Il mezzo flop del Quantitative Easing

Non sono pochi i dubbi che accompagnano la politica di Quantitative Easing messa in atto dalla Bce da più di un anno e mezzo; ossia, l’acquisto massiccio di titoli di Stato per provare a far ripartire l’economia, riportando il tasso di inflazione al 2%.

I risultati, infatti, sono piuttosto deludenti. Nonostante la Banca Centrale Europea abbia acquistato tramite Quantitative Easing titoli per oltre 1200 miliardi di euro e un’immissione mensile sul mercato di 80 miliardi al mese, gli effetti sull’economia reale ancora non si vedono, con inflazione intorno allo zero e prestiti alle imprese in calo.

Lo conferma un’analisi dell’Ufficio Studi della Cgia dalla quale emerge che, nonostante il Quantitative Easing, il livello medio dei prezzi nell’area euro è cresciuto solo dello 0,2% e i prestiti alle imprese sono calati dello 0,5%.

Una tendenza che interessa anche Paesi più forti del nostro, come Germania e Francia, nei quali le previsioni di crescita economica per il 2016-2017 sono più favorevoli che in Italia e dove i prestiti alle imprese sono cresciuti nell’ultimo anno.

In Italia, la Bce ha acquistato tramite Quantitative Easing titoli di stato per 176,2 miliardi tra il 9 marzo 2015 e il 30 settembre 2016. A fronte di questo sforzo, negli ultimi 12 mesi, l’inflazione si è attestata al -0,1% e i prestiti alle imprese sono addirittura calati: -2,9%, pari a una contrazione di 26,4 miliardi.

Nello specifico, rileva la Cgia, le regioni che hanno risentito di più di questo calo dei prestiti alle imprese, nonostante il Quantitative Easing, sono state Marche (-10,1%), Lazio (-7%), Veneto (-6,6%) e Molise (- 6,3%).

Lucida l’analisi su questo flop del Quantitative Easing operata dal coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, secondo il quale i soldi arrivati dalla Bce sono rimasti nelle casse delle banche invece di essere impiegati per le finalità cui erano destinati.

L’acquisto di titoli del debito pubblico dei Paesi dell’euro – commenta Zabeoha contribuito a garantire una certa stabilità finanziaria ma è evidente come questa grossa iniezione di liquidità non stia raggiungendo i risultati sperati tant’è che l’inflazione è ferma, i prestiti alle imprese sono in costante calo e la crescita economica non trova lo slancio che servirebbe, creando preoccupazione negli operatori e riducendo la fiducia delle imprese. Una quota rilevante di questi 176 miliardi di euro sono finiti agli investitori istituzionali ovvero alle banche che, però, hanno preferito trattenerseli, aumentando così il livello di patrimonializzazione come richiesto dalla Bce, anziché impiegarli nell’economia reale”.

Mercato immobiliare e annualità necessarie a comprar casa

Nei giorni scorsi abbiamo visto che il settore dell’edilizia è tenuto a galla dal mercato delle ristrutturazioni e da un mercato immobiliare che, tutto sommato, si dimostra mosso e dinamico nonostante il calo delle nuove costruzioni.

Il fatto che il mercato immobiliare sia mosso, non significa comunque che le case siano alla portata di tutti, almeno come disponibilità immediata di liquidità. Lo conferma un’analisi dell’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa, secondo la quale in media, a livello nazionale, sono necessarie per acquistare l’abitazione 6,3 annualità di stipendio.

In cima alla classifica delle grandi città il cui mercato immobiliare richiede cifre importanti per l’acquisto della casa troviamo Roma, dove sono richieste poco più di 10 annualità. Cifra comunque in calo rispetto ai livelli pre-crisi: nel 2007 ce ne volevano 14,8.

Segue Milano con 9,1 anni di stipendio, quota 2015 confermata anche per i mesi del 2007. Al terzo posto il mercato immobiliare di Firenze, dove sono richieste 8,6 annualità.

Staccate Genova e Palermo: per comprarsi casa sul mercato immobiliare del capoluogo ligure servono 4,4 anni di stipendio, 3,9 nel capoluogo siciliano.

Se si confrontano i valori attuali con quelli di dieci anni fa, si nota che a livello nazionale il calo è stato più consistente: si è passati da 10,2 annualità nel 2005 a 6,3 nella prima parte del 2016.

In questo lasso temporale, il mercato immobiliare di Bologna e Napoli ha avuto le variazioni più consistenti, rispettivamente con -5,3 e -5,2 annualità. Diminuzione importante anche a Milano, che in dieci anni ha visto un calo di 4,6 annualità; Roma, Firenze e Bari, invece, restano in linea con il dato nazionale (-3,9). La città che mantiene più stabili i propri valori è Palermo (-2,5 annualità).

Il mercato del lavoro italiano continua a crescere

I segnali di ripresa del mercato del lavoro in Italia, già registrati nel 2015 grazie anche all’entrata in vigore del Jobs Act e al ritorno alla crescita dell’economia nazionale, si sono rafforzati durante il primo semestre 2016.

Lo rileva l’Osservatorio InfoJobs sul Mercato del Lavoro in Italia, secondo il quale rispetto ai primi sei mesi del 2015, le offerte di lavoro totali sono cresciute del 13%.

Secondo la ricerca della piattaforma di reclutamento online, tra i settori lavorativi spicca la Consulenza manageriale, che rappresenta nel primo semestre dell’anno il 18,4% del totale degli annunci di lavoro (+99,5% rispetto al corrispondente periodo dello scorso anno).

Gli altri due gradini del podio sono occupati da ICT e Telecomunicazioni, con una quota rispettivamente del 17,8% e del 13,9% delle offerte. Al quarto posto si conferma il settore Commercio, distribuzione e GDO con il 10,5% del totale degli annunci, seguito da Insegnamento e formazione, che rappresenta il 6,5% delle posizioni aperte.

Tra le categorie più richieste, al primo posto si conferma anche nei primi sei mesi del 2016 il Manifatturiero, produzione e qualità, con una quota del 22,7% del totale e un aumento delle offerte del 23,4% rispetto alla prima metà del 2015. Al secondo posto le Vendite (-6%), che rappresentano l’11,7% del numero totale di posizioni aperte. Al terzo posto, con una quota del 9,2%, si trova la categoria Amministrazione, contabilità e segreteria, +22,1% rispetto a un anno fa.

L’Osservatorio InfoJobs sul Mercato del Lavoro in Italia conferma che, anche per i primi sei mesi del 2016, il profilo maggiormente richiesto è quello di un candidato giovane, con istruzione medio-alta e con esperienza pregressa in ambito lavorativo.

Il 41,6% dei candidati ha tra 26 e 35 anni, mentre il 29,7% ha un’età compresa tra 35 e 45 anni. Seguono i profili tra i 46 e i 55 anni (13,6%) e i minori di 25 anni (11%).

Il 43,6% è in possesso del diploma di maturità, seguiti dal 17,3% con la laurea specialistica, il 14,5% con la licenza media e il 10,8% con la laurea breve. Solo il 4,1% dei candidati è in possesso di un master.

La Lombardia si conferma la regione più attiva con il 33,1% delle offerte, seguita da Emilia-Romagna (14,1% del totale nazionale, +22,2% rispetto al 2015) e Veneto (13,2% del totale nazionale).

Mutui e finanziamenti, continua il trend positivo

Le famiglie italiane hanno ricevuto finanziamenti per l’acquisto dell’abitazione per oltre 13 miliardi e 200 milioni di euro nel secondo trimestre 2016. Rispetto allo stesso trimestre del 2015 si registra un aumento delle erogazioni del 28,5%, per un controvalore di quasi 3 miliardi di euro. È quanto emerge dai dati riportati nel Bollettino Statistico III-2016 pubblicato da Banca d’Italia nel mese di ottobre 2016.

Prosegue dunque il trend positivo del mercato del credito: le erogazioni sono in aumento da due anni e per il quinto trimestre consecutivo superano i 10 miliardi di euro. Questo trend è suffragato anche dalle performance positive riscontrate mensilmente, con incrementi importanti dei finanziamenti a partire dalla metà del 2014, nonostante un rallentamento della crescita a partire dal secondo trimestre di quest’anno.

Guardando ai numeri del primo semestre 2016, si rileva che sono stati erogati alle famiglie italiane finanziamenti per l’acquisto della casa per 24 miliardi e 277 milioni. Il saldo semestrale, se confrontato con quanto rilevato nel primo semestre 2015, segna un aumento dei volumi del 39,6%, per un controvalore di quasi 7 miliardi. 

Il secondo trimestre 2016 vede un incremento dei finanziamenti in tutte le macroaree, come avviene ormai da più di un anno. La performance migliore spetta alle Isole, dove gli 811 milioni di euro sono il 36,1% in più rispetto a quanto erogato nel secondo trimestre 2015. L’aumento è solo leggermente inferiore (+32,2%) nel Centro Italia, che si piazza al secondo posto anche per il totale erogato con 3,3 miliardi di euro.

Il Nord-Ovest si conferma la macroarea dove si erogano più finanziamenti, con 4,4 miliardi di euro, pari al 25,1% in più in raffronto all’anno scorso; performance migliore, invece, per il Nord-Est, che eroga poco più di 2,8 miliardi di euro, +27,3% rispetto all’anno scorso. Il Sud fa segnare un aumento del 29,3% su base annua e da aprile a giugno ed eroga quasi due miliardi di euro.

I primi sei mesi del 2016 fanno registrare volumi di finanziamenti in aumento in tutte le macroaree italiane. Le Isole erogano 1,5 miliardi e fanno ancora segnare il miglior andamento, con un incremento quasi del 50%. Con un aumento del 47,5% e volumi pari a 3,5 miliardi, il Sud Italia ha la seconda miglior performance.

Con 8,1 miliardi, invece, è il Nord-Ovest l’area dove si eroga di più e i suoi volumi sono aumentati del 36,1%; al secondo posto c’è il Centro Italia, i cui 6,1 miliardi sono il 42,8% in più rispetto al primo semestre 2015. Nel Nord-Est i volumi erogati sono pari a oltre 5 miliardi, il 34,3% in più rispetto alla prima metà del 2015.

Attraverso la base dati interna all’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa è stata analizzata la tendenza rispetto alla quantificazione media dell’importo dei finanziamenti legati al mutuo.

Nel secondo trimestre 2016 la media nazionale si è attestata a circa 111.300 euro, in leggera diminuzione rispetto a quanto riscontrato nel secondo trimestre 2015. Tutte le macroaree superano la barriera dei 100mila euro: il Centro Italia eroga mediamente di più, con 117mila 300 euro, seguito dal Nord-Ovest con 113mila 700 euro e dal Sud con 102mila 400 euro.

L’importo medio dei finanziamenti legati al mutuo, visto a livello regionale, continua a essere per ragioni socio-economiche difforme sul territorio nazionale. Le regioni con il valore più alto sono Lombardia e Toscana, rispettivamente con 120mila e 700 euro e 120mila e 400 euro, seguite dal Lazio, dalla Sicilia e dal Veneto. Il valore più basso è stato registrato in Abruzzo, dove l’importo medio è 89mila 400 euro. Il primo semestre 2016 ha visto il ticket medio pro-capite attestarsi a circa 110mila e 500 euro, in leggero aumento rispetto ai 110mila e 200 euro della prima parte del 2015.

Per quanto riguarda i tassi di interesse dei finanziamenti, il tasso di riferimento BCE a forza di progressivi è arrivato allo 0% di marzo 2016. Dai massimi di luglio 2011 (1,60%), il tasso Euribor (3 mesi) è arrivato a settembre 2016 a -0,30%. L’Eurirs (25 anni) è arrivato a 0,81% a settembre 2016.

Continua il calo dei prezzi Rc auto

Strano ma vero. C’è qualcosa, in Italia, che invece di costare sempre di più, costa sempre di meno. Si tratta dell’ Rc auto il cui costo medio, stando a un’analisi dell’Osservatorio RC Auto di Facile.it e Assicurazione.it relativa al trimestre giugno-settembre 2016, è calato dell’1,71% in 3 mesi.

Non si tratta di una percentuale mostruosa, ma è comunque un segnale, oltre che una media. Inoltre, ha rilevato l’analisi, i prezzi delle polizze Rc auto sono calati a settembre dell’1,6% anno su anno, attestandosi su un valore medio di 503,28 euro.

Se a livello nazionale si va verso una situazione di sostanziale stabilità, con un calo dei prezzi dell’ Rc auto piuttosto contenuto, evidenziato anche nelle scorse rilevazioni, nell’ultimo trimestre si notano invece importanti cambiamenti a livello regionale.

Considerando il dato trimestrale, il caso più eclatante è quello della Valle d’Aosta in cui, da giugno a settembre 2016, i premi Rc auto sono scesi del 9,71%. Anche gli automobilisti di Sicilia e Calabria avranno notato la riduzione di spesa per assicurare i loro veicoli: in queste due regioni i premi sono scesi rispettivamente del 5,95% e del 5,90%.

Meno fortunati i cittadini che guidano in Sardegna, dove i costi delle Rc auto sono cresciuti in media del 2,12%. L’altra regione in cui nel trimestre si sono registrati degli aumenti, seppur minimi, è il Lazio (+0,5%).

Guardando all’andamento annuale dei premi e confrontando quelli relativi a settembre 2016 con quelli rilevati a settembre 2015, è la Calabria che registra la diminuzione maggiore: -9,31%. A seguire si trova un’altra regione che, tipicamente, rientra fra quelle con i premi più cari: in Puglia, in un anno, i prezzi delle Rc auto sono scesi del 7,47%. La Sardegna detiene invece il primato opposto, quello relativo a un maggior aumento dei costi per assicurare un’auto: sull’isola si è registrato un +4,59%.

Con prezzi pressoché vicini alla stabilità (+0,23% nell’ultimo anno), la Campania è sempre la regione italiana più cara; il premio medio rilevato a settembre 2016 è pari a 803,58 euro. Nonostante il calo annuale maggiore, la Calabria supera la Puglia e arriva sul secondo gradino della classifica delle Rc auto più care: nella regione i premi medi sono pari a 585,88 euro contro i 582,01 del Tacco d’Italia. La Valle d’Aosta è l’area in cui assicurare le auto costa meno, con una media di 325,83 euro, cifra che stacca notevolmente le altre due regioni più “economiche”, ossia Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, dove i premi sono pari a circa 366 euro.

Divario di genere, l’Italia migliora

Che nel mondo del lavoro e nella società il divario di genere tra uomini e donne in termini di stipendi, cariche elettive ecc… sia qualcosa di perdurante e di vergognoso, è cosa nota. A sancirlo, anche quest’anno arriva Global Gender Gap Report, pubblicato dal World Economic Forum, che analizza lo stato del divario di genere in diversi Paesi europei nei campi del lavoro, della rappresentanza politica, dell’istruzione e della salute.

Nella nuova edizione, però, per l’Italia c’è una buona notizia. Rispetto all’edizione precedente, il nostro Paese ha guadagnato ben 28 posizioni piazzandosi al 41esimo posto su 145 nazioni. In questa classifica del divario di genere, si tratta della posizione migliore mai occupata dallo Stivale.

Il recupero nella classifica del divario di genere è merito in buona parte dell’ambito della rappresentanza politica, dove l’Italia è passata dalla 37esima alla 24esima posizione, grazie anche al fatto che siamo il decimo Paese europeo per donne in Parlamento e abbiamo un ministro donna su 2 al Governo.

Miglioramento anche nel campo dell’istruzione, anche se di sole 4 posizioni (dal 62esimo al 58esimo posto), mentre 4 ne abbiamo perse nell’ambito salute (dal 70esimo al 74esimo posto). Le laureate sono più dei laureati, mentre le donne hanno un’aspettativa di vita sana di 74 anni contro i 71 degli uomini.

Ma il vero punto critico del divario di genere in Italia è nell’ambito del lavoro, dove siamo 111esimi su 145 nazioni. Preoccupa il gap nei salari: 7,3% medio a favore degli uomini, con punte del 25% tra dirigenti e professionisti. A proposito di dirigenti, solo il 15,1% di manager, in Italia, è donna, contro una media del 25% in Europa

In generale, nel mondo, stanso al report il divario di genere è rimasto poco mosso, riducendosi di solo il 4% negli ultimi 10 anni in generale e di solo il 3% in ambito retributivo. Il World Economic Forum, infine, sottolinea che l’area che si è mossa più speditamente negli ultimi anni è stata il Sudamerica. Di contro, Nordafrica e Medio Oriente si sono mossi pochissimo.

Le trasferte di lavoro aumentano la produttività

Esiste un ottimo per motivare un dipendente ed è farlo viaggiare spesso per lavoro. È quanto emerge da un’indagine del motore di ricerca Jobrapido, secondo la quale le trasferte di lavoro rendono i dipendenti più motivati verso il raggiungimento degli obiettivi aziendali e, di conseguenza, più produttivi.

Secondo l’indagine, per quello che riguarda l’Italia, il 46% dei dipendenti sostiene che le trasferte di lavoro diano motivazioni in più e il 45% degli intervistati si candida solamente per posizioni lavorative che includono spostamenti frequenti.

Per oltre la metà degli intervistati da Jobrapido (il 54%), il contatto personale con colleghi lontani e il fatto di poterli vedere di persona sono molto più stimolanti che tenere riunioni a distanza tramite videochiamate.

Non manca, però, chi fatica a staccarsi dall’ufficio. Secondo Jobrapido, il 16% degli intervistati preferisce comunicare con colleghi lontani attraverso i social media e il 10% non ama le trasferte di lavoro perché teme di sentirsi a disagio in un ambiente lavorativo differente dal proprio.

Chi, invece, ama i viaggi di lavoro, lo fa in modi differenti. Il 31% degli intervistati preferisce trasferte di lavoro brevi e il 13% vede positivamente il fatto di spostarsi all’estero per lunghi periodi. Inoltre, il 40% degli intervistati pensa che lo spostarsi in luoghi diversi sia di stimolo per migliorare la propria professionalità che, secondo il 25% del campione, cresce più rapidamente quando si è in viaggio spesso per lavoro.

Infine, un’occhiata alle modalità di trasferta. Secondo Jobrapido, il 37% del campione intervistato preferisce affrontare le trasferte con i colleghi, mentre il 17% ama partire da solo, per concentrarsi maggiormente sulle attività che lo aspettano.

Le fiere internazionali italiane nel 2015

Aefi – Associazione Esposizioni e Fiere Italiane ha presentato l’andamento, complessivo e per ciascun settore, delle fiere internazionali italiane nel 2015, elaborato dall’analisi dei dati raccolti dal Coordinamento Interregionale Fiere per la realizzazione di Euro Fair Statistics 2016.

Euro Fair Statistics è il volume che UFI-The Global Association of the Exhibition Industry pubblica ogni anno con i dati registrati dalle manifestazioni fieristiche europee.

L’edizione 2016 di Euro Fair Statistics riporta i dati certificati di 2.420 manifestazioni internazionali che nel 2015 si sono tenute in 24 Paesi europei: oltre all’Italia, vi sono Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Finlandia, Francia, Germania, Lussemburgo, Moldavia, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Serbia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Svezia, Turchia, Ucraina e Ungheria.

Complessivamente le fiere europee prese in esame hanno registrato circa 677mila espositori e oltre 67 milioni di visitatori, occupando circa 25 milioni di metri quadrati. Dal rapporto emerge inoltre che il 35% degli eventi esaminati è stato rivolto ai visitatori professionali, il 31% al pubblico e il 34% a entrambi i target.

Per quanto riguarda l’Italia, nel 2015 si sono svolte 184 fiere internazionali che complessivamente hanno occupato 3,7 milioni di metri quadrati di superficie e hanno movimentato oltre 85mila espositori e più di 10 milioni di visitatori.

I trend dei settori di maggior interesse, sia in termini di visitatori sia di espositori, sono tessile-abbigliamento-moda; food-beverage-ospitalità; sport-hobby-intrattenimento-arte e industria-tecnologia-meccanica. Significative, soprattutto per il numero di visitatori, le performance delle Fiere Campionarie.

Il mercato immobiliare residenziale nei primi 9 mesi del 2016

Prendendo spunto dalla pubblicazione, avvenuta lo scorso giovedì, dei dati delle compravendite immobiliari relativi al secondo trimestre 2016 da parte dell’Agenzia delle Entrate, il sito Casa.it ha provato a estendere l’analisi ai primi nove mesi del 2016 per fare un punto più ampio sul mercato immobiliare residenziale.

Secondo la rilevazione di Casa.it, rispetto allo scorso anno, a livello generale la domanda di abitazioni è in crescita sia a livello nazionale (+6%), sia in tutte le principali città metropolitane e il mercato immobiliare residenziale è ben mosso.

Nello specifico, la più “dinamica” risulta Milano (+8,9%). Seguono Roma (+6,9%), Torino (+6,2%), Firenze (+5,8%), Bologna (+5,2%), Palermo (+5,1%), Genova (+4,9%) e Napoli (+4,8%). Dati che, seppur positivi, hanno visto rallentare la crescita del mercato immobiliare residenziale se confrontati con i primi 4 mesi dell’anno.

Rispetto ai primi nove mesi del 2015, la domanda di case nelle grandi città italiane segna una crescita media di 6 punti percentuali – commenta Alessandro Ghisolfi, Responsabile del centro Studi di Casa.it -, con picchi di richieste superiori alla media a Milano, Torino e Roma. Il trend in aumento è positivo da oltre 18 mesi e conferma che l’interesse verso il mercato immobiliare residenziale, da parte delle famiglie italiane, si è rafforzato rispetto al biennio precedente”.

Analizzando l’andamento mensile – prosegue Ghisolfivi sono però alcuni segnali che portano ad essere ancora prudenti prima di poter affermare con decisione che il mercato sia decisamente uscito dalle secche della crisi che attanaglia il segmento abitativo da circa otto anni. Infatti, nel periodo estivo (luglio-settembre), la crescita della domanda, pur positiva, non ha mantenuto la velocità dei primi 3 mesi dell’anno, registrando un rallentamento dei ritmi di crescita che gli stessi operatori hanno rilevato. In nessuna delle città esaminate si registrano dati negativi ma, nel confronto mese su mese, si nota una differenza percentuale delle richieste che non supera i 2/3 punti, denotando così un leggero cambio di velocità”.

Sul fronte dei prezzi degli immobili residenziali in offerta sul mercato, a livello nazionale nel mese di settembre 2016 si rileva una contrazione dell’1,6% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno mentre, tra le città metropolitane, quelle che hanno sofferto maggiormente sono Firenze e Genova (-3,5%).

Calo, seppur più contenuto, per il mercato immobiliare residenziale di Napoli (-1,5%), Milano (-1,3%), Bologna e Palermo (-1,2%), Torino (-0,6%) e Roma (-0,3%). Tra le città più care si evidenziano Firenze (3.970 euro/mq), Milano (3.900 euro/mq) e Roma (3.500 euro/mq).

Sulla base soprattutto della vivacità dimostrata nella primavera di quest’anno – conclude Ghisolfi – le stime per fine 2016 erano ampiamente positive. Negli ultimi tre mesi tuttavia la spinta propulsiva sembra aver perso brillantezza, proprio nel periodo in cui storicamente il mercato ha sempre dato le migliori performance. In sostanza si stanno rivedendo le previsioni che parlavano di un 2016 come dell’anno della definitiva ripresa del mercato”.

Gli italiani e il catering

Cresce tra gli italiani l’amore per il catering. Una passione che nasce dalla cultura del cibo e del mangiar bene e che ha i suoi costi. Quali siano questi costi e quali le richieste più diffuse in materia di catering, ha provato a scoprirlo ProntoPro.it, sito del che mette in contatto domanda e offerta di lavoro professionale e artigianale.

Ebbene, secondo l’Osservatorio di ProntoPro.it, per un servizio di catering personalizzato non legato a un matrimonio si spendono in media 48 euro a persona, con differenze da città a città.

L’indagine, condotta analizzando i costi richiesti dai professionisti per preparare il pranzo o la cena per un evento o anche un servizio a casa del cliente, ha infatti rivelato che la spesa per il catering varia notevolmente a seconda della città in cui ci si trova, oscillando fra i 38 e i 60 euro a persona. Prendendo in considerazione una cena con almeno 20 persone, in Italia si spendono in media quasi 1.000 euro.

Se a Milano i prezzi possono salire fino a 60 euro a persona, anche Roma si conferma una tra le città in cui i costi per la creazione di un evento personalizzato sono maggiori, con un +15% rispetto alla media nazionale. Le aree dove la media dei costi del catering è inferiore rispetto a quella nazionale sono le città del Sud. Su tutte spiccano Potenza e Bari, in cui si registrano costi inferiori ai 40 euro a persona.

Sul fronte delle preferenze di cibo, l’analisi ha rilevato che le richieste online ricevute dai professionisti vanno in una direzione salutista. I cibi green, bio, light, etnici e sperimentali formano infatti i menu più scelti.

Inoltre, con la scelta del catering si riesce a rispondere alle esigenze di coloro che desiderano un servizio fatto su misura: dalla location, all’occorrente, fino ai dettagli degli allestimenti e a tutto ciò che fa di un evento un qualcosa di unico.

Il settore del food in Italia non conosce crisi – ha commentato Marco Ogliengo, amministratore delegato di ProntoPro.it -. Sul nostro sito negli ultimi sei mesi le ricerche per catering e banqueting sono aumentate del 47%. Questa tendenza si può spiegare soprattutto osservando la capacità dei professionisti del settore di adeguarsi ai cambiamenti della società e dei costumi degli italiani che sono sempre più impegnati e meno disponibili a impiegare il proprio tempo cucinando”.