Affitto, che passione

Nel primo semestre del 2016 i canoni di affitto delle grandi città sono cresciuti: +0,7% per i monolocali e i bilocali e +0,8% per i trilocali. Su tutte le tipologie, per la prima volta, si è visto un segnale positivo, attribuibile in larga parte a una diminuzione dell’offerta immobiliare e a una migliore qualità della stessa.

Nonostante ciò, anche nel semestre indicato, tra coloro che hanno spinto la domanda di immobili in affitto, si sono registrati numerosi casi di persone che non in grado di accedere al mercato del credito: giovani, monoreddito immigrati, ai quali si sono aggiunti gli studenti e i lavoratori fuori sede.

L’analisi demografica di quanti cercano casa in affitto ha evidenziato che il 38,6% ha un’età compresa tra 18 e 34 anni, il 30,9% tra 35 e 44 anni e il 61,3% è rappresentato da single.

Relativamente alle motivazioni che spingono all’affitto, il 61,1% di chi cerca questa tipologia di casa lo fa per trovare l’abitazione principale; seguono coloro che si trasferiscono per lavoro (35%) e coloro che si trasferiscono per motivi di studio e cercano casa vicino alla sede della facoltà frequentata (3,9%).

Rispetto al 2016 si nota una diminuzione della percentuale di quest’ultima motivazione. La spiegazione potrebbe essere la minor mobilità dovuta al fatto che gli studenti scelgono università più vicine al luogo di residenza.

La domanda di abitazioni in affitto si concentra in particolare sui bilocali (40,5%), a seguire il trilocale (35,6%). Quello che è cambiato sensibilmente col tempo è l’utilizzo del canone concordato, che si è attestato intorno al 22,9%, trovando sempre più consensi tra proprietari ed inquilini (in un anno è passato dal 18% al 22,9%).

A Milano spetta il primato della città con la più alta percentuale di persone che cercano casa in affitto per motivi di lavoro (63,5%) e con la più alta percentuale di single (79,5%). Verona è invece la città dove si registra la più alta percentuale di contratti stipulati con il canone concordato.

I potenziali locatari sono sempre più esigenti nella ricerca dell’immobile e si evidenzia una maggiore facilità di affitto per le soluzioni di “qualità”, intesa non solo come lo stato dell’immobile ma anche la qualità dell’arredamento, la presenza di ambienti luminosi e di servizi in zona.

Cresce l’interesse per gli immobili arredati o parzialmente arredati. La presenza del riscaldamento autonomo è apprezzata perché consente una riduzione dei costi condominiali. I proprietari stanno recependo questa esigenza e la qualità dell’offerta abitativa in locazione è in miglioramento.

Black Friday e Cyber Monday: si risparmia davvero?

Anche in Italia ormai si attendono il Black Friday e il Cyber Monday, il “venerdì nero” e il “lunedì cibernetico” degli sconti online che segnano l’inizio dello shopping natalizio negli Usa e che da qualche anno tentano di sfondare anche in mercati digitali differenti.

Quest’anno le date sono il 25 e il 28 novembre. idealo, portale di comparazione prezzi, ha indagato la tematica per capire se il risparmio legato a queste giornate sia così netto anche sul mercato italiano.

In Italia, nel 2015 si è registrata una crescita del fenomeno pari al 33,46% rispetto all’anno precedente, in base ai dati di traffico del portale Idealo. In dettaglio, l’incremento percentuale di traffico rispetto alle tre settimane precedenti e successive è stato nel 2015 del 78% per il Black Friday e del 40% per il Cyber Monday.

Nel 2014, invece, le impennate sono state più contenute: 11,03% visitatori in più per il Black Friday e appena il 4,52% per il Cyber Monday. Ciò implica che l’indice di popolarità degli sconti di fine novembre è in crescita anche in Italia.

Le categorie di prodotti più ricercate in Italia in occasione del Black Friday e del Cyber Moday nel 2015 sono state per lo più legate al settore tecnologico: console di gioco, robot da cucina, notebook, TV LED, obiettivi, fotocamere, smartphone, ultrabook e smartwatch. Sintomo che il consumatore hi-tech italiano ha ormai superato le barriere legate alla diffidenza di acquistare online. A maggior ragione se ne ottiene un risparmio.

Per quanto concerne l’entità degli sconti offerti dai retailer che hanno aderito all’iniziativa lo scorso anno, idealo ha constatato un livello medio dei ribassi pari al 6%. Gli sconti più significativi sono stati praticati, in occasione del Black Friday, su “Robot da cucina” (13,3%), “Smartwatch” (8,1%), “Fotocamere Bridge” (6,7%) e “Notebook” (5,9%).

Gli articoli sui quali è attualmente puntata l’attenzione dei consumatori digitali italiani fanno capo principalmente a due colossi tech quali Apple e Samsung ma rivelano anche sorprese inattese. Interessante notare, ad esempio, la presenza di giocattoli elettronici tra le categorie monitorate a Novembre, tra cui gli innovativi animaletti elettronici Hatchimals e i droni DJIl, due articoli di tendenza in vista della corsa ai regali di Natale.

Amazon resta una delle piattaforme e-commerce maggiormente coinvolte dall’iniziativa, anche per quanto concerne l’entità degli sconti offerti. Però, sebbene Amazon possegga il catalogo più ricco nel panorama italiano (almeno nel settore tech), l’entità degli sconti offerti per l’occasione è spesso più evidente presso altri rivenditori. In media, ad esempio, il sito Stockisti.it ha offerto sconti del 2% più elevati rispetto a quelli del colosso americano.

Badante? Sì, ma italiano

Un badante deve essere per forza rumeno o filippino? No. La crisi economica spinge sempre più connazionali a cimentarsi con un lavoro che, fino a qualche tempo fa, era snobbato dagli italiani.

Da uno studio realizzato dall’Associazione Donne & Qualità della Vita, della psicologa Serenella Salomoni, su un campione di 1000 disoccupati italiani, di età compresa tra i 18 e 57 anni, risulta che 1 italiano su 2 è pronto a intraprendere una carriera come badante nell’assistenza familiare.

Il 70% del campione intervistato dichiara di sentirsi pronto a prendersi l’impegno di curare un’altra persona. Il 66% lo farebbe anche a tempo pieno, pur di lavorare. Ma il dato più eclatante è che il 37% dei partecipanti allo studio sono laureati, che non indietreggiano rispetto a questo tipo di esperienza lavorativa da badante.

Vi è anche chi, come nel 33% dei casi, si mette a disposizione anche nella fascia oraria notturna, compresa tra le 21 e le 8: il 23% sacrificherebbe anche i fine settimana, pur di lavorare.

Quali sono le motivazioni che spingono a fare questa scelta? In primis le necessità economiche, per il 77%. Infatti, la retribuzione media di un badante per nove ore al giorno, sei giorni su sette, oscilla tra gli 800 e i 1000 euro al mese. Una minoranza invece, lo farebbe per “fare un’esperienza nuova” (22%), mentre il 10 % dichiara “per uscire dalla routine”. Il 22% non nasconde le proprie mire a lungo termine, vale a dire ottenere anche una piccola parte dell’eredità.

Analizzando i dati, Donne & Qualità della Vita rivela che 15 intervistati su 100 sono convinti che, con l’invecchiamento progressivo della popolazione, si potrebbe fare del mestiere di badante una professione.

Cosa spinge a scegliere un badante italiano rispetto a uno straniero? Tra i motivi, spiccano: un livello di cultura e informazione maggiore (33%); più capacità di intrattenere l’anziano (25%), una maggior conoscenza della città di residenza e dell’Italia in caso di spostamenti (13%), una minore marcatura delle differenze culturali (34%), una maggiore competenza nel tenere compagnia (17%). Altro aspetto da non sottovalutare è che non tutti gli stranieri hanno la patente, mentre difficilmente un italiano ne è privo.

In condominio vince la sharing economy

I vicini di casa per gli italiani sono, al contempo, croce e delizia. Se sono tanti quelli che dichiarano di essere in guerra con i propri dirimpettai, per molti altri rappresentano un elemento di supporto e sostegno familiare indispensabile: secondo un sondaggio condotto da Immobiliare.it, il 22% di chi vive in condominio ha sviluppato una o più attività di aiuto reciproco con i vicini di casa.

Sull’onda della sharing economy i condomini tornano a essere collaborativi, in un’ottica di risparmio e miglioramento della qualità della vita in casa.

Il sondaggio, condotto su un campione di oltre mille individui distribuiti su tutto il territorio nazionale, ha evidenziato un sistema di mutuo sostegno e supporto che coinvolge diversi aspetti della vita in casa: dalla gestione di alcune incombenze fino allo sviluppo di attività ricreative.

Il 44% di chi dichiara di vivere in un condominio collaborativo condivide con il gruppo di vicini, gratuitamente o a prezzo scontato, competenze professionali: piccoli lavori di idraulica, riparazioni del pc, cucito, servizi di estetica e molto altro ancora.

Segue, con una percentuale del 36,9%, lo scambio di oggetti che non servono più: vestiti in primis, ma anche libri, elettrodomestici e pezzi d’arredamento passano da una porta all’altra in un’ottica di risparmio a chilometro zero.

Non solo oggetti però: in condominio ci si supporta in caso di bisogno, in primis per curare gli animali (23,7%) ma anche per la gestione dei bambini – il 16% degli intervistati dichiara di alternarsi con i vicini per accompagnarli e riprenderli da scuola, mentre il 5% condivide la babysitter o si offre di tenere a bada i figli del dirimpettaio quando questi non può.

Anche attorno agli anziani in condominio si cerca di fare “gruppo”: tra le attività in cui è alto l’apporto dei vicini di casa c’è proprio l’assistenza ai nonni, per i quali è utilissima anche la semplice compagnia (5,4%) o la spesa.

Il concetto di sharing si applica anche alla tecnologia: il 16% dichiara di condividere l’ADSL e il 5,7% di dividere i costi per l’accesso ai servizi di TV on demand.

Diventano collettive anche le attività connesse al verde e alla pulizia degli spazi comuni: si cura a turno il giardino condominiale o si annaffiano le piante del vicino quando è in vacanza (6,8%); si pulisce o si gestisce a turno la spazzatura condominiale nel 5,7% delle risposte.

Ma come si comunicano queste iniziative o le richieste di aiuto e favori in condominio? A vincere rimane il passaparola, a cui ricorre il 57% del campione che dichiara di essere inserito in una rete di supporto tra vicini.

Ma vengono citate anche strategie più strutturate: il 21,9% dichiara di avere un gruppo WhatsApp per raggiungere tutti in maniera immediata, mentre il 19,3% utilizza la bacheca nel portone di casa.

Se sono in pochi ad indicare il portinaio come tramite delegato a queste comunicazioni (solo il 7% lo cita) quasi il 5% ha creato ed utilizza un gruppo Facebook, una comodità anche per condividere notizie, foto e segnalazioni di ogni genere.

Tragitto casa-lavoro, che stress

PageGroup ha condotto uno studio tra 12.500 lavoratori in tutta Europa per comprenderne le abitudini quotidiane in fatto di spostamenti casa-lavoro e per analizzare l’impatto che questi hanno sul loro benessere generale.

Dallo studio emerge che i trasporti pubblici italiani sono meno cari e più veloci rispetto allo spostamento in macchina, ma stressanti. Il 68% dei lavoratori italiani contro il 38% della media europea non ha dubbi: il tragitto casa-lavoro è logorante.

Una condizione che dipende essenzialmente dal sovraffollamento dei mezzi pubblici, dalla sporcizia e dai problemi tecnici (scioperi, ritardi, guasti), che condizionano l’inizio della giornata lavorativa degli italiani. Tuttavia, il 64% dei rispondenti ha dichiarato che i trasporti pubblici sono la modalità più conveniente per raggiungere il tragitto casa-lavoro e, per il 47%, anche la più rapida.

L’Italia è anche al primo posto per stress generato dal trasporto privato. I nostri connazionali sono i più soggetti a stress da trasporto privato (49%) rispetto alla media dei colleghi europei (34%). La causa primaria di questo malessere è il traffico che blocca le nostre città soprattutto negli orari di punta. Nonostante questo, però, ben il 71% dei professionisti italiani affronta il tragitto verso casa-lavoro a bordo della propria auto.

I loro spostamenti casa-ufficio (45 minuti), inoltre, sono anche i più lunghi. In questo caso, però, siamo in compagnia dei colleghi francesi e belgi (anche loro 45 minuti) e dietro a quelli turchi, che impiegano fino a 48 minuti per raggiungere il posto di lavoro.

Quasi 1 italiano su 2 desidera cambiare lavoro per avvicinarsi a casa. Gli spostamenti lunghi e difficoltosi hanno un impatto sull’equilibrio tra vita personale e lavoro. L’Italia, in questo senso, chiude la classifica con il peggior work life balance a livello europeo al 5.3, rispetto a una scala in cui la media europea si attesta su un punteggio di 5.9 e Paesi come Olanda e Belgio si classificano tra i migliori in Europa rispettivamente con il 6.6 e il 6.4. Non sorprende, quindi, che il 46% dei professionisti italiani abbia affermato che cambierebbe lavoro per avvicinarsi a casa e tagliare il tragitto casa-lavoro.

La ricerca apre la riflessione su nuovi modelli di lavoro flessibile e sui paradigmi per attrarre e trattenere i talenti in azienda – dichiara Tomaso Mainini, Managing Director di PageGroup -. Oggi si parla sempre di più di di smart working, siamo di fronte a una svolta culturale e a un cambiamento del mercato del lavoro. Le aziende che vogliono essere competitive anche su questo fronte devono tenere nella giusta considerazione questi aspetti in grado di incidere sull’efficienza dei professionisti e sulla percezione positiva delle loro attività quotidiane. Ecco perché diventa fondamentale che le aziende che desiderano attrarre o mantenere i migliori talenti, aumentando inoltre la produttività dei propri collaboratori attraverso un maggior livello di soddisfazione e benessere, offrano alternative per la riduzione dello stress da spostamento”.

Comprare casa? È il momento giusto

Secondo un’indagine condotta da Immobiliare.it su un campione si oltre 1.500 individui che, negli ultimi tre mesi, hanno cercato un immobile in vendita o in affitto, per il 70,4% degli intervistati questo è un ottimo momento per comprare casa. Chi è convinto che non lo sia rappresenta appena l’8,4% del totale.

Segmentando il campione per sesso e residenza, emerge come alla domanda Pensi sia un buon momento per comprare casa?”, la maggiore positività sia stata riscontrata fra le donne e nel Centro Italia. Considerando il solo campione femminile, la percentuale di chi ritiene quello attuale un momento propizio per acquistare un immobile è pari al 73,6%, dato che scende al 68,7% fra gli uomini. Nel Centro Italia è convinto della positività del periodo per comprare casa il 71,7% degli intervistati, che diventa il 70,2% al Sud e il 69,5% al Nord.

Il dato assume una rilevanza ancora maggiore se lo si confronta con l’ultimo disponibile, quello relativo al terzo trimestre del 2012. All’epoca appena il 45% dei rispondenti si dichiarava fiducioso e ottimista per comprare casa.

Se si tratta di un buon momento per comprare casa, però, chiaramente non lo è per vendere. Alla domanda diretta Pensi sia un buon momento per vendere casa?, risponde NO il 69,4% del campione, percentuale che arriva invece a superare il 75% se si considerano solo le risposte date dalle donne. Guardando alla residenza di chi ha risposto, i più convinti del fatto che non sia il momento giusto per vendere sono i residenti nel Centro Italia (72,6%), ma questa volta alle loro spalle si trovano i residenti nel Nord (67,8%), che superano di un punto percentuale quelli del Sud (66,8%).

Le risposte alle due domande precedenti (comprare casa o vendere casa) sono molto legate alle convinzioni degli intervistati riguardo al prezzo degli immobili. Immobiliare.it ha continuato la sua indagine chiedendo agli intervistati che cosa pensano che accadrà al prezzo delle case nei prossimi dodici mesi. Il 43,2% ha dichiarato di sentirsi ragionevolmente certo del fatto che si manterranno stabili, ma il 27,4% è ancora più ottimista e ritiene che continueranno a calare. Di parere opposto il 21,7% degli intervistati: a credere che i prezzi riprenderanno presto a salire sono maggiormente gli uomini (22% vs 21%) e i residenti nel Nord Italia (20,6%).

Dopo anni terribili per il mercato immobiliare – ha dichiarato Carlo Giordano, Amministratore Delegato di Immobiliare.it – oggi la situazione pare diversa e finalmente torna la fiducia fra i compratori. In parallelo, anche molti investitori ricominciano a guardare all’Italia come un mercato profittevole con investimenti in crescita, soprattutto nel settore degli immobili commerciali. E questo non può che essere un bene.

Il design italiano nel mondo

La Camera di commercio di Milano, in collaborazione con Promos, azienda speciale per le Attività Internazionali, ha stilato la mappa “Il design italiano nel mondo – Italian design in the world”, che individua i maggiori mercati, quelli emergenti e le imprese che operano nel settore del design (clicca qui per scaricarla).

Un export da 20,7 miliardi in un anno. È il valore raggiunto dall’Italia nel campo del design nel 2015 tra arredamento, illuminazione, articoli in porcellana e ceramica e gioielleria, +6,6% rispetto all’anno precedente. In particolare sono aumentate le esportazioni di mobili per cucine (+10%), di arredo domestico, parti di mobili e sedie (+9%) e di gioielleria (+8%).

I 3 maggiori partner italiani sono Francia (13%), Svizzera (9,3%), Germania (9,2%). Quelli emergenti Messico (+46,3%), Cina (+35%) e Arabia Saudita (+22,3%). Ma tra le prime 20 destinazioni del design italiano compaiono anche Stati Uniti, Canada, Giappone e Australia.

E se la Francia è il principale partner per quasi tutti i prodotti, i mobili d’ufficio vanno anche in Arabia Saudita, le cucine negli Stati Uniti e in Russia, i materassi in Germania e Polonia, l’arredo domestico negli Stati Uniti, le poltrone, i divani e le parti di mobili nel Regno Unito, le apparecchiature per l’illuminazione, i prodotti in porcellana e vetro, le sedie e l’arredo esterno in Germania, la gioielleria, bigiotteria e le pietre preziose in Svizzera, Emirati Arabi Uniti e Hong Kong

Ai primi posti in Italia per imprese del design: nel manifatturiero Monza e Brianza (6,4%), Milano (5,1%) e Treviso (4,6%); nel commercio Roma (8,9%), Napoli (8,6%), Milano (5,3%); nella progettazione di design Milano (9,8%), Torino (6,9%), Roma (5,2%).

Variegata la geografia di destinazione del design italiano. Nei mobili d’ufficio tra le prime 20 destinazioni spiccano per crescita Australia (+164%), Giappone (+43,9%), Canada (+38,8%), nei mobili per cucine Singapore (+367,7%), Emirati Arabi Uniti (+55%), Israele (+50,4%), nei materassi Ungheria (+231,4%), Emirati Arabi Uniti (+87,9%), Austria (+38%), nell’arredo domestico Cina (+104,4%) Emirati Arabi Uniti (+46,2%), Australia (+45,7%), nelle sedie Emirati Arabi Uniti (+46,6%), Arabia Saudita (+71,1%) Corea del Sud (+56,9%), in poltrone e divani Corea del Sud (+106,7%), Hong Kong (+43,2%) e Cina (+41,6%), in parti e accessori per mobili Danimarca (+30,5%), Canada (+28,7%) e Spagna (+21,6%), in arredo esterno Emirati Arabi Uniti (+71%), Spagna (+28,7%) e Canada (+26,7%), in apparecchiature per l’illuminazione Slovacchia (+67,6%), Emirati Arabi Uniti (+32,5%) e Spagna (+26,7%), in prodotti in vetro Cina (+46%), Canada (+22,1%) e Arabia Saudita (+35,3%), in gioielleria e bigiotteria Repubblica domenicana (+59,4%), Messico (+53,5%) e Sud Africa (+37,5%), in articoli in porcellana e ceramica Bulgaria (+42,7%), Spagna (+18%) e Austria (+13,5%).

Tornano a crescere i licenziamenti

Gli effetti positivi del Jobs Act cominciano a venire meno sull’occupazione in Italia ed ecco che arrivano brutte notizie sul fronte dei licenziamenti. Secondo l’Osservatorio sul precariato dell’Inps, da gennaio ad agosto 2016 il numero di quelli “per giusta causa” è schizzato in su del 28,3% rispetto allo stesso periodo del 2015.

Nel dettaglio, rispetto al 2014 si sono registrati 11.020 licenziamenti in più, +31,3%, e i “licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo” sono stati ben 46.255 tra gennaio e agosto 2016, 36.048 nel 2015 e 35.235 nel 2014.

Nello stesso periodo del 2016 in cui sono cresciuti i licenziamenti, sono calati di molto i contratti a tempo indeterminato, -32,9%, 395mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2015. Nel complesso, le assunzioni nel comparto privato sono calate dell’8,5%, – 351mila unità.

Per i contratti a tempo determinato, nei primi 8 mesi del 2016, si sono registrati 2 milioni e 385mila assunzioni, in crescita sia sul 2015 (+2,5%), sia sul 2014 (+5,5%). Rispetto allo stesso periodo del 2015, le cessazioni complessive sono calate del 7,3%., con un calo più significativo per i contratti a tempo indeterminato (-8,3%) rispetto a quelli a tempo determinato (-5,2%).

Servizi digitali e imprese, un dialogo da costruire

I servizi digitali sono un’opportunità di crescita per le imprese? Sì, peccato che molte di esse non ne sfruttino a pieno le potenzialità. A dirlo è un report commissionato da Interoute, operatore proprietario della più grande piattaforma di servizi cloud e uno dei più grandi network europei, a IDC.

Ebbene, secondo il report, solo il 40% delle aziende utilizza attualmente sistemi di Unified Communications and Collaboration (UC&C) per ottimizzare i propri processi di business. L’indagine ritiene che una delle ragioni alla base di questo trend sia la complessità di tali sistemi.

La mancata spinta nel processo di trasformazione dei servizi digitali, sottolinea il report, porta le aziende a perdere occasioni di risparmio e di maggiore produttività.

L’obiettivo del documento sui servizi digitali è stato quello di descrivere, da un lato, gli sviluppi in ambito Unified Communications and Collaboration, e dall’altro le modalità con cui le aziende possono costruire un ambiente adatto per utilizzare queste soluzioni.

La digital transformation, sottolinea il documento, guiderà le strategie di business senza distinzione di mercati e settori, perché il management è alla continua ricerca di soluzioni che possano assicurare un futuro alle proprie aziende.

Ma le opportunità offerte dai servizi digitali si modificano e si aggiornano, rendendo difficile per molte realtà il raggiungimento dei loro obiettivi, nel processo di digitalizzazione dei servizi. In questo scenario, le soluzioni UC&C hanno un ruolo importante.

I tool che integrano le soluzioni di comunicazione di un’impresa possono portare miglioramenti, tanto nell’ambito della customer experience, quanto in quello della produttività.

Secondo il report, le aziende con le migliori possibilità di avere successo in futuro, sono quelle che riusciranno a integrare in modo flessibile e sicuro tutte le loro piattaforme aziendali sfruttando al meglio i servizi digitali. Questo consentirà ai dipendenti di lavorare in modo più efficiente, ma anche per garantire un’interazione di qualità e senza interruzioni con il cliente.

L’avvento della digital transformation e l’utilizzo dei social media – sottolinea Simone Bonannini, AD di Interoute Italia – sono legati alle nuove esigenze dei clienti, che oggi si aspettano di poter comunicare con un fornitore, con un partner o con un loro cliente finale, in tempo reale e senza alcun vincolo. Le aziende che davvero riusciranno a integrare le soluzioni UC&C nel loro business non solo saranno più efficienti, ma potranno anche offrire una migliore customer experience”.

Piani pensionistici? Con l’Ape è boom di ricerche

L’ennesima riforma delle pensioni partorita da un governo della Repubblica ha mandato in ansia gli italiani, come pare emergere da un’analisi di Facile.it, comparatore leader in Italia, secondo la quale a settembre le richieste di informazioni legate ai piani pensionistici individuali sono triplicate se confrontate col medesimo periodo del 2015.

Già nel corso del primo trimestre dell’anno l’adesione ai Piani Individuali Pensionistici di tipo assicurativo (o PIP) è cresciuta del 4,6% e le risorse destinate a questo genere di previdenza complementare sono aumentate del 7,6%, per un totale del patrimonio accumulato pari a 21,6 miliardi di euro, stando ai dati Covip.

Pare dunque che i 6 miliardi di euro in tre anni previsti dal piano di riforma delle pensioni, che introdurrebbe anche l’Anticipo Pensionistico senza penali o quasi (APE “social”), sono giudicati da molti come insufficienti a coprire le reali necessità economiche di sostenibilità della proposta. Ecco il perché del boom nella ricerca di soluzioni autonome.

Secondo quanto rilevato da Facile.it, a settembre 2016 il maggiore interesse per i PIP è stato dimostrato dai dipendenti privati che, con il 53% del totale rappresentano la fetta maggiore dei lavoratori che hanno cominciato a raccogliere informazioni sui piani pensionistici; alle loro spalle, ma molto distanziati, si trovano i liberi professionisti (23,5%), mentre al terzo posto spuntano le casalinghe (14%). Quasi il 10% delle richieste è legato a prodotti dedicati agli studenti, richiesti dai genitori.

Se l’iniziativa governativa punta a migliorare le condizioni di chi in pensione ci è già o è prossimo ad arrivarci, chi punta a sottoscrivere un fondo pensione ha ancora molti anni di lavoro davanti: analizzando i dati in base all’età di chi ha chiesto informazioni sui piani pensionistici, i più interessati sono i lavoratori con un’età compresa fra i 25 ed i 34 (21% del campione), seguiti da quelli appena più grandi (età 35-44 anni, 18% del campione). 

Bisogna ricordare che i piani pensionistici individuali non hanno costi unici e definiti, ma variano in base al prodotto scelto, alla propensione al rischio del singolo sottoscrivente e al suo profilo anagrafico.

Facile.it ha fatto una simulazione legata a un lavoratore dipendente di 41 anni di età, 19 anni di anzianità lavorativa e un’età presunta di pensione pari a 66 anni: quindi, un’ipotesi di contribuzione integrativa pari a 25 anni.

Nel momento in cui questo lavoratore tipo uscirà dal mondo del lavoro attivo, il suo reddito sarà inferiore del 15% rispetto a prima; ipotizzando che nel corso dei 25 anni precedenti lui abbia versato ogni mese 100 euro, abbia scelto un piano equamente diviso fra gestione separata e fondo azionario e non abbia destinato al fondo alcuna quota del TFR, riceverà ogni mese 144,5 euro.