner stranieri anche nell’ottica del perseguimento di obiettivi europei puntando allo sviluppo di cluster nazionali fortemente innovativi.
Le autorità italiane e il settore privato guardano con molto interesse alle conoscenze e alle esperienze olandesi in questi settori in virtù anche della stretta collaborazione tra autorità, istituti di ricerca, università e aziende, una delle chiavi di successo del modello olandese.

Vera MORETTI

2014 in calo per l’export Made in Italy

Brutte notizie per l’Italia dell’export.
L’Istat, infatti, ha reso noti i dati che riguardano le esportazioni riguardanti i prodotti italiani e, a quanto pare, le vendite fuori dalle mura nazionali sono calate, in un anno, dell’1,5%.

A tradire le aspettative sono stati soprattutto i Paesi emergenti, mentre ad impedire all’export Made in Italy una vera e propria debacle è stata l’Europa, anche se è stato impossibile tampinare del tutto l’emorragia.
A preoccupare sono i dati su base mensile, poiché su base annuale i dati sono ancora positivi, anche se per poco: si tratta di un misero +0,2%.

Anche per le importazioni sono stati registrati cali, con una diminuzione, tra dicembre e gennaio, dell’1,6%, ma che aumenta fino al 6,6% se si considera gennaio 2013.

La contrazione degli acquisti avvantaggia, però, la bilancia commerciale, in avanzo di 365 milioni e, di conseguenza, in deciso miglioramento rispetto al “rosso” di 1,8 miliardi del gennaio 2013.
Se a gennaio, su base mensile, il dato italiano dell’export rimane positivo è merito esclusivo delle vendite nell’Unione europea, cresciute del 2,6% in particolare grazie all’exploit in Germania (+3,2%).
Nei Paesi extra-europei, invece, il calo è stato del 2,7%.

Vera MORETTI

Piemonte leader per innovazione

Se gli italiani sono un popolo di creativi, quando si tratta di innovazione storcono il naso e rimangono ancorati alle loro tradizioni.
L’esempio più lampante viene dalla valutazione sull’innovazione appena pubblicata dalla Commissione Europea, che boccia il Belpaese senza possibilità di replica.

Non solo l’Italia non può competere con Svezia, Danimarca, Germania e Finlandia, ovvero i Paesi che, più di altri, hanno dimostrato di voler investire su innovazione e tecnologia, ma a stento tiene il passo con la Grecia, che notoriamente non brilla per essere all’avanguardia.

La problematica principale è la spaccatura tra le regioni, con il Mezzogiorno che arranca e alcune realtà del nord che, invece, si distinguono per progetti e proposte interessanti ed in grado di tener testa ai “primi della classe” a livello europeo.
Esempio lampante è quello di Piemonte, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia, che hanno dimostrato di saper orientare i propri fondi e formare i giovani, ma soprattutto di voler studiare e programmare per ridurre il divario che ancora esiste tra Europa e Stati Uniti e Giappone.
In realtà, il gap si sta assottigliando, anche se molto lentamente, non solo a causa di Paesi ancora molto indietro quanto ad innovazione, ma anche per il passo lungo con cui procedono Paesi come la Corea del Sud, tanto da vantare un tasso di crescita dell’innovazione del 6% nel periodo 2006-2013, quando in Europa è solo del 2,7%.

Antonio Tajani, commissario europeo per l’industria, chiede che vengano introdotte riforme ad hoc: “Quando c’è un fardello fiscale così forte sulle imprese è difficile investire molto in innovazione e ricerca. La Commissione ha sempre raccomandato al governo italiano, e credo continuerà a farlo, di ridurre la pressione fiscale sul sistema produttivo“.

Tra i punti deboli dell’Italia c’è la poca collaborazione tra studenti ed imprese, mentre pubblicazioni scientifiche, brevetti e licenze vendute all’estero rappresentano veri punti di forza del nostro Made in Italy.
A preoccupare, sono soprattutto gli investimenti di venture capital e la spesa per l’innovazione non legata alla ricerca e sviluppo.
La buona notizia riguarda i piemontesi, che sono vicini ai Paesi migliori da almeno quattro anni, con il Mezzogiorno in affannoso recupero nei confronti della Lombardia.

Tajani, a questo proposito, ha dichiarato: “In Piemonte c’è un tessuto industriale forte che ha permesso di resistere meglio alla crisi rispetto ad altre realtà nazionali. La presenza della Fiat è stata importante come tutto il sistema delle piccole imprese, hanno fatto la differenza mentre il Paese faticava“.

Vera MORETTI

A febbraio, aumento per le immatricolazioni auto

Il mese di febbraio ha segnato un incremento delle auto immatricolate nei 28 Paesi Ue dell’8% rispetto allo stesso mese del 2013.
In tutto, le immatricolazioni nei primi due mesi dell’anno sono state 1.796.787 (+6,6%).

I dati sono stati resi noti dall’Acea, l’associazione dei costruttori europei e, in termini di volumi, si tratta del secondo risultato più basso per il mese di febbraio da quando l’Acea nel 2003 ha iniziato le rilevazioni nell’Europa allargata.

