La Riforma della Fornero? Non ce la siamo bevuta: la parola al Consulente

 

La Riforma del Lavoro è stata varata la scorsa settimana e subito ha riscosso un mare di dissensi, per non dire perplessità, da parte di imprenditori, professionisti, inoccupati e di chi, in prima battuta, risentirà delle modifiche a contratti di lavoroordini professionali e sovvenzioni che (non) arriveranno per implementare le risorse interne delle imprese.

Da subito, i dirigenti in capo all’Associazione dei Consulenti del Lavoro ha parlato di una NON riforma che non risolverà affatto il problema della disoccupazione giovanile.

Infoiva ha chiesto il parere del dott. Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro

Perché siete così convinti che la riforma del lavoro non farà ripartire le assunzioni? Che cosa avreste proposto e che cosa manca?
In nostro grande timore che la riforma del lavoro, così come pensata ed approvata, non porterà nuova occupazione. Il rischio, invece, è che si verifichino perdite di occupazione e contenzioso a causa dell’aumento del costo del lavoro (contratto a termine e aspi), dell’eccessiva burocratizzazione (intermittente, part-time, convalida dimissioni), dei nuovi vincoli (apprendistato), delle nuove presunzioni (partite iva e associati in partecipazione), delle abrogazioni (contratto d’inserimento) e delle restrizioni (voucher).
L’irrigidimento complessivo nella gestione del rapporto di lavoro con la presunzione di subordinazione, unito all’introduzione della comunicazione obbligatoria della presenza per i lavoratori intermittenti con la previsione di una sanzione sproporzionata; le nuove procedure in materia di dimissioni e gli interventi in materia di flessibilità non faranno certamente bene ad un mercato del lavoro che ha bisogno di fluidità e non di freni e vincoli come quelli che le nuove norme stanno introducendo.

Ci sono dei lavori o delle soluzioni su cui puntare oggi giorno, occasioni o campi dalle maggiori possibilità occupazionali?
Anche se siamo in presenza di un mercato del lavoro in crisi, con una disoccupazione degli under 24 che supera il 30%, esistono profili di difficile reperibilità per le aziende. Ad esempio tecnici informatici o personale sanitario, dove assistiamo al reperimento delle risorse in paesi esteri. Ma anche lavori manuali come cuochi o conduttori di macchine da lavoro. Una buona formazione tecnica oggi mette al sicuro un lavoratore e non ha niente da invidiare a percorsi più incerti e dispendiosi.

Tanti, per ovviare alla mancanza di occupazione, stanno puntando sull’apertura della partita IVA a rischio super tassazione: secondo lei, tanti singoli fanno un mercato del lavoro o dovrebbe pensarci lo Stato?
Il mondo del lavoro ha tante sfaccettature. Ma dobbiamo superare lo storico luogo comune che lavoro significa solo lavoro dipendente. Bisogna anche saper rischiare nel fare impresa o intraprendere un lavoro autonomo. Lo Stato deve evitare di disegnare un sistema giuridico che penalizzi il lavoro autonomo in favore di quello dipendente. Non bisogna dimenticare mai che dal lavoro dipendente non nasce lavoro dipendente. L’occupazione la crea il lavoro autonomo; per questo auspichiamo che i Governi rendano attuali i tanti principi enunciati per favorire l’imprenditoria giovanile. Le professioni regolamentate sono di sicuro uno sbocco importante per le nuove generazioni; le iscrizioni agli albi professionali hanno avuto un incremento importante negli ultimi 10 anni e, da una recente ricerca, l’età media dei professionisti è di 45 anni.

