Esonero contributivo parità di genere: prorogato il termine

Le legge n° 162 del 5 novembre 2021 prevede la possibilità di esonero contributivo per i datori di lavoro in possesso del certificato di parità di genere. Il termine per presentare il rapporto di parità di genere e accedere all’agevolazione è fissato al 15 febbraio 2023, la l’Inps con il Messaggio 1269 del 3 Aprile 2023 ha provveduto a differirlo al 30 aprile 2023. Ecco cosa cambia.

Difficoltà tecniche: differito il termine per la presentazione dell’istanza per esonero contributivo

Con la circolare 137 del 22 dicembre 2022 l’Inps ha provveduto a dettare le linee guida per la presentazione dell’istanza volta a ottenere l’esonero contributivo (articolo 46-bis del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 ) pari all’1% dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, destinato alle aziende che presentato il rapporto sulla parità di genere. La certificazione sulla parità di genere deve essere stata rilasciata entro il 31 dicembre 2022 utilizzando lo specifico modulo telematico “PAR_GEN” . L’istanza doveva presentarsi entro il 15 febbraio 2023, ma considerate le difficoltà tecniche riscontrate per l’adempimento, il termine slitta al 30 aprile 2023.

Come compilare il modulo per l’esonero contributivo per chi presenta il rapporto sulla parità di genere

Il Messaggio specifica inoltre alcune modalità tecniche, in particolare sottolinea che alla voce “retribuzione” deve essere indicata la retribuzione media mensile globale e non quella del singolo membro. Nel Messaggio si specifica, inoltre, che coloro che avessero già inviato istanza per l’esonero contributivo entro i termini prestabiliti senza rispettare tale norma, devono comunque integrare la domanda. La correzione delle istanze deve avvenire previa rinuncia alle domande erronee e al successivo invio di una nuova richiesta contenente l’esatta stima della retribuzione mensile.

La retribuzione media mensile deve essere indicata per tutto il periodo di durata del certificato di parità di genere.

In seguito alla presentazione delle istanze a ciascun contribuente sarà data comunicazione dell’importo autorizzato con nota in calce al modulo di istanza online presente all’interno del “Portale delle Agevolazioni” (ex “DiResCo”) . Tale importo può essere fruito dal primo mese di validità del certificato. L’Inps provvederà comunque ad effettuare i controlli sulla veridicità delle dichiarazioni anche incrociando tutti i dati disponibili presso il Dipartimento per le Pari opportunità, dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e dall’Ispettorato nazionale del Lavoro (INL).

Leggi anche: Agricoltura: esonero contributivo 2023 per coltivatori diretti e Iap

Parità di genere: ai vertici delle aziende dovranno esservi il 40% di donne

L’Unione Europea compie un altro passo verso la parità di genere: è stato infatti trovato l’accordo sulla direttiva Ue Women on Boards che prevede nei consigli di amministrazione delle grandi aziende la presenza di almeno il 40% di donne. Scopriamo cosa cambierà per le imprese italiane, e non solo, e chi dovrà adeguarsi.

Parità di genere: cosa prevede la direttiva UE Women on Boards?

Ursula von der Leyern parla di un grande risultato raggiunto, ma in realtà questo andrà a incidere solo su una piccola fetta di aziende, cioè quelle quotate in borsa. Si tratta di un dossier a cui l’UE lavora da 10 anni e che prevede sanzioni per le aziende che non dovessero adeguarsi a questa disposizione. Gli obiettivi previsti sono:

  • 30% di tutti gli incarichi amministrativi a donne entro il 2026
  • 40% degli incarichi da amministratori non esecutivi ( si tratta di membri del consiglio di amministrazione, cda, che non hanno funzioni direttive all’interno delle società). Questa posizione si distingue da quella degli amministratori esecutivi che invece ricoprono anche incarichi direttivi o manageriali.

In base alla direttiva UE Women on Boards, le aziende quotate in borsa ogni anno dovranno fornire alle autorità nazionali preposte un resoconto sulla compagine societaria da cui deve appunto emergere il rispetto degli obblighi visti per la parità di genere. Nel caso in cui la società non sia riuscita a rispettare tali obblighi, nel resoconto deve anche indicare le azioni che vuole compiere al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati. Il resoconto deve anche indicare le procedure adottate per la selezione del personale che dovranno essere trasparenti.

Secondo la direttiva, i tribunali nazionali potranno intervenire e annullare la selezione dei membri del cda in modo da adeguarla alla direttiva. Naturalmente saranno i Paesi Membri a dover indicare il giudice competente in materia e i limiti ai suoi poteri.

Cosa cambia per le aziende italiane?

Deve essere sottolineato che questa direttiva andrà ad incidere in maniera diversa nei vari Paesi membri dell’Unione Europea, infatti la Francia ha già largamente raggiunto l’obiettivo, buona anche la posizione dell’Italia. Questo anche grazie alla legge 12 luglio 2011, n. 120 che contiene già le “quote rosa” per le società quotate in Borsa. Per le società a controllo pubblico occorre invece avere come punto di riferimento il Dpr 251 del 2012.

Sono escluse dall’applicazione di questa normativa le piccole e medie imprese che nel panorama italiano sono in realtà la stragrande maggioranza. Questo implica che con l’entrata in vigore della direttiva, una volta diventata esecutiva, per l’Italia dal punto di vista sostanziale ci saranno poche novità, sebbene ci sia un impegno dichiarato da parte del ministro Orlando.

Volendo fare un esempio concreto, sono note le dichiarazioni di Elisabetta Franchi sull’assunzione delle donne nelle sue aziende. La società gestita dalla famosa stilista e manager era in procinto di quotarsi in Borsa, ma poi non si è più proceduto. In un’azienda, importante e con un fatturato importante, ma non quotata in borsa comunque questa direttiva non troverebbe applicazione. In Italia alla data del 31 dicembre 2021 le società quotate in borsa sono soltanto 407, quindi si tratta di un numero limitato.

Deve essere sottolineato che quello raggiunto 7 giugno 2022 è un accordo inter-istituzionale, questo implica che la direttiva di fatto ancora non esiste. I prossimi passi saranno decisivi si tratterà dell’adozione formale della direttiva, a cui seguirà la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e l’entrata in vigore dopo 20 giorni da tale pubblicazione.

Parità di genere nei consigli di amministrazione delle società. Impegno del ministro Orlando

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali  Andrea Orlando ha partecipato nei giorni scorsi al Consiglio dell’UE su Occupazione, Politica sociale, Salute e Consumatori (EPSCO) e da questa sede ha preso l’impegno per il recepimento in breve tempo della direttiva dell’Unione Europea per la parità di genere nei consigli di amministrazione delle società.

Parità di genere in Europa

La parità di genere è un obiettivo che tutti si pongono ma di fatto sono persistenti gli squilibri, in tutta Europa e in particolare In Italia. Purtroppo le donne faticano a raggiungere ruoli di leadership e le statistiche dimostrano che ciò non è dovuto a una formazione non adeguata o a scarse capacità, ma a un fattore culturale che tende a ostacolare la carriera delle donne e a un costante impegno nella cura della famiglia che le porta ad avere minore tempo a disposizione per il lavoro.

Dai dati raccolti emerge che nell’ottobre 2021 le donne rappresentavano soltanto il 30,6% dei membri dei consigli di amministrazione e appena l’8,5% dei presidenti dei consigli di amministrazione, il divario all’interno degli Stati Membri è ancora più ampio. I Paesi che hanno raggiunto risultati migliori sono quelli in cui sono state adottate politiche attive per incentivare la presenza delle donne in ruoli gestionali o di comando. Si sottolinea anche che in realtà nell’Unione Europea il 60% dei laureati è donna, questo vuol dire che inserire donne nei consigli di amministrazione delle società vuol dire avere una maggiore probabilità di inserire personale qualificato.

Le misure adottate in Italia per colmare il gender gap

Le misure che si stanno proponendo nel tempo sono numerose, alcune blande, altre più incisive non da ultimo in Italia l’introduzione del congedo di paternità obbligatorio. Lo stesso per ora è attivo nei confronti dei dipendenti del settore privato e a breve sarà disponibile anche per i lavoratori del settore pubblico. Per approfondimenti leggi:

Congedi per padri lavoratori e tutela paternità: disciplina

Congedo di paternità: a breve sarà esteso anche ai dipendenti pubblici

Un’altra misura che tende ad agevolare il ritorno delle donne al lavoro dopo la gravidanza è il bonus nido, una delle poche misure di welfare che non è stata toccata dalla normativa sull’Assegno Unico proprio perché si tratta di una misura specifica che agevola le donne nel faticoso impegno per coniugare i tempi di vita e di lavoro.

Ora con questa direttiva l’obiettivo non è semplicemente favorire la presenza delle donne nel mondo del lavoro, ma aiutarle in modo attivo ad avere un ruolo di leadership andando così a colmare il gender gap.

Cosa prevede il testo della direttiva per la parità di genere nei consigli di amministrazione delle società?

La nuova direttiva prevede che entro il 2027 le società debbano introdurre dei correttivi che consentano di raggiungere il 40% di membri del sesso sotto-rappresentato per gli amministratori senza incarichi esecutivi, o il 33% per tutti i membri del consiglio di amministrazione. Saranno gli Stati Membri a dover scegliere tra questi due obiettivi quale intendono applicare. Ricordiamo che la direttiva richiede uno “sforzo” attivo da parte degli Stati Membri quindi non è immediatamente applicabile, di conseguenza gli Stati hanno un piccolo (a volte ampio) margine di manovra.

La normativa prevede che nel caso in cui siano presenti candidati con pari qualifiche di idoneità, competenze e rendimento professionale, sia assicurata la nomina del sesso sotto-rappresentato. La disciplina, come si può notare, non parla in modo univoco di tutela delle donne, ma di tutela del sesso sotto-rappresentato, quindi anche nel caso in cui dovesse presentarsi una situazione inversa, cioè un consiglio di amministrazione formato in prevalenza da donne, dovrà essere assicurata la piena rappresentanza anche degli uomini.

I Paesi che hanno già ottenuto buoni risultati inerenti la parità di genere in posizione di leadership possono sospendere i requisiti in materia di nomina o elezione previsti dalla direttiva.

Rapporto personale maschile e femminile: obbligo esteso per le aziende

Dall’11 febbraio 2022 è attivo il servizio online del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per il monitoraggio del rapporto personale maschile e femminile nelle aziende, con un’importante novità: l’obbligo è stato esteso alle aziende con più di 50 dipendenti.

Parità di genere nel PNRR

La parità di genere nel mondo del lavoro è uno degli obiettivi che l’Italia fa molta fatica a raggiungere, soprattutto in alcune zone del Paese, in particolare il meridione, dove la disoccupazione femminile è molto elevata. Non solo, ci sono ancora molte differenze per quanto riguarda gli stipendi e l’inquadramento, infatti le donne, anche a parità di mansioni, guadagnano meno, inoltre hanno maggiori difficoltà a raggiungere posizioni verticistiche. Al fine di inquadrare bene la situazione, è previsto il monitoraggio  del rapporto personale maschile e femminile nelle aziende che ora è accessibile, e costituisce un obbligo, anche alle aziende con più di 50 dipendenti.

Un passo importante per il raggiungimento della parità di genere nel mondo del lavoro è dato dal PNRR, questo ha tra i suoi obiettivi l’aumento dell’occupazione femminile almeno del 4%. Al fine di monitorare la situazione e dare attuazione al PNRR, la Legge n. 275 del 2021 ha modificato il Codice delle Pari Opportunità e ha esteso l’obbligo di aderire al monitoraggio anche alle aziende con più di 50 dipendenti, in passato l’obbligo era previsto solo per le aziende con almeno 100 dipendenti.

Per conoscere le varie misure previste nel PNRR per incrementare la parità di genere, leggi l’articolo: Il PNRR per l’occupazione femminile: misure indirette e dirette

Cosa deve indicare il rapporto personale maschile e femminile?

In particolare la nuova formulazione dell’articolo 46 del Codice delle Pari Opportunità stabilisce che le aziende del settore pubblico o privato devono redigere almeno ogni 2 anni il rapporto della situazione del personale maschile e femminile presente in azienda. Il rapporto deve tenere in considerazione:

  • stato delle assunzioni;
  • formazione;
  • promozione professionale;
  • livelli;
  • passaggi di categoria o di qualifica;
  • mobilità;
  • cassa integrazione;
  • licenziamenti;
  • prepensionamenti;
  • pensionamenti;
  • retribuzione.

I datori di lavoro che occupano fino a 50 dipendenti non sono obbligati a redigere il rapporto possono però volontariamente aderire.

Per poter adempiere a tale obbligo è disponibile il modello sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, inoltre è possibile utilizzare l’applicativo presente sul sito del Ministero del lavoro: clicca QUI

Ricordiamo che per le aziende che non aderiscono vi è impossibilità di accedere ai fondi del PNRR. Come si può notare dai dati che devono essere inseriti, l’obbligo è volto non solo a verificare quanto le aziende siano sensibili al tema della disoccupazione femminile, ma anche a verificare se alle donne viene data possibilità di fare carriera e se vi è un trattamento economico uguale tra uomoini e donne con lo stesso inquadramento.