Quattordicesima 2023: a chi spetta e a quanto ammonta?

La quattordicesima mensilità è una somma aggiuntiva versata sulla pensione nella mensilità di luglio. L’importo e la spettanza dipende dal reddito e in particolare sono determinati in base alla pensione minima. Naturalmente cambiando gli importi delle pensioni in base all’inflazione, cambia anche il limite dell’assegno mensile che consente di ricevere la quattordicesima mensilità. Vediamo quindi a chi spetta la quattordicesima 2023 e quanto percepiranno i pensionati.

Quattordicesima 2023: a chi spetta?

La quattordicesima mensilità è una somma aggiuntiva pagata sulle pensioni nel mese di luglio. Non spetta a tutti i pensionati, ma solo a coloro che hanno un reddito particolarmente basso e quindi è una sorta di aiuto per coloro che possono avere difficoltà economiche. La quattordicesima mensilità viene erogata a coloro che hanno un assegno pensionistico non superiore due volte al trattamento minimo. Fino al 2017 veniva erogata esclusivamente a coloro che avevano un trattamento pensionistico fino a 1,5 volte il minimo. Questo vuol dire che ogni anno deve essere rideterminato l’importo mensile che porta ad avere diritto a questa prestazione.
La pensione minima per il 2023 passa da 525,38 euro a 563,73 euro, il totale annuo è quindi pari a 7.328,49 euro, ma per coloro che hanno compiuto 75 anni di età l’importo minimo è di 597 euro. Questo implica che l’importo massimo di reddito annuo che può portare alla corresponsione della quattordicesima mensilità è di 14.657 euro annui.

Hanno diritto alla somma aggiuntiva coloro che percepiscono:

  • pensione di vecchiaia;
  • pensione di anzianità;
  • nuova pensione anticipata;
  • pensione superstiti;
  • pensione di invalidità ordinaria (IO) e inabilità.

La quattordicesima invece non spetta a percettori di:

  • invalidità civile,
  • pensione sociale o assegno sociale;
  • rendita inail;
  • pensione di guerra

Vi sono ulteriori limiti alla percezione della quattordicesima mensilità, infatti non viene erogata a coloro che hanno un’età pari o superiore a 64 anni.

A quanto ammonta la quattordicesima mensilità?

Gli importi della quattordicesima 2023 cambiano in base ai redditi percepiti dal pensionato.

In particolare per chi ha un reddito fino a 10.992,93 euro annui, quindi fino al limite di 1,5 volte il trattamento minimo gli importi sono:

  • 436,80 € per anzianità contributiva fino a 18 anni (15 per lavoratori dipendenti);
  • 546 € con anzianità contributiva tra i 18 anni e i 28 anni (da 15 a 25 anni per lavoratori dipendenti);
  • 655,20 € con anzianità superiore a 28 anni di contributi (oltre 25 anni per lavoratori dipendenti.

Per redditi fino a 14.657,24 euro gli importi previsti sono:

  • 336 euro per anzianità contributiva fino a 18 anni (15 anni per i lavoratori dipendenti);
  • 420 euro con anzianità contributiva compresa tra 18 e 28 anni (15-25 anni per i lavoratori dipendenti);
  • 504 euro con anzianità contributiva superiore a 28 anni ( 25 anni per i lavoratori dipendenti).

Come stabilito nella circolare Inps 130 del 2015, nel computo dei redditi che danno diritto alla percezione della quattordicesima mensilità 2023, non devono essere inseriti:

  • trattamenti di famiglia;
  • assegno di accompagnamento;
  • pensioni di guerra;
  • compensi arretrati sottoposti a tassazione separata;
  • tfr;
  • reddito della casa di abitazione;
  • indennità per i ciechi parziali e dell’indennità di comunicazione per sordi prelinguali;
  • indennizzo previsto della legge n. 210 del 25/02/1992;
    sussidi economici che comuni ed altri enti erogano agli anziani in difficoltà.

Leggi anche: Rivalutazione pensioni: chi la riceverà a marzo 2023?

 

Bonus Una Tantum 150 euro: a chi spetta? È necessaria la domanda?

Il governo Draghi si licenzia dal Paese con l’ultimo aiuto importante: un Bonus Una Tantum di 150 euro per coloro che hanno redditi inferiori a 20.000 euro lordi. Ecco a chi spetta.

Quando sarà erogato il Bonus Una Tantum di 150 euro?

Il primo bonus è stato stanziato con il decreto Aiuti Bis, si trattava di 200 euro in favore di pensionati, lavoratori autonomi e dipendenti con un reddito inferiore a 35.000 euro nel 2021. Questa volta la misura è ristretta, infatti mentre ci sono ancora numerosi lavoratori autonomi che non sono riusciti a percepire il bonus di 200 euro e stanno aspettando le istruzioni dalle relative casse di competenza, il Governo mette a punto un nuovo bonus, stavolta di 150 euro.

Chi sono i beneficiari del Bonus Una Tantum di 150 euro?

L’indennità Una Tantum di 150 euro sarà erogata nel mese di novembre 2022. Spetterà ai pensionati a cui sarà nuovamente erogata direttamente dall’INPS e ai lavoratori dipendenti, in questo caso con molta probabilità si procederà nuovamente alla presentazione dell’autocertificazione e potrà essere percepito con lo stipendio di competenza del mese di novembre. Da quanto emerge potranno percepire il bonus Una Tantum di 150 euro anche i lavoratori autonomi, ma i tempi probabilmente saranno più lunghi, visto che ancora non hanno ricevuto il bonus di luglio.

Tra i beneficiari ci saranno anche i percettori del reddito di cittadinanza che potranno riceverlo insieme all’importo mensile e in modo automatico, visto che i dati relativi al reddito per loro sono già disponibili. Infine, potranno percepire l’aiuto anche i percettori di Naspi, dis-coll e disoccupazione agricola. Gli ultimi hanno ricevuto il bonus di 200 euro insieme al sussidio di disoccupazione mentre in questo caso dovrebbero percepirlo dall’Inps separatamente. Potranno percepire, dietro domanda, l’importo anche i dottorandi e gli assegnisti di ricerca, infine i lavoratori dello spettacolo, turismo stagionale e dipendenti di impianti termali.

I requisiti per ricevere il bonus Una tantum di 150 euro

Per quanto riguarda i requisiti, si è detto che il bonus Una Tantum di 150 euro spetta a coloro che non superano i 20.000 euro lordi di reddito, si tratta quindi di un importo mensile lordo, comprensivo di imposte non superiore a 1.538 euro. Si tiene in considerazione il reddito personale e non il reddito familiare. Nell’imponibile non si considera la somma relativa ai contributi. Il bonus di 150 euro non è pignorabile e non deve essere considerata al fine della determinazione del reddito.

Per conoscere le altre misure del decreto Aiuti Ter, leggi: Decreto Aiuti Ter: le misure approvate dal Consiglio dei Ministri

Bonus 200 euro dipendenti: modulo ufficiale dell’INPS per auto-dichiarazione

Con il Messaggio 2559 del 24 giugno 2022 l’Inps ha reso noto che per poter ottenere il bonus di 200 euro il lavoratore deve presentare un’auto-dichiarazione, ecco il modulo ufficiale.

Bonus 200 euro lavoratori dipendenti: arriva il modulo ufficiale auto-dichiarazione dell’INPS

Il bonus di 200 euro previsto dall’articolo 31 comma 1 del decreto legge 50 del 2022 è una misura molto attesa da tutti i lavoratori in quanto consente di avere un bonus una tantum utile a far fronte agli aumenti che stanno caratterizzando gli ultimi mesi. Sebbene la misura da molti sia ritenuta irrisoria, resta un aiuto che tutti aspettano.

Per i percettori di reddito di cittadinanza e di altri sostegni al reddito e per i pensionati il pagamento è automatico nel mese di luglio 2022, senza bisogno di presentare alcuna domanda. Lo stesso principio è valido per i lavoratori del settore pubblico, non è invece così per i lavoratori dipendenti del settore privato. Sebbene nelle settimane scorse ci sia stato un continuo cambio di informazioni, ora finalmente arrivano i chiarimenti ufficiali.

Ecco il modulo ufficiale da utilizzare per ottenere il bonus 200 euro

L’INPS con il Messaggio 2559 ha sottolineato che i lavoratori dipendenti per poter ricevere il bonus di 200 euro devono presentare al datore di lavoro un’auto-dichiarazione in cui si afferma di non essere titolare delle prestazioni di cui all’articolo 32, commi 1 e 18”, cioè di non essere titolari di:

  • trattamenti pensionistici a carico di qualsiasi forma previdenziale obbligatoria;
  • di pensione o assegno sociale;
  • di pensione o assegno per invalidi civili, ciechi e sordomuti;
  • trattamenti di accompagnamento alla pensione;
  • di non appartenere a un nucleo familiare in cui ci sia un componente percettore di reddito di cittadinanza.

L’INPS nel fac simile da compilare ha inserito ulteriori informazioni, in particolare con la compilazione, il lavoratore dichiara di essere consapevole che l’indennità spetta esclusivamente ai lavoratori dipendenti destinati all’esonero di cui alla legge 234 del 2021 (esonero 0,8 punti percentuali sulla quota a carico del lavoratore. Questa misura spetta ai lavoratori che hanno un reddito annuo inferiore a 35.000 euro, quindi da tale dichiarazione si evince che il lavoratore rientra in tale range.

Infine, il lavoratore naturalmente si assume la responsabilità delle proprie dichiarazioni consapevole che nel caso di dichiarazioni mendaci sarà recuperata l’indennità indebitamente corrisposta e saranno applicate sanzioni. All’auto-dichiarazione deve essere allegato un documento di riconoscimento.

Puoi scaricare il modulo ufficiale dell’INPS per chiedere il bonus 200 euro lavoratori dipendenti cliccando sul seguente link

Messaggio_numero_2559_del_24-06-2022_Allegato_n_1

oppure andando al sito dell’INPS

Leggi anche Lavoratori autonomi: c’è il decreto attuativo per il bonus 200 euro?

Bonus 200 euro:lavoratori dipendenti devono presentare l’autodichiarazione?

Con l’articolo 31 del decreto Aiuti 2022 si introduce il bonus di 200 euro per dipendenti e pensionati. Se la procedura è abbastanza semplice per i pensionati che lo riceveranno automaticamente con la pensione del mese di luglio, non sembra essere altrettanto semplice per i lavoratori dipendenti che dovranno presentare un’autodichiarazione. Ecco perché questo adempimento.

Perché l’autodichiarazione occorre solo pe ri lavoratori dipendenti?

Il bonus di 200 euro è previsto nel Decreto Aiuti dall’articolo 31 per i lavoratori dipendenti e nell’articolo 32 per pensionati e altri soggetti. L’obiettivo è aiutare le famiglie a far fronte al caro vita attraverso aiuti una tantum, quindi senza aumenti di salari che stimolerebbero la spinta inflazionistica, ciò in attesa che la corsa dei prezzi si fermi.

Il bonus di 200 euro viene versato direttamente dall’ente previdenziale che eroga la pensione per i pensionati, titolari Naspi, dis-coll, disoccupazione agricola, RdC. Questi soggetti potranno quindi riceverlo nel mese di luglio senza presentare domanda e senza adempimenti. Diverso è invece il caso dei lavoratori dipendenti, che potranno percepirlo su erogazione del datore di lavoro che potrà poi usare le somme erogate in compensazione, quindi scalandole dalle imposte che deve versare. Di conseguenza i datori di lavoro onerati di questi impegni hanno l’esigenza di scaricare eventuali responsabilità legate al fatto che qualche lavoratore potrebbe percepire il bonus di 200 euro senza averne diritto.

I requisiti per accedere al bonus 200 euro dipendenti

Per i lavoratori dipendenti l’articolo 31 del decreto 50 del 2022 prevede, oltre il limite dei 35.000 euro annuali, anche un altro requisito. In particolare aver beneficiato dell’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti di cui alla Legge di Bilancio 2022 (art. 1, comma 121, L. n. 234/2021) per almeno un mese.

Inoltre il Bonus di 200 euro dipendenti spetta una sola volta quindi chi ha più datori di lavoro e non deve essere titolare di altri trattamenti, ad esempio RdC, oppure trattamenti pensionistici. Il rischio è che se il lavoratore riceve il bonus dall’INPS o da un altro datore di lavoro, qualche datore di lavoro possa perdere la compensazione dei 200 euro perché il bonus è stato erogato senza che la persona ne avesse diritto.

Proprio per questo motivo si è pensato a un’autodichairazione in cui il lavoratore conferma di non ricevere il bonus di 200 euro da nessun altro soggetto e di avere i requisiti previsti tra cui quello legato all’esonero contributivo.

Autodichiarazione: perché è essenziale?

Inoltre la normativa prevede in modo espresso che l’indennità “è riconosciuta in via automatica, previa dichiarazione del lavoratore di non essere titolare delle prestazioni di cui all’articolo 32, commi 1 e 18.”. Tale articolo prevede il bonus in favore di pensionati, percettori di NASpI, disoccupazione agricola, RdC…) .

Il problema nasce dal fatto che il legislatore non ha provveduto a rendere noto il modello per l’autodichiarazione. Questo naturalmente ha mandato in confusione datori di lavoro e commercialisti. Per colmare la lacuna, visto che ormai siamo a giugno inoltrato, i consulenti del lavoro hanno redatto un modello di autodichiarazione alternativo. I lettori possono scaricare l’approfondimento, nell’ultima pagina è presente il modello di autodichiarazione.

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Quattordicesima 2022 pensionati: chi potrà percepirla e a quanto ammonta?

Coloro che ricevono pensioni particolarmente basse, nel mese di luglio di ogni anno ricevono la quattordicesima mensilità. La platea degli aventi diritto varia di anno in anno al variare dell’importo dell’assegno sociale. Vediamo ora chi riceverà la quattordicesima mensilità nel mese di luglio 2022.

Cos’è la quattordicesima mensilità?

La quattordicesima mensilità è una somma erogata in favore di pensionati che abbiano compiuto 64 anni di età e che abbiano un reddito non particolarmente alto. Si tratta di una somma corrisposta a carattere previdenziale, non costituisce reddito, non va ad incrementare la base imponibile, la quattordicesima inoltre non è tassata.

A chi spetta ?

La disciplina della quattordicesima mensilità prevedeva inizialmente la corresponsione in favore dei pensionati che avessero compiuto 64 anni di età il cui reddito non superava 1,5 volte il trattamento minimo. Nel 2016 sindacati e governo hanno poi siglato un accordo che estende l’applicabilità della quattordicesima mensilità a coloro che hanno un importo pensionistico fino a 2 volte il minimo previsto per l’assegno sociale. Cambiano però gli importi.

A quanto ammonta la quattordicesima mensilità per i pensionati nel 2022?

La prima cosa da sottolineare è che gli importi devono essere considerati lordi, cioè non si deve avere come riferimento il netto percepito, ma l’importo con le imposte incluse.

La prima fascia di reddito che può ottenere la quattordicesima mensilità nel mese di luglio 2022 è quella fino a 10.224,82 euro.

In questo caso ci sono tre fasce delineate in base ai contributi versati:

  • coloro che hanno versato fino a 15 anni di contributi (18 per i lavoratori autonomi) possono percepire 436,80 euro;
  • i contribuenti che hanno versato dai 15 ai 25 anni di contribuzione (fascia 18-28 per i lavoratori autonomi) possono ottenere 546 euro;
  • coloro che hanno una contribuzione oltre i 25 anni ( 28 per i lavoratori autonomi) percepiscono nel mese di luglio 2022 655,20 euro.

Quattordicesima mensilità per pensionati con redditi superiori a 10.224,82 €.

Si è detto che dal 2016 con percezione dal luglio 2017 la quattordicesima mensilità è stata estesa anche a coloro che hanno un reddito fino a 2 volte superiore rispetto all’assegno sociale, ma per loro gli importi sono ridotti, vediamo quindi i limiti per il 2022.

Coloro che hanno un reddito compreso tra 10.224,82 euro e 13.633,10 € potranno ricevere:

  • se hanno fino a 15 anni di contributi (18 per i lavoratori autonomi) 336 euro;
  • se hanno maturato da 15 a 25 anni di contributi ( da 18 a 28 anni per i lavoratori autonomi) ricevono 420 euro;
  • coloro che hanno versato oltre 25 anni di contributi (oltre 28 anni per i lavoratori autonomi), ricevono 504 euro.

Per percepire la quattordicesima mensilità non è necessario proporre domande, infatti gli importi sono accreditati direttamente dall’INPS nel mese di luglio di ogni anno.

Pensione, come versare i contributi volontari per chi ha perso il lavoro?

Come avvicinare la pensione con il versamento dei contributi volontari? E quali sono i requisiti richiesti per quanti hanno perduto il lavoro e non trovano un’altra occupazione? Si tratta di una situazione ricorrente nella quale continuare a versare i contributi volontari, in molti casi, rappresenta l’unica possibilità per arrivare al trattamento pensionistico. Tuttavia, è necessario distinguere i lavoratori autonomi da quelli dipendenti in merito all’autorizzazione (e quindi ai requisiti) per procedere con il versamento dei contributi volontari.

Lavoratori autonomi, chi può versare i contributi volontari per accorciare la via della pensione?

Per ottenere l’autorizzazione a versare i contributi volontari dei lavoratori autonomi iscritti all’Inps è occorrente che:

  • i commercianti e gli artigiani abbiano già versato almeno 5 anni di contributi effettivi riferiti a qualunque periodo della propria vita. In alternativa, possono essere stati versati anche 3 anni di contributi nei 5 anni precedenti la domanda nella quale si chiede di poter versare i contributi volontari;
  • per i coloni, i mezzadri e i coltivatori diretti è necessario aver versato almeno 5 anni di contributi in tutta la vita assicurativa. In alternativa, i contributi giornalieri sono pari a 279 per gli uomini e a 186 per le donne e i giovani nei 5 anni che precedono la domanda nella quale si chiede di poter versare i contributi volontari.

Lavoratori dipendenti e parasubordinati, quando possono richiedere il versamento dei contributi volontari?

Per i lavoratori parasubordinati, la possibilità di richiedere i contributi volontari è vincolata ad avere un anno di contributi versato nei 5 anni precedenti al momento in cui si presenta domanda di autorizzazione a versare i contributi volontari stessi. Per i lavoratori dipendenti, invece, l’autorizzazione a versare i contributi volontari è subordinata all’aver versato 5 anni di contributi effettivi, in qualunque epoca lavorativa. Oppure, in alternativa, aver provveduto ai versamenti contributivi per tre anni degli ultimi 5 che precedono la richiesta stessa.

Casi particolare di domanda di contributi volontari per arrivare prima alla pensione

I lavoratori domestici, nel caso di lavoro alle dipendenze, possono in alternativa al meccanismo dei 5 anni di versamenti o dei 3 degli ultimi 5 anni, aver versato 156 contributi settimanali. Chi svolge un lavoro part time, purché dal 1997 in poi, può richiedere il versamento dei contributi volontari se ha versato almeno un anno di contributi nei 5 che precedono la domanda di autorizzazione. In questo caso specifico, l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari può essere ottenuta anche se il rapporto di lavoro risulti ancora in corso. Non è necessaria dunque la cessazione del rapporto di lavoro.

Richiesta di versare i contributi volontari per i lavoratori stagionali

Per i lavoratori stagionali, la domanda di autorizzazione all’Inps per il versamento dei contributi volontari può avvenire a condizione che siano stati versati contributi per almeno un anno nei 5 che precedono la presentazione dell’istanza stessa. Il lavoro può essere svolto in maniera stagionale, temporanea e discontinua, ma relativamente solo ai periodi non coperti da contributi obbligatori o figurativi successivi al 31 dicembre 1996. Per i lavoratori stagionali l’Inps rilascia l’autorizzazione con decorrenza successiva al termine oppure alla sospensione del lavoro.

Quando avviene l’autorizzazione al versamento dei contributi volontari per la pensione?

L’autorizzazione al versamento dei contributi volontari ai fini della pensione può essere rilasciata dall’Inps solo nel caso ci sia stata cessazione o interruzione del rapporto di lavoro. Per i lavoratori alle dipendenze, tale autorizzazione perviene a partire dal primo sabato susseguente ala presentazione dell’istanza. Per i lavoratori autonomi, invece, l’autorizzazione parte dal primo giorno del mese di presentazione della domanda.

Cosa avviene se la domanda di versare i contributi volontari viene presentata prima della cessazione del lavoro?

Diverso è il caso in cui il contribuente presenti la domanda di autorizzazione a versare i contributi volontari prima che cessi il rapporto di lavoro. In questo caso, se si tratta di lavoratore alle dipendenza, la decorrenza coincide con il primo sabato successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. Per i commercianti e gli artigiani, la decorrenza parte dal primo giorno del mese susseguente alla cancellazione degli elenchi professionali.

Caso di un artigiano che richieda di poter versare i contributi volontari per arrivare alla pensione

Spesso mancano davvero pochi anni per arrivare alla pensione. Ad esempio, un artigiano iscritto all’Inps che abbia l’età intorno ai 60 anni e oltre 40 di contributi versati, alla chiusura della propria attività può richiedere di versare i contributi volontari. Lo può fare, alle condizioni descritte, per arrivare ad esempio alla pensione anticipata. Per l’uscita prima rispetto alla pensione di vecchiaia occorrono 42 anni e 10 mesi di contributi. Al raggiungimento dei requisiti contributivo, l’artigiano potrà andare in pensione, a prescindere dall’età anagrafica.

Nuova Irpef 2022: novità per aliquote, detrazioni e bonus

La riforma fiscale, con le nuove aliquote Irpef in vigore dal 2022 e le novità sulle detrazioni e sui bonus, comporta una rivoluzione nelle buste paghe dei lavoratori dipendenti, autonomi e per i pensionati. È ciò che si prospetta con i provvedimenti del governo di fine anno scorso destinati a cambiare la tassazione sui redditi. In linea generale, i maggiori vantaggi li avranno i redditi medi e alti. Ma anche per gli altri la busta paga cambierà in maniera significativa.

Nuova Irpef 2022, cosa cambia nella busta paga di lavoratori e pensionati?

Già a partire da gennaio 2022 entreranno in vigore le nuove disposizione della riforma del Fisco con la modifica degli scaglioni, delle aliquote Irpef ai fini della tassazione. Le novità sull’Irpef comporteranno, in ogni modo, anche una nuova modalità di calcolo delle detrazioni fiscali a favore dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, ma anche dei redditi assimilati a quelli dei lavoratori. E, infine, anche nel modo di calcolare l’ex bonus Renzi di 80 euro in vigore dal 2014, poi salito di importo a 100 euro.

Riforma fiscale e Irpef, le novità per i redditi medi e alti

Una ulteriore novità nella risistemazione delle aliquote Irpef è rappresentata dall’eliminazione della detrazione fiscale per i redditi da lavoro dipendenti a partire dai 28 mila euro e fino a 40 mila euro. Contrariamente, la riforma fiscale riconosce l’esonero parziale ai lavoratori dipendenti con reddito fino a 34.996 euro. Tutte le novità fiscali avranno un impatto diverso sulle buste paga e determineranno un differente impatto per bonus e ritenute fiscali.

Riforma fiscale, come cambiano gli scaglioni e le aliquote Irpef?

Con la riforma fiscale cambiano le aliquote Irpef e gli scaglioni. Infatti:

  • la prima aliquota del 23% (rimasta invariata) viene applicata allo scaglione di redditi fino a 15 mila euro;
  • la seconda aliquota invece subisce delle modifiche. La percentuale scende dal 27% al 25% per i redditi da 15.001 a 25 mila euro e dal 38% al 35% per i redditi da 28.001 euro a 50 mila euro;
  • il quarto e il quinto scaglione vengono unificati con l’applicazione di un’unica aliquota del 43% per i redditi di oltre 50 mila euro.

Bonus e detrazioni nella riforma fiscale dell’Irpef, quali sono le novità del 2022?

La riforma fiscale del 2022 conferma anche i bonus per chi percepisce i redditi da lavoro dipendente fino a 15 mila euro. Nei casi di incapienza, quando la somma delle detrazioni risulta più elevata dell’imposta netta, la soglia può essere aumentata fino ai redditi di 28 mila euro. Tuttavia, il maggiore incremento delle detrazioni spetta ai lavoratori dipendenti con redditi a partire dai 15 mila euro. Infine, viene riconosciuta una detrazione aggiuntiva di 65 euro per i lavoratori dipendenti con redditi tra 25 mila euro e 35 mila euro. Tale detrazione è necessaria per non penalizzare chi percepisce redditi compresi in questi due estremi rispetto alle misure previste per i redditi meno elevati.

Riforma delle aliquote Irpef, detrazioni e bonus: chi si avvantaggia maggiormente nel 2022?

Il nuovo sistema delle aliquote Irpef, delle detrazioni e dei bonus permette ad alcuni di avere maggiori vantaggi fiscali in busta paga rispetto al 2021. Per chi ha redditi fiscali di 10 mila euro, il beneficio può essere quantificato in 158 euro all’anno; per i redditi di 15 mila euro annui, il vantaggio fiscale sarà di 422 euro rispetto all’anno scorso. La classe che maggiormente si avvantaggerà della riforma del Fisco sarà quella dei redditi da lavoro dipendenti per 40 mila euro l’anno. Il vantaggio sarà di 1.143 euro, mentre a 50 mila euro il vantaggio è quantificabile in 990 euro. Per i lavoratori autonomi il maggiore vantaggio fiscale risulta in corrispondenza di redditi annui pari a 50 mila euro. Il taglio dell’Irpef è pari a 810 euro all’anno (inclusa la mancata applicazione dell’Irap per le persone fisiche).

Riforma fiscale Irpef, detrazioni e assegni familiari: da quando si avranno gli effetti?

