Quattordicesima 2023: a chi spetta e a quanto ammonta?

La quattordicesima mensilità è una somma aggiuntiva versata sulla pensione nella mensilità di luglio. L’importo e la spettanza dipende dal reddito e in particolare sono determinati in base alla pensione minima. Naturalmente cambiando gli importi delle pensioni in base all’inflazione, cambia anche il limite dell’assegno mensile che consente di ricevere la quattordicesima mensilità. Vediamo quindi a chi spetta la quattordicesima 2023 e quanto percepiranno i pensionati.

Quattordicesima 2023: a chi spetta?

La quattordicesima mensilità è una somma aggiuntiva pagata sulle pensioni nel mese di luglio. Non spetta a tutti i pensionati, ma solo a coloro che hanno un reddito particolarmente basso e quindi è una sorta di aiuto per coloro che possono avere difficoltà economiche. La quattordicesima mensilità viene erogata a coloro che hanno un assegno pensionistico non superiore due volte al trattamento minimo. Fino al 2017 veniva erogata esclusivamente a coloro che avevano un trattamento pensionistico fino a 1,5 volte il minimo. Questo vuol dire che ogni anno deve essere rideterminato l’importo mensile che porta ad avere diritto a questa prestazione.
La pensione minima per il 2023 passa da 525,38 euro a 563,73 euro, il totale annuo è quindi pari a 7.328,49 euro, ma per coloro che hanno compiuto 75 anni di età l’importo minimo è di 597 euro. Questo implica che l’importo massimo di reddito annuo che può portare alla corresponsione della quattordicesima mensilità è di 14.657 euro annui.

Hanno diritto alla somma aggiuntiva coloro che percepiscono:

  • pensione di vecchiaia;
  • pensione di anzianità;
  • nuova pensione anticipata;
  • pensione superstiti;
  • pensione di invalidità ordinaria (IO) e inabilità.

La quattordicesima invece non spetta a percettori di:

  • invalidità civile,
  • pensione sociale o assegno sociale;
  • rendita inail;
  • pensione di guerra

Vi sono ulteriori limiti alla percezione della quattordicesima mensilità, infatti non viene erogata a coloro che hanno un’età pari o superiore a 64 anni.

A quanto ammonta la quattordicesima mensilità?

Gli importi della quattordicesima 2023 cambiano in base ai redditi percepiti dal pensionato.

In particolare per chi ha un reddito fino a 10.992,93 euro annui, quindi fino al limite di 1,5 volte il trattamento minimo gli importi sono:

  • 436,80 € per anzianità contributiva fino a 18 anni (15 per lavoratori dipendenti);
  • 546 € con anzianità contributiva tra i 18 anni e i 28 anni (da 15 a 25 anni per lavoratori dipendenti);
  • 655,20 € con anzianità superiore a 28 anni di contributi (oltre 25 anni per lavoratori dipendenti.

Per redditi fino a 14.657,24 euro gli importi previsti sono:

  • 336 euro per anzianità contributiva fino a 18 anni (15 anni per i lavoratori dipendenti);
  • 420 euro con anzianità contributiva compresa tra 18 e 28 anni (15-25 anni per i lavoratori dipendenti);
  • 504 euro con anzianità contributiva superiore a 28 anni ( 25 anni per i lavoratori dipendenti).

Come stabilito nella circolare Inps 130 del 2015, nel computo dei redditi che danno diritto alla percezione della quattordicesima mensilità 2023, non devono essere inseriti:

  • trattamenti di famiglia;
  • assegno di accompagnamento;
  • pensioni di guerra;
  • compensi arretrati sottoposti a tassazione separata;
  • tfr;
  • reddito della casa di abitazione;
  • indennità per i ciechi parziali e dell’indennità di comunicazione per sordi prelinguali;
  • indennizzo previsto della legge n. 210 del 25/02/1992;
    sussidi economici che comuni ed altri enti erogano agli anziani in difficoltà.

Leggi anche: Rivalutazione pensioni: chi la riceverà a marzo 2023?

 

Reversibilità 2022, sentenza per i nipoti: quali familiari hanno diritto?

In questa rapida guida andremo a vedere alcune novità inerenti alla pensione di reversibilità nel 2022. Quali sono i familiari ad averne diritto e cosa cambia per i nipoti del pensionato? Lo scopriamo nei paragrafi di seguito.

Pensione reversibilità 2022: novità in sentenza

Stando alla recente sentenza dell’aprile 2022 cambiano alcune cose inerenti alla pensione di reversibilità. La platea di beneficiari, di fatto, si allarga rispetto a prima, ed ora possono esserci più eredi possibili in caso di decesso del pensionato.

