Irap 2023, devono pagarla i lavoratori autonomi per il 2022?

I dubbi dei contribuenti sono numerosi, tra le richieste pervenute all’Agenzia delle entrate a cui è stata fornita risposta sulla rubrica ufficiale FiscoOggi vi è un dubbio sull’Irap, imposta sulle attività produttive. Il contribuente chiede in particolare se per il 2022 l’Irap è dovuta anche per le ditte individuali. Ecco la risposta dell’Agenzia delle entrate.

Irap per lavoratori autonomi cancellata dalla legge di bilancio 2022

Nella sua risposta al contribuente l’Agenzia delle entrate ricorda che con il decreto legislativo 446 del 1997 si è provveduto a disciplinare questa imposta che con la legge di bilancio 2022, articolo 1, comma 8 si è provveduto a escludere l’applicazione dell’Irap per le persone fisiche, cioè lavoratori autonomi e liberi professionisti.

Specifica l’Agenzia delle entrate nella sua risposta che restano assoggettati all’Irap i soggetti indicati nell’articolo 3 del decreto legislativo 446 del 1997. Si tratta di tutte le tipologie di società a cui si aggiungono gli enti citati dallo stesso articolo.

Nella riforma fiscale l’abolizione dell’Irap

Questo implica che coloro che nel 2022 hanno esercito attività di lavoratori autonomi o professionisti non sono più tenuti a effettuare gli adempimenti precedentemente previsti per l’Irap.

Ricordiamo inoltre che tra gli obiettivi dichiarati, dai precedenti e dall’attuale Governo, vi è il superamento dell’Irap. Il Governo già nella riforma fiscale a cui sta attualmente lavorando ha previsto misure volte a superare l’applicazione di questa imposta particolarmente sgradita. Si aggiunge l’obiettivo di eliminare le micro-imposte tra cui il Superbollo.

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Serve la partita Iva per creare contenuti online?

Quando serve la partita Iva nel caso in cui si faccia un lavoro che consiste nel creare contenuti on line? E come gestire dal punto di vista fiscale tutta l’attività? Si tratta di professioni che prevedono la creazione dei contenuti sul web, di youtuber con pubblicazione di video, di storie sui social network o anche di post. A volte possono rappresentare dei passatempi, ma spesso le professioni indicate possono far guadagnare anche cifre importanti, magari anche con gli incassi pubblicitari. Ecco allora una guida su come comportarsi dal punto di vista fiscale.

Partita Iva per attività abituale o occasionale: ecco il primo parametro da valutare per l’apertura

Il primo parametro da valutare per scegliere se aprire o meno la partita Iva è quello dell’abitualità oppure dell’occasionalità. Ovvero se le professioni on line procurino un vero e proprio reddito da lavoro autonomo o di impresa, nel caso in cui è necessaria la partita Iva. Diversamente, se l’attività è puramente svolta in maniera occasionale, non qualificandosi come professionale e nemmeno viene svolta con sistematicità e regolarità, i proventi non necessitano dell’apertura della partita Iva. In tal caso, i redditi prodotti si identificano come redditi diversi secondo quanto prevede la lettera i ed l, del comma 1, dell’articolo 67 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir).

Quali adempimenti fiscali occorrono se non si apre la partita Iva?

Nel caso dunque di non apertura della partita Iva, i redditi diversi devono essere presentati unicamente nella dichiarazione annuale dei redditi. Se, invece, il lavoratore autonomo ha deciso di aprire la partita Iva perché il lavoro di creazione di contenuti per il web risulta professionale e svolto in maniera continuativa, allora occorre adempiere a tutte le richieste fiscali conseguenti. Ciò indipendentemente dal reddito prodotto.

Secondo parametro per l’apertura della partita Iva: quali sono le fondi di guadagno?

Tuttavia, per procedere nella scelta di aprire o meno la partita Iva nel caso in cui si creino contenuti on line, è necessario anche verificare quali sono e quante sono le fonti di guadagno. Infatti, spesso, può capitare che nella creazione dei contenuti on line si abbiano più committenti, o più clienti, e più attività esercitate. Se si fanno attività commerciali, come la vendita di prodotti, è importante avere una partita Iva già dall’inizio del lavoro. Si tratta, in questo caso, di una vera e propria attività di impresa. Contrariamente, se i contenuti non consistono in vendite, almeno inizialmente si può rimandare la scelta. Almeno per vedere come procede l’attività, ad esempio. In un primo momento, dunque, i compensi possono essere dichiarati come redditi diversi.

