Autonomi, artigiani e commercianti, professionisti: come si determinano i contributi previdenziali?

I lavoratori autonomi sono chiamati a versare entro il 30 giugno il conguaglio contributivo. Oltre a mettersi in regola con il Fisco, infatti, in questo mese i titolari di partita Iva, gli artigiani, i commercianti, i liberi professionisti e, in generale, i lavoratori autonomi hanno l’onere di versare all’Inps il conguaglio dei contributi. Che si concretizza nel versamento del saldo dei contributi dallo scorso anno e nel 1° acconto per l’anno 2022.

Lavoratori autonomi, entro il 30 giugno 2022 il versamento del saldo contributi del 2021 e l’acconto del 2022

L’onere riguarda i cosiddetti “free lance”, iscritti alla gestione separata dell’Inps. La scadenza per il versamento del conguaglio contributivo è fissata al 30 giugno 2022. Si può, in ogni modo, pagare entro il 22 agosto prossimo, ma con la maggiorazione dello 0,40%. Lo stesso Istituto previdenziale è intervenuto nei giorni scorsi per ricordare agli iscritti alle Gestioni speciali artigiani e commercianti e agli iscritti alla Gestione separata il dovere di compilare il quadro RR del modello “Redditi 2022 Pf” (persone fisiche) e la riscossione dei contributi dovuti a saldo per il 2021 e l’acconto del 2022.

Da chi deve essere compilato il Quadro RR?

In particolare, il Quadro RR del modello “Redditi 2022 PF deve essere compilato “dagli iscritti alle Gestioni dei contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali e del terziario, nonché dai lavoratori autonomi che determinano il reddito di arte e professione così come disciplinato dall’articolo 53, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, numero 917 (Testo unico delle imposte sui redditi – Tuir), e sono iscritti alla Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, numero 335, per la determinazione dei contributi dovuti all’Inps”.

Artigiani e commercianti, come funziona il versamento dei contributi Inps?

Per gli artigiani e i commercianti il saldo dei contributi previdenziali deve essere calcolato sul complessivo dei redditi di impresa denunciati per il calcolo dell’Irpef. I redditi devono essere stati prodotti nello stesso anno al quale gli stessi contributi fanno riferimento. Sui contributi dovuti per l’anno 2021, i titolari delle imprese commerciali ed artigiane, nonché i soci titolari di una propria posizione assicurativa, sono chiamati ai versamenti contributivi sia per sé che per le persone che svolgono la propria attività lavorativa nell’impresa. Si tratta, dunque, dei collaboratori e dei familiari che devono completare la sezione I del Quadro RR.

Come si determina il reddito imponibile?

Per la determinazione del reddito imponibile da assoggettare al calcolo dei contributi previdenziali, gli iscritti alle gestioni Inps devono prendere in considerazione il totale dei redditi di impresa ottenuti nel 2021, sottraendo eventuali perdite dei periodi di imposta. Pertanto, la formula per il calcolo della base imponibile è la seguente:

RF63 – (RF 98 + RF 100, col. 1 + col. 2) + [RG 31 – (RG 33 + RG 35, col. 1 + col. 2)] + [somma algebrica (colonne 4 da RH 1 a RH 4 con codice 1 e 5 indicato in colonna 2 e colonne 4 da RH 5 a RH 6) – RH 12 col. 1- RH 12 col. 2] + RS 37 colonna 15.

Quali sono le aliquote da applicare per i commercianti e gli artigiani?

Le aliquote che agli artigiani e i commercianti devono applicare alla base imponibile per la determinazione dei contributi previdenziali sono:

  • il 24% per gli artigiani e il 24,09% per i commercianti sulla parte di reddito annuale che eccede i 15.593 euro e fino al limite di 47.379 euro;
  • il 24,55% gli artigiani, ovvero il 24,64% per i commercianti, tra 47.379 e 78.965 euro. Il limite sale a 103.055 euro per i contribuenti che non hanno contributi versati alla data del 31 dicembre 1995.

Commercianti e artigiani, cosa deve fare chi ha già versato un acconto nello scorso anno?

I commercianti e gli artigiani che lo scorso anno avessero versato l’acconto percentuale del reddito di impresa dichiarato per il 2020 in misura maggiore rispetto al minimale di 15.593 euro, devono versare il conguaglio. Tale somma va calcolata sui redditi conseguiti in maniera effettiva nel corso del 2021.

Versamento del primo acconto del 2022 dei commercianti e degli artigiani

Il versamento del primo acconto per il 2022 da parte dei commercianti e degli artigiani deve essere calcolato considerando l’aumento definitivo dell’aliquota contributiva al 24% (per i commercianti il 24,48%). Il minimale di reddito per il 2022 corrisponde, invece, a 15.710 euro, il massimale a 80.465 euro. Pertanto, le due categorie di lavoratori autonomi devono versare rispettivamente per il primo acconto dei contributi previdenziali:

  • il 24% gli artigiani sul reddito di impresa fino a 48.279 euro e il 25% sulla quota eventualmente eccedente fino al limite di 80.465 euro;
  • il 24,48% i commercianti sul reddito di impresa fino a 48.279 euro e il 25,48% sulla quota eventualmente eccedente fino al limite di 80.465 euro.

Per i collaboratori giovani è previsto uno sconto purché l’età non ecceda i 21 anni.

Commercianti e artigiani che nel 2021 avevano dichiarato un reddito d’impresa eccedente i 15.593 euro: cosa fare?

Pertanto, gli artigiani e i commercianti con un reddito di impresa riferito all’anno 2021 eccedente i 15.593 euro (il tetto del minimale) devono versare adesso:

  • il 22,80% gli artigiani;
  • il 23,28% i commercianti.

Queste percentuali scaturiscono dalla differenza tra il reddito di impresa risultante dall’Unico 2022 e il limite stabilito dal minimale di 15.710 euro.  Inoltre, le percentuali aumentano a:

  • 23,80% per gli artigiani;
  • 24,28% per i commercianti;

per la parte di reddito di impresa del 2021 tra i limiti di 48.279 euro e 80.546 euro. Infine, entro il 30 novembre 2022 bisogna pagare le quote del secondo acconto, applicando le medesime percentuali.

Liberi professionisti iscritti alla Gestione separata dell’Inps, come si calcola il saldo?

I liberi professionisti iscritti alla Gestione separata dell’Inps devono calcolare il saldo risultante dal reddito del 2021. Al limite di 103.055 euro deve essere applicata la percentuale del 25,98%. In alternativa si paga il 24% se si è già pensionati o assicurati. Al risultato vanno detratti gli acconti di giugno e di novembre già pagati nel 2021.

Professionisti, come calcolare gli acconti?

Ai fini del calcolo degli acconti nella percentuale del 40% è necessario considerare:

il reddito del professionista, maturato nell’anno 2021 ai fini dell’Irpef risultante dall’Unico 2022, nel tetto di 103.055 euro. Questo limite è riferito al reddito imponibile del 2021;

  • applicare la percentuale del 10,392%, pari al 40% dei contributi dovuti calcolati sul 25,98%;
  • oppure applicare la percentuale del 9,6%, pari al 40% dei contributi dovuti, calcolati sul 24% (pensionati o già assicurati).

Entro quanto è necessario procedere con i versamenti?

I commercianti e gli artigiani devono versare i contributi dovuti sulla quota di reddito eccedente il minimale e gli iscritti alla Gestione separata dell’Inps la contribuzione dovuta entro le scadenze fissate per il versamento delle imposte sui redditi. Per il 2022, tali scadenze sono fissate al:

  • 30 giugno (o 22 agosto 2022 per chi si avvale della rateizzazione) per il saldo 2021 e il 1° acconto 2022;  e
  • 30 novembre 2022 per il 2° acconto.

Maggiorazione dovuta dello 0,40% per chi paga dopo la scadenza del 30 giugno

Commercianti, artigiani, professionisti e partite Iva che pagano i contributi del saldo 2021 e del 1° acconto del 2022 dopo il 30 giugno 2022 devono calcolare la maggiorazione dello 0,40%. I contribuenti versano questa maggiorazione a titolo di interessi per evitare eventuali sanzioni per il ritardato pagamento. La quota della maggiorazione deve essere versata in via separata rispetto ai contributi. Si utilizzano le seguenti causali:

  • Api, per gli artigiani e codeline Inps usata per versare il corrispondente contributo;
  • Cpi, per i commercianti e codeline Inps usata per versare il corrispondente contributo;
  • Dppi per il libero professionista.

Come si effettua la rateizzazione? 

Per artigiani e commercianti la rateizzazione si può fare solo per i contributi dovuti sulla parte di reddito oltre il minimale imponibile a saldo per il 2021 e per il 1° acconto del 2022. Vanno escluse, dunque, le quote contributive entro il minimale. I professionisti, invece, possono procedere con la rateizzazione sia sul saldo del 2021 che sul 1° acconto del 2022. La prima rata deve essere versata entro la data di scadenza del saldo o dell’acconto differito. Le restanti rate, invece, hanno la scadenza indicata nel modello “Redditi 2022 Pf”. In ogni modo, il versamenti delle rate devono terminare entro il 30 novembre 2022. Per stabilire l’importo delle rate è necessario far riferimento alle modalità inserite nelle istruzioni al modello “Redditi 2022 Pf”, nella sezione relativa alle Modalità e termini di versamento – Rateazione.

Partite Iva forfettarie, due anni di scivolo: che cos’è l’exit tax?

Due anni di scivolo per le partite Iva a regime forfettario che dovessero superare la soglia di ricavi e di compensi di 65 mila euro. Il disegno di legge delega fiscale riscrive, dunque, le regole del sistema di flat tax applicato alle partite Iva con imposta fissa del 15% (o del 5% per le partite Iva attive nei primi cinque anni). Il tetto dei 65 mila euro è attualmente invalicabile se si voglia mantenere il regime fiscale di vantaggio. Tuttavia, il provvedimento in arrivo dovrà contenere regole e limiti per evitare che i contribuenti possano adottare dei comportamenti ‘elusivi’.

Partite Iva a regime forfettario, che cos’è l’exit tax di due anni?

Nel testo della legge delega fiscale è prevista l’introduzione della “exit tax”. Si tratta di un percorso specifico per le partite Iva affinché possano non perdere i vantaggi fiscali legati al regime agevolato del forfettario. Si tratterebbe, dunque, di un paracadute di due anni collegato al ritorno al regime ordinario di partita Iva per i forfettari che dovessero superare il tetto dei 65 mila euro di ricavi e di compensi durante l’anno. Nei due anni di sforamento del tetto, i contribuenti applicherebbero un’aliquota Irpef di certo superiore a quella del 15%, purché il superamento avvenga entro determinati limiti. Nel dettaglio:

  • non è stata ancora determinata l’aliquota al di sopra del 15% da applicare;
  • il tetto di ricavi al di sopra dei 65 mila euro per beneficiare dei due anni di exit tax non è stato ancora stabilito.

Quali vantaggi dai due anni di scivolo per le partite Iva forfettarie che superano i 65 mila euro di ricavi e compensi annuali?

L’attuale disciplina stabilisce che le partite Iva a regime forfettario che superino il tetto dei 65 mila euro di ricavi e di compensi annuali debbano perdere completamente i vantaggi del regime fiscale di favore. La perdita si concretizza nell’anno susseguente a quello nel quale si sfori il tetto dei ricavi. Il vantaggio delineato dalla legge di delega fiscale è quello di permettere al contribuente di non uscire in automatico dal regime forfettario e di beneficiare dei due anni di scivolo. Questo meccanismo sarebbe a discrezione del contribuente stesso che potrebbe, in ogni modo, optare per il regime ordinario.

Regime di exit tax per le partite Iva forfettarie: come funzionerebbero i due anni di scivolo?

E, dunque, l’adozione del nuovo scivolo di due anni permetterebbe alle partite Iva che dovessero superare il tetto dei 65 mila euro di poter valutare se nel successivo anno le previsioni sono per una riduzione dei compensi e dei ricavi stessi. Tali da rientrare nella soglia dei 65 mila euro. Si prevede che anche nei due anni di exit tax, il regime fiscale non cambi le regole. Ovvero, le partite Iva forfettarie dovrebbero continuare a calcolare la base imponibile sulla base dei coefficienti di redditività evitando la detrazione dei costi legati all’attività.

Partite Iva, quale scegliere tra lo scivolo dei due anni e il regime ordinario?

Quando scegliere lo scivolo dei due anni e quando invece conviene passare al regime ordinario? Ai fini della scelta è necessario verificare che il margine di attività sia relativamente basso. Dal punto di vita dei costi, è dunque necessario che questi ultimi si prevedano più alti rispetto alle percentuali di redditività che sono alla base del meccanismo forfettario della partita Iva.

Scivolo della partita Iva forfettaria: nella delega indicazioni per evitare comportamenti elusivi

Infine, nella legge di delega fiscale si fa chiaramente riferimento a fare in modo che il nuovo scivolo delle partite Iva a regime forfettario non favorisca comportamenti fiscali che possano ritenersi elusivi. Tra le possibili soluzioni, vi è quella che prevede che il contribuente manifesti la volontà di porre fine al regime forfettario di exit tax. Tale volontà potrebbe essere manifestata sia nella fattura elettronica che nella dichiarazione dei redditi.

Partite Iva a regime forfettario: ecco quanto si paga di tasse mediamente con la flat tax

Dall’elaborazione dei dati sulle statistiche fiscali del ministero dell’Economia e delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi del 2021 emergono i guadagni delle partite Iva a regime forfettario. Tra aderenti alla flat tax e vecchi minimi, sono 1,7 milioni le partite Iva iscritte al regime fiscale di vantaggio. Tuttavia, considerando le nuove aperture di partita Iva, potrebbe essere stato già superato il tetto dei due milioni di contribuenti che scelgono il regime agevolato. In tutto, dalla flat tax arriva un gettito di imposte pari a 2,3 miliardi di euro per un prelievo fiscale di oltre 1.550 euro per partita Iva.

Partite Iva a regime forfettario, quante sono nel 2022?

Dall’elaborazione dei dati del ministero dell’Economia e delle Finanze emerge che il numero di partite Iva a regime agevolato (forfettari e vecchi minimi) ha superato quota 1,7 milioni. Se si aggiungono le nuove aperture (nel 2021 sono state più di 239 mila le nuove partite Iva forfettarie) e quelle del 1° trimestre del 2022 (all’incirca 100 mila nuove aperture), nell’anno in corso si supereranno abbondantemente i due milioni di partite Iva a regime di flat tax.

Partite Iva flat tax, quanto guadagnano mediamente?

I dati, inoltre, evidenziano che le partite Iva a regime di flat tax (con imposta del 15% o del 5% nei primi cinque anni di attività), pagano un volume di imposte pari a 2,3 miliardi di euro. Le informazioni sono tratte dalle dichiarazioni dei redditi del 2021 per l’anno di imposta 2020. Il valore medio di imposta pagato mediamente, dunque, è di 1.556 euro all’anno per ciascuna partita Iva. Il reddito imponibile, sul quale calcolare il carico fiscale, è di 18,9 miliardi di euro che, suddiviso per tutte le partite Iva a regime agevolato, produce un reddito medio di 12.961 euro. Il valore è in diminuzione rispetto all’anno di imposta 2019 (prima del Covid). Infatti, tre anni fa il guadagno medio era di 13.895 euro.

Quante sono complessivamente le partite Iva in Italia?

In totale, considerando tutti i regimi fiscali, il numero delle partite Iva in Italia è pari a 3,7 milioni di contribuenti. Meno della metà aderisce alla partita Iva forfettaria o al regime dei minimi. Sette partite Iva forfettarie su dieci concentrano la propria attività in quattro macro settori:

  • attività professionale, tecnica e scientifica pari al 35%;
  • commercio al dettaglio e all’ingrosso, pari al 14,6%;
  • sanità e assistenza sociale per l’11,9%;
  • altre attività di servizi per l’8%.

Qual è l’imposta media che pagano le partite Iva forfettarie a seconda dei settori di attività?

I dati forniscono anche le differenze di imposta media pagata dalle partite Iva a regime forfettario a seconda del settore di attività. In particolare, dai dati del ministero dell’Economia e delle Finanze emerge che:

  • attività immobiliari con partita Iva a regime forfettario pagano mediamente 2.230 euro all’anno;
  • le attività finanziarie e assicurative, 2.040 euro all’anno;
  • attività professionali, tecniche e scientifiche 1.910 euro all’anno;
  • attività di estrazione di minerali da cave e miniere, 1.890 euro;
  • le attività di costruzioni, 1.870 euro;
  • attività di fornitura di acqua; di reti fognarie; di attività di gestione dei rifiuti e di risanamento 1.820 euro;
  • attività sanitarie e di assistenza sociale, 1.570 euro;
  • le attività di fornitura di energia elettrica; gas; di vapore; di aria condizionata 1.520 euro;
  • i servizi di informazione e di comunicazione, 1.500 euro;
  • le attività manifatturiere, 1.330 euro.

 

 

 

Dichiarazione dei redditi partite Iva: tutte le date

Ecco quali sono le date da rispettare per le partite Iva nella dichiarazione dei redditi 2022. In questa guida illustreremo quando e come si pagano le tasse e le varie scadenze fiscale dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti. In particolare è necessario prestare attenzione:

  • al versamento del saldo 2021 e del primo acconto;
  • alle modalità da seguire per il calcolo;
  • al secondo acconto;
  • alla dichiarazione dei redditi.

Partite Iva e lavoratori autonomi: a giugno il pagamento del saldo e del primo acconto

A giugno, le partite Iva e i lavoratori autonomi dovranno versare il saldo e il primo acconto. Per le partite Iva aperte nel corso del 2021 si tratterà del debutto nel versamento delle imposte. Infatti, la legislazione nazionale prevede che la tassazione sul reddito imponibile venga calcolata e poi versata a partire dal mese di giugno dell’anno susseguente, in concomitanza con la dichiarazione dei redditi. La scadenza è dunque fissata al 30 giugno 2022.

Partite Iva e liberi professionisti: entro il 30 giugno 2022 versamento del saldo e della prima rata

Le partite Iva e i liberi professionisti attivi già da anni, a giugno devono fare il calcolo di quanto versare sulla base di quanto già pagato nell’anno precedente. Infatti, nel 2021 sono state già versate o le ritenute a titolo di acconto o di acconti di imposta. E, pertanto, entro il 30 giugno 2022 dovrà essere pagato il saldo e la prima rata dell’acconto dell’Irpef, dell’Imposta regionale sulle attività produttive (Irap) o dell’imposta sostitutiva per le partite Iva a regime forfettario.

Versamento imposte partite Iva al 30 giugno 2022, si può pagare dopo?

Il primo pagamento di giugno relativo al saldo e alla prima rata delle partite Iva e dei lavoratori autonomi può essere differito di 30 giorni. Non è necessario che ci sia una motivazione da dimostrare, ma la scadenza può essere posticipata al 30 luglio prossimo. Considerando che nel 2022 il 30 luglio capita di sabato, si può procedere con il versamento entro il 2 agosto. Infine, data la pausa estiva, l’ultima data utile disponibile per il pagamento del saldo e della prima rata è quella del 22 agosto 2022. Tuttavia, pagare in ritardo rispetto al 30 giugno il saldo e la prima rata comporta l’addebito degli interessi al tasso dello 0,4%.

Imposte delle partite Iva, come si può rateizzare quanto dovuto?

Le partite Iva possono anche rateizzare gli importi dovuti al 30 giugno a titolo di imposte. Sia che scelgano la scadenza del 30 giugno prossimo che quella del 22 agosto, l’importo da versare può essere rateizzato con scadenza dell’ultima rata al 30 novembre 2022. A questa data corrisponde anche il versamento del secondo acconto. Il pagamento di quanto dovuto può essere effettuato solo on line, utilizzando il modello F24.

Partite Iva, come si calcola il saldo e il primo acconto?

Per il calcolo del saldo di imposta, le partite Iva dovranno considerare:

  • il reddito imponibile e la dichiarazione dei redditi;
  • le detrazioni e le deduzioni;
  • quanto già versato nel corso del 2021 come acconto.

Nel momento in cui si determina il saldo dell’imposta del precedente anno, si definisce anche quale acconto dovrà essere pagato. Tale acconto andrà a saldo nel 2023.

A quanto ammonta l’acconto delle partite Iva?

L’imposto dell’acconto delle partite Iva corrisponde al totale dell’imposta dichiarata nell’anno 2022. Il contribuente, tuttavia, nel caso in cui preveda delle riduzioni della propria attività autonoma, può versare a titolo di acconto un importo inferiore. Nel momento in cui viene definito il totale dell’acconto, dovrà essere pagato subito, entro il 30 giugno 2022, il 40% dell’acconto stesso. Le partite Iva forfettarie rientranti negli Indici sintetici di affidabilità (Isa), versano a titolo di acconto il 50%.

Partite Iva e liberi professionisti: entro quando va pagato il secondo acconto?

Il versamento del secondo acconto delle partite Iva e dei liberi professionisti ha scadenza al 30 novembre 2022. Entro questa scadenza, i lavoratori autonomi dovranno pagare la restante parte, ovvero il 60% (o il 50% dei soggetti Isa). Si tratta dell’acconto per il prossimo anno, da versare in via obbligatoria. Nel caso in cui l’acconto dovesse non eccedere l’importo di 257,52 euro, è possibile versarlo in un’unica soluzione con scadenza al 30 novembre 2022. In questo caso, non dovrà essere pagato nulla a giugno.

Dichiarazioni dei redditi delle partite Iva e professionisti: quali sono le date da ricordare?

La dichiarazione della dichiarazione dei redditi delle partite Iva tramite il modello Persone fisiche (Pf) deve essere presentata da tutti i lavoratori autonomi, indipendentemente dall’aver conseguito dei redditi nel periodo di imposta 2021. È quanto prevede l’Agenzia delle entrate con il provvedimento dello scorso 31 gennaio. Pertanto, anche le partite Iva che nello scorso anno non abbiano conseguito guadagni sono tenute a presentare il modello Persone fisiche.

Entro quando deve essere inviato il modello Persone fisiche dai titolari di partita Iva?

Il modello Pf deve essere inviato entro la scadenza del 30 giugno prossimo se si provvede mediante la compilazione del modello cartaceo. In tal caso, il modello va inviato da un ufficio postale. Nel caso in cui si scelga di inviare il modello Pf on line, la scadenza è al 30 novembre prossimo. Lo può inviare direttamente il contribuente o il proprio commercialista.

Bonus banda ultralarga da 300 a 2500 euro, ammessi anche professionisti e partite Iva

Anche i liberi professionisti, gli autonomi e le partite Iva sono stati ammessi al bonus banda ultra larga. Il relativo decreto ministeriale sul bonus per la connettività, che consente di ottenere i contributi per l’adesione ai servizi di internet ultra veloce, è stato pubblicato nei giorni scorsi nella Gazzetta Ufficiale. Anche le partite Iva e i professionisti, dunque, potranno richiedere il voucher che va da un minimo di 300 euro a un massimo di 2.500 euro. Le partite Iva si uniscono, pertanto, alle micro e piccole e medie imprese tra i beneficiari dei contributi.

Voucher banda ultralarga, quali sono i requisiti per chiedere il bonus?

I professionisti e le partite Iva che vorranno richiedere il bonus per la banda ultra larga, dovranno avvalersi dei servizi di connettività veloce offerti dagli operatori di telecomunicazione. La velocità della banda dovrà attestarsi da un minimo di 30 megabit per secondo a connessioni che superano i gigabit per secondo. Anche le partite Iva dovranno rivolgersi agli operatori delle telecomunicazioni accreditati alla gestione dei voucher da parte di Infratel Italia. La società è deputata a gestire le risorse per conto del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise).

Bonus banda ultra larga per i professionisti e partite Iva: passo avanti nella digitalizzazione

La possibilità di usufruire dei bonus per la connettività veloce rappresenta, dunque, anche per le partite Iva e i lavoratori autonomi un passo importante verso la transizione digitale. Inoltre, l’inclusione alla misura consente ai professionisti di cogliere un’importante opportunità sulla parità di accesso agli strumenti digitali e di ridurre il gap con le imprese in merito alla competitività sul mercato.

Voucher imprese per la connettività veloce, di cosa si tratta?

Già a partire dallo scorso 1° marzo le micro e le piccole e medie imprese possono richiedere il voucher per la banda ultralarga dall’importo minimo di 300 euro fino a un massimo di 2500 euro di aiuto. L’incentivo prevede l’erogazione del voucher alle imprese per gli abbonamenti a internet ultra veloce. I bonus sono erogati dal ministero per lo Sviluppo Economico (Mise) sulla base del decreto del 23 dicembre 2021 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale numero 33 del 2022), adesso modificato per includere anche le partite Iva e i professionisti. Il relativo comunicato di riferimento del Mise per l’attuazione della misura è quello del 28 febbraio 2022. Nel documento sono contenute tutte le informazioni per la richiesta del bonus.

Quali bonus possono richiedere le imprese e le partite Iva per le connessioni internet a banda ultra larga?

I voucher per la connessione internet a banda ultra larga hanno in importo minimo di 300 euro fino a un massimo di 2500 euro. Il contributo è previsto dalla Strategia nazionale di attuazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr). Gli abbonamenti alla banda ultra veloce delle micro e delle piccole e medie imprese devono avere una durata minima di 18 fino a una massima, ai fini del bonus, di 24 mesi. Il totale delle risorse messe a disposizione dal ministero per lo Sviluppo Economico ammontano a 608 milioni di euro. Per la domanda del voucher le micro e le piccole e medie imprese devono risultare regolarmente iscritte al Registro delle imprese.

Qual è l’importo del voucher per le connessioni a internet a banda ultra larga delle micro e Pmi?

Il voucher per gli abbonamenti alla banda ultra veloce può essere richiesto dalle micro e piccole e medie imprese, nonché dalle partite Iva e dai professionisti, a seconda delle necessità di connessione. Il servizio richiesto dovrà avere una velocità di download a partire da 30 megabit al secondo. Si può arrivare a velocità di un gigabit al secondo o anche di più. Il voucher base di 300 euro riguarda i contratti di abbonamento a internet ultra veloce da 30 megabit per secondo a 300 megabit per secondo (Voucher A1). Il Voucher A2 è richiedibile per velocità di connessione da 300 megabit per secondo fino a 1 gigabit per secondo. Si può richiedere un contributo anche per sostenere le spese di installazione del sistema di connessione.

Come si presenta la domanda per il bonus banda larga per le imprese e le partite Iva?

La domanda del voucher per la banda ultra larga può essere inoltrata dalle imprese dal 1° marzo 2022. Con la modifica del decreto, anche le partite Iva e i liberi professionisti potranno inoltrare richiesta di voucher. La scadenza è fissata al 15 dicembre prossimo. Le domande vengono inoltrate direttamente dagli operatori di telecomunicazione abilitati da Infratel Italia per realizzare gli interventi.

Partite Iva forfettarie, regime flat tax verso gli 85mila euro

Il meccanismo di flat tax delle partite Iva a regime forfettario potrebbe vedersi elevare il proprio limite di ricavi e di compensi annui da 65 mila euro a 85 mila euro. L’innalzamento della soglia, tuttavia, non è l’unica novità attesa nel disegno di legge delega fiscale. Infatti, nelle intenzioni del governo c’è la riforma della ritenuta d’acconto, da eliminare progressivamente insieme alla mensilizzazione degli acconti. Inoltre, si stanno facendo passi avanti nella direzione del cashback fiscale, la misura che consente di monetizzare subito la percentuale detraibile di determinate spese.

Aumento del regime di flat tax delle partite Iva forfettarie a 85 mila euro: si tratta di uno scivolo

L’aumento della soglia di ricavi e di compensi delle partite Iva a regime forfettario a 85 mila euro non è una estensione definitiva da subito. Si tratterebbe di uno scivolo di 20 mila euro, rispetto ai 65 mila euro attuali, che consente a chi sfori il tetto massimo di ricavi annuali, di non dover passare al regime ordinario di partita Iva. In altre parole, lo scivolo servirebbe a preparare il terreno verso un progressivo innalzamento della soglia di ricavi e compensi annuali di chi è in regime di flat tax. La soglia di 85 mila euro è l’obiettivo finale della riforma delle partite Iva a regime forfetario.

Novità dalla legge fiscale, interventi sull’eliminazione della ritenuta d’acconto

Ulteriori novità sono attese dalla legge fiscale per quanto concerne la ritenuta d’acconto e la mensilizzazione degli acconti. In entrambi i casi, si tratterebbe di un progressivo avvicinamento all’eliminazione dei due strumenti. Inoltre, molte delle attese sono anche per il cashback fiscale. La proposta del Movimento 5 stelle è una delle novità emerse in Commissione Anagrafe Tributaria a chiusura dell’indagine conoscitiva sulla digitalizzazione e interoperabilità delle banche dati fiscali.

Cashback fiscale in arrivo nella legge fiscale, che cos’è?

Il disegno di legge delega di riforma fiscale, dunque, contiene la nuova misura di cashback fiscale che consente ai contribuenti di vedersi accreditare e monetizzare nell’immediato il beneficio fiscale ottenuto da varie spese detraibili. Tali spese sono disciplinate dall’articolo 15 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir). Per esempio, se si acquistano farmaci, con il nuovo meccanismo fiscale non si dovrà più attendere la dichiarazione dei redditi per la detrazione del 19% delle spese sostenute. Il beneficio fiscale potrà essere incassato nell’immediato, mediante l’accredito diretto sul conto corrente bancario fornito dal contribuente.

Cashback fiscale, quando è previsto il debutto?

Il disegno di legge delega della riforma fiscale dovrebbe trovare approvazione definitiva al Senato entro la fine di giugno di quest’anno. Nel caso in cui i relativi decreti attuativi venissero adottati in tempi rapidi, il cashback fiscale potrebbe debuttare già a partire dal 2023. Si tratterebbe di immettere nel sistema, e quindi nelle tasche dei contribuenti, liquidità, della quale ce n’è bisogno. Anche se si tratta di somme relativamente basse.

Cashback fiscale, come si utilizza?

Avvalersi del nuovo meccanismo di cashback fiscale non comporta particolari adempimenti da parte del contribuente. Infatti, quest’ultimo dovrà semplicemente comunicare al venditore di un prodotto o al prestatore di un servizio di volersi avvalere del cashback fiscale (al posto della detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi) nel momento in cui sostiene la spesa. Il venditore o chi presta il servizio dovrà comunicare all’anagrafe tributaria che il contribuente vuole usufruire del cashback fiscale per la spesa sostenuta.

Cashback fiscale, come avviene il rimborso?

Si tratta di un sistema che già ha avuto una sperimentazione molto simile nel momento in cui è rimasto in vigore il Cashback di Stato che permetteva il rimborso del 10% sulle spese effettuate con relativo pagamento con sistemi tracciabili. Le detrazioni sulle spese sostenute e ammesse arriveranno direttamente sul conto corrente del contribuente e notificate mediante l’applicazione Io. In questo modo, il contribuente non dovrà più attendere e certificare le spese sostenute nell’anno di imposta nella dichiarazione dei redditi.

Partite Iva forfettarie e a regime ordinario: come si calcola l’imposta su acquisti e vendite?

Come si calcola l’imposta dovuta dalle partite Iva a seconda che aderiscano al regime forfettario o a quello ordinario? Il regime forfettario è, ad oggi, quello più gettonato per decidere di aprire un’attività autonoma o da libero professionista. Sono infatti notevoli i vantaggi, in termini di imposte e di semplificazioni fiscali, a favore del sistema di favore delle partite Iva. Secondo le ultime rilevazioni effettuate dall’Osservatorio sulle partite Iva, nello scorso anno sono state 239 mila le posizioni aperte aderenti al regime forfettario. L’aumento è stato dell’11% rispetto al 2020. Il che significa che circa il 43% delle nuove aperture di partite Iva è stata effettuata verso il regime di flat tax che assicura un’aliquota d’imposta del 15% (del 5% per i primi cinque anni di nuova attività).

Vantaggi nella scelta della partita Iva a regime di flat tax: semplicità di contabilità

Tra i vantaggi riscontrabili nell’apertura della partita Iva a regime forfettario (o di flat tax) rispetto a quella a regime ordinario c’è la semplicità della contabilità.  Le partite Iva a regime forfettario, infatti, hanno una gestione dell’Iva di molto differente rispetto ai lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Gli autonomi in regime di flat tax non addebitano l’Iva nella fattura alla propria clientela nel momento in cui vendono una prestazione o un bene.

Partita Iva flat tax, non c’è bisogno di liquidazioni periodiche o dichiarazioni dell’Iva

Inoltre, nel caso di acquisto di un bene o di una prestazione, i forfettari non devono detrarre l’Iva pagata in fattura, come avviene nel regime ordinario. Ciò, dunque, dal punto di vista operativo e contabile rappresenta un vantaggio non di poco conto nella gestione della partita Iva. Infatti, non è necessario effettuare le liquidazioni periodiche dell’Iva. Inoltre, il professionista o l’autonomo forfettario non devono presentare la dichiarazione Iva per i contribuenti.

Tassazione a confronto partite Iva flat tax e ordinarie: il vantaggio del forfettari

Un vantaggio consistente della partita Iva a regime forfettario risiede nel confronto di tassazione a proprio favore rispetto al regime ordinario. In primis la tassazione è più bassa per alcune tipologie di contribuenti forfettari come gli artigiani e i commercianti. Le due categorie possono godere di uno sconto opzionale del 35% sui contributi versati all’Inps annualmente. Le altre categorie rientranti nella flat tax non hanno lo stesso sconto contributivo ma una percentuale che per il 2022 è pari al 25,72% calcolata sull’imponibile ottenuto forfettariamente, e dunque non su tutti i ricavi percepiti. Inoltre, la tassazione è esclusa dalle aliquote Irpef e si applica al 15% o al 5% nei primi cinque anni di attività.

Gestione dell’Iva nel regime ordinario e semplificato: quali vantaggi?

Rispetto alla partita Iva a regime forfettario, gli autonomi del regime ordinario e semplificato devono applicare l’Iva sulla cessione dei beni o sulla prestazione dei servizi. Dunque, autonomi e professionisti devono addebitare l’Iva verso il cliente che sta acquistando il bene o il servizio e poi versarla allo Stato ogni tre mesi od ogni mese. Allo stesso tempo, sugli acquisti di beni e di servizi le partite Iva ordinarie devono detrarre l’Iva pagata dal totale dell’Iva dovuto sulle vendite. Il che significa che ogni bene venduto o servizio reso genera un’Iva a debito il cui importo viene detratto dall’Iva pagata sugli acquisti dai fornitori. E pertanto, almeno parte dell’Iva pagata ai fornitori può essere recuperata.