L’unico mercato a subire un calo è stato quello francese, con 141,290 immatricolazioni, pari a -1,4% rispetto allo stesso mese 2013.
Tutti gli altri Paesi contribuiscono alla crescita del mercato europeo, con incrementi che vanno dal +3% della Gran Bretagna (68.736) al +4,3% della Germania (209.349) al +8,6% dell’Italia (118.328) al +17,8% della Spagna (68,763).
Nei due mesi la crescita maggiore è in Spagna (+13,1% rispetto all’analogo periodo 2013), seguita da Gran Bretagna (+6,1), Italia (+6%) e Germania (+5,7%).
Unico segno rosso un Francia (-0,5%).

Buone notizie arrivano anche da Fiat Chrysler Automobiles, che ha immatricolato a febbraio in Europa oltre 59 mila vetture, il 5,8% in più rispetto allo stesso mese 2013.
Nel primi due mesi 2014, Fca ha immatricolato oltre 119mila vetture (+1,7% sui 2 mesi 2013), la quota è stata del 6,4% (era 6,7%).

Vera MORETTI

Settore automobilistico: rafforzato connubio tra Italia e Cina

Il legame tra Italia e Cina, almeno per quanto riguarda il settore automotive, sta diventando sempre più stretto.
Ciò grazie ad un evento appena svoltosi a Liuzhou (Guangxi), ovvero il primo China-Italy automotive industry forum, che aveva proprio l’obiettivo di favorire l’incontro e la collaborazione tra le aziende dei due paesi nel settore automobilistico.

Il Forum è stato organizzato dall’organizzazione camerale italiana presente nel paese asiatico e dall’Industrial & Information Technology Commission della municipalità di Liuzhou, in collaborazione con il consolato generale italiano a Canton.

La scelta è caduta su Liuzhou perché la città cinese rappresenta uno dei poli dell’automotive più importanti nel Paese del Sol Levante, la cui storia legata all’industria automobilistica è iniziata alla fine degli Anni 50 e che oggi vanta circa 400 aziende che operano lungo l’intera filiera di settore, con una produzione pari al 7,5 per cento dell’intera produzione cinese di veicoli e all’8,5 per cento dell’intera produzione cinese di motori, con tassi di crescita compresi tra il 20 ed il 30 per cento annui.

L’incontro tra le rappresentanze di Italia e Cina ha rappresentato un’importante occasione per promuovere le capacità italiane nel settore, offrendo alle imprese partecipanti una cornice per favorire la reciproca conoscenza, condividere esperienze, stabilire contatti utili ad avviare collaborazioni.

All’iniziativa, che si è rivelata un vero successo, hanno partecipato 44 aziende cinesi e 13 italiane e ai partecipanti è stata illustrata la situazione del mercato automobilistico cinese, nonchè le caratteristiche e la capacità, in particolare in termini di innovazione, delle aziende italiane nel settore, con una speciale enfasi sulle tecnologie eco-compatibili.

Vera MORETTI

Savings and Loans, una crisi dimenticata

 

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Durante l’amministrazione successiva di Reagan, alle S&L vennero concesse altre liberalizzazioni, con prerogative proprie delle banche, ma non si richiedevano le stesse garanzie alle S&L: pagare tassi d’interesse di mercato su depositi, prendere a prestito denaro della Federal Reserve, di contrarre mutui e prestiti commerciali, concedere credito al consumo, rilasciare carte di credito, possedere immobili.
Per riuscire a fornire ai loro depositanti tassi d’interesse di mercato e quindi uscire dal rischio di insolvenza, le S&L cercarono rendimenti elevati alternativi, investendo in fabbricati e terreni e contemporaneamente concedendo crediti commerciali facili.
Il patrimonio delle S&L Texane aumentò in media di oltre il 50%, alcune lo triplicarono. Anche le società Californiane ebbero un simile sviluppo.

Nel 1986, il Tax Reform Act stabilì di limitare numerose deduzioni fiscali sulle proprietà immobiliari e sugli affitti percepiti, causando la fine del boom degli immobili, poiché venivano acquistati proprio in funzione del vantaggio fiscale che ne derivava. Inoltre i possessori di proprietà furono spinti a svendere i loro immobili.
La costruzione di nuove case crollò da 1,8 milioni a 1 milione, il valore più basso dalla seconda guerra mondiale in poi.

Iniziarono i fallimenti delle S&L texane (14 delle maggiori S&L del paese erano in Texas), una recessione collegata anche alla diminuzione drastica del prezzo del petrolio (-50%) di cui il Texas è produttore. La – organo di supervisione- fu per la prima volta insolvente.

Nel 1988 viene eletto presidente Bush (padre) ma la crisi delle S&L non fa parte del suo programma elettorale. Vengono successivamente aboliti il FHLBB (che aveva compiti di vigilanza) e il FSLIC, creando un nuovo ufficio per la supervisione delle Saving and Loans Associations. Vengono inoltre stanziati 50 miliardi di dollari per far fronte alla crisi; questa sottovalutazione del problema sarà una costante e causerà l’allargamento della voragine. Solo nel 1995 sarà chiaro quanto era grande il buco, ma guardando al passato.

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 Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis