Imprese al Sud più numerose di quelle del Nord

Anche se la crisi si è fatta sentire pesantemente in tutto lo Stivale, una buona notizia, che riguarda le imprese e il loro bilancio relativo al 2013, forse c’è.

A fronte delle 1.053 imprese sorte ogni giorno in Italia durante l’anno scorso, contro le 1.018 costrette, invece, a chiudere i battenti, è stato rilevato che la maggior parte di esse sono nate nelle regioni meridionali.

Unioncamere, a questo proposito, ha reso noto che nel 2013 il numero delle imprese nate ha superato il novero di quelle cessate, 384.483 contro 371.802, producendo un saldo positivo dello 0,2%, che comunque rimane il più basso dall’inizio della crisi.

Ciò che rimane evidente è la presenza sempre più massiccia di imprese al Sud, con buona pace del produttivo Nord-Est, da sempre locomotiva dell’economia e dell’industria italiane, ma ora in affanno.

Nel Mezzogiorno sono andate particolarmente bene le imprese che operano nel commercio, nell’alloggio e nella ristorazione, ma anche nei servizi per le imprese.
Male invece l’agricoltura , che ha visto ben 30mila imprese del settore chiudere definitivamente.

Guardando la situazione nel dettaglio, si capisce che la situazione non è certo rosea, poiché risale al 2010 un tasso di crescita delle imprese superiore all’1%, nonostante le tipologie di appartenenza presentino dati a volte completamente diversi.

Complessivamente la bilancia tra crescita e decrescita è equilibrata: esattamente il 50% delle regioni italiane ha un tasso di crescita positivo, mentre le restanti 10 ravvisano un trend negativo.
Quello che stupisce maggiormente però non sono tanto le percentuali, quanto i cambiamenti in atto nelle singole aree geografiche, e il caso del nord est è certamente il più eclatante.

In questo caso, i numeri sono eclatanti: nel territorio da sempre considerato il più fecondo, almeno nei confini nazionali, nel 2013 sono state chiuse 77.835 aziende, contro 70.000 nuove attività aperte, registrando il maggior tasso di decrescita del paese, -0,54%, in particolare in Veneto e Friuli Venezia Giulia, anche rispetto al 2012, dove ci si era attestati intorno allo -0,41%.

Passando alle singole regioni, la metà “in crescita” del paese non sembra più rispecchiare dunque la tradizionale dicotomia nord-sud. Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Veneto, Friuli Venezia Giulia e il fanalino di coda la Valle d’Aosta, sono cresciute di meno rispetto a Sardegna, Abruzzo, Marche e Basilicata.
La Campania è al secondo posto, con un tasso di crescita che si avvicina all’1%, superando la Lombardia e persino il Trentino alto Adige, all’ottavo posto in classifica.

Le note positive che arrivano dal sud si odono inoltre ancora di più osservando la situazione dal punto di vista delle società di capitale.
Qui le prime otto posizioni sono occupate da regioni meridionali, prime fra tutte la Basilicata, il Molise e la Calabria; per incontrare la prima regione del nord bisogna scendere al dodicesimo posto con il Trentino Alto Adige, con un di tasso di crescita annuo equivalente alle metà di quello della Basilicata.

Secondo dati forniti dal rapporto della Banca d’Italia, a livello regionale il sistema degli interventi per l’innovazione si caratterizza per una estrema frammentazione delle iniziative.
Secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, nei vari governi che si sono alternati dal 2006 al 2011, oltre l’85 per cento delle misure economiche nel settore dell’innovazione si è concentrato al Centro-Nord, provocando un maggior ricorso ai Fondi strutturali europei da parte delle regioni meridionali.

Ciò che colpisce maggiormente è ancora una volta la coda della classifica. Sette su dieci delle ultime posizioni sono occupate da province del Nord Italia, e tra queste alcune di quelle storicamente più produttive, come Belluno, che ha visto nell’ultimo cinquantennio nascere l’industria dell’occhiale. Oppure come la roccaforte dell’industria romagnola di Forlì-Cesena é precipitata alla penultimo posto.

Vera MORETTI

Made in Italy vs Made in France

Made in Italy al centro di un’indagine commissionata da Saatchi & Saatchi Italia e condotta da Hotspex, per stabilire se davvero rappresenta sinonimo di qualità e tradizione nel mondo, partendo dai mercati esteri più influenti, ovvero Stati Uniti e Cina.