Con cosa si guadagna con le attività on line?

A esclusione della vendita di prodotti o di servizi, sono molteplici le attività on line che possono generare dei guadagni. Ad esempio, caricare dei video su Youtube può portare a guadagnare sul numero dei follower posseduti. E, dunque, sul numero delle visualizzazioni di un video. Si possono, altresì, creare dei contenuti web per la vendita dei prodotti brandizzati oppure a favore di piattaforme di commercio elettronico o anche fisico. Anche in questo caso, i guadagni derivano dal numero dei follower e delle visualizzazioni prodotte tramite la creazione dei contenuti on line. Si possono dare anche delle informazioni oppure creare delle presentazioni di prodotti di brand e invitare i follower all’acquisto. In questo caso si possono ottenere dei compensi fissi, in base al numero delle storie pubblicate ad esempio. O dei video realizzati.

Youtuber e content creator, quando svolgere l’attività con partita Iva e quando no

In tutti i casi che abbiamo visto precedentemente, dunque, si può essere qualificati come youtuber oppure come content creator. E la conseguente produzione di guadagni può essere qualificata come rientrate in un’attività occasionale oppure d’impresa o professionale. Nel primo caso, come abbiamo visto in precedenza, si creeranno dei guadagni che finiranno nei redditi diversi della dichiarazione dei redditi. Aprendo, invece, la partita Iva per un’attività professionale o che generi un’attività di impresa, occorre tener presente di tutte le regole fiscali e contabili conseguenti.

Lavoratore autonomo che produce contenuti per il reddito: conta dove si svolge il lavoro?

Infine, occorre anche considerare dove, ovvero il posto, nel quale vengono prodotti i guadagni. Un lavoratore autonomo tradizionale in genere ha una sede identificata, ciò che spesso non avviene per i creatori di contenuti digitali. Anche se si può avere uno studio, un creatore content creator può svolgere la sua attività ovunque. Pertanto, anche il luogo dove il creatore di contenuti digitale effettua normalmente il proprio lavoro può essere importante per la tassazione dei redditi ottenuti. Se si tratta di un lavoratore autonomo fiscalmente residente nel territorio italiano, allora i redditi sono imponibili in Italia, indipendentemente dal luogo di produzione. Se il lavoratore, invece, non ha residenza fiscale in Italia è occorrente identificare esattamente quali siano le fonti di guadagno per distinguere la tassazione italiana da quella applicabile da uno Stato estero.

Reddito di cittadinanza, incentivo avvio attività di 4680 euro: l’Inps paga a due mesi dalla domanda

Il beneficio di 4680 euro per chi percepisce il reddito di cittadinanza e avvia un’attività lavorativa autonoma o un’impresa individuale o una società cooperativa spetta entro due mesi dalla presentazione della domanda. L’Inps eroga il beneficio in un’unica soluzione. L’Istituto previdenziale ha fornito ulteriori chiarimenti operativi con la circolare del 22 novembre 2021, la numero 175.

Incentivo ad avviare un’attività per chi percepisce il reddito di cittadinanza: qual è l’importo?

Nella circolare, l’Inps precisa i requisiti necessari ai percettori del reddito di cittadinanza per presentare la domanda di incentivi all’autoimprenditorialità. Il beneficio addizionale viene corrisposto per 6 mensilità e va ad aggiungersi all’importo del Reddito di cittadinanza. Il limite massimo dell’incentivo corrisponde a 780 euro per le 6 mensilità. L’incentivo spetta per un limite massimo di 4680 euro.

Reddito di cittadinanza, chi può presentare domanda per l’incentivo di avvio attività?

L’incentivo è legato alla fruizione del reddito di cittadinanza. Pertanto chi presenta domanda per l’incentivo deve percepire, come nucleo familiare, il reddito di cittadinanza. Può ottenere l’incentivo chi ha avviato, entro i primi dodici mesi dall’inizio della fruizione del reddito di cittadinanza, un’attività lavorativa autonoma o un’impresa individuale o abba sottoscritto una quota di capitale sociale di una cooperativa. Il rapporto mutualistico nella cooperativa deve avere a oggetto la prestazione di un’attività lavorativa da parte del socio.

Reddito di cittadinanza, chi non può presentare domanda per l’incentivo all’attività autonoma?

Diversamente dal punto precedente, chi presenta domanda di incentivo lavorativo al reddito di cittadinanza, non deve aver cessato, nei dodici mesi precedenti, un’attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o aver partecipato, come quota di capitale sociale, in una cooperativa. Inoltre, non può presentare domanda di incentivo chi ha già fruito del beneficio in questione.

Esempi di richiesta dell’incentivo per l’avvio di attività autonoma con reddito di cittadinanza

Poniamo il caso di un cittadino che abbia presentato domanda di reddito di cittadinanza e la stessa sia stata accolta il 15 gennaio 2021. Se inizia un’attività lavorativa autonoma il 20 marzo 2021, può ottenere il beneficio. In questo caso, infatti, l’attività lavorativa viene avviata nei primi 12 mesi di fruizione del reddito di cittadinanza. Se passa più di un anno tra l’inizio di fruizione del reddito di cittadinanza e l’inizio dell’attività lavorativa autonoma, l’incentivo non viene corrisposto. Ad esempio, se la domanda del reddito di cittadinanza viene accolta il 15 settembre 2020 e l’inizio dell’attività autonoma è fissato al 20 settembre 2021.

Domanda incentivo attività lavorativa: è necessario fruire già del reddito di cittadinanza

Infine, è importante verificare che l’attività autonoma inizi nel periodo di fruizione del reddito di cittadinanza. Se l’attività lavorativa autonoma inizia in data anteriore a quella di accoglimento della domanda di reddito di cittadinanza, la domanda di incentivo all’attività lavorativa non viene accolta perché il nucleo familiare non risulterebbe in corso di godimento del reddito di cittadinanza. Ad esempio, l’inizio dell’attività lavorativa è fissato al 15 giugno 2021 e la domanda di reddito di cittadinanza è accolta in data 15 settembre 2021.

Quali attività avviare con l’incentivo al reddito di cittadinanza?

L’Inps, inoltre, sottolinea che le attività lavorative per le quale spetta l’incentivo devono corrispondere a quelle previste per l’anticipazione della Naspi. Rientrano in queste attività:

  • quelle professionali che vengono esercitate dai liberi professionisti;
  • le attività di impresa individuale nei settori del commercio, dell’artigianato o dell’agricoltura;
  • la costituzione di società unipersonali;
  • ingresso o costituzione in società di persone o di capitali.

Come comunicare l’avvio di un’attività autonoma con la fruizione del reddito di cittadinanza?

L’inizio dell’attività autonoma mediante incentivo legato alla fruizione del reddito di cittadinanza va comunicato:

  • entro 30 giorni dall’inizio mediante il modello “Rdc-Com Esteso“;
  • per le attività già avviate e comunicate, il modello deve essere ripresentato entro 15 giorni dalla fine di ogni trimestre di fatturazione.

Lavoratore autonomo non versa i contributi INPS: cosa succede?

Per i lavoratori autonomi i contributi INPS sono un appuntamento fisso, può però capitare che vi siano dimenticanze, oppure che, a causa di una liquidità inferiore rispetto alle aspettative, si decida di rimandare il versamento, ma cosa succede se il lavoratore autonomo non versa i contributi INPS nei termini previsti?

Termini per il versamento dei contributi INPS

L’emergenza Covid ha portato molti termini di pagamento a slittare in avanti e sicuramente questo costante  provvedere a spostare i termini ha generato in molti confusione, inoltre le difficoltà economiche incontrate soprattutto dagli autonomi possono aver contribuito a maturare dei ritardi. Occorre ricordare che con il messaggio INPS 2731 del 27 luglio è stata prorogata la scadenza dei termini di versamento dei contributi previdenziali INPS dovuti per la Gestione speciale degli esercenti attività commerciali, per la Gestione speciale degli artigiani e per i professionisti con obbligo di iscrizione alla Gestione Separata, fino al 15 settembre 2021, di conseguenza si è ancora nei termini per provvedere. Fatta questa premessa, andiamo a vedere cosa succede se il lavoratore autonomo non versa i contributi INPS.

Lavoratore autonomo non versa contributi INPS: avviso bonario

Nel caso di omesso pagamento dei contributi INPS è possibile essere sottoposti al pagamento di sanzioni, queste però sono diverse in base al comportamento del contribuente. Ci sono due possibili situazioni: cioè il caso in cui sia l’INPS ad accorgersi del mancato pagamento e di conseguenza notifichi un avviso comprendente l’indicazione degli importi da versare. Questi sono sono composti da contributi, interessi e sanzioni. In questa fase gli interessi e le sanzioni non sono particolarmente rilevanti, ma una volta ricevuta la notifica occorre procedere al pagamento entro in termini stabiliti, 30 giorni dal ricevimento, oppure chiedere la possibilità di pagare in rate mensili. La dilazione può essere frazionata in 20 rate se gli importi da versare sono superiori a 5.000 euro e in 6 rate trimestrali per importi inferiori a 5.000 euro.

Nel momento in cui si riceve l’avviso bonario la sanzione applicata è del 10% rispetto agli importi dovuti.

Notifica della cartella esattoriale

Nel caso in cui entro i termini stabiliti, cioè 30 giorni dal ricevimento, non si provveda al pagamento, ci sarà l’emissione della cartella esattoriale, con iscrizione a ruolo delle somme da versare. In questo caso la sanzione applicata è del 30% rispetto alle somme originariamente dovute.  Naturalmente vengono applicati anche i tassi di interesse. L’iscrizione a ruolo apre le procedure per l’esecuzione forzata con la possibilità di pignoramento delle somme sul conto corrente, degli immobili o dello stipendio. Occorre ricordare che nei confronti degli avvisi e dell’emissione della cartella esattoriale, il contribuente può sempre proporre ricorso in opposizione.

Mancato versamento dei contributi INPS e ravvedimento operoso

La seconda strada che può percorrere il lavoratore autonomo che non ha versato i contributi INPS è il ravvedimento operoso. Si tratta di una sorta di pentimento che però viene in un certo senso premiato. In questo caso il contribuente che ricorda di aver omesso il pagamento decide di sanare la propria posizione prima dell’arrivo dell’avviso dell’INPS. Non vi sono termini temporali entro cui è necessario procedere al ravvedimento operoso, ma non si può più optare per tale soluzione se l’INPS ha emesso l’avviso bonario. Anche in questo caso si applicano interessi e sanzioni, ma sono ridotti rispetto a quelli visti in precedenza.

  • 0-14 giorni di ritardo si applica la sanzione dello 0.1% sull’importo;
  • 15-30 giorni di ritardo la sanzione ammonta all’1,5% sull’importo iniziale;
  • 31- 90 giorni di ritardo si applica l’1,6%;
  • Oltre 90 giorni e fino a un anno in questo caso la sanzione comincia ad essere importante e ammonta al 3,75% calcolato sugli importi inizialmente dovuti;
  • Da un anno a due anni in questo caso la sanzione è del 4,2% rispetto agli importi iniziali;
  • Dopo i 2 anni  la sanzione è del 5% rispetto alle somme inizialmente dovute.

Alle sanzioni ora viste devono essere sommati i tassi di interesse che attualmente corrispondono allo 0,2%.

La prescrizione dei contributi non versati

Cosa succede se il lavoratore autonomo non versa i contributi INPS e l’Istituto non emette alcun avviso? In questo caso, come tutti i debiti nei confronti della Pubblica Amministrazione, è prevista la prescrizione dei contributi non pagati. Occorre però prestare attenzione, infatti per maturare la prescrizione è necessario che non sia emesso alcun avviso, ad esempio se vi è un avviso bonario, dal momento del suo ricevimento ricominciano a decorrere nuovamente i termini di prescrizione, ma da zero e di conseguenza per maturare un’eventuale prescrizione saranno necessari ulteriori 5 anni senza che l’INPS richieda i versamenti. Inoltre, i contributi non versati, se anche prescritti, naturalmente non contribuiscono a maturare i diritti pensionistici/assistenziali quindi ci saranno periodi scoperti.

Note finali

Spesso il lavoratore autonomo che non versa i contributi, oltre ad omettere il versamento delle proprie quote, omette anche quello degli eventuali lavoratori dipendenti. Per tali soggetti valgono le stesse regole, cioè c’è la prescrizione entro 5 anni e quindi non sarà possibile regolare la loro posizione contributiva. Giustamente questi soggetti sono danneggiati perché si ritrovano ad aver lavorato senza avere una posizione contributiva regolare e spesso ne vengono a conoscenza per caso, magari al momento di richiedere l’estratto conto contributivo all’INPS. In questo caso vi è una possibilità, cioè il lavoratore che scopre l’omesso versamento dei contributi a suo favore, può denunciare il fatto e in questo caso la prescrizione non sarà in 5 anni, ma in 10 anni. La denuncia per l’omesso versamento dei contributi può essere presentata anche dagli eredi.

Detrazioni carichi familiari: lavoro autonomo e dipendente a confronto

Ogni anno, prima di trasmettere al Fisco la dichiarazione dei redditi, il contribuente ha la possibilità di fruire di benefici fiscali, attraverso il meccanismo della detrazione di imposta, se ci sono familiari a carico. In particolare, se il reddito del familiare nell’anno non ha superato la soglia dei 2.840,51 euro, allora questo sarà considerato fiscalmente a carico. E lo sono pure tutti i figli che, aventi un’età non superiore ai 24 anni, non superano il limite di reddito dei 4.000 euro. Ma detto questo, sempre in materia di detrazioni carichi familiari, quali sono le differenze nella fruizione tra il lavoratore autonomo ed il lavoratore dipendente?

Lavoro autonomo e dipendente a confronto sulle detrazioni fiscali per familiari a carico

Al riguardo la prima cosa da dire è che la prima differenza tra il lavoratore dipendente e quello autonomo, per quel che riguarda le detrazioni sui carichi di famiglia, sta nel modello dichiarativo da andare ad utilizzare. Se per le detrazioni carichi familiari, infatti, il lavoratore autonomo utilizza il modello 730, il lavoratore autonomo, invece, deve indicare il codice fiscale dei familiari a carico andando a compilare il modello Redditi.

Inoltre, se in genere il lavoratore dipendente non ha difficoltà a sfruttare a pieno le detrazioni per i familiari a carico, lo stesso non vale spesso per il lavoratore autonomo nel caso in cui questo dichiari al Fisco un reddito basso. In tal caso, infatti, potrebbe non avere capienza fiscale sufficiente per fruire totalmente, per esempio, delle detrazioni fiscale per il coniuge e per il figlio a carico.

Proprio per i figli a carico, nel rigo corrispondente del modello dichiarativo, bisogna inoltre indicare ‘100’ se la detrazione per il figlio fiscalmente a carico è richiesta per intero. Bisogna indicare ‘50’ se la detrazione è ripartita tra i genitori, mentre bisogna riportare ‘0’ se la detrazione, invece, è richiesta per intero dall’altro genitore.

Come funzionano le detrazioni fiscali per i familiari a carico per gli autonomi ed i lavoratori dipendenti dipendenti

Per il resto, il meccanismo per le detrazioni fiscali per i familiari a carico per lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti è lo stesso a partire dalle soglie sopra indicate affinché, in base al reddito personale, un familiare sia o meno fiscalmente a carico.

Inoltre, tanto per gli autonomi quanto per i lavoratori dipendenti, l’ammontare delle detrazione fiscale per ogni familiare a carico parte da una base, che è rappresentata dal valore massimo fruibile per pagare meno tasse, o per maturare un credito di imposta, per poi decrescere fino ad azzerarsi all’aumentare del reddito che sarà dichiarato al Fisco.

Non a caso, nelle istruzioni che sono allegate ai modelli dichiarativi, è proprio l’Agenzia delle Entrate a far presente che, a seconda di quella che è la situazione reddituale del contribuente, le detrazioni fiscali per i carichi di famiglia possono spettare per intero, possono spettare solo in parte, oppure non possono spettare. Per esempio, in base alla normativa fiscale vigente, la detrazione fiscale per il coniuge a carico, che parte da una base massima di 800 euro, si azzera per i redditi dichiarati oltre la soglia di 80.000 euro.

Ho diritto alle detrazioni figli a carico se sono lavoratore autonomo?

Il lavoratore autonomo ha diritto alle detrazioni fiscali per i figli a carico? La risposta è affermativa, ma rispetto ai lavoratori dipendenti, che fruiscono delle detrazioni fiscali per i figli a carico con il conguaglio in busta paga, per gli autonomi le detrazioni fiscali devono essere indicate annualmente nella dichiarazione dei redditi.

Inoltre, l’ammontare delle detrazioni fiscali figli a carico può variare non solo in base al reddito ed all’età, ma pure in caso di riconoscimento di un handicap. Così come la detrazione fiscale, per uno o più figli a carico, può essere fruita in misura ridotta se il familiare non risulta a carico per tutti i 12 mesi. Per esempio, semplicemente perché il figlio è nato, per l’anno di imposta di riferimento, nel mese di maggio.

Detrazioni figli lavoratori autonomi, ecco quando sono fiscalmente a carico

Nel dettaglio, i figli sono fiscalmente a carico, potendo quindi accedere alle detrazioni, quando questi nell’anno di imposta di riferimento hanno maturato un reddito personale che non supera la soglia dei 2.840,51 euro. Soglia che sale a 4.000 euro di reddito annuo per i figli aventi un’età inferiore ai 24 anni.

Le soglie sopra indicate da rispettare tengono conto di tutti i redditi complessivi che, ai fini fiscali, vengono percepiti dai figli a carico. Con l’eccezione, pur tuttavia, che è rappresentata dai redditi che sono assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, dai redditi che sono assoggettati a tassazione separata, e dai redditi esenti come, per esempio, quelli che sono riconducibili alla percezione di trattamenti di natura assistenziale come l’assegno sociale.

Detrazioni figli a carico lavoratori autonomi, come varia l’importo

Per i lavoratori autonomi, e non solo, l’importo delle detrazioni fiscali per i figli a carico, come sopra accennato, non è fisso ma, partendo da una base detraibile, varia in base ai seguenti parametri:

  • Il reddito complessivo del nucleo familiare;
  • Il numero dei figli;
  • L’età del figlio, ovverosia se ha meno o più di 3 anni;
  • L’eventuale handicap riconosciuto per uno o più figli a carico.

La detrazione fiscale di base per i figli a carico è pari attualmente a 1.220 euro per i figli di età inferiore a 3 anni, e di 950 euro per i figli aventi un’età che è pari o superiore a 3 anni. Per il figlio portatore di handicap la detrazione fiscale di base è pari a 1.620 euro con un’età inferiore a 3 anni, ed è pari a 1.350 euro per il figlio a carico portatore di handicap con un’età pari o superiore a 3 anni. Inoltre, con più di 3 figli a carico, la detrazione fiscale aumenta di 200 euro per ciascun figlio a partire dal primo.

Come viene ripartita la detrazione figli a carico nella dichiarazione dei redditi

La detrazione figli a carico nella dichiarazione dei redditi è di norma ripartita dai genitori al 50%. Pur tuttavia, uno dei due genitori può detrarre fiscalmente il 100% se, per esempio, l’altro genitore è a sua volta fiscalmente a carico, oppure se uno dei due genitori risulta essere l’affidatario esclusivo del figlio. Oppure ancora uno dei genitori può fruire al 100% delle detrazioni fiscali per i figli a carico sfruttando il vantaggio di una maggiore capienza fiscale avendo in famiglia il reddito più alto.

Calcolo del reddito netto di un lavoratore autonomo con partita IVA

I redditi da lavoro autonomo sono rappresentati dai ricavi conseguiti da una persona fisica a seguito di una prestazione riguardante l’esercizio abituale di arti e professioni. Poiché l’attività svolta non è sporadica né esclusiva, quindi non si parla di lavoro autonomo occasionale o di lavoro accessorio, il lavoratore autonomo è obbligato ad esercitare con partita IVA.

Il lavoratore autonomo

La differenza principale tra il lavoratore autonomo e il lavoratore dipendente, è che il primo svolge la propria attività senza alcun vincolo di subordinazione. Mentre, il secondo è tenuto a seguire il coordinamento e le direttive di un datore di lavoro. Stabilito che, il lavoratore autonomo ha facoltà di scegliere le modalità, i tempi e il luogo per svolgere il proprio lavoro, con l’unico impegno di portare a termine il suo compito al fine di ricevere un corrispettivo economico, un’altra sostanziale differenza rispetto al lavoratore dipendente è costituita dall’aspetto fiscale e previdenziale.