I primi effetti della riforma fiscale, delle detrazioni per i figli a carico e degli assegni familiari si avranno a partire dal mese di marzo 2022. Nelle simulazioni relative alla tassazione dei redditi non è da escludere il vantaggio che avranno i lavoratori con l’introduzione dell’Assegno unico per i figli a carico. L’assegno andrà a stravolgere anche l’insieme delle regole relative agli assegni familiari versati nelle buste paga dai datori di lavoro. Con un’ulteriore novità: l’Assegno unico universale non transiterà nelle buste paga dei lavoratori ma verrà pagato direttamente dall’Inps.

 

Legge 104 e trasferimenti lavoratore: quali limiti?

Il lavoratore dipendente con la legge 104 può essere trasferito?

Il dipendente che assiste in modo continuativo un proprio familiare disabile ai sensi della legge 104/92 non può essere trasferito in modo unilaterale da una sede di lavoro a una nuova, anche se ciò dovesse comportare uno spostamento ad una nuova unità produttiva. Ciò rappresenta una tutela per i soggetti svantaggiati portatori di handicap, i quali hanno diritto a scegliere la sede lavorativa più vicina al loro domicilio o al luogo dove si recano per effettuare le cure mediche. La stessa regola vale per chi assiste un familiare disabile.

Vincoli 104 al trasferimento del lavoratore

Infatti, ci sono alcuni vincoli legati al trasferimento del lavoratore che beneficia dei permessi concessi tramite la legge 104 per prestazione di assistenza a un familiare portatore di handicap. In virtù di tali vincoli, il dipendente che fruisce della legge 104 può rifiutare lo spostamento in una nuova sede anche se appartenente alla medesima unità produttiva, senza che il datore di lavoro possa licenziarlo legittimamente.

Quando si valuta il trasferimento sede in 104 del lavoratore dipendente a cui sono concessi permessi mensili per assistere i familiari disabili, non può operare il riferimento posto dell’articolo 2103 del codice civile al concetto di un’unità produttiva, mentre perché scatti il divieto è sufficiente che vi sia un cambiamento geografico del luogo di svolgimento dell’attività lavorativa.

Al dipendente viene riconosciuto lo speciale regime di protezione che ha come finalità la tutele del congiunto che rientra nelle categorie protette a mantenere inalterate le condizioni di assistenza nel rispetto di quanto previsto dalla Costituzione, dalla Carta di Nizza, che salvaguarda il diritto dei disabili di beneficiare di misure rivolte al loro inserimento sociale, e dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 in materia di protezione dei disabili.

Trasferimento per handicap meno grave: è possibile?

L’entità dell’handicap va stabilita da una commissione istituita presso l’ASL, in quanto farlo comporta differenti prerogative e agevolazioni per il beneficiario. Tuttavia, nel caso di trasferimento di sede aziendale” la suddetta valutazione non assume alcuna rilevanza.

Infatti, con la sentenza n. 25379/2016 la Corte di Cassazione ha chiarito che la condizione più o meno grave di disabilità non incide sulla possibilità da parte del datore di lavoro di operare un trasferimento, tanto meno con riferimento al familiare che assiste il disabile.

Trasferimento con 104: l’unico caso in cui è possibile

Sin qui, appare del tutto evidente che chi usufruisce della legge 104 beneficia di un particolare regime di protezione. Eppure, esiste un caso in cui il datore di lavoro può trasferire il lavoratore in un’altra sede, senza che quest’ultimo possa opporsi al trasferimento.

In poche parole, ciò accade quando il datore di lavoro trasferisce il dipendente fruitore della 104 in un’altra sede, a condizione che sussistano esigenze aziendali effettive e urgenti. Ad ogni modo, l’azienda dovrà dimostrare in giudizio che la richiesta di trasferimento del dipendente non può essere evitata in alcun modo, in quanto strettamente legata ai bisogni produttivi aziendali. Questo è l’unico caso che può essere riconosciuto valido dalla Suprema Corte di Cassazione dopo averne verificato i presupposti e percepito che non esistono alternative per soddisfare le esigenze dell’azienda che possono essere di carattere tecnico, organizzativo o produttivo.

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Lavoratore dipendente e a partita Iva? Si può

Ci sono particolari situazioni in cui è possibile che un lavoratore dipendente abbia anche una partita Iva, e che, quindi, percepisca una busta paga aziendale ma anche altri redditi che derivano da un lavoro autonomo.

Ciò accade quando nasce la necessità di migliorare la propria condizione economica o per fare spazio ad un hobby, o una passione, che diventa un secondo lavoro.