Partite Iva a regime ordinario, il meccanismo dell’Iva a debito e a credito

Quest’ultimo passaggio dell’Iva a debito e a credito rappresenta una valutazione di non poco conto nella scelta tra partita Iva a regime forfettario o a regime ordinario. Infatti, la partita Iva forfettaria può convenire ai lavoratori autonomi che non hanno tanta Iva da detrarre. A maggior ragione che, in questa situazione, hanno una più ampia semplificazione nella gestione dell’Iva, non dovendo procedere con il versamento mensile (o trimestrale) e con la dichiarazione Iva. Tale regime, tuttavia, può non produrre gli stessi vantaggi nel caso in cui il lavoratore autonomo procede con investimenti e acquisti che generano un notevole quantitativo di Iva a credito. Con il regime di flat tax questo credito verrebbe perduto. Al meccanismo dell’Iva a credito e a debito, si aggiunge la tassazione del regime ordinario che deve essere calcolata secondo le normali aliquote Irpef.

Partite Iva a regime forfettario e ordinario: quale scegliere?

Al contrario, la partita Iva a regime forfettario è certamente non vantaggiosa se gli investimenti e gli acquisti per svolgere l’attività sono notevoli. In questi casi, sarebbe meglio scegliere un altro regime di partita Iva. Ma nella scelta deve certamente essere fatta una valutazione dell’imposta, di sicuro più alta nel regime ordinario. E dunque chiedersi se il recupero dell’Iva compensa la maggiore imposizione fiscale del regime ordinario.

Fondo impresa donna alle partite Iva, tutto ciò che c’è da sapere

Cosa fare per accaparrarsi i contributi a fondo perduto per iniziare una nuova attività al femminile o consolidarla? Per le imprese e le partite Iva c’è la possibilità di beneficiare del Fondo impresa femminile. La dotazione è di 200 milioni di euro, ma servono determinati requisiti per ottenere gli aiuti sulle spese ammissibili. Ecco quale iter seguire per presentare domanda dei nuovi incentivi economici per le nuove imprese al femminile e per la crescita di quelle già esistenti.

Imprenditoria al femminile, quali sono le risorse stanziate per la nascita e la crescita delle imprese?

I contributi a fondo perduto a favore dell’imprenditoria al femminile rientrano nei pacchetti di incentivi del ministero per lo Sviluppo Economico (Mise). In parte, le risorse sono a valere sul Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), oltre ai fondi messi a disposizione dalla legge di Bilancio 2021. La misura è operativa dal mese di maggio 2022 con la possibilità di presentare domanda seguendo la procedura degli sportelli on line. Alle risorse si possono aggiungere ulteriori incentivi per altri 200 milioni di euro. Derivano da altre due misure:

  • Smart & Start Italia per 100 milioni di euro;
  • On, Oltre nuove imprese a tasso zero per altri 100 milioni di euro.

Entrambe le misure sono gestite da Invitalia.

Quali sono gli incentivi per l’imprenditoria al femminile?

Gli incentivi per l’impresa al femminile consistono in un mix di contributi a fondo perduto e di finanziamenti a tasso agevolato. I settori di investimento per i quali si possono richiedere i contributi riguardano:

  • l’industria;
  • l’artigianato;
  • la trasformazione dei prodotti agricoli;
  • il commercio;
  • i servizi;
  • il turismo.

Quali sono i requisiti richiesti alle partite Iva e alle società per richiedere gli incentivi dell’imprenditoria al femminile?

I finanziamenti a tassi agevolati e i contributi a fondo perduto per l’imprenditoria al femminile spettano sia alle partite Iva individuali che alle società. In particolare, risultano potenziali beneficiarie degli incentivi:

  • le partite Iva, organizzate in lavoratrici autonome o in imprese individuali con titolare donna. Solo dopo aver avuto la conferma dell’ottenimento degli incentivi, è necessario il cambiamento in società;
  • le società di capitali purché almeno i due terzi delle quote e dei componenti degli organi di amministrazioni siano di genere femminile;
  • le cooperative e le società di persone, con almeno il 60% di socie.

Inoltre, la sede legale o operativa deve essere presente sul territorio italiano. Le condizioni devono sussistere nel momento in cui si presenta la domanda. Nono sono richiesti specifici requisiti su fatturato annuo dell’impresa richiedente e sul numero dei dipendenti.

Quali sono i requisiti per richiedere i finanziamenti dell’impresa al femminile per le partite Iva e i professionisti?

Secondo quanto spiegato dal ministero per lo Sviluppo Economico, le associazioni tra professionisti non sono incluse nella definizione di impresa al femminile. Tale definizione segue quanto contenuto nel decreto ministeriale del 30 settembre 2021 al capo I, articolo 1. Il provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 14 dicembre 2021. Sulla base dello stesso decreto, la definizione di impresa al femminile esclude gli studi professionali associati dalla richiesta di finanziamenti. Pertanto, le lavoratrici autonome possono presentare domanda come libere professioniste con partita Iva.

Quanto spetta di incentivo per l’imprenditoria al femminile?

Gli incentivi finanziano la nascita e il consolidamento delle imprese femminili. Non vi sono limiti minimi di spesa. Quindi, anche un piccolo progetto può essere sostenuto purché vengano rispettati i requisiti richiesti. I progetti della imprese devono essere conclusi nell’arco dei 24 mesi. Per le nuove imprese e per quelle costituite da non oltre i 12 mesi da quando si presenta la domanda, i contributi a fondo perduto coprono l’80% delle spese ammissibili per un investimento fino a 100 mila euro e un tetto massimo di 50 mila euro di contributo. Il contributo può arrivare al 90% per investimenti di donne disoccupate. Per progetti del valore di 250 mila euro di investimento, l’agevolazione dei contributi a fondo perduto sale a 125 mila euro. In questo caso, il tetto dell’agevolazione è del 50%. Oltre ai contributi si può richiedere la copertura dei servizi di assistenza tecnica e gestionale fino al limite di 5 mila euro.

Quali contributi a fondo perduto sono richiedibili per imprese al femminile di oltre 12 mesi?

Per progetti di impresa al femminile esistenti da oltre 12 mesi, è previsto un mix di finanziamenti e di contributi a fondo perduto. Per progetti fino a 400 mila euro, l’incentivo copre l’80% delle spese fino a un massimo di 320 mila euro tra contributi a fondo perduto e finanziamenti da restituire in otto anni a tasso zero. Le imprese operanti da oltre 36 mesi al momento della domanda possono ottenere solo il contributo al capitale circolante, totalmente a fondo perduto. Anche per queste imprese è previsto un contributo per assistenza tecnica e gestionale fino a 5 mila euro.

Contributi a fondo perduto e finanziamenti impresa al femminile, come si presenta la domanda?