La ricerca, denominata Rebranding Made in Italy, ha messo a confronto i prodotti italiani con quelli francesi, e ciò che è emerso ha lasciati stupiti.
Nonostante, infatti, il Made in Italy sia ammirato e ricercato nel mondo, sembra che sia ancora poco compreso nella sua totalità, poiché non traspare uno dei cardini stessi dell’essenza italiana, ovvero la passione.

All’estero, infatti, i prodotti italiani vengono considerati privi di personalità e di fascino, che, invece, sembrano maggiormente caratterizzare i prodotti Made in France.

Per questo motivo, in Cina i cugini d’oltralpe ci battono nel confronti diretto, mentre negli States la vittoria è per il Belpaese, per affidabilità e buona fattura, ma ancora non traspare la carica emotiva italiana.

Insomma, c’è molto da dimostrare e da migliorare e, quando finalmente tutte le potenzialità verranno espresse, non avremo più rivali.

Vera MORETTI

Il successo dell’high-tech anche in Europa

Anche il Vecchio Continente si sta attrezzando per essere competitivo nel settore dell’high-tech, come ha anche confermato la ricerca “High Technology Employment in the European Union“ presentata recentemente a Bruxelles.

A crescere sono anche le risorse impiegate nel comparto, dove a quanto pare le proposte di lavoro non mancano, ed abbracciano tutti i macro settori in esso compresi, da quello scientifico a quello matematico, fino ad arrivare al tecnologico ed ingegneristico.
In questo campo, l’unico a dir la verità, la richiesta di lavoro è cresciuta del 20% nel periodo 2000-2011, più del doppio rispetto alla crescita totale dell’occupazione.

E proprio queste cifre, in costante aumento, hanno permesso al settore dell’high-tech di arrivare a ricoprire il 10% dell’occupazione totale nell’Unione Europea.
Questo bilancio positivo riguarda anche l’Italia, dove è stato registrato un incoraggiante, e sorprendente, +28,5% dal 2000 ad oggi, con particolare concentrazione nelle regioni del nord, Lombardia ed Emilia Romagna in testa, e nel Lazio.

A vantaggio del comparto ci sono anche i salari: forse anche a causa di una elevata preparazione accademica e professionale, coloro che lavorano nel settore percepiscono stipendi elevati rispetto agli altri ambiti, e in Italia può raggiungere picchi del 20% in più.

E non è tutto, poiché dal 2005 al 2010 la crescita dei salari dei lavoratori high-tech è stata più alta della crescita media dei salari totali in 20 dei 26 paesi europei considerati.
In Italia, i salari di questo settore sono cresciuti del 4,4%, il doppio degli impieghi non high-tech.

Ma i vantaggi derivano anche da altri fattori, a cominciare dagli effetti secondari che l’high-tech ha sull’economia: le analisi stimano che, a livello locale, la creazione di un impiego high-tech crea un effetto moltiplicatore, ed è associata alla creazione di più di 4 posti di lavoro in altri segmenti non high-tech, nella stessa zona (il risultato è statisticamente significativo all’ 1%).
In breve, la forza lavoro high-tech genera una somma considerevole di reddito, aiutando a sostenere le economie locali.

Vera MORETTI

Italia seconda solo alla Germania per innovazione

Italia tradizionalista, ancorata al passato e poco innovativa?
A quanto pare no, se, guardando i dati del Trade Performance Index dell’Unctad-Wto, secondo i quali il Belpaese si piazzerebbe secondo dietro alla sola Germania per numero di migliori piazzamenti nelle 14 classifiche 2012 di competitività relative ad altrettanti settori del commercio mondiale.

Ciò che stupisce maggiormente è che, dopo Germania e Italia, c’è praticamente il vuoto, se si pensa che il terzo Paese europeo più competitivo, l’Olanda, ha ottenuto solo tre secondi posti, un terzo e un quarto posto, per quanto riguarda i piazzamenti di vertice, contro tre primi posti, tre secondi posti, un terzo posto e un sesto posto dell’Italia.

Le buone notizie non finiscono qui, perché, dei 935 prodotti in cui l’Italia è prima, seconda o terza al mondo per attivo commerciale con l’estero, ben 415 di essi appartengono a settori innovativi della meccanica e dei mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli.

Insomma, la convinzione che l’Italia è indietro anni luce rispetto alle altri “grandi” d’Europa costituirebbe solo un mito da sfatare, poiché la realtà è ben diversa.
C’è da auspicare che questa positiva inversione di tendenza possa farsi presto sentire anche a livello nazionale, per risolvere una situazione di crisi ormai insostenibile.

Vera MORETTI

Le stime del pil in ribasso per il 2014

La situazione italiana, ancora lungi dall’essere positiva, ha portato, tra le tante cause, anche un livellamento, al ribasso, delle previsioni di crescita economica da parte del Fondo monetario internazionale.
La notizia non è del tutto negativa, poiché, al contempo, il Fmi ha anche ritoccato in meglio le previsioni per il 2015, trainate dall’economia globale, già favorita dai primi segni di ripresa.

Alla luce di queste informazioni, il Pil del Belpaese dovrebbe attestarsi, per il 2014, ad uno 0,6%, misero ma non malvagio, se si pensa alla flessione dell’1,8% del 2013 e al 2,5% del 2012.
Sul 2015 viene poi pronosticata una accelerazione della crescita al più 1,1%.

I dati sono contenuti in un parziale aggiornamento delle stime. Lo scorso ottobre, nel suo ultimo rapporto previsionale completo sull’economia globale, il World Economic Outlook, il Fmi indicava per il Pil italiano un +0,7% sul 2014 e un +1 %sul 2015.

Sull’insieme dell’area euro le stime di crescita sono state riviste al rialzo di un decimale di punto su entrambi gli anni: ora sul 2014 il Fmi prevede un +1%, mentre sul 2015 un +1,4%.

Vera MORETTI

Accordo rumeno per Intesa Sanpaolo

E’ in atto una trattativa tra Compania Nationala Posta Romana e il gruppo Intesa Sanpaolo che dovrebbe portare ad un accordo per la vendita di servizi bancari e finanziari negli uffici postali delle poste rumene tramite la controllata bancaria nel Paese dell’est Europa.

Questo progetto è il risultato di un processo di gara condotto da Compania Nationala Posta Romana, in linea con la nuova strategia commerciale approvata dal management della società, il cui obiettivo principale e’ diversificare la gamma dei servizi offerti.

Posta Romana, che può contare sul supporto di oltre 5.600 filiali, vanta ovviamente la più ampia copertura territoriale sul mercato dei servizi postali, comparabile alla copertura dei più importanti operatori del mercato bancario.

Ignacio Jaquotot, responsabile della divisione Banche Estere di Intesa Sanpaolo, ha dichiarato: “Siamo pronti a gestire questa nuova sfida facendo leva su una chiara strategia che poggia su solide basi, tra cui la redditività sostenibile, il know-how e le competenze commerciali”.

Alexandru Petrescu, direttore esecutivo di Compania Nationala Posta Romana, ha aggiunto: “Ci aspettiamo che Posta Romana Financial Services impatti in modo significativo sul mercato bancario nella prospettiva dello sviluppo economico e sociale della Romania”.

Vera MORETTI

Prestiti ancora in calo a novembre

In pauroso calo, ancora una volta, i prestiti che le banche hanno concesso a famiglie ed imprese.
Il mese di novembre, infatti, come ha confermato Abi, ha segnato un ulteriore passo indietro, registrando un preoccupante -4% ad una percentuale già in caduta libera.
Si tratta del peggior dato dal giugno 1999, che ha peggiorato il già negativo 3,7% di ottobre.

Ocse, inoltre, certifica che, sempre nel mese di ottobre, la dinamica dei prestiti alle imprese non finanziarie è risultata pari a -4,9% (-4,2% il mese precedente; -2,8% un anno prima).
In lieve flessione la dinamica tendenziale del totale prestiti alle famiglie (-1,3% ad ottobre 2013, -1,1% il mese precedente; -0,1% ad ottobre 2012).
La dinamica dei finanziamenti per l’acquisto di immobili, è risultata ad ottobre 2013 pari al -1,1% (-1,1% anche il mese precedente; +0,2% ad ottobre 2012).

Abi ha anche fatto presente che nel terzo trimestre 2013 è ripresa la contrazione degli investimenti fissi lordi, con una riduzione congiunturale annualizzata pari a circa il 2,2% (0% nel secondo trimestre).
In peggioramento sono risultati anche altri indicatori riferiti all’attività delle imprese: l’indice destagionalizzato della produzione industriale è diminuito su base annua ad ottobre 2013 di -1,1%.