Che cosa è stato fatto per i piani di mobilità sociale e come si equilibrano piani di mobilità con l’effettiva ondata di licenziamenti cui stiamo assistendo, non ultimo il discorso sulla spending review del Premier Monti?
Non c’è alcuna mobilità sociale senza ricambio generazionale. Purtroppo il Paese sta affrontando una crisi profonda sia dal punto di vista economico che dal punto di vista occupazionale. Ma ora siamo in attesa delle misure per lo sviluppo. Credo che per poter rilanciare un Paese non c’è bisogno solo di politiche di contenimento delle spese ma anche di riforme strutturali del sistema produttivo. Per quanto riguarda le misure per lo spending review presentate dal Professor Monti, ciò che grava molto non è il numero dei dipendenti della Pubblica Amministrazione, visto che non sono così poi tanto maggiori (in proporzione) rispetto agli altri paesi, bensì i relativi stipendi, soprattutto di alcuni alti funzionari. La spesa media per il personale e per i servizi del funzionamento dell’attività amministrativa italiana, nel quinquennio 2005/2009, è stata pari a 248 miliardi, ovvero il 16,4 % del Pil.

Secondo lei, le imprese saranno agevolate nell’assunzione di nuove risorse sfruttando il contratto di apprendistato o è solo un bel nome per aggirare l’ostacolo?
La riforma dell’apprendistato, cioè ridisegnare i percorsi di apprendistato, credo sia importante e imprescindibile in un momento in cui i nostri giovani, ce lo dicono tutte le statistiche, hanno difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro.
Siamo a percentuali preoccupanti dei tassi di disoccupazione giovanile ma va posto l’accento su un aspetto altrettanto preoccupante: il fatto che sta aumentando il numero dei giovani che non cerca lavoro, che è scoraggiato e quindi esce da quelli che sono i circuiti in cui invece potrebbe trovare un’occupazione.
L’apprendistato è l’unico contratto a finalità formativa, ma ha anche la funzione importante di accompagnare i giovani e farli transitare dal mondo dell’istruzione al mondo del lavoro.
Il problema resta a livello operativo considerato che la gestione da parte delle Regioni spesso è contraddistinta da procedure molto burocratizzate ed una legislazione non chiara e , a colte, contraddittoria. Situazioni che penalizzano l’espansione dell’apprendistato.

Qual è il vostro punto di vista sulla Riforma degli ordini professionali e lo stato dei liberi professionisti? Si preannuncia meno burocrazia ma i soggetti, come la categoria dei giornalisti pubblicisti, si è sentita defraudata dei suoi diritti?
Di riforma delle professioni si parla ormai da decenni. Il comparto professionale continua, però, a dimostrarsi tra i più dinamici garantendo al Paese il 15% del PIL. Gli Ordini professionali non si sono mai dichiarati contrari all’ammodernamento delle regole, anche per adeguare le leggi ordinamentali al nuovo contesto europeo. Ma quello che abbiamo sempre chiesto è quello di avere un dialogo continuo con le Istituzioni per arrivare ad una riforma condivisa e strutturale. Purtroppo, non si vuole avere la consapevolezza che il sistema ordinistico italiano è una risorsa del Paese e che negli altri stati europei esistono gli ordini caratterizzati esattamente come in Italia. A volte in questa materia si parla più per frasi fatte che per effettiva conoscenza del settore.

Ma secondo voi, questa riforma, si farà per davvero?
Gli Ordini professionali hanno già fatto la loro parte e sono sempre disponibili al confronto.

 

Paola PERFETTI

In estate aumentano le opportunità di lavoro per i professionisti

Una buona occasione per trovare un impiego è l’estate. E anche quest’anno, nonostante la crisi, sembra che le opportunità non manchino, come conferma anche Agostino Di Maio, direttore di Assolavoro.
E se si pensa che si tratti solo di lavoretti per studenti o, comunque, di riempitivi per chi non ha particolari esperienze professionali, ci si sbaglia di grosso.

Di Maio, a questo proposito, afferma: “In estate aumentano sensibilmente le richieste di figure professionali legate al turismo, come camerieri e hostess di sala, commis di sala e di cucina, addetti al bar, animatori ma anche direttori di albergo e responsabili di catene di ristorazione e ancora addetti al controllo sicurezza e addetti alla ristorazione per strutture aeroportuali; c’è anche una maggiore richiesta di figure professionali sociosanitarie“.

Inoltre, la formazione avviene a spese delle agenzie e permette di ricevere requisiti che potrebbero rivelarsi necessari anche per impieghi futuri.

Per questo motivo il direttore di Assolavoro ricorda come la riforma del lavoro dovrebbe tenere conto di ciò, e, in nome di quella “flessibilità buona” tanto decantata anche dal governo, evitare di tagliare le risorse destinate alla formazione degli interinali a favore dell’Aspi, perché questa decisione rappresenterebbe “un clamoroso passo indietro“.

Vera MORETTI

Monza e Brianza: nasce lo sportello d’aiuto per gli imprenditori

Uno sportello d’aiuto dedicato all’ascolto degli imprenditori, l’anticipo dei crediti scaduti che le imprese vantano nei confronti dei Comuni e oltre 1 milione di Euro di contributi a fondo perduto a più di 500 imprese che assumono, destinati a favorire l’incremento dell’occupazione: questi alcuni degli interventi messi in campo dalla Camera di commercio di Monza e Brianza per non lasciare soli gli imprenditori.  

“In questo momento è fondamentale ripristinare un clima complessivo di fiducia nei confronti dell’impresa, e  del rischio di impresa – ha dichiarato Carlo Edoardo Valli Presidente della Camera di commercio di Monza e Brianza-  Un impegno che richiede un supplemento di responsabilità da parte di tutti, dal governo alle istituzioni, alle banche che devono tornare a credere nell’impresa perché le aziende senza la liquidità necessaria non possono lavorare, non possono fare investimenti e quindi non possono generare occupazione.”

Le iniziative della Camera di commercio di Monza e Brianza per le imprese della Brianza
Lo sportello d’aiuto: Il punto di ascolto-soccorso per le micro, piccole e medie imprese della Brianza in difficoltà è formato da un team di tutor e consulenti, messo a disposizione gratuitamente alle imprese dalla Camera di Commercio di Monza e Brianza in collaborazione con Formaper. I colloqui sono organizzati presso le sedi di Monza, Desio e Vimercate. Per informazioni e richieste di appuntamento: 039.2807446 Nello specifico, il progetto intende offrire alle imprese del territorio la possibilità di confrontarsi con un esperto sulle difficoltà incontrate in questo difficile momento di congiuntura, valutando la possibilità di ricorrere a uno o più servizi offerti dalla Camera di Commercio. Tale momento personalizzato di analisi potrà consentire sia di ricevere una panoramica completa dei servizi e delle informazioni fruibili sull’intero territorio, sia di condividere una riflessione puntuale sulla strategia per posizionare l’impresa nel modo più efficace ad affrontare il mercato. Si forniranno inoltre all’imprenditore in difficoltà chiavi di lettura nuove, con la possibilità di predisporre eventuali momenti di assistenza personalizzata specialistica e formativi. 

Grazie a “Sbloccacrediti”, iniziativa in accordo tra le Camere di commercio lombarde,  ANCI Lombardia e UniCredit, la Camera di commercio di Monza e Brianza ha stanziato circa 1 milione di Euro a un centinaio di richieste pervenute dalle imprese della Brianza, che si trovavano alle prese con i ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione.

Bando Obiettivo Occupazione – edizione 2012 La Camera di commercio di Monza e Brianza ha finanziato oltre 1 milione di euro in contributi a fondo perduto destinati a favorire l’incremento dell’occupazione nelle imprese di tutti i settori economici di Monza e Brianza.

Fonte: camcom.gov.it

Il 99% degli Italiani preoccupato per il lavoro

Il futuro economico dell’Italia spaventa un po’ meno, ma sulle prospettive di lavoro l’allarme resta a livelli di guardia: il 99% della popolazione, praticamente tutti, si dice preoccupato. L’osservatorio Confesercenti-Ispo sulla crisi fotografa un’Italia ancora in affanno, con poche certezze e molte paure. Anche perché la crisi continua a colpire duramente: ormai un quarto delle famiglie (il 25%) rivela di essere stata direttamente coinvolto dalla crisi, vuoi per la perdita di posto di lavoro o per la messa in cassa integrazione di uno dei propri membri. Un dato in significativo aumento (+11%) rispetto a novembre 2011.

Le prospettive del Paese: una timida speranza
Pure in una situazione di elevatissimo allarme nei confronti della crisi economica, che certamente non è alle spalle, si comincia a intravedere qualche segnale di distensione.Il livello di preoccupazione per la situazione economica è elevato e coinvolge tutta la popolazione, ma rispetto a novembre 2011 calano di 8 punti percentuali coloro che si dicono molto preoccupati. Stesso andamento anche per l’economia della regione, con una diminuzione di 7 p.p. dei più allarmati. Questa seppur debole “boccata d’aria” si rileva anche nei confronti delle prospettive per il futuro, dove è più che raddoppiata la quota di italiani che intravede una ripresa dell’economia nel prossimo anno: dal 19% di novembre 2011 al 42% di oggi.

Il lavoro
È invece praticamente unanime il timore degli italiani sul tema lavoro del Paese. Il 99% degli intervistati si dice preoccupato per l’andamento dell’occupazione: calano leggermente i “molto preoccupati” (che passano dal 71% di novembre al 68% di oggi) ma aumenta chi si dice “abbastanza preoccupato” (dal 26% al 31%). Praticamente scomparsi i “sicuri”: adesso chi si definisce “poco preoccupato” è solo l’1%. Ad avere paura sono soprattutto i giovani: il maggior dato di “molto preoccupati” si registra infatti tra i 18-24enni (81%) e i 35-44enni (75%). Ma il timore colpisce anche le realtà più marginali del Paese, come i residenti in piccoli centri, con meno di 5.000 abitanti, con una quota del 72%, i lavoratori con qualifiche meno elevate (72%), gli studenti (73%) e, ovviamente, i disoccupati (82%), che vedono decisamente nero. Ma ha comprensibilmente paura anche chi nella propria famiglia ha vissuto la perdita del lavoro o la cassa integrazione (81%).

Chi ha paura di essere licenziato
Se la situazione generale del mercato del lavoro spaventa, è invece per la prima volta in calo, dall’inizio del 2011, la preoccupazione di chi il posto di lavoro ce l’ha già. La quota di “preoccupati” rimane comunque maggioritaria, e coinvolge 7 italiani su dieci: si passa infatti dal 77% al comunque pesante 69%. Il 37% del totale è “molto preoccupato”: soprattutto donne (41%) giovani tra i 25 e i 34 anni e tra i 35 e i 44 (rispettivamente 42% e 43%) e chi nella propria famiglia ha vissuto la perdita del lavoro o la cassa integrazione (52%).

Le famiglie sono sempre più colpite dalla crisi…
Aumentano, infatti, i nuclei familiari che hanno pagato la crisi sulla propria pelle. Il 19% (pari a 4.560.000 famiglie) dichiara di aver vissuto la perdita del posto del lavoro di un proprio caro. È un dato in deciso aumento, che segna il 7% in più rispetto a novembre. In crescita (+8%) anche i cassaintegrati: il 14% delle famiglie rivela di avere un parente che ha usufruito o prevede di usufruire degli ammortizzatori sociali, per un totale di 3.360.000 nuclei. In totale, le famiglie che risultano direttamente coinvolte dalla crisi sono il 25%, con un aumento di 11 punti percentuali rispetto a novembre. Si è tornati ad essere vicini, insomma, ai livelli di febbraio 2010. Da notare come la crisi unisca nord e sud: le aree più colpite sono il Nord Est (28%) e Sud e Isole (28%). Vanno un poco meglio Nord Ovest (23%) e Centro (22%).

…e temono per la loro situazione economica.
Ancora diffuse, quindi, le preoccupazioni delle famiglie per la propria condizione economica. Ad essere molto o abbastanza preoccupati sono l’86%: anche in questo caso, sono soprattutto 35-44enni (51%), lavoratori con qualifiche meno elevate (51%), casalinghe (53%), disoccupati o persone in cerca di 1ᵃ occupazione (60%) e chi nella propria famiglia ha vissuto la perdita del lavoro o la cassa integrazione (55%).

La stretta del Credito
Prospettive nere anche sulla situazione del credito nel Paese: il 68% degli intervistati, circa due italiani su tre, è preoccupato dalla difficoltà di ottenere prestiti e finanziamenti. Il livello massimo di timore si registra tra i lavoratori meno qualificati (86%), i giovani tra i 18 e i 34 anni (74%) e gli imprenditori (72%).

La crisi e le PMI
La preoccupazione degli imprenditori per il credito si innesta in uno stato più generale di timore fra la popolazione per l’effetto che la crisi sta avendo sulle piccole e medie imprese italiane. L’86% degli italiani, infatti, è convinto che la crisi abbia messo in ginocchio le aziende di piccole dimensioni più di quelle grandi. Un dato in crescita del 5% rispetto alle rilevazioni di novembre 2011.

Fonte: confesercenti.it

Le quotazioni in Borsa? Fanno bene al PIL

Più ti quoti, più fai crescere il Bel Paese – Bocconi docet.

La quotazione in borsa fa bene al Pil nazionale. E’ quanto indica uno studio realizzato da Borsa Italiana e Università Bocconi secondo il quale se le società quotate in Piazza Affari fossero 1.000 (contro le 291 aziende italiane di inizio 2010) il prodotto interno lordo del paese potrebbe salire fino all’1,5% in più.

Secondo la ricerca ci sarebbe un impatto positivo anche sull’occupazione (+137.000 posti di lavoro in un anno) e un aumento del gettito fiscale (+2,85 miliardi di euro).

Fonte | Ansa

Iva: continui aumenti, e le famiglie pagheranno di più

Cresce la preoccupazione per gli ormai annunciati aumenti dell’IVA.

La Confesercenti, su questo tema, ha elaborato uno studio che tiene conto dei forti oneri aggiuntivi che ricadranno sulle famiglie a causa delle varie manovre che hanno innalzato le aliquote, dall’estate del 2011 a oggi. E che causeranno effetti depressivi sull’economia e sui consumi, con le conseguenti ricadute sulle chiusure di imprese, soprattutto nei settori vitali del commercio e dell’artigianato, e la conseguente perdita di posti di lavoro. Si parla tanto di lavoro e di come aumentare l’occupazione, e si fanno interventi sull’IVA che freneranno il mercato e accresceranno la disoccupazione.

Il carico medio aggiuntivo per ognuno dei 24 milioni di nuclei familiari del nostro Paese arriverà a 576 euro all’anno: 150 per l’aumento dal 20% al 21% dell’aliquota ordinaria, in vigore dal primo settembre 2011, e altri 426 euro dovuti agli ulteriori due punti percentuali che si aggiungeranno alle aliquote ordinarie e intermedie dal prossimo ottobre. Il carico per le famiglie (vedi studio allegato) cambia a seconda della professione del capo-famiglia e delle aree del Paese. A questo andrà aggiunto un impatto inflazionistico il cui effetto atteso sui prezzi al consumo è vicino a 1,5 punti percentuali. Gli aumenti Iva, però non colpiranno solo famiglie e imprese, e infliggeranno un grave colpo alla competitività del Paese.

Quest’ultimo “effetto collaterale” è evidente soprattutto nel turismo, dove l’Italia sta percorrendo la strada di una sorta di “fiscal dumping” al contrario: nel 2014, quando le due aliquote cresceranno di un altro mezzo punto percentuale, il nostro Paese avrà infatti l’Imposta di valore aggiunto più alta di tutta la zona Euro. Da notare il forte divario che riguarda gli alberghi: la media IVA dell’Eurozona è dell’8,3% quella italiana è superiore di cinque punti e si attesta al 12,5%.