Quindi, stando alle ultime novità, non saranno più soltanto le mogli vedove a poter usufruire della pensione di reversibilità o indiretta, cioè la forma di sostegno pensionistico dedicata ai familiari superstiti di un pensionato deceduto. Infatti la Corte Costituzionale e alcune riforme hanno allargato il campo d’azione, inserendo una serie di persone precedentemente escluse dal diritto a ricevere la reversibilità. Nello specifico la sentenza n. 88/2022 della Corte Costituzionale estende il diritto alla pensione di reversibilità dei nonni anche ai nipoti maggiorenni, orfani dei genitori e inabili al lavoro.

Quindi, nel novero dei familiari aventi diritto si inseriscono pienamente anche quei nipoti inabili a lavorare o orfani di genitori, magari cresciuti proprio dagli stessi nonni.

Pensione di reversibilità: di cosa si tratta

Ma di cosa si tratta, quando si parla di pensione di reversibilità?

La pensione ai superstiti è un trattamento pensionistico che viene riconosciuto in caso di decesso del pensionato (pensione di reversibilità) o dell’assicurato (pensione indiretta) in favore dei familiari superstiti. Trattasi di una pensione pari a una quota in percentuale alla pensione del defunto.

La pensione indiretta viene riconosciuta nei casi in cui l’assicurato abbia perfezionato 15 anni di anzianità assicurativa e contributiva, con 5 anni di anzianità assicurativa e contributiva di cui almeno 3 nel quinquennio precedente la data del decesso.

A chi spetta la pensione di reversibilità?

Andiamo a vedere, in questo paragrafo, chi può avere diritto alla pensione di reversibilità, dopo che abbiamo visto di cosa si tratta.

Come detto, tale pensione è un trattamento riconosciuto dopo il decesso del pensionato in favore dei familiari superstiti. Di seguito, vediamo chi ne ha diritto:

  • il coniuge o chi è unito civilmente;
  • il coniuge divorziato a patto che sia titolare dell’assegno di divorzio, e che non debba essere passato a nuove nozze e che la data di inizio del rapporto assicurativo del defunto sia precedente alla data della sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio;
  • i figli minorenni del defunto;
  • i figli inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso, qualunque sia la loro età;
  • i figli maggiorenni studenti, a carico del genitore, che non prestino attività lavorativa, che frequentano scuole o corsi di formazione professionale equiparabili ai corsi scolastici, nei limiti del 21esimo anno di età;
  • i figli maggiorenni studenti, a carico del genitore, che non lavorano, che frequentano l’università, non oltre l’età di 26 anni;

In ultimo, ma non ultimo, la pensione di reversibilità spetta in assenza del coniuge e dei figli, ai superstiti, i genitori dell’assicurato o pensionato che al momento della morte di quest’ultimo abbiano compiuto il 65° anno di età, che non siano titolari di pensione e che, però risultino a carico del lavoratore deceduto.

Dunque, questo è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alla questione di approfondimento e cambiamenti della pensione di reversibilità.

Le regole dell’Inps sul calcolo dell’importo dell’assegno di reversibilità: la guida

Al decesso di un pensionato al coniuge superstite e in alcuni casi a determinati parenti, spetta la pensione di reversibilità. Si tratta di un assegno mensile che viene erogato alla vedova o ad altri eredi nel momento in cui un proprio parente muore. Le regole e la normativa vigente in materia è assai particolare. Infatti non sempre tale pensione spetta per intero come normativa prevede. Molto dipende dalla condizione reddituale di chi sopravvive al pensionato. Ed ogni anno come prassi l’Inps adegua i limiti reddituali utili alla fruizione della misura.

Compatibilità con redditi da lavoro per l’assegno di reversibilità

Una cosa che pochi considerano in materia di pensioni di reversibilità non è l’incompatibilità tra la prestazione ai superstiti e il lavoro proprio, che è assolutamente possibile, ma l’incidenza del proprio reddito sull’entità dell’assegno. A prescindere dalla tipologia di pensione che il defunto ha lasciato ai superstiti la cumulabilità della prestazione pensionistica con i redditi del lavoro è un fattore determinante. Al contrario della pensione di vecchiaia della pensione anticipata che sono perfettamente cumulabili con i redditi da lavoro e non subiscono l’incidenza del reddito, nella pensione di reversibilità anche se deriva da quelle due misure viene l’importo è determinato proprio in virtù del reddito prodotto dell’attività lavorativa.

Le condizioni da rispettare per un assegno intero

Esistono però delle condizioni da rispettare, perché la pensione di reversibilità, a differenza di ciò che la legge prevede per le pensioni di vecchiaia o per le pensioni anticipate, è influenzata e di molto dal reddito da lavoro del beneficiario di questa prestazione ai superstiti. I redditi del superstite oltre che sul diritto alla prestazione incidono anche sull’importo della stessa. Proprio il reddito dei superstiti determina l’importo della pensione di reversibilità spettante. Molti eