Autonomi che continuano a lavorare dopo la pensione: chi e quanti sono?

Sono in crescita i lavoratori autonomi e, nello specifico, i liberi professionisti che continuano a lavorare anche dopo essere andati in pensione. Il numero dei pensionati attivi è raddoppiato negli ultimi 15 anni. A eccezione dei geometri, tutti i professionisti iscritti alle Casse previdenziali continuano a lavorare anche dopo aver ottenuto il primo assegno di pensione. Soprattutto gli avvocati e i commercialisti, ma anche le altre libere professioni.

Lavoratori autonomi e liberi professionisti che continuano a lavorare dopo la pensione: quali tendenze?

La crescita del numero dei liberi professionisti che continua a lavorare anche dopo la pensione, rimanendo dunque attivi nel mondo del lavoro, è in costante aumento da 15 anni a questa parte. Nei quattro anni dal 2017 al 2020 (ultimo anno per il quale si hanno a disposizione dei dati), la crescita dei lavoratori autonomi pensionati ancora attivi è pari al 19%. La percentuale ricalca quella dei professionisti pensionati iscritti alle Casse previdenziali. I numeri degli ultimi quattro anni confermano una crescita che, in realtà, è iniziata già dal 2005. Una tendenza che, analizzandola, potrebbe andare a braccetto con le misure previdenziali introdotte nel corso degli ultimi decenni.

Liberi professionisti, quali sono quelli che lavorano di più dopo la pensione?

I numeri sui lavoratori autonomi e sui liberi professionisti pensionati ma ancora attivi nel mondo del lavoro sono stati forniti da Adepp. Se per i geometri si riscontra una flessione tra chi continua a lavorare dopo la pensione, i numeri sono in crescita per tutti gli altri professionisti. I biologi e i medici non dipendenti, ad esempio, mostrano una crescita del 42%. Ma i numeri più alti si riscontrano tra i veterinari, attivi dopo la pensione con crescita del 75% dei casi negli ultimi quattro anni.

Quanti sono i liberi professionisti che preferiscono continuare a lavorare anche dopo la pensione?

In totale, dunque, su un numero pari a 150.9891 pensionati tra i professionisti nel 2020, corrispondenti al 21% del totale dei pensionati, gli attivi nello stesso anno sono stati 81.697. Ovvero il 54% medio dei liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali ha preferito continuare a lavorare anche dopo la pensione. Il dato esprime, negli ultimi quattro anni, la crescita del 21% del numero dei professionisti andati in pensione e, parallelamente, l’aumento del 19% di chi rimane a esercitare la professione. È possibile prevedere una classifica dei professionisti che maggiormente tendono a rimanere a lavoro dopo la pensione.

Commercialisti, psicologi e avvocati, quanti rimangono a lavorare dopo la pensione?

I commercialisti iscritti alla Cassa previdenziale che nel 2020 sono andati in pensione sono stati pari a 6.364, dei quali 4.756 hanno continuato a lavorare. Il rapporto tra pensionati attivi sul numero di pensionati è pari, dunque, al 75%. Ciò significa che tre commercialisti su quattro preferiscono continuare a lavorare dopo la pensione. Percentuali in linea anche quelle degli psicologi dell’Enpap (4.842 in pensione nel 2020 ma 3.371 ancora a lavoro) con un rapporto tra attivi su pensionati pari al 70%. E degli avvocati: 19.819 in pensione nel 2020 ma 13.735 rimasti a lavoro per una percentuale attivi/pensionati del 69%.

Architetti, ingegneri e ragionieri: quanti preferiscono continuare a lavorare dopo la pensione?

A scorrere la classifica si ritrovano gli architetti e gli ingegneri dell’Inarcassa. A fronte di 22.869 pensionamenti nel 2020, il numero dei professionisti rimasti a lavoro è stato pari a 15.657. I rapporto tra pensionati attivi su pensionati è pari al 68%. A seguire i medici liberi professionisti dell’Enpam. Su 44.699 nuovi pensionati nel 2020, 24.950 sono rimasti a lavorare (il 56%). I ragionieri iscritti alla Cassa previdenziale andati in pensione nel 2020 sono stati 7.293, metà dei quali (49%) hanno preferito continuare a lavorare (3.539).

Tutte le libere professioni e quanti lavorano dopo la pensione

A seguire nella classifica dei liberi professionisti che rimangono a lavoro anche dopo essere andati in pensione si ritrovano:

  • i biologi dell’Enpab (1.610 in pensione, 710 rimasti a lavoro, il 44% degli attivi rispetto ai pensionati);
  • i periti industriali (4.413 in pensione, 1.963 ancora attivi, pari al 44%);
  • i pluricategorie (2.704 in pensione, 1.353 ancora attivi pari al 41%);
  • i consulenti del lavoro (8.427 in pensione, 3.641 rimasti a lavoro, il 43% ancora in attività);
  • i periti agrari (602 in pensione, 234 ancora attivi pari al 39%);
  • i geometri (19.094 in pensione, 6.635 ancora attivi ma in discesa del 7%, il 35% del totale dei nuovi pensionati continua a esercitare la professione);
  • gli agrotecnici (39 in pensione, 12 ancora attivi pari al 31%);
  • gli infermieri dell’Enpapi (2.776 in pensione, 419 ancora attivi pari al 15%);
  • i veterinari dell’Enpav (4.873 in pensione, 722 ancora attivi con percentuale di crescita del 75% per un totale del 15% dei nuovi pensionati ancora attivi).

Credito di imposta per pc, stampanti e software ai professionisti: scadenza 31 dicembre 2022

Il credito di imposta ai professionisti per l’acquisto di pc, stampanti e software sarà possibile solo fino al 31 dicembre 2022. Si tratta di agevolazioni per investimenti in beni strumentali nuovi rientranti nella misura del credito 4.0. Il beneficio fiscale del credito di imposta 4.0 è stata prorogato fino a tutto il 2025, ma non per queste tipologie di beni, indicati come “generici“. Tali beni possono beneficiare del credito di imposta per il loro acquisto e sono accessibili ai liberi professionisti, per l’appunto fino al termine del 2022.

Credito di imposta 4.0 per acquisto di pc, stampanti e software: cosa sono i beni generici?

Fino al 31 dicembre 2022 i liberi professionisti possono acquistare pc, stampanti e software rientranti nei beni generici. Si tratta di beni diversi da quelli ad alto contenuto tecnologico individuati dagli allegati a) e b) della legge numero 232 del 2016. Rientrano tra i beni generici, pertanto:

  • i computer;
  • le stampanti,
  • le altre macchine ordinarie per l’ufficio;
  • le attrezzature necessarie allo svolgimento della professione;
  • i programmi gestionali e software, programmi informatici. Sono da escludere i canoni periodici su questi prodotti;
  • gli arredi.

Rimane invariato, è ovvio, che i beni oggetto di credito di imposta debbano possedere il carattere della strumentalità. Ovvero devono essere utilizzati per svolgere l’esercizio della professione. Risulta di conseguenza escluso l’utilizzo personale.

Credito di imposta su beni generici, quali sono le spese ammissibili all’agevolazione fiscale?

L’acquisto di computer, stampanti, software e degli altri prodotti generici rientra negli investimenti differenti da quelli materiali e immateriali 4.0 dei prodotti ad alto contenuto tecnologico degli allegati a) e b) della legge numero 232 del 2016. La successiva legge numero 178 del 2020, al comma 1061, ha consentito ai liberi professionisti e a chi svolge l’attività di arti di poter beneficiare del credito di imposta legato all’acquisto dei beni generici. I professionisti risultano esclusi, tuttavia, dal poter beneficiare del credito di imposta sull’acquisto dei beni ad alto contenuto tecnologico. Si tratta dei beni materiali e immateriali 4.0 elencati negli allegati a) e b) della legge 232 del 2016.

Credito di imposta, in quale misura si beneficia per l’acquisto di computer, stampanti e software?

Di conseguenza, la legge di Bilancio 2022 non ha previsto delle modifiche per gli investimenti in beni generici. L’agevolazione sull’acquisto di pc, stampanti e software e degli altri prodotti generici risulta ridotta rispetto al 10% o al 15% del 2021.  Il credito di imposta per tutto il 2022 risulta fissato al 6%. L’utilizzo del credito di imposta si può fare in tre quote annuali di uguali importi. Non è consentito utilizzare il credito di imposta tutto in un’unica soluzione. L’acquisto dei beni generici può essere concluso anche entro il 31 dicembre 2023, ma a determinate condizioni. Infatti, entro la fine del 2022 l’ordine deve essere stato concluso dal venditore e deve essere stato versato un acconto pari al 20%.

Credito di imposta 4.0 su acquisto dei beni generici, c’è un tetto minimo di spesa?

Sul tetto di spesa minimo rientrante nella disciplina dell’acquisto dei beni generici (e in generale sui beni 4.0) è intervenuta l’Agenzia delle entrate con la circolare 9/E del 2021. Nel chiarimento fornito, l’Agenzia delle entrate ha stabilito che l’acquisto non richiede un investimento minimo in termine di spesa. È necessario tuttavia rispettare il carattere della strumentalità del bene rispetto all’attività esercitata dai professionisti. Per tale motivo, l’Agenzia ha chiarito che per i beni materiali strumentali dal costo unitario fino a 516,46 euro si può procedere con il credito di imposta, a prescindere dal fatto che il professionista abbia scelto di dedurre o meno l’intero costo sostenuto per l’acquisto nell’esercizio in cui abbia sostenuto il costo stesso.

Pensione integrativa anche ai professionisti e lavoratori autonomi da aprile 2022

In arrivo le pensioni integrative anche ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi. La sottoscrizione alla previdenza complementare sarà possibile a partire dal mese di aprile 2022. La decisione è stata presa dalla Commissione di vigilanza sui fondi pensione (Covip) sulla possibilità di accesso, per le partite Iva, all’integrazione della previdenza complementare con Fon.te. Si tratta di un fondo pensione già attivo a favore dei dipendenti delle imprese del settore terziario.

Previdenza complementare, per la pensione integrativa dei professionisti e partite Iva c’è Fon.te

Il fondo pensione Fon.te nei giorni scorsi ha diffuso la comunicazione della possibilità di adesione alla pensione complementare anche per i liberi professionisti e i lavoratori autonomi. Nell’informativa si legge che “Fon.Te, il Fondo pensione complementare per i dipendente da aziende del terziario, estende la platea a tutti i liberi professionisti e lavoratori autonomi che si trovano a lavorare nei settori di interesse del Fondo. A partire da aprile 2022, grazie all’approvazione della Commissione di Vigilanza sui Fondi pensione (Covip), i commercianti potranno integrare la propria pensione aderendo a Fon.te, il terzo fondo negoziale italiano per numero di iscritti”.

Fondo pensione, i vantaggi dell’adesione con obiettivo la previdenza complementare

L’adesione alla previdenza complementare comporta il vantaggio di poter costruire una pensione futura aggiuntiva. L’obiettivo è quello di di incrementare, in modo significativo, il livello delle prestazioni pensionistiche, una volta usciti dal mondo del lavoro. Dai dati del fondo pensione, l’adesione dei lavoratori del settore terziario alla termine del 2021 era in numero di 9.745 milioni. Nello scorso anno il fondo pensione ha aumentato il numero di iscritti di oltre 400 mila aderenti rispetto al 2020. Le risorse destinate ai trattamenti previdenziali a fine 2021 ammontavano a 212.6 miliardi di euro, in crescita di circa 15 miliardi rispetto al 2020. In aumento, nello scorso anno, anche gli incassi dei contributi da fondi negoziali, Pip e fondi pensione aperti. In tutto, gli aumenti sono stati di 13,3 miliardi di euro, circa 900 milioni in più rispetto al 2020.

Fondi pensione, come aderire alla previdenza complementare?

Per aderire al fondo pensione Fon.te. si può procedere in maniera esplicita o tacitamente. L’adesione esplicita comporta la consegna al dipendente della parte I della Nota Informativa (“Le informazioni chiave per l’aderente”) e l’Appendice informativa sulla sostenibilità. Dopo averne preso visione, l’aderente dovrà procedere con la compilazione del Modulo di adesione. L’adesione tacita si realizza quando il dipendente, dopo 6 mesi dall’assunzione, non abbia manifestato alcuna volontà in merito alla destinazione del Trattamento di fine rapporto maturato.

Come si aderisce a un fondo pensione versando il Trattamento di fine rapporto e un contributo aggiuntivo?

In attesa di maggiori indicazioni dal fondo pensione per l’adesione alla previdenza complementare ai liberi professionisti e ai lavoratori autonomi, è necessario specificare che se il lavoratore abbia già scelto di destinare il Trattamento di fine rapporto (Tfr) al fondo pensione è necessario compilare il Modulo di adesione. Il documento contiene una prima parte di dati anagrafici; l’indicazione se si aderisce a un altro fondo pensione da indicare; la scelta del comparto di investimento; la modalità di adesione.

Modalità di adesione al fondo pensione: come procedere con il versamento del Tfr?

Per quest’ultimo punto, si può chiedere di aderire con il solo versamento del Trattamento di fine rapporto (Tfr); oppure oltre al Tfr, si può contribuire con un versamento minimo a carico del lavoratore stabilito da contratto. Quest’ultimo dà diritto al contributo da parte del datore di lavoro. Infine si può aderire versando, oltre al Trattamento di fine rapporto, anche un contributo diverso dal minimo stabilito dal contratto, nella percentuale desiderata dal sottoscrivente.

Come funziona la compliance dell’Agenzia delle Entrate per le imprese e i lavoratori autonomi

Il Fisco quando, a carico di un contribuente, rileva delle anomalie, degli errori e/o delle incongruenze, adotta sempre un approccio morbido. Ovverosia, l’Agenzia delle Entrate, prima di far scattare un contenzioso. mira ad attivare un canale di dialogo con il contribuente. A partire dalla possibilità di avvalersi di strumenti deflativi come l’autotutela e come l’acquiescenza.

In più il Fisco italiano, proprio nel rapporto con i contribuenti, promuove la compliance. E questo vale pure nei confronti dei professionisti e dei titolari di partita IVA. Vediamo allora, nel dettaglio, come funziona la compliance dell’Agenzia delle Entrate per le imprese e per i lavoratori autonomi.

Su cosa si basa la compliance dell’Agenzia delle Entrate

Nel dettaglio, la compliance dell’Agenzia delle Entrate per le imprese e per i lavoratori autonomi, ma anche per le persone fisiche, si basa sulla possibilità, per il contribuente, di correggere e di sanare in maniera spontanea gli errori e/o le omissioni rilevate dal Fisco. Potendolo peraltro fare anche dopo che il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi. Si tratta, quindi, di un invito da parte dell’Agenzia delle Entrate a correggere in maniera spontanea gli errori e/o le omissioni che sono state riscontrate.

Basata sull’adempimento spontaneo, la compliance dell’Agenzia delle Entrate per le imprese e per i lavoratori autonomi consiste sostanzialmente nella predisposizione e nell’invio di apposite comunicazioni. Che hanno il fine di invitare il contribuente a sanare la propria posizione, in merito alle irregolarità e/o alle anomalie riscontrate, attraverso il ravvedimento operoso.

L’adempimento spontaneo facendo leva sull’istituto del ravvedimento operoso

Ovverosia, con il ravvedimento operoso che è un istituto che, tra l’altro, permette pure una riduzione delle sanzioni quando l’invito alla compliance prevede il versamento di maggiori imposte. Così come in molti casi il contribuente, in base ai rilievi del Fisco, è chiamato pure alla presentazione di una dichiarazione integrativa.

Quindi, il Fisco invia ai lavoratori autonomi ed agli altri soggetti passivi IVA delle comunicazioni. Ovverosia, delle lettere di compliance dove sono indicate le omissioni e/o le irregolarità riscontrate. Nel confronto tra i dati dichiarati dal contribuente e quelli che, invece, sono posseduti dall’Agenzia delle Entrate nelle proprie banche dati.

Coma rispondere alle lettere di compliance dell’Agenzia delle Entrate

Se il contribuente non ritiene legittima la pretesa tributaria del Fisco, con la lettera di compliance, c’è sempre la possibilità di far valere le proprie ragioni. Ovverosia, inviando tutti i dati e tutti i documenti utili di cui il Fisco non è a conoscenza. L’invio è possibile attraverso il canale telematico Civis anche avvalendosi di un intermediario abilitato. Per esempio, incaricando il proprio commercialista di fiducia. Oppure presentandosi presso la Direzione Provinciale dell’Agenzia delle Entrate che è competente per territorio.

Irap, con l’abolizione cosa bisogna versare nel 2022?

Il taglio dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) non elimina il saldo di giugno prossimo e la dichiarazione dei redditi del 2022. Delle nuove regole della riforma fiscale, inoltre, non ne beneficeranno le società di capitali e quelle di persone. L’abolizione dell’Irap, infatti, riguarda le persone fisiche che svolgono le attività commerciali, le arti e le professioni. La legge di Bilancio 2022 (la numero 234 del 2021) taglia l’imposta per determinati contribuenti, lasciando inalterate dunque le società collettive.

Irap, chi sono i soggetti passivi di imposta e a vantaggio di chi andrà il taglio

L’effetto che si ha con l’abolizione dell’Irap va a vantaggio dei lavoratori autonomi che svolgano la propria attività singolarmente. Se invece il lavoratore autonomo si unisce ad altri lavoratori (come, ad esempio, nelle società e negli studi associati), rimane soggetto passivo di imposta. In ogni caso, la legge di Bilancio 2022 rappresenta una parziale revisione della disciplina fiscale in materia. Si prevedono ulteriori provvedimenti che segneranno il graduale superamento dell’imposta regionale sulle attività produttive con l’introduzione di un’unica addizionale applicata al reddito di impresa.

Irap, quali sono i soggetti obbligati al pagamento?

L’Imposta regionale sulle attività produttive trova disciplina nel decreto legislativo numero 446 del 1997. L’introduzione dell’imposta risale al 1° gennaio 1998 in sostituzione di altri tributi come l’Ilor, la tassa sulle partite Iva e l’Iciap. L’Irap è dovuta per l’esercizio in forma abituale delle attività autonome organizzate, dirette a produrre o a scambiare beni o a prestare servizi. Chi esercita, pertanto, attività di lavoro autonomo e di impresa, sia nella modalità individuale che in forma associata, rientra tra i soggetti passivi dell’imposta. Sono soggetti anche le amministrazioni e gli enti pubblici, nonché gli enti non commerciali.

Deducibilità Irap e modifiche introdotte nel corso degli anni

Nel corso degli anni l’Irap è stata soggetta a varie modifiche. Una, in particolare, ha interessato l’ambito di applicazione della deducibilità dell’imposta sulle componenti di costo relative al lavoro. Tali costi sono divenuti totalmente deducibili se sostenuti per il lavoro dipendente a tempo indeterminato. Inoltre l’Irap, dal 2016, non deve essere più versata dai lavoratori autonomi delle attività agricole che rientrino nel reddito agrario.

Riforma Irap ed esenzione di soggetti passivi ai sensi della legge di Bilancio 2022

La riforma dell’Imposta regionale sulle attività produttive operata dalla legge di Bilancio 2022 permette alle persone fisiche che svolgano un’attività commerciale o l’esercizio di arte e professioni di non versare più l’Irap. Le attività esenti sono quelle riportate dalle lettere b) e c) del comma 1, dell’articolo 3, del decreto legislativo numero 446 del 1997. Il decreto, dunque, riporta tutti i soggetti passivi dell’imposta, includendo anche le società in nome collettivo (snc), quelle in accomandita semplice (sas) e le società a esse equiparate. L’equiparazione è riportata dal comma 3, dell’articolo 5, del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Il comma c) del decreto leggislativo 446, invece, aggiunte ai soggetti passivi delle imposta le persone fisiche, le società semplice e le società equiparate, oltre alle persone fisiche che svolgano attività di arti e di professioni.

Riforma Irap, chi non deve pagarla nel 2022 e chi deve versarla?

La cancellazione dell’Irap a partire dal 2022 riguarda, in altre parole, essenzialmente le persone fisiche. Risultano escluse dalla cancellazione delle imposte le società e gli enti assimilati. In base a quanto dispone la legge di Bilancio 2022, dunque, il taglio dell’imposta riguarda solo le persone fisiche, mentre continueranno a versarla gli studi associati e le società di professionisti, oltre a tutte le società di capitali e di persone. Non dovranno pagare l’Irap, in attesa di ulteriori delucidazioni dall’Agenzia delle entrate, le imprese familiari che si avvalgano di collaboratori domestici. Si tratterebbe, in questo caso, pur sempre di imprese qualificabili come individuali.

Decorrenza taglio Irap, cosa bisogna fare nella prossima dichiarazione dei redditi e saldo 2021?

La cancellazione dell’Irap entra in vigore, con la legge di Bilancio 2022, a decorrere dal periodo di imposta coincidente con l’anno solare 2022. Ciò significa che l’esercizio coincide con l’anno di entrata in vigore delle novità della legge di Bilancio 2022. Di conseguenza, anche le persone fisiche che beneficiano della cancellazione dell’Irap, nel corso del 2022 dovranno prestare attenzione a due adempimenti:

  • entro il 30 giugno del 2022 dovranno procedere con il pagamento del saldo 2021;
  • presentare il modello Irap 2022 entro il 30 novembre 2022;
  • non si dovranno pagare, invece, gli acconti.

Riforma Irpef lavoratori autonomi: quali partite Iva ci guadagnano di più?

La riforma fiscale, con il taglio delle aliquote Irpef contenuto nella legge di Bilancio 2022, produrrà determinati vantaggi anche ai lavoratori autonomi e alle partite Iva. Nonostante la revisione fiscale, in ogni modo, permane il divario di trattamento ai fini delle imposte tra i lavoratori dipendenti e quelli autonomi a parità di reddito prodotto. Il peso fiscale continua a risultare diverso. Tuttavia, anche tra le partite Iva vi sono differenze di imposizione fiscale: i maggiori vantaggi si hanno in corrispondenza di redditi medio-alti, più elevati rispetto a quelli dei lavoratori dipendenti. In più, tra i divari fiscali, pesa la possibilità o meno per le partite Iva di optare per il regime forfettario con aliquote del 5% e del 15% fisse.

Lavoratori autonomi e partite Iva: la revisione e il taglio delle aliquote Irpef

Pure i lavoratori dipendenti e le partite Iva beneficeranno della riforma fiscale, del taglio delle aliquote Irpef e della revisione degli scaglioni di reddito. In primis per l’allargamento della no tax area che sale dai 4.800 euro ai 5.500 euro. Nella revisione delle aliquote Irpef, il taglio avviene per il secondo e il terzo scaglione che passano, rispettivamente, dal 27% al 25% (per redditi da 15.001 a 28.000 euro) e dal 38% al 35% (per redditi da 28.001 euro a 50.000 euro). Il quarto e il quinto scaglione risultano unificati dall’aliquota Irpef del 43% applicata ai redditi oltre i 50 mila euro. Per i redditi fino a 15 mila euro è stata confermata l’aliquota del 23%.

Detrazioni partite Iva a lavoratori autonomi con la riforma Irpef 2022

In merito alle detrazioni, la riforma del Fisco sui redditi delle partite Iva e dei lavoratori autonomi prevede l’incremento delle detrazioni di cui al comma 5, dell’articolo 13, del Testo unico imposte sui redditi (Tuir). Le detrazioni si applicano ai redditi da lavoro autonomo prodotti fino al limite dei 50 mila euro. Inoltre, è prevista dalla legge di Bilancio 2022 la novità di una micro detrazione aggiuntiva corrispondente a 50 euro per i lavoratori autonomi compresi nella fascia di reddito da 11.001 a 17 mila euro. Questa ulteriore detrazione ha la finalità di premiare i redditi delle partite Iva che non beneficiano di altre misure contenute nella riforma fiscale.

Riforma fiscale Irpef per partite Iva e lavoratori autonomi: chi ci guadagna di più?

In valori assoluti, la riduzione delle aliquote Irpef e le detrazioni producono il maggior beneficio fiscale in corrispondenza dei redditi di 50 mila euro. Il totale degli interventi producono risparmi in termini fiscali di 810 euro per il 2022 rispetto allo scorso anno. Più nel complesso, le detrazioni e le riduzioni delle aliquote Irpef producono i maggiori vantaggi fiscali per redditi da 45 mila a 60 mila euro. Il risparmio fiscale si attesta tra 664 euro e 670 euro nel 2022 rispetto al 2021.

Taglio Irpef nella riforma fiscale: quali sono i maggiori risparmi per le partite Iva e i lavoratori autonomi?

Rispetto al 2021, i risparmi fiscali derivanti dalla revisione delle aliquote Irpef e dalle detrazioni della riforma fiscale saranno nell’ordine di:

  • 146 euro per redditi fino a 8 mila euro (imposta netta 2021 pari a 806 euro rispetto ai 660 euro del 2022);
  • 122 euro per redditi di 10 mila euro (imposta netta 2021 pari a 1.310 euro rispetto ai 1.188 euro del 2022);
  • 148 euro per redditi di 12 mila euro (imposta netta 2021 pari a 1.814 euro rispetto ai 1.666 euro del 2022);
  • 74 euro per i rediti di 14 mila euro (imposta netta 2021 pari a 2.318 euro rispetto ai 2.244 euro del 2022);
  • 270 euro per i redditi a partire da 75 mila euro.

 

Nuova Irpef 2022: novità per aliquote, detrazioni e bonus

La riforma fiscale, con le nuove aliquote Irpef in vigore dal 2022 e le novità sulle detrazioni e sui bonus, comporta una rivoluzione nelle buste paghe dei lavoratori dipendenti, autonomi e per i pensionati. È ciò che si prospetta con i provvedimenti del governo di fine anno scorso destinati a cambiare la tassazione sui redditi. In linea generale, i maggiori vantaggi li avranno i redditi medi e alti. Ma anche per gli altri la busta paga cambierà in maniera significativa.

Nuova Irpef 2022, cosa cambia nella busta paga di lavoratori e pensionati?

Già a partire da gennaio 2022 entreranno in vigore le nuove disposizione della riforma del Fisco con la modifica degli scaglioni, delle aliquote Irpef ai fini della tassazione. Le novità sull’Irpef comporteranno, in ogni modo, anche una nuova modalità di calcolo delle detrazioni fiscali a favore dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, ma anche dei redditi assimilati a quelli dei lavoratori. E, infine, anche nel modo di calcolare l’ex bonus Renzi di 80 euro in vigore dal 2014, poi salito di importo a 100 euro.

Riforma fiscale e Irpef, le novità per i redditi medi e alti

Una ulteriore novità nella risistemazione delle aliquote Irpef è rappresentata dall’eliminazione della detrazione fiscale per i redditi da lavoro dipendenti a partire dai 28 mila euro e fino a 40 mila euro. Contrariamente, la riforma fiscale riconosce l’esonero parziale ai lavoratori dipendenti con reddito fino a 34.996 euro. Tutte le novità fiscali avranno un impatto diverso sulle buste paga e determineranno un differente impatto per bonus e ritenute fiscali.

Riforma fiscale, come cambiano gli scaglioni e le aliquote Irpef?

Con la riforma fiscale cambiano le aliquote Irpef e gli scaglioni. Infatti:

  • la prima aliquota del 23% (rimasta invariata) viene applicata allo scaglione di redditi fino a 15 mila euro;
  • la seconda aliquota invece subisce delle modifiche. La percentuale scende dal 27% al 25% per i redditi da 15.001 a 25 mila euro e dal 38% al 35% per i redditi da 28.001 euro a 50 mila euro;
  • il quarto e il quinto scaglione vengono unificati con l’applicazione di un’unica aliquota del 43% per i redditi di oltre 50 mila euro.

Bonus e detrazioni nella riforma fiscale dell’Irpef, quali sono le novità del 2022?

La riforma fiscale del 2022 conferma anche i bonus per chi percepisce i redditi da lavoro dipendente fino a 15 mila euro. Nei casi di incapienza, quando la somma delle detrazioni risulta più elevata dell’imposta netta, la soglia può essere aumentata fino ai redditi di 28 mila euro. Tuttavia, il maggiore incremento delle detrazioni spetta ai lavoratori dipendenti con redditi a partire dai 15 mila euro. Infine, viene riconosciuta una detrazione aggiuntiva di 65 euro per i lavoratori dipendenti con redditi tra 25 mila euro e 35 mila euro. Tale detrazione è necessaria per non penalizzare chi percepisce redditi compresi in questi due estremi rispetto alle misure previste per i redditi meno elevati.

Riforma delle aliquote Irpef, detrazioni e bonus: chi si avvantaggia maggiormente nel 2022?

Il nuovo sistema delle aliquote Irpef, delle detrazioni e dei bonus permette ad alcuni di avere maggiori vantaggi fiscali in busta paga rispetto al 2021. Per chi ha redditi fiscali di 10 mila euro, il beneficio può essere quantificato in 158 euro all’anno; per i redditi di 15 mila euro annui, il vantaggio fiscale sarà di 422 euro rispetto all’anno scorso. La classe che maggiormente si avvantaggerà della riforma del Fisco sarà quella dei redditi da lavoro dipendenti per 40 mila euro l’anno. Il vantaggio sarà di 1.143 euro, mentre a 50 mila euro il vantaggio è quantificabile in 990 euro. Per i lavoratori autonomi il maggiore vantaggio fiscale risulta in corrispondenza di redditi annui pari a 50 mila euro. Il taglio dell’Irpef è pari a 810 euro all’anno (inclusa la mancata applicazione dell’Irap per le persone fisiche).

Riforma fiscale Irpef, detrazioni e assegni familiari: da quando si avranno gli effetti?

I primi effetti della riforma fiscale, delle detrazioni per i figli a carico e degli assegni familiari si avranno a partire dal mese di marzo 2022. Nelle simulazioni relative alla tassazione dei redditi non è da escludere il vantaggio che avranno i lavoratori con l’introduzione dell’Assegno unico per i figli a carico. L’assegno andrà a stravolgere anche l’insieme delle regole relative agli assegni familiari versati nelle buste paga dai datori di lavoro. Con un’ulteriore novità: l’Assegno unico universale non transiterà nelle buste paga dei lavoratori ma verrà pagato direttamente dall’Inps.

 

Partita Iva regime forfettario: chiusura e riapertura dopo un anno, si perde l’aliquota del 5%?

La chiusura e la riapertura della partita Iva a regime forfettario può far perdere l’aliquota vantaggiosa del 5% per i primi cinque anni di attività del regime forfettario? La risposta è positiva, ovvero dovrà essere applicata l’aliquota della flat tax al 15%, se non dovessero essere rispettate determinate condizioni.

Partita Iva a regime forfettario con aliquota del 5%: i riferimenti normativi

Per verificare la continuità dell’aliquota del 5% del regime forfettario di partita Iva è necessario rifarsi a quanto previsto dal comma 65, dell’articolo 1, della legge 190 del 2014. Il decreto è stato poi modificato dall’articolo 1 della legge numero 145 del 30 dicembre 2018. L’articolo 65, infatti, specifica che, “al fine di favorire l’avvio di nuove attività, per il periodo d’imposta in cui l’attività è iniziata e per i quattro successivi, l’aliquota di cui al comma 64 è stabilita nella misura del 5 per cento”.

Quali sono le condizioni per beneficiare dell’aliquota del 5% per le partite Iva a regime forfettario?

Affinché si possa applicare l’aliquota del 5% sui redditi delle partite Iva a regime forfettario è necessario che si verifichino tre condizioni:

  • il contribuente deve aver esercitato, nei tre anni precedenti l’inizio dell’attività di cui al comma 54, attività artistica, professionale ovvero d’impresa. Tali attività non devono essere state svolte neanche in forma associata o familiare;
  • l’attività da esercitare non deve costituire, in alcun modo, la mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo. Rimane escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni;
  • l’ammontare dei relativi ricavi e compensi, realizzati nel periodo d’imposta precedente quello di riconoscimento del predetto beneficio, non deve essere superiore al limite di cui al comma 54. Tale condizione è richiesta qualora il lavoratore autonomo prosegua un’attività svolta in precedenza da altro soggetto.

Caso di chiusura e di riapertura della partita Iva a regime forfettario

La chiusura e la riapertura di una partita Iva a regime forfettario potrebbe precludere l’applicazione dell’aliquota vantaggiosa del 5%. E questa condizione potrebbe verificarsi anche all’interno dei primi cinque anni di attività. Prendiamo ad esempio un professionista che, nel 2017, ha avviato un’attività autonoma aderendo alla partita Iva a regime forfettario e applicazione dell’aliquota del 5%. Ammettiamo che il professionista abbia chiuso la partita Iva a regime forfettario nel 2020 per poi decidere di riaprirla nel 2021. Il professionista procede alla riapertura della partita Iva, a regime forfettario e sempre come libero professionista, ma con un codice Ateco diverso.

Partita Iva a regime forfettario, quando si applica l’aliquota vantaggiosa del 5%?

Nel caso in esame il libero professionista, nel momento in cui riapre la partita Iva a regime forfettario, potrebbe continuare a beneficiare dell’aliquota del 5% non avendo ancora terminato i 5 anni di “start up” della prima apertura di partita Iva? Oppure rimarrebbe obbligato all’aliquota normale di flat tax del 15%? Per rispondere a questo quesito è necessario dunque rifarsi a quanto specificato dal comma 65, dell’articolo 1, della legge 190 del 2014. E dunque alle condizioni poste dalla norma per poter beneficiare (o continuare a beneficiare) dell’aliquota del 5%.

Partita Iva forfettaria al 5%, le condizioni poste dal comma 65, dell’articolo 1, della legge 190 del 2014

Non considerando in questo caso l’ultima opzione del comma 65, è necessario verificare le prime due opzioni. In particolare, il professionista con partita Iva a regime forfetario è subordinato alla condizione che non abbia esercitato, nei 3 anni precedenti, un’altra attività di impresa o di lavoro autonomo. Allo stesso modo, è necessario che la nuova attività (con partita Iva di diverso codice Ateco) non si configuri come mera prosecuzione dell’attività svolta in precedenza, sia come lavoratore autonomo che come dipendente.

Quando non si può più beneficiare dell’aliquota del 5% della partita Iva forfettaria dei primi cinque anni?

Nel caso del professionista, le condizioni non sono tali da poter riprendere ad applicare l’aliquota del 5%. Infatti, con la riapertura della partita Iva a regime forfettario, non risulterebbe verificata la prima opzione posta dalla norma. Ovvero, quella secondo la quale la partita Iva non deve aver esercitato un’altra attività di impresa o di lavoro autonomo. Pur rientrando nei 5 anni di start up dall’apertura della partita Iva nel 2017, la chiusura della stessa nel 2020 determinerebbe l’impossibilità di poter beneficiare, di nuovo, dell’aliquota del 5% in riferimento alla nuova attività.

Bonus 4680 euro per chi prende il reddito di cittadinanza e si mette in proprio: per quali attività?

Diventa operativo il bonus di 4680 euro per chi prende il reddito di cittadinanza e si mette in proprio. Si tratta di sei mensilità per un massimo di 780 euro al mese di chi, percependo il reddito di cittadinanza, decide di aprire un negozio, uno studio professionale o una bottega. Sulla misura è intervenuta l’Inps con la recente circolare numero 175 del 2021. Nella comunicazione sono riportate tutte le attività che possono essere avviate con l’aiuto del reddito di cittadinanza, nonché gli esempi di come possa essere percepito il bonus stesso.

Percettori di reddito di cittadinanza, la misura per prendere il bonus per l’autoimpiego

L’incentivo all’autoimpiego con il reddito di cittadinanza è previsto dal comma 4 dell’articolo 8, del decreto legge numero 4 del 2019. È dunque dal decreto istitutivo dello stesso reddito di cittadinanza che è stata prevista anche la possibilità, per i percettori, di poter ricorrere a una misura di aiuto per l’apertura di una nuova attività. L’attuazione è stata decretata con il provvedimento del 12 febbraio 2021, recepito dall’Inps con il messaggio numero 3212 del 2021, che ha dato avvio alle richieste dei percettori del reddito di cittadinanza.

Quando può essere richiesto il bonus per l’autoimprenditorialità del reddito di cittadinanza?

Il bonus per l’autoimprenditorialità si può richiedere nei primi dodici mesi nei quali si fruisce del reddito di cittadinanza. L’importo del bonus è uguale a 6 mensilità del reddito di cittadinanza che si percepisce. Il massimo è corrispondente a 780 euro mensili (da moltiplicare per sei mensilità, dunque 4680 euro). Si può richiedere se, nel periodo indicato, si avvii un’attività autonoma, un’impresa individuale o una società cooperativa.

Il bonus per l’autoimprenditorialità può essere richiesto anche da altri componenti del nucleo familiare?

La risposta è affermativa. Il bonus per l’autoimprenditorialità può essere richiesto anche da altri componenti del nucleo familiare di chi percepisce il reddito di cittadinanza. Sono esclusi i genitori non coniugati e che non convivano nella famiglia. Naturalmente il bonus può essere richiesto per una sola nuova attività avviata dalla famiglia beneficiaria del reddito di cittadinanza.

Quali sono i requisiti per richiedere il bonus per l’autoimprenditorialità del reddito di cittadinanza?

Per presentare domanda del bonus per l’autoimprenditorialità è necessario che, al momento dell’istanza, i componenti il nucleo familiare risultino già fruitori del reddito di cittadinanza. Pertanto, il domandante il bonus, nel momento in cui presenta domanda del contributo, deve far parte del nucleo familiare che già beneficia del reddito di cittadinanza. In alternativa, entro i primi dodici mesi di fruizione del reddito di cittadinanza, il richiedente deve aver iniziato un’attività lavorativa di tipo autonomo o un’impresa individuale. Altra possibilità per il richiedente è che deve aver sottoscritto una quota di capitale sociale in una cooperativa nella quale “il rapporto mutualistico abbia a oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio”.

Altri requisiti per la richiesta del bonus dell’autoimpiego del reddito di cittadinanza

Risulta altresì necessario che chi presenta la domanda di bonus all’autoimpiego e percepisca il reddito di cittadinanza, non abbia cessato, nei dodici mesi precedenti la domanda, un’attività lavorativa autonoma o un’impresa individuale o abbia sottoscritto una quota di capitale sociale di una cooperativa. Inoltre, il bonus può essere richiesto una sola volta. Nel caso in cui altri componenti della famiglia abbiano già beneficiato del bonus, la domanda viene respinta.

Quali sono le attività che si possono avviare con il bonus all’autoimpiego del reddito di cittadinanza?

Le attività che si possono avviare con il bonus dell’autoimpiego per i percettori di reddito di cittadinanza sono:

  • l’attività professionale esercitata come liberi professionisti, inclusi gli iscritti alle casse professionali, in quanto risultanti come lavoratori autonomi;
  • avviare un’attività di impresa individuale che può essere di tipo commerciale, agricola o artigiana;
  • sottoscrivere una quota di capitale sociale di una cooperativa purché il rapporto mutualistico abbia a oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio;
  • avviare una società unipersonale nella forma di società a responsabilità limitata (Srl), di una società a responsabilità limitata speciale (Srls) o di una società per azioni (Spa);
  • costituendo e entrando nelle società di persone o di capitali, a eccezione del caso in cui chi richiede il bonus all’autoimpiego conferisca con apporti di capitale sociale. In questo caso si può entrare in società in nome collettivo (Snc), società in accomandita semplice (Sas) o in società a responsabilità limitata (Srl).

Quando viene erogato il bonus all’autoimpiego dall’Inps per i percettori del reddito di cittadinanza?

Il bonus all’autoimpiego per i percettori del reddito di cittadinanza viene erogato in un’unica soluzione. Il momento dell’erogazione avviene entro il secondo mese susseguente a quello nel quale sia stata presentata l’istanza. Il pagamento del bonus avviene mediante accredito sul conto corrente. Diventa necessario, pertanto, indicare nella domanda il codice Iban sul quale si voglia l’accredito. Si può ricevere il pagamento anche con il bonifico domiciliato. In questo caso, l’Inps rispetta la soglia massima di importo prevista dalla legge. Se quest’ultima dovesse essere eccedente, l’Inps paga in più rate fino alla concorrenza di quanto spetti.

Come si presenta la domanda all’Inps per il bonus all’autoimpiego?

Per presentare domanda del bonus all’autoimpiego, i percettori del reddito di cittadinanza devono compilare e presentare il modello Com Esteso. Dal momento della presentazione della domanda, scatta il termine per il pagamento. Se la domanda è stata presentata il 30 ottobre scorso, il pagamento avviene entro il 31 dicembre 2021. La domanda è sottoposta a vari controlli tra i quali l’incrocio dei dati inerenti il codice Iban e il codice fiscale di chi proceda con la richiesta del bonus.

Quando viene revocato il bonus all’autoimpiego per i percettori di reddito di cittadinanza?

La domanda del bonus all’autoimpiego può essere anche revocata dall’Inps. In particolare ciò succede quando:

  • l’attività avviata, oggetto del bonus aggiuntivo, cessi prima che siano trascorsi dodici mesi dall’avvio;
  • nel caso in cui il percettore del bonus ceda la propria quota di capitale sociale in una cooperativa, sempre entro i dodici mesi dalla sottoscrizione;
  • se, a seguito di controlli, al beneficiario del bonus venga revocato il reddito di cittadinanza. In automatico, dunque, la revoca del reddito di cittadinanza comporta anche quella del bonus addizionale per l’avvio di un’attività;
  • nei casi di decadenza del reddito di cittadinanza illustrate all’articolo 7 del decreto legge numero 4 del 2019.

 

 

 

Partite Iva, dalla riforma fiscale sconto medio di 202 euro e abolizione Irap

Per le partite Iva e i lavoratori autonomi gli sconti Irpef attesi dalla riforma fiscale per il 2022 si attesteranno mediamente in 202,40 euro all’anno. Lo sconto salirà per redditi che arrivano a 50 mila euro a circa 810 euro. E scompare l’Irap che, mediamente, comporta un esborso di 1360 euro all’anno.

Partite Iva e lavoratori autonomi, la riforma fiscale vale uno sconto medio di 202,40 euro

La revisione delle aliquote Irpef, che scenderanno da 5 a 4, porterà sconti fiscali anche alle partite Iva, oltre ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. La riforma fiscale, attesa nella giornata del 7 dicembre 2021 per il voto al Senato, segnerà uno sconto fiscale Irpef che varia da 62 euro a 810 euro all’anno, con una media di 202,40 euro. Per le partite Iva che non hanno potuto o voluto passare al regime forfettario, con flat tax al 15% (o al minimo del 5%), lo sconto sarà mediamente inferiore del 16,7% rispetto al vantaggio fiscale attestato ai lavoratori dipendenti. Questi ultimi avranno uno sconto medio di 243 euro.

Irpef, quali sono le nuove aliquote in arrivo con la riforma fiscale del 2022?

Le nuove aliquote della riforma fiscale, sia per i lavoratori dipendenti che per quelli autonomi e i pensionati, saranno quattro:

  • da 0 a 15.000 euro l’aliquota rimarrà del 23%;
  • da 15.001 a 28.000 euro l’aliquota si abbasserà dall’attuale 27% al 25%;
  • da 28.001 a 50.000 euro la riduzione sarà di tre punti, ovvero dal 38% di Irpef al 35%;
  • infine per redditi oltre i 50.000 euro si verserà il 43%;
  • scompare la precedente classe che andava dai 55.001 ai 75.000 euro del 41%, con applicazione del 43% per redditi superiori.

Quanto risparmieranno le partite Iva con  la riforma delle aliquote Irpef?

Dalle stime di calcolo del ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef), i risparmi di imposta Irpef per le partite Iva varieranno da un minimo di 62 euro a un massimo di 810 euro. Il risparmio minimo di 62 euro riguarderà le partite Iva che abbiano un volume di ricavi a 15 mila euro. Il massimo del beneficio fiscale si ha in corrispondenza di redditi di 50 mila euro: il risparmio sarà di 810 euro.

Differenza di sconti fiscali tra partite Iva e lavoratori dipendenti con la riforma 2022

Il divario di sconto fiscale tra i lavoratori autonomi e i dipendenti è spiegato da varie ragioni. Innanzitutto, a pesare sono le detrazioni: per i lavoratori dipendenti sono più alte, andando a inglobare, per redditi fino a 40 mila euro, anche l’ex bonus di Renzi di 80 euro (poi passato a 100 euro). Varia anche il punto più alto di beneficio fiscale: se per i lavoratori autonomi il maggior vantaggio si ha in corrispondenza di redditi di 50 mila euro, per i lavoratori dipendenti il picco si ha a 40 mila euro.

Cambia la no tax area: per i lavoratori autonomi sale a 5.500 euro

Varia anche la no tax area dei lavoratori autonomi, che sale dai 4.800 euro attuali a 5.500 euro. Si allarga, dunque, la platea di lavoratori con redditi bassi che non è soggetta a imposizione. Per i lavoratori dipendenti la no tax area sale a 8.500 euro.

Riforma fiscale: quali partite Iva risparmiano di più?

La curva dei vantaggi fiscali delle partite Iva segna uno sconto progressivo all’aumentare dei redditi a partire dai 15.000 euro. Il vantaggio fiscale è massimo in corrispondenza dei redditi di 50.000 euro, scendendo poi progressivamente. L’ultima classe di risparmio, in termini fiscali, è quella dei redditi di almeno 75 mila euro: per tutti, autonomi e dipendenti, lo sconto vale 270 euro annui.

Quanto risparmiano le partite Iva di tasse e imposte con la riforma fiscale?

Le stime di risparmio, in termini fiscali, delle partite Iva con la revisione delle aliquote Irpef si attesta rispettivamente:

  • per i redditi fino a 15.000 euro all’anno, il risparmio è del 2,48%;
  • su redditi di 30.000 euro annui, lo sconto è del 3,24%;
  • per i redditi di 50.000 euro lo sconto è del 5,63%;
  • redditi di 75.000 euro hanno un beneficio dell’1,07%.

Partite Iva, in arrivo l’azzeramento dell’Irap

L’altra faccia della moneta per i lavoratori autonomi e le partite Iva è rappresentata dall’azzeramento dell’Irap. In questo caso, a beneficiare della mancata imposta sono circa un milione di microimprese, persone fisiche e ditte individuali che non dovranno più pagare l’imposta regionale. L’investimento per il governo dell’azzeramento dell’Irap ha un costo complessivo di oltre 1,3 miliardi di euro.