Sempre nel terzo trimestre del 2013 si è registrata una significativa diminuzione della domanda di finanziamento delle imprese legata agli investimenti.

Ocse, inoltre, ha rilevato che in Italia, tra il 2011 e il 2012, la pressione fiscale, misurata
come rapporto tra introiti fiscali e Pil, è cresciuta di 1,4 punti percentuali, arrivando al 44,4%.
Si tratta di un aumento superiore alla media Ocse (0,5 punti) e inferiore solo a quelli registrati in Ungheria (1,8) e Grecia (1,6) tra i Paesi membri dell’organizzazione parigina.

La pressione fiscale italiana era prima scesa dal 42% nel 2000 al 40,6% nel 2005, poi risalita al 43,2% nel 2007, riscesa al 43% nel 2011 e risalita al 44,4%.
Nel 2011, ultimo anno per cui esistono dati comparabili per tutti i Paesi membri, il dato italiano del 43% era di quasi 9 punti percentuali superiore alla media Ocse. Il nostro Paese era quinto per pressione fiscale tra i membri dell’organizzazione, dietro Danimarca (47,7%), Svezia (44,2%), Francia (44,1%), Belgio (44%) e Finlandia (43,7%).

Vera MORETTI

Gli italiani pagano in contanti

Gli italiani, quando si tratta di pagare, sono ancora molto affezionati ai contanti.
Un’indagine condotta da Bankitalia su “Sepa e i suoi riflessi sul sistema dei pagamenti italiano”, ha rilevato infatti che nel 2012 ben l’83% delle transazioni complessive è avvenuto in contanti, a fronte di una media europea del 65%.

Inoltre, in Italia il numero delle operazioni pro capite annue effettuate non in contanti è di 71 contro le 187 della media europea e delle 194 di quella dell’area euro.

Sotto questo aspetto, l’Italia si stacca nettamente dagli altri grandi partner europei che tra bonifici, addebiti, operazioni con carte di pagamento e assegni, effettuano un numero di transazioni con strumenti di pagamento diversi dal contante ben superiore ogni anno. In cima alla lista ci sono i Paesi Bassi (349 operazioni procapite), seguiti dal Regno Unito (292), dalla Francia (276) e dalla Germania (222).

Le nostre 71 operazioni sono superate nettamente,e quasi doppiate, anche dalla Spagna, che è a 125 operazioni all’anno.
Tra i pagamenti alternativi, primi sono gli assegni (19 operazioni pro capite annue), mentre bonifico e addebito diretto sono utilizzati solo per il 15-17% dei casi, dato inferiore alla media europea (30%).

Fabio Panetta, vicedirettore della Banca d‘Italia, ha dichiarato a proposito: “La creazione in Italia di un sistema dei pagamenti moderno, competitivo, affidabile contribuirà a rendere il sistema produttivo più efficiente e trasparente. L’ammodernamento del sistema dei pagamenti italiano, la sua integrazione con il più ampio mercato europeo produrranno benefici che vanno ben oltre quelli direttamente connessi con l’introduzione di nuovi strumenti e di nuovi standard tecnici. I cambiamenti in atto, alimentati dalla Sepa, il sistema di pagamento unico nell’area dell’euro, aggiunge l’alto dirigente di palazzo Koch, conferiranno chiarezza e trasparenza alle relazioni di affari nell’intero sistema economico, non solo nel settore dei pagamenti”.

Vera MORETTI

Savings and Loans, una crisi dimenticata

 

Circa 20 anni fa, sul finire degli Anni ’80 e l’inizio dei ’90, una profonda crisi finanziaria scosse l’America. Anche questa crisi fu considerata peggiore di quella del ’29. Oltre 1000 Savings and Loan Associations fallirono, nel corso di una crisi che vide l’intervento del Congresso e del Governo degli Stati Uniti, per salvare il salvabile. 50 miliardi di dollari vennero immessi nel sistema attraverso un fondo appositamente costituito e la crisi costò circa 153 miliardi di dollari agli americani (124 miliardi furono pagati dai contribuenti, prelevati direttamente dalle loro tasse o con imposte successive). Solo 29 miliardi di dollari vennero pagati dalle società insolventi.