Per la presentazione delle domande dei contributi a fondo perduto e dei finanziamenti a tassi agevolati delle imprese al femminile è necessario far riferimento a Invitalia, gestore della misura. La procedura da seguire è quella dello sportello on line. Per l’accesso è occorrente avere un’identità digitale attiva, ovvero lo Spid, la Carta nazionale dei servizi (Cns) o la Carta di identità elettronica (Cie). Risulta necessaria anche la firma elettronica della titolare dell’impresa individuale oppure del legale rappresentante, oltre a un indirizzo di posta elettronica certificata (Pec).

Quando presentare le domande dei contributi per le imprese femminili e con quali scadenze?

Per la richiesta di contributi a fondo perduto e finanziamenti dell’impresa al femminile per realtà nuove, la domanda si potrà iniziare a compilare a partire dalle ore 10:00 del 5 maggio 2022. Giornalmente la piattaforma rimane a disposizione fino alle ore 17:00. Le imprese già esistenti potranno procedere con il precaricamento della domanda a partire dalle ore 10:00 del 24 maggio 2022. La fase di precaricamento della domanda, in entrambi i casi, si conclude con l’ottenimento di un codice di predisposizione della domanda. L’invio vero e proprio della domanda si potrà effettuare dalle ore 10:00 del 19 maggio 2022 per le nuove imprese; quello delle imprese già esistenti sarà possibile dalle ore 10:00 del 7 giugno 2022. Non sono previste scadenza per la presentazione della domanda: l’unico vincolo nella richiesta è rappresentato dall’esaurimento delle risorse a disposizione.

Utilizzare la fattura elettronica, tutto ciò che c’è da sapere

Dal 1° luglio 2022 scatterà l’obbligo di utilizzare la fattura elettronica anche per le partite Iva a regime forfettario, finora esonerate. Persiste un tetto di ricavi e di compensi al di sotto del quale l’utilizzo del formato elettronico sarà ancora una scelta. Si tratta delle piccole partite Iva che non superano i 25 mila euro di ricavi e di compensi. Per tutte le partite Iva sopra questa soglia cambia tutto. Ecco quali sono i consigli e le indicazioni da seguire per non commettere errori a chi si affaccia per la prima volta alla fattura elettronica.

Obbligo di fattura elettronica per le partite Iva forfettarie: da quando?

A distanza di un paio di mesi dell’entrata in vigore dell’obbligo di adozione della fattura elettronica alle partite Iva forfettarie risulta necessario adeguarsi ai nuovi strumenti. Il relativo provvedimento, il decreto legge “Pnrr 2”, che verrà pubblicato nei prossimi giorni nella Gazzetta Ufficiale, stabilisce che l’obbligo di fattura elettronica per i soggetti finora esonerati scatterà il 1° luglio 2022 e rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2024. L’esonero per le partite Iva a regime forfettario che hanno compensi e ricavi non eccedenti i 25 mila euro rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2023. Anche le nuove partite Iva che verranno aperte nel 2022 potranno scegliere se aderire alla fattura elettronica oppure no. In ogni modo, il passo è stato già segnato e, obblighi normativi a parte, l’adozione della fattura elettronica potrebbe rappresentare una svolta nell’organizzazione del proprio lavoro e della propria attività.

Quali differenze ci sono tra la fattura elettronica e quella cartacea?

Le differenze sostanziali tra la fattura elettronica e quella cartacea risiedono nella modalità di compilazione, di invio e di conservazione dei documenti. La fattura elettronica, rispetto a quella cartacea, deve essere compilata telematicamente mediante l’utilizzo di un personal computer, di uno smartphone o di un tablet. Dunque dal 1° luglio prossimo, i soggetti rientranti nell’obbligo di adozione del formato elettronico dovranno abbandonare il vecchio “blocco fatture” di carta. L’invio della fattura, poi, dovrà essere effettuato mediante il servizio messo a disposizione dall’Agenzia delle entrate del Sistema di interscambio (Sdi). La piattaforma verifica che i dati della fattura siano completi e corretti e consegna il documento elettronico al destinatario. Il sistema, dunque, permette di abbandonare le vecchie modalità di recapito.

Partite Iva a regime forfettario, come compilare la fattura elettronica?

Le modalità di compilazione della fattura elettronica consistono nell’utilizzare software specifici che elaborano il documento nel formato Xml. Il software si può utilizzare gratuitamente dal portale dell’Agenzia delle entrate “Fatture e corrispettivi”, oppure avvalersi dei tanti servizi offerti da aziende specializzate. Tuttavia, l’utilizzo del formato elettronico consente, tra i vari vantaggi, di non dover compilare tutti i campi per le fatture da inviare allo stesso destinatario. I dati, infatti, possono essere memorizzati per poi procedere alla compilazione veloce del documento. I campi da “popolare” nella fattura elettronica sono gli stessi presenti nella fattura cartacea: non vi sono, dunque, più dati da inserire.

Quali sono i campi più importanti per l’invio della fattura elettronica?

Rispetto alla fattura cartacea, per l’invio di quella elettronica è necessario disporre di un indirizzo telematico al quale il cliente desidera ricevere il documento. Si possono utilizzare, per l’invio, sia il codice destinatario che l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec). Se il cliente non comunica al mittente della fattura nessuno dei due dati, si può inviare la fattura elettronica al Sistema di interscambio che, in ogni modo, non potrà consegnarla al cliente ma la renderà reperibile nell’area personale del cliente stesso sul portale dell’Agenzia delle entrate. In questi casi, sarebbe meglio fornire anche una copia cartacea della fattura al cliente, ricordandogli che si tratta di una copia del documento di cortesia.

Partite Iva a regime forfettario: quali codici utilizzare nella fattura elettronica?

Le partite Iva a regime forfettarie, nell’utilizzo dei software per l’emissione della fattura elettronica, devono utilizzare il codice RF 19 – Regime forfettario. Oltre al codice, la fattura necessita della marca da bollo di due euro per gli importi eccedenti i 77,47 euro. In tal caso, la piattaforma dell’Agenzia delle entrate permette l’inserimento del bollo in modalità elettronica pagando le marche da bollo dovute anche a cadenza trimestrale. Inoltre, per le partite Iva a regime forfettario è fondamentale utilizzare la dicitura: “Operazione senza applicazione dell’Iva, effettuata ai sensi dell’articolo 1, commi da 54 a 89, legge numero 190 del 2014 così come modificato dalla legge numero 208 del 2015 e dalla legge numero 145 del 2018”.

Invio della fattura elettronica: come essere sicuri che è andato a buon fine?

Infine, tra le diciture da utilizzare nella fatture elettroniche emesse da una partita Iva a regime forfettario è occorrente indicare sempre il codice “Ivan 2.2 – Non soggette altri casi”. Si tratta, infatti, di prodotti e di servizi in regime forfettario e, pertanto, non soggetti ad applicazione dell’Iva. Una volta terminata la compilazione, la partita Iva invia la fattura elettronica tramite il Sistema di interscambio al destinatario. Al mittente arriva una ricevuta telematica di corretto invio del documento. Può arrivare anche una ricevuta di “corretta consegna” se il documento, oltre a essere stato compilato correttamente, è stato anche ricevuto dal destinatario.

Cosa succede se il destinatario non riceve la fattura elettronica emessa?

