Le imprese nelle aree a rischio terremoto

A poco più di un mese dal terremoto che ha devastato l’Italia centrale, puntiamo l’attenzione su una interessante elaborazione della Camera di commercio di Milano sulle imprese che, in Italia, si trovano in aree a rischio sismico.

Secondo l’elaborazione, effettuata su dati del registro delle imprese al secondo trimestre 2016, 2015 e 2011, sulle zone sismiche, livello 1, secondo la classificazione sismica al 2015 della Protezione Civile, sono quasi 240mila (239.917) le imprese nei comuni più soggetti a terremoto, il 5% dei circa 5 milioni di imprese italiane con 439mila addetti, il 3% del totale nazionale e un fatturato da 26 miliardi.

Si tratta di aree la cui economia è in ripresa, con circa 1.000 imprese in più in un anno grazie al turismo. Sono infatti 400 le imprese in più nel settore alloggio e ristorazione, +2,5%, a dispetto del rischio terremoto.

Rispetto al dato nazionale si tratta di un’economia più agricola (24% delle imprese dell’area, il 9% in più che in Italia) e commerciale (primo settore con 30% delle imprese dell’area, il 2,7% in più che in Italia). Minore il peso delle costruzioni (12,4%, il 2,3% in meno della media italiana) e del manifatturiero (8%, 1,7% in meno).

Come si diceva, l’economia di queste aree è aumentata nell’ultimo anno di circa mille imprese, +0,4% rispetto al +0,2% registrato in Italia. In crescita anche gli addetti, + 5% dai 418 mila di un anno fa. Una ripresa che si stava verificando prima del terremoto e che interrompeva il calo di imprese in cinque anni, 6mila in meno del 2011.

Primi comuni per numero di imprese nelle aree più soggette a terremoto sono Messina, con quasi 14mila, Reggio Calabria, con circa 13mila, Cosenza, Lamezia Terme (CZ) e Potenza, con 6mila, Benevento e Foligno (PG) con circa 5mila.

Primi comuni per fatturato nelle aree a rischio terremoto sono Messina e Melfi (PZ) con quasi due miliardi, Benevento, Osoppo (UD), Foligno (PG) e Potenza con oltre un miliardo. Tra i Comuni con maggiore crescita di imprese in cinque anni vi sono Reggio Calabria con 600 imprese in più, Lamezia Terme (CZ) e Rende (CS) con 400. Tra quelli meno grandi ci sono Viggiano (PZ) con un +17%, Pozzilli (IS) e Zumpano (CS) con un +12%, Falconara Albanese e Pedace (CS) con un +20%.

Italia-Svizzera, quanto vale la guerra dei frontalieri?

Il referendum che, nel Canton Ticino, ha visto prevalere quanti chiedono che sia data priorità ai residenti in Svizzera nell’assegnazione dei posti di lavoro, a scapito soprattutto dei frontalieri, sta rischiando di diventare un caso diplomatico.

Sono infatti oltre 60mila i frontalieri italiani che, ogni giorno, varcano il confine per andare a lavorare in Svizzera. A quanti volessero seguire le loro orme un domani, il 58% dei ticinesi ha di fatto detto stop.

La regione maggiormente esposta in questo senso e che vanta il maggior numero di frontalieri è la Lombardia. Ecco perché la Camera di commercio di Milano ha provato a calcolare quanto vale, attualmente, il rapporto commerciale tra la regione e lo Stato elvetico.

Secondo la CamCom milanese, gli scambi tra Lombardia e Svizzera valgono quasi 11 miliardi di euro all’anno, circa un terzo del totale nazionale (oltre 30 miliardi di euro). Un dato abbastanza stabile rispetto all’anno precedente (-1%)..

Milano è la protagonista lombarda degli scambi verso la Svizzera, con oltre sei miliardi di euro. Seconda è Monza con 1,2, seguita da Varese con 701 milioni e Como con 649 e un gran numero di frontalieri.

Metallurgia, tessile, elettronica e macchinari, sono i primi settori dell’export. L’import è invece per la maggior parte farmaceutico. I primi settori dell’export lombardo sono infatti i metalli di base e i prodotti in metallo (1,2 miliardi), seguiti da prodotti tessili, abbigliamento, pelli e accessori (836 milioni), computer, apparecchi elettronici e ottici (817 milioni), macchinari (591 milioni). L’import farmaceutico vale invece 1,1 miliardi. Al secondo posto ci sono computer e apparecchi elettronici (946 milioni).