Infatti, un dipendente riceve la busta paga indicante già il reddito netto, in quanto la tassazione e la contribuzione sono già state trattenute dal datore di lavoro che poi provvederà a versare. Il lavoratore autonomo, invece, deve provvedere al pagamento delle imposte e dei contributi previdenziali.

Il reddito netto di un lavoratore autonomo: come si calcola

La somma dei corrispettivi economici incassati nell’arco dell’anno, rappresenta il reddito lordo che si evince dalle fatture emesse. Come dicevamo, dai ricavi conseguiti vanno tolte le tasse da pagare e la contribuzione previdenziale da versare.

Il reddito netto di un lavoratore autonomo con partita IVA, si ricava dal reddito lordo a cui vanno sottratti gli oneri fiscali e contributivi.

Il calcolo dell’IRPEF

In sede di dichiarazione dei redditi, il lavoratore autonomo dovrà indicare tutti i compensi lordi ricevuti e procedere al calcolo delle tasse dovute allo Stato, in base agli scaglioni IRPEF.

Per i redditi fino a 15.000 euro, si applica l’aliquota del 23%. Da 15.001 fino a 28.000 euro si paga un’imposta di 3.450 euro a cui aggiungere il 27% sul reddito eccedente i 15.000 euro.

Per i redditi compresi tra 28.001 fino a 55.000 euro, l’imposta dovuta è pari a 6.960 euro a cui aggiungere il 38% sulla parte eccedente del reddito oltre i 28.000 euro.

Per i redditi da 55.001 fino a 75.000 euro, la tassazione è pari a 17.220 euro a cui sommare il 38% sul reddito che supera i 55.000 euro.

Per redditi superiori a 75.000 euro, la quota fissa da versare è di 25,420 euro a cui aggiungere il 43% sulla parte eccedente del reddito che supera i 75.000.

Tuttavia, il reddito netto del lavoratore autonomo non si ricava dalla sottrazione degli oneri fiscali e previdenziali, in quanto ci sono costi detraibili e deducibili.

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Lavoratore autonomo: l’aliquota fissa

Il lavoratore autonomo che svolge la propria attività con partita IVA, può scegliere di aderire al regime forfettario se il reddito lordo è inferiore ai 65.000 euro. In tal caso, la tassazione non sarà più legata agli scaglioni, bensì ci sarà una sola aliquota fissa agevolata, pari al 15%. In alcuni casi, come le start-up, per i primi cinque anni di attività si applica l’aliquota del 5%.

La domanda nasce spontanea: “perché non tutti i lavoratori autonomi, nonostante un reddito inferiore ai 65.000 euro, aderiscono al regime forfettario?”. Ebbene, chi sceglie questo regime fiscale non può scaricare le spese di lavoro sostenute, tuttavia, verrà applicata una forfetizzazione tra costi e ricavi.

Per esempio, a un libero professionista l’aliquota del 15% sarà applicata sul 78% del reddito lordo. Quindi, in questo la forfetizzazione è pari al 22%.

Il 78% sopra citato, non è altro che un coefficiente di reddito che varia a secondo del settore di appartenenza dell’attività svolta, a sua volta, identificata da un codice ATECO.

Un lavoratore autonomo dovrebbe conoscere a memoria il codice ATECO, in quanto al momento della richiesta di apertura della partita IVA, deve indicare all’Agenzia delle Entrate anche il codice ATECO relativo all’attività che vuole avviare. A questo punto, sarà facile consultare la tabella dei coefficienti di redditività per fare due calcoli e capire se conviene o meno aderire al regime forfettario.

In linea di massima, si può affermare che se il titolare di partita IVA sostiene spese elevate per svolgere il suo lavoro e ha un reddito abbastanza alto per portarle tutte o quasi in detrazione, probabilmente farebbe bene a pensarci due volte prima di scegliere il regime fiscale forfettario, potendo optare per quello ordinario o semplificato, dove è possibile detrarre tutte le spese.

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