Nel caso in cui la fattura elettronica non arrivi a destinazione, il mittente riceve una ricevuta di “mancato recapito“. In tal caso, è necessario verificare il perché e se i dati sono stati correttamente inseriti, compresi il codice destinatario o l’indirizzo Pec. Le fatture elettronica vanno numerate progressivamente per anno. Il numero deve essere unico e riferito alla progressività della data di emissione. Dunque, anche la fattura elettronica deve avere una data di emissione e un numero progressivo unici.

Conservazione delle fatture elettroniche: come si fa?

L’emissione della fattura elettronica comporta anche l’obbligo di conservarle. La conservazione non si fa scaricando la fattura sul computer o su memorie esterne, ma tramite i sistemi di conservazione messi a disposizione (anche dall’Agenzia delle entrate) dai fornitori dei software. La corretta conservazione dei documenti elettronici evita l’applicazione di sanzioni. Ulteriori sanzioni possono essere applicate nel caso di invio errato della fattura elettronica. Infatti, alla ricezione del messaggio di errore nell’invio, è necessario procedere con un altro invio nel termine di cinque giorni. In questo caso, la data e il numero della fattura devono essere uguali al documento risultato errato.

Cosa fare se si sbaglia a inserire informazioni su una fattura elettronica?

In tutti gli altri casi, se l’errore è presente nei dati interni alla fatturazione (e il Sistema di interscambio non ha rilevato errori) è necessario:

  • emettere una nota di variazione;
  • inserire una nota di credito;
  • emettere una nuova fattura.

A tale verifica deve provvedere chi emette la fattura elettronica. Infatti, il Sistema di interscambio non segnala l’errore ed esita la fattura come “emessa”.

Fattura elettronica, obbligo a partite Iva forfettarie: quali nuovi costi e adempimenti?

L’estensione dell’obbligo della fattura elettronica anche al regime forfettario aumenta costi e adempimento alle partite Iva. Si tratta della conseguenza delle novità che il governo si appresta a varare per l’attuazione delle misura di attuazione del Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr) nell’ambito della legge fiscale. Nell’articolo 15 della bozza del provvedimento è prevista l’estensione della fatturazione elettronica ai soggetti finora esonerati fino al 31 dicembre 2024. L’obbligo dovrebbe scattare a partire dal 1° luglio 2022. Tuttavia, rimarranno esonerate le piccole partite Iva con limite di ricavi e di compensi entro i 25 mila euro.

Fattura elettronica, quali sono i nuovi soggetti e partite Iva soggetti all’obbligo?

L’estensione dell’obbligo di fattura elettronica alle partite Iva a regime forfettario era tra gli interventi più attesi in materia fiscale. Infatti, l’Italia già il 13 dicembre 2021 aveva recepito la decisione di esecuzione dell’Unione europea numero 2251 che prevedeva l’estensione dell’obbligo ai soggetti finora esonerati. La modifica che il governo si appresta ad apportare è quella al comma 3 dell’articolo 1, del decreto legislativo numero 127 del 2015. Il provvedimento ha previsto l’introduzione della fatturazione elettronica esonerando dall’obbligo determinati soggetti, ovvero:

  • i soggetti in regime di vantaggio;
  • quelli forfettari;
  • le associazioni che esercitano l’opzione prevista dagli articoli 1 e 2 della legge numero 398 del 1991 per compensi commerciali che non eccedano i 65 mila euro nel precedente anno.

Obbligo di fattura elettronica alle partite Iva forfettarie: cosa cambia dal 1° luglio 2022?

L’obbligo di utilizzo della fattura elettronica scatterà, per i nuovi soggetti prima esonerati, a decorrere dal 1° luglio 2022. Tra gli adempimenti fiscali richiesti, vi rientrano:

  • l’utilizzo della fattura elettronica verso i soggetti residenti. Per il terzo trimestre di quest’anno la fatturazione elettronica vige senza le sanzioni se i documenti risultano emessi entro il mese successivo a quello nel quale viene effettuata l’operazione;
  • la fatturazione elettronica verso i non residenti, attualmente con scelta tra la modalità cartacea o elettronica. Dal 1° luglio 2022 comporterà invece l’adempimento dell’esterometro disciplinato dal comma 3 bis. In particolare, per le relative operazioni, a partire dal prossimo luglio scatterà l’obbligo di trasmettere le informazioni inerenti le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in entrata o in uscita da e verso soggetti non residenti nel territorio italiano. La trasmissione dovrà avvenire in via telematica. L’adempimento, dunque, comporta la scelta dell’alternativa della fattura elettronica più l’esterometro, oppure della sola fattura elettronica.

Fattura elettronica, nuovi adempimenti per le partite Iva che fanno acquisti su internet da soggetti non residenti

La fattura elettronica per le operazioni da e verso i soggetti non residenti comporterà, dunque, maggiori adempimenti soprattutto per le partite Iva che effettuano acquisti via internet da soggetti non residenti nel territorio nazionale. Il passaggio comporterà dei costi perché i nuovi soggetti tenuti ad adempiere alle norme difficilmente potranno gestire questo tipo di operazioni, almeno inizialmente, senza il sostegno di un commercialista o di un professionista. Peraltro, a differenza della fattura elettronica, la gestione dell’esterometro dovrà avvenire entro il 15esimo giorno successivo a quello dell’operazione.

Altri adempimenti legati all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica

Per quanto concerne gli altri adempimenti legati all’estensione dell’obbligo di fattura elettronica, gli acquisti in reverse charge dai fornitori residenti, attualmente comporta per i forfettari la reverse charge con il versamento dell’Iva attraverso il modello F24. A partire dal prossimo luglio, tale regime rimarrà invariato. Varierà invece, con obbligo di esterometro a decorrere da luglio prossimo, l’acquisto intracomunitario di beni sotto la soglia annua di 10 mila euro dai fornitori comunitari senza l’iscrizione al Vies.

Fattura elettronica ed esterometro, gli adempimenti che comportano l’iscrizione al Vies

La procedura serve per le autorizzazioni a compiere operazioni intracomunitarie, ovvero di vendita o di acquisto di beni o di servizi da e verso altri Paesi dell’Unione europea.  Fino al prossimo luglio, ai forfettari è imposto la sola conservazione, con l’Iva pagata al fornitore dell’Unione europea. Da luglio sarà necessario l’esterometro con la particolarità di ottemperare all’adempimento al più tardi entro il 15 del mese susseguente all’operazione.

Fattura elettronica, quali altre operazioni necessiteranno dell’esterometro?

Per gli altri acquisti territoriali da non residenti, che non siano importazioni, attualmente le partite Iva forfettarie utilizzano la reverse charge con versamento dell’Iva attraverso il modello F24. Da luglio prossimo, il versamento dell’Iva con il modello F24 sarà accompagnato dall’esterometro. Obbligo, dell’esterometro, che vigerà anche per tutti gli altri acquisti non territoriali che, ad oggi, non prevedono alcun adempimento. Da luglio sarà obbligatorio l’esterometro con termine al massimo entro il 15 del mese susseguente a quello dell’operazione.