Prezzi delle case e capoluoghi di provincia

Che i prezzi delle case al metro quadro abbiano delle variazioni folli da città a città, specialmente nei grandi capoluoghi, è un dato di fatto. Ma quanti si sono presi la briga di quantificare realmente questo scostamento dei prezzi delle case?

Lo ha fatto l’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa, che si è dato un budget di 200mila euro e da quello, in base ai prezzi delle case in diversi capoluoghi di provincia italiani, ha stilato una classifica delle località, considerando un valore medio per ogni riferito alla tipologia “medio usato”.

Il risultato dice che la città nella quale si compra l’appartamento più piccolo è Roma (63 mq in media), città nella quale i prezzi delle case sono più alti. Metrature che crollano vertiginosamente fino a meno di 37 mq mano a mano che ci si avvicina al centro storico.

Segue Milano, con 73 mq, che diventano però 37 nel centro storico e addirittura 27 a Brera, dove i prezzi delle case sono inarrivabili per i comuni mortali.

Terzo posto tra le città più costose spetta a Firenze, dove si acquista in media un immobile di 78 mq, che diventano poco più di 60 mq in centro.

Per quanto riguarda Napoli, con i prezzi delle case del quartiere chic di Posillipo-Petrarca, un appartamento in zona non supererebbe i 33 mq, contro una media della città di 94 mq per 200mila euro.

Più economica in assoluto tra i grandi capoluoghi di provincia è Palermo, dove con la cifra messa a budget si può acquistare un immobile che supera i 150 mq, dal momento che la quotazione media dei prezzi delle case è leggermente al di sotto dei 1200 euro/mq.

Discorso simile, riferiscono da Tecnocasa, anche per un importante capoluogo del Nord-Est come Verona (148 mq che in centro diventano poco più di 100), mentre altre città come Genova (157 mq), Torino (143) e Bologna (113) si piazzano circa a metà classifica.

Liberi professionisti felici? Ecco come

Samsung ha presentato il 13 settembre scorso, in occasione della giornata di coworking dedicata ai liberi professionisti che si è tenuta alla Smart Arena del Samsung District di Milano, un manifesto con strumenti e consigli per vivere al meglio la propria vita professionale da freelance.

In Italia la maggior parte delle imprese unipersonali o sotto i 5 dipendenti è composta da liberi professionisti; il manifesto, stilato dall’head hunter e coach Roberto D’Incau che ha presenziato all’evento, nasce come guida contenente le regole d’oro per queste figure professionali e per consentire loro di svolgere al meglio il proprio lavoro.

Troppo spesso infatti i liberi professionisti hanno la convinzione di essere in grado di organizzare il loro tempo e l’ambiente di lavoro autonomamente, senza considerare alcuni aspetti che possono sembrare poco rilevanti ma che rivestono in realtà un ruolo fondamentale.

Uno di questi è l’importanza di dotarsi della giusta tecnologia, come ha ricordato durante l’evento Daniele Patisso, Visual Display Business Unit Manager di Samsung Electronics Italia.

Durante la conferenza, lo stesso Patisso, Roberto D’Incau e Silvia Ghirardi, insegnante di yoga e fondatrice di Casa Yoga, hanno approfondito, ognuno per il proprio campo di interesse, alcune regole del manifesto con l’obiettivo di dare ai liberi professionisti una guida da tenere sempre con sé, soprattutto in questo periodo di ripresa del lavoro dopo la pausa estiva.

Per scaricare il manifesto di regole d’oro da seguire per essere dei perfetti liberi professionisti, stilato da Roberto D’Incau, cliccare qui.

Adsl, pensiero fisso di settembre

Al rientro dalle ferie, una delle prime preoccupazioni degli italiani è quella di trovare un’offerta migliore per la linea adsl di casa.

Da un’analisi del sito Facile.it effettuata su un campione di oltre 3 milioni di ricerche online fatte nei primi dieci giorni di settembre e, confrontandone i volumi con i valori medi annuali, ha scoperto che quelle relative alla linea dati domestica sono aumentate del 35%. L’ adsl è, secondo l’analisi, la spesa familiare che registra il maggior incremento di traffico nei giorni successivi al rientro dalle vacanze.

Oltre a quelle per l’ adsl, il sito ha anche registrato un aumento del volume di ricerche di pacchetti sport sulle Pay TV. Rispetto al volume medio annuo, l’interesse verso le offerte per vedere lo sport in tv, nello stesso periodo considerato dall’analisi, è cresciuto del 17%.

Tra le altre ricerche risultano in aumento, rispetto al resto dell’anno, quelle relative ai finanziamenti (+9%). Ancora più marcata, insieme a quella dell’ adsl, la crescita dell’interesse registrato nei primi dieci giorni di settembre verso la cessione del quinto dello stipendio o della pensione, voce per la quale il volume è più alto del 22% rispetto alla media annuale.

A settembre rimane invariato il tasso di ricerche per carte di credito e conti (correnti o di deposito) e si riduce sensibilmente quello per i mutui (che solitamente ha il picco nel mese di marzo); la ricerca di assicurazioni online, al contrario, aumenta di circa il 10% (8,8%).

Artigiani e commercianti bersagliati dai furti

Non bastava la crisi infinita a mettere in ginocchio artigiani e commercianti. A rincarare la dose ci si mettono anche i ladri con i loro furti, almeno stando a quanto rilevato in un’analisi dall’Ufficio studi della Cgia, che ha elaborato i dati in materia forniti dal ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, e dall’Istat

I numeri sono impressionanti. Se, nel complesso, i furti in Italia sono in diminuzione, quelli nelle attività commerciali e nelle botteghe artigiane, circa il 10% del totale dei furti denunciati all’Autorità giudiziaria, sono invece aumentati del 170% negli ultimi 10 anni.

Gli ultimi dati disponibili analizzati dalla Cgia sono relativi al 2014 e, sottolineano gli artigiani mestrini, non è escluso che possano essere ancora peggiorati nel periodo non considerato. Due anni fa si sono registrate 106.500 denunce. Tra furti e “spaccate”, è si sono verificati in media 292 reati di questo tipo al giorno, 12 ogni ora, uno ogni 5 minuti. Il 77,3% dei furti nei negozi rimane impunito.

La Cgia rileva che le regioni con le situazioni più preoccupanti sono la Basilicata (81,4% di delitti impuniti), le Marche (81,7%), la Puglia (82,6%) e la Campania (85,9%).

Le attività più esposte al rischio di furti sono quelle che utilizzano pagamenti in contanti, come i distributori di carburante, le farmacie, gli esercizi pubblici, le gioiellerie/orologerie e le tabaccherie.

Le statistiche dicono anche che nel 2014 gli autori di furti in esercizi commerciali e artigianali che sono stati denunciati o arrestati sono stati poco più di 36.700. Di questi, oltre il 60% era straniero e il 40% circa di nazionalità italiana.

Anche se è molto probabile che i mandanti e i ricettatori siano cittadini italiani – commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo -, le statistiche evidenziano che i furti negli esercizi commerciali sono sempre più ad appannaggio degli stranieri. Sia chiaro, non è il caso di alimentare alcun allarme sociale e tanto meno forme più o meno velate di intolleranza nei confronti di alcune comunità presenti nel nostro Paese. Tuttavia, a seguito dell’esplosione avvenuta in questi ultimi 10 anni, è auspicabile che il Governo conceda più risorse per contrastare con maggiore efficacia anche questi reati e si consolidi sempre di più l’azione di intelligence tra le nostre forze di polizia e quelle dei paesi di provenienza di questi delinquenti”.

L’impiego sempre più massiccio dei sistemi di videosorveglianza, delle inferriate, delle porte blindate, degli impianti di antifurto e il ricorso agli istituti di vigilanza hanno trasformato moltissime attività economiche in piccoli bunker – conclude Zabeo -; nonostante ciò, le statistiche ci dicono che le attività di prevenzione e di contrasto ai furti non sono riuscite a scoraggiare i malintenzionati. Anzi”.

Baby sitter? Uomo è meglio

Chi ha detto che baby sitter è un nome femminile? Complice anche la crisi, che induce molte persone a reinventarsi, sono sempre di più gli uomini che scelgono di cimentarsi come baby sitter. E il business pare abbia un futuro.

Secondo la start-up Vicker, che ha sviluppato l’unica app riconosciuta dal ministero del Lavoro che mette in comunicazione chi cerca un servizio qualificato e in regola, con chi si candida a svolgere con professionalità una mansione per la quale si sente portato, il baby sitter uomo è visto come “affidabile, discreto, paziente e poliedrico”.

Il profilo emerge da uno studio promosso da Vicker, in collaborazione con l’associazione Donne e Qualità della Vita, della psicologa Serenella Salomoni.

Secondo lo studio, sempre più genitori ricorrono a baby sitter maschi, per diversi motivi: l’uomo ha più pazienza nel gestire i bambini nel 59% dei casi, gioca volentieri nel 63% delle situazioni, si innervosisce meno 55%, è più puntuale nel 42% dei casi e ritenuto dagli stessi genitori più affidabile (nel 53% dei casi).

Inoltre, spiega ancora lo studio, i baby sitter di sesso maschile sono più ricettivi rispetto ai consigli e alle indicazioni delle mamme, abbassando così il rischio di dinamiche competitive: lo pensa il 33% del campione.

Gli uomini per il 52% sono anche più creativi delle baby sitter donne, per il 20% sono più portati per le attività fisiche e utilizzano un linguaggio comprensibile per i più piccoli.

Tutto rose e fiori, quindi? Non proprio. Per il 66% di chi ha partecipato allo studio, gli uomini sono più disordinati, per il 64% hanno meno competenza nel preparare pranzo e alimenti per i piccoli.

Infine, il 33% degli psicologi dell’infanzia interpellati da Vicker ritiene i baby sitter uomini troppo permissivi e il 44% più soggetti ad ansia e agitazione in caso di emergenze e imprevisti.

In effetti – dice Luca Menti, cofondatore insieme a Matteo Cracco di Vicker – su Vicenza e Roma, le prime due città in cui abbiamo lanciato Vicker a pieno regime, il 35% degli utenti che ha richiesto un servizio di baby sitting ha poi scelto un uomo. E a Milano e Padova, dove abbiamo lanciato rispettivamente una e due settimane fa la campagna per la ricerca dei lavoratori per poi rendere il servizio operativo al 100% entro fine mese, più o meno un terzo delle persone che si sono candidate come baby sitter sono di sesso maschile”.

Evasione fiscale? Gli enti locali dormono

L’ evasione fiscale è una piaga mortale per l’economia italiana e, se la lotta a questo male non comincia a partire dal basso, c’è poco da star sereni.

Dal basso significa anche dai comuni, dove spesso l’ evasione fiscale sui tributi erariali raggiunge livelli preoccupanti. Peccato che la collaboratività degli enti locali, stando a quanto rilevato dalla Cgia, sia tutt’altro che elevata.

Stando ai dati diffusi dall’associazione degli artigiani, solo il 7% dei Comuni italiani si è attivato per contrastare l’evasione fiscale, stando agli ultimi dati disponibili, relativi al 2014.

Su poco più di 8mila comuni italiani, solo 550 hanno instaurato una collaborazione attiva con l’Amministrazione finanziaria, diminuendo però il numero degli accertamenti sui tributi erariali.

Se il picco massimo, segnala la Cgia, è stato ottenuto nel 2012 (3.455 accertamenti), nel 2013 si è scesi a 2.916, nel 2014 a 2.701 e nel 2015 a 1.970.

Le somme recuperate dall’ evasione fiscale sono comunque in netta crescita, poiché cresce in parallelo l’incentivo economico riconosciuto agli enti locali per la loro partecipazione agli accertamenti fiscali.

Nel 2011, infatti, i Comuni hanno ricevuto 2,9 milioni, nel 2012 quasi 11 milioni, nel 2013 oltre 17,7 milioni e nel 2014 ben 21,7 milioni di euro.

La crescita del gettito – commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeoè aumentata perché è stata incrementata l’aliquota riconosciuta dal legislatore ai Comuni sulle maggiori entrate tributarie recuperate dall’accertamento a cui hanno collaborato, in quanto originariamente la quota riconosciuta ai sindaci era del 30%, nel 2010 è stata innalzata al 33% e nel 2011 al 50%. Infine, per gli anni dal 2012 al 2017 è stata elevata al 100%”.

Si segnalano particolarmente attivi nella lotta all’ evasione fiscale i sindaci dell’Emilia Romagna e della Lombardia: nel 2014, gli enti locali di queste due regioni hanno assicurato oltre i due terzi dell’intero incasso recuperato dai Comuni a livello nazionale.

Al Sud l’attività di contrasto all’ evasione fiscale da parte dei sindaci è stata pressoché nulla. Ad eccezione delle amministrazioni delle Regioni a statuto speciale, non incluse nella elaborazione della Cgia, tra i comuni capoluogo di provincia del Sud solo Reggio Calabria, Vibo Valentia, Pescara, Teramo, Salerno, Lecce e Benevento hanno avviato delle segnalazioni agli uomini del fisco.

I principali ambiti d’intervento per i quali i comuni possono effettuare “segnalazioni qualificate” a contrasto dell’ evasione fiscale rientrano in cinque macro aree:

  1. Commercio e professioni;
  2. Urbanistica e territorio;
  3. Proprietà edilizie e patrimonio immobiliare;
  4. Residenze fittizie all’estero;
  5. Disponibilità di beni indicativi di capacità contributiva.

Amaro il commento del segretario della Cgia, Renato Mason: “Ci sono ancora moltissime persone completamente sconosciute al fisco che continuano a nascondere quote importanti di valore aggiunto. Non dimentichiamo, poi, il mancato gettito imputabile alle manovre elusive delle grandi imprese e alla fuga di alcuni grandi istituti bancari e assicurativi che hanno spostato le sedi fiscali nei Paesi con una marcata fiscalità di vantaggio per pagare meno tasse”.

La carica dei distributori automatici

Il business dei distributori automatici, siano essi di generi alimentari, prodotti farmaceutici o di altri articoli, è sempre più diffuso nelle grandi città e nei piccoli centri. E, spesso, si dimostra un buon modo per incentivare l’autoimprenditorialità.

Secondo quanto emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati registro imprese al primo trimestre 2016 e 2015 su sedi e unità locali, il settore dei distributori automatici è cresciuto del 6,1% in un anno con oltre 5.800 attività tra sedi di impresa e unità locali.

Roma (429 sedi, +5%), Milano (384, +3%) e Torino (316, -4%) sono le prime tre. Sempre più diffusi i distributori automatici anche a Bari con 199 (+29,2%.), ma cresce l’acquisto a gettoni anche a Napoli (+175, +19,9%), Cagliari (138, +7%) e Genova (135, +6,3%).

La Camera di commercio meneghina punta poi la propria attenzione sulla realtà locale e scopre che la Lombardia, in un anno, registra un incremento del 2,3% di presenza di imprenditori nel settore dei distributori automatici.

La Lombardia è infatti la prima regione italiana per numero di imprese che credono nel vending (896), seguita da Lazio (10,2% del totale nazionale) e Piemonte (9,3%). In Lombardia, Milano (384 imprese, +3%), Brescia (88, +19%), Bergamo (79, -7%) e Monza e Brianza (74, – 1%) sono le aree che più apprezzano una modalità di acquisto tramite distributori automatici.

Con la crisi, nuova vita all’ usato

In anni nei quali la crisi ha lasciato poco o nulla nelle tasche degli italiani, il mercato dell’ usato ha subito un’importante rivalutazione. In Italia, infatti, il settore dell’ usato è in espansione: +1,5% rispetto al 2015.

Al primo trimestre 2016 si contano 3.480 imprese italiane attive nella vendita di usato che il tempo impreziosisce, rende trendy secondo la moda vintage del momento o permette di risparmiare rispetto all’acquisto ex-novo.

L’articolo usato che si presta a essere rivenduto è in primis il mobile e l’oggetto di antiquariato, che genera lavoro per 1.701 imprese; sono poi 1.241 le attività addette alla vendita di indumenti e altri oggetti usati e 282 quelle che commerciano al dettaglio libri di seconda mano.

Roma (10,9%), Milano (7,8%) e Torino (5,7%) sono le tre province più floride nel campo dell’usato, contando rispettivamente 378, 272 e 200 attività. Napoli (191) e Firenze (156) ospitano il 5,5% e il 4,5% delle imprese del mercato dell’ usato.

Sono dati che emergono da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati del registro delle imprese attive al primo trimestre 2016 e 2015.

La camera di commercio punta poi la propria attenzione sul settore locale e rileva che i primi tre mesi del 2016 segnalano la Lombardia come regione italiana dell’ usato: cresce del 4,1%, è sede di 560 imprese del settore che rappresentano oltre il 16% del totale nazionale.

I giri d’affari dell’ usato più vitali? Si espande del 13,3% il mercato del commercio dei libri già letti (da 30 a 34 imprese), si sviluppa del 4,7% l’interesse per i pezzi di antiquariato (da 234 a 245) e la vendita di vestiti usati (da 220 a 225) cresce del 2,3%.