Non è chiaro a tutti perché le banche non concedono più tanto allegramente nuovi mutui o nuovi prestiti, anche a fronte di garanzie. Ci sono ragioni di bilancio, di redditività e di rischio, controllate attraverso i parametri stabiliti con il trattato di Basilea 2. In sostanza, più la banca rischia a prestare denaro, più deve accantonare e quindi meno è invogliata a prestare.
C’è anche una ragione legata alle crisi sui mutui, che mettono a repentaglio la stessa struttura finanziaria della banca.
Fu così che la crisi dei mutui subprime nel 2008 portò ad un tracollo delle economie di tutto il mondo.
C’è tuttavia una crisi poco conosciuta dal pubblico italiano e forse dimenticata dagli stessi americani, la crisi delle Saving and Loans Association (si potrebbe tradurre con Cassa di Risparmio), progenitrice delle attuali crisi sui mutui e che quindi può aiutare a interpretare meglio il presente. Le Saving and Loans Associations sono banche specializzate nel promuovere l’acquisto di case a condizioni favorevoli, ed esistono negli States dal 1800. Ecco che cosa accadde a queste S&L. Si vedrà come anche i governi dimenticano in fretta e cadono più volte nello stesso tranello.

Lo stesso governo degli States aveva dato loro nuovo impulso alla fine della seconda guerra mondiale, per promuovere la costruzione di nuove case, e aveva assicurato i depositi sui conti di risparmio attraverso la Federal S&L Insurance Corporation. I tassi erano alti ma i mutui trentennali abbattevano la rata e milioni di americani si erano comprati la casa con questo sistema.
Dal 1966 al 1979 i tassi d’interesse di mercato si alzarono progressivamente, e questo causò problemi alle S&L che vedevano i loro clienti ritirare i risparmi per investirli in prodotti più remunerativi. Fino alla fine degli Anni ’70, infatti, le S&L erano sottoposte a regolamenti abbastanza rigidi, potevano concedere solo piccoli prestiti e il tasso sui depositi aveva un tetto massimo.
All’inizio degli Anni ’80, durante l’amministrazione Carter, iniziò la deregulation; fu alzato sia il tetto massimo sui tassi di deposito, sia il massimale assicurato (da parte della FSLIC) sui depositi da 40.000$ fino a 100.000$, e furono concesse maggiori libertà per i mutui di acquisto, sviluppo e costruzione. Inoltre venne approvata una legge finanziaria che forniva incentivi all’investimento in immobili per i privati; questo contribuì al boom immobiliare degli anni ’80.
Tuttavia i tassi sui depositi delle S&L non offrivano più tassi competitivi rispetto ai fondi monetari; le istituzioni avevano molto denaro impegnato in mutui a lungo termine e a tasso fisso, e con il tasso del denaro che saliva, erano costretti a far fronte alle richieste dei depositari.

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Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

 

Successo per l’Italian Way China

Si è appena conclusa, a Sanya, città dell’isola cinese di Hainan presso il Sanya Serenity Marina, la prima edizione di Italian Way China, un’altra opportunità per stabilire contatti importanti con il Paese del Sol Levante.

Ad organizzare questo importante evento, che ha tenuto banco dal 21 al 24 novembre, è stato Unimpresa, insieme a Cnbo Expo e in collaborazione con l’Exhibition Yachting.

Nell’ambito della fiera dello yachting, la manifestazione ha saputo proporre un interessante mix di espositori che hanno potuto presentare la qualità del Made in italy in tutte le sue sfaccettature, esaltate ancora di più da un ambiente esclusivo ed intimo.

Obiettivo principale, centrato in pieno era quello di sostenere le piccole e medie imprese, che hano potuto esporre affiancando importanti e prestigiosi brand in tutti i principali settori: moda, casa, design e gastronomia.

Con il patrocinio delle istituzioni come il Consolato Generale d’Italia di Guangzhou, Ice, Enit, il sostegno della Cicc e la collaborazione di The Blenders, a Italian Way China hanno aderito 30 aziende tra cui marchi prestigiosi come Piaggio, Kiton, Smeg, Consorzio Liutai Antonio Stradivari Cremona.

Paolo Longobardi ha commentato così questa preziosa opportunità: “L’iniziativa è fondamentale e conferma l’importanza dell’export per le nostre aziende. L’Italia deve puntare sulle sue pmi e promuovere al meglio le sue eccellenze. Un impegno al quale, come associazione che rappresenta oltre 120mila micro, piccole e medie aziende, non intendiamo sottrarci”.

Vera MORETTI