Fonte: confesercenti.it

Migliora la fiducia per imprese, commercio e servizi

Nei servizi peggiorano sensibilmente i giudizi sul livello degli ordini, ma migliorano le attese relative alla medesima variabile e quelle riguardanti la situazione economica generale del Paese.

Circa l’occupazione, migliorano le attese, ma peggiorano i giudizi e il saldo relativo all’andamento degli affari. Scendono anche le attese sulla dinamica dei prezzi di vendita.

Per quanto riguarda il commercio al dettaglio, che rialza la testa dopo una discesa ininterrotta che proseguiva da luglio 2011 e che aveva fatto registrare il minimo storico a gennaio, recuperano sia i giudizi sia le attese sulle vendite, mentre risulta stabile il saldo dei giudizi sul livello delle scorte di magazzino.

Inoltre l’indicatore sale in entrambe le tipologie distributive del commercio al dettaglio, passando da 65,9 a 67,9 nella grande distribuzione e da 89,0 a 92,8 nella distribuzione tradizionale.

Fonte: confesercenti.it

Paesi Ocse, l’Italia ha la disuguaglianza dei redditi maggiore

La disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei Paesi Ocse, più elevata che in Spagna ma inferiore rispetto al Portogallo e al Regno Unito. Nel 2008 il reddito medio del 10% più ricco degli italiani era di 49.300 euro, dieci volte superiore al reddito medio del 10% più povero (4.877 euro) con un aumento della disuguaglianza rispetto al rapporto di 8 a 1 di metà degli anni Ottanta. E’ quanto emerge dal rapporto Ocse ‘Divided we stand: why inequality keeps rising’ (Sempre più divisi: perché le diseguaglianze continuano a crescere), presentato nella sede dell’Istat, alla presenza del ministro del Lavoro, Elsa Fornero.

Le imposte sui redditi e i sussidi sociali hanno un ruolo importante, secondo il rapporto, nella redistribuzione del reddito in Italia, riducendo la disuguaglianza di circa il 30%, a fronte della media Ocse di un quarto.

Sempre in tema di redditi, la proporzione di quelli più elevati è aumentata di più di un terzo: l’1% più ricco degli italiani ha visto la proporzione del proprio reddito aumentare dal 7% del reddito totale nel 1980 fino a quasi il 10% del 2008. L’aumento dei redditi da lavoro autonomo ha contribuito in maniera importante, secondo il rapporto, all’aumento della disuguaglianza dei redditi da lavoro: la loro quota sul totale dei redditi è aumentata del 10% dalla metà degli anni ’80 e i redditi da lavoro autonomo sembrano ancora predominare tra le persone con i redditi più alti, al contrario di quanto avviene in molti altri Paesi Ocse.

Anche in Italia, come nella maggior parte dei Paesi dell’area, la differenza tra le ore di lavoro dei lavoratori medio e peggio retribuiti è aumentata. Dalla metà degli anni ’80 il numero annuale di ore di lavoro dei lavoratori dipendenti meno pagati è diminuito, passando da 1.580 a 1.440 ore; anche quello dei lavoratori meglio pagati è diminuito ma in minor misura, passando da 2.170 a 2.080 ore. Figura poi diminuita la redistribuzione del reddito attraverso i servizi pubblici.

In Italia sanità, istruzione e servizi pubblici destinati alla salute contribuiscono a ridurre di circa un quinto la disuguaglianza. Gli stessi tuttavia contribuivano a una riduzione di circa un quarto nel 2000. La spesa sociale in Italia, rileva il rapporto Ocse, è basata prevalentemente su trasferimenti pubblici, come per esempio i sussidi di disoccupazione piuttosto che sui servizi.

Secondo l’Ocse, la via maestra per ridurre le disparità è l’occupazione: anche in una tale ottica è comunque essenziale investire nelle risorse umane, “un processo che -si legge nel rapporto- deve iniziare dalla prima infanzia ed essere sostenuto per tutto il ciclo di istruzione obbligatoria”. Lo strumento più diretto per accrescere gli effetti redistributivi è comunque indicato nella riforma delle politiche fiscali e previdenziali: perdite ampie di reddito per i gruppi a basso reddito evidenziano “l’importanza del ruolo degli ammortizzatori sociali, dei trasferimenti pubblici e delle politiche di sostegno”, meccanismi che l’Ocse auspica siano “ben congegnati al fine di ottenere i risultati sperati”.

Fonte: adnkronos.com

Occupazione: il terziario tiene, l’industria molto meno

di Vera MORETTI

La disoccupazione continua ad essere uno dei problemi più assillanti per gli italiani.

I dati provenienti dall’Ufficio Studi di Confcommercio sulle tendenze recenti del mercato del lavoro parlano chiaro e rivelano che, dopo un trend positivo iniziato nel secondo trimestre del 2010 che aveva lasciato ben sperare, tra settembre e novembre 2011 gli occupati sono diminuiti di 42mila unità e i disoccupati in cerca di nuovo lavoro sono, di conseguenza, cresciuti per toccare le 63mila unità.

Le “vittime” sono soprattutto giovani tra 15 e 24 anni, il cui tasso di disoccupazione ha raggiunto il 30%, addirittura dieci punti in più rispetto all’inizio del 2007.
Questa situazione è più diffusa nel Mezzogiorno, dove la disoccupazione ha superato il 13%, anche se il rischio che questa crisi raggiunga centro e nord è alquanto probabile.

Per quanto riguarda i settori produttivi, i comparti più dinamici sono quelli delle attività immobiliari e i servizi alle imprese, in aumento di 583mila posti di lavoro, ma anche alberghi e pubblici esercizi riportano dati positivi, con 145mila occupati in più.
Se consideriamo i lavoratori dipendenti che operano nell’ambito di commercio, alberghi e pubblici esercizi, i nuovi posti di lavoro sono stati, negli ultimi 10 anni, 395mila, contro i 347mila persi dall’industria.

Il terziario si conferma, in questo panorama, quello che ha “tenuto” di più, ma non solo, perché ha saputo anche creare nuova occupazione, cosa da non sottovalutare.

Lavoro, 400mila assunti in più con l’applicazione delle riforme

I Consulenti del Lavoro fanno le pulci al mercato dell’occupazione. Secondo un’indagine della Fondazione Studi dei consulenti del lavoro, ci sarebbero quasi 400mila occupati in più tra giovani e donne se venissero attuate due disposizioni cruciali per il mercato del lavoro: l’azzeramento dell’aliquota previdenziale a carico del datore di lavoro per l’assunzione di apprendisti e di quella per l’assunzione di donne a tempo indeterminato o tramite telelavoro.

Nello specifico, con l’azzeramento dell’aliquota previdenziale a carico del datore di lavoro nel biennio 2012-2013 si stima un aumento dell’occupazione degli apprendisti di 175mila unità. Con l’azzeramento dell’aliquota previdenziale a carico del datore di lavoro per l’assunzione di donne a tempo indeterminato o tramite telelavoro, sempre nel biennio 2012-2013 l’occupazione femminile crescerebbe di 223mila unità.

Commenta la presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro, Marina Calderone: “L’azzeramento dell’aliquota previdenziale per i nuovi apprendisti, come peraltro era già in passato, e per l’assunzione di donne a tempo indeterminato o mediante telelavoro possono dare grande vigore a due istituti di grande importanza strategica per il lavoro giovanile e femminile. E su questo tema potrebbe essere vincente concedere agevolazioni per chi avvia rapporti a tempo indeterminato. Sono due idee di semplice applicazione che possono portare sviluppo e occupazione in termini ampi e concreti“.

Laura LESEVRE