Le motivazioni, comunque, sono soggettive, ma sta di fatto che le partite Iva sono in continuo aumento, soprattutto quelle aperte da lavoratori che già percepiscono uno stipendio da dipendenti.
Nonostante questa tendenza sia in crescita, ci sono ancora molti dubbi circa il versamento dei contributi INPS, gli obblighi di comunicazione ai datori di lavoro, il cumulo dei redditi.

Un dipendente privato può aprire una partita Iva, sia come ditta individuale sia come libero professionista, ma l’importante è che non ci sia concorrenza tra il lavoro svolto come dipendente e quello a partita Iva, se il contratto lo vieta.
Se, infatti, non c’è nessun esplicito divieto, non sussistono problemi di coesistenza tra le due attività.

Il Codice Civile, a questo proposito, è molto chiaro: “esiste l’obbligo di fedeltà del lavoratore di non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio.
La violazione dell’obbligo di fedeltà costituisce inadempimento contrattuale che dà luogo a responsabilità disciplinare e, nella maggior parte dei casi, integra la giusta causa di licenziamento. Il lavoratore è inoltre tenuto al risarcimento dei danni subiti dal datore di lavoro
“.

Per quanto riguarda la contribuzione previdenziale INPS:

  • in caso di lavoratore dipendente a tempo indeterminato full-time (ovvero con almeno 26 ore lavorative settimanali) che avvia un’attività d’impresa commerciale, se è possibile qualificare il lavoro in azienda come prevalente sia in termini di tempo che in termini reddituali (reddito annuo come lavoratore dipendente maggiore del reddito derivante dall’attività commerciale), non è necessaria l’iscrizione alla Gestione commercianti dell’INPS né il versamento di ulteriori contributi. Una volta avviata l’attività l’INPS invierà al lavoratore comunque una comunicazione in merito all’iscrizione del soggetto alla Gestione commercianti, tuttavia sarà sufficiente rispondere spiegando i motivi che prevedono la cancellazione dell’iscrizione e provando l’esistenza del rapporto di lavoro dipendente allegando una copia dell’ultima busta paga percepita.
  • nel caso di lavoratore dipendente che avvia un’attività da libero professionista, è previsto l’obbligo di iscriversi alla Gestione separata INPS versando il contributo proporzionale del 18%;
    in caso di contratto di lavoro a tempo determinato bisogna valutare se complessivamente nel corso dell’anno il periodo trascorso come lavoratore dipendente può essere o meno considerato prevalente rispetto all’attività commerciale esercitata.

Vera MORETTI

Aprire partita Iva, c’è ancora chi ci crede

Abbiamo visto nei giorni scorsi come, secondo la Cgia, il popolo delle partite Iva sia ormai il popolo dei nuovi poveri. Eppure c’è ancora chi ci crede e, in questo scorcio di 2014 si sta chiedendo se aprire partita Iva o no. Sempre che se ne voglia assumere i rischi, aprire partita Iva è una decisione da prendere entro il 31 dicembre.

Il Ddl di Stabilità cambierà un po’ di regole anche per i lavoratori autonomi che possono accedere alla posizione con il regime dei minimi. Aprire partita Iva dopo il 1 gennaio 2015 comporterebbe pagare un’imposta sostitutiva del 15% e non del 5% come ora. Inoltre, il monte dei ricavi non sarà più fissato a 30.000 euro, ma varieranno in base al tipo di attività svolta e la cifra sarà calcolata con un coefficiente di redditività variabile. Non sarà più uguale per tutti

Chi è scoraggiato dall’aprire partita Iva in regime dei minimi a fine anno perché dovrebbe sostenere fiscalmente i costi dell’operazione per poche settimane e pagare le imposte relative già nel 2015, può stare tranquillo se non percepisce alcun compenso, il timore è infondato. Deve anche tenere conto che, aprire partita Iva entrando adesso nel regime dei minimi, significa avere applicate le vecchie regole fino al termine del quinquennio concesso o fino al compimento del 35esimo anno di età se under 35.

Anche a fine 2014, il profilo del lavoratore che sceglie di aprire partita Iva in regime agevolato è quello di un autonomo che non ha un grande giro d’affari o investimenti cospicui da fare. Diverso il discorso per chi vuole aprire una start-up: il Ddl di Stabilità prevede per le start-up che il reddito imponibile considerato sia pari a un terzo del totale. Una spintarella per il neo imprenditore che vuole aprire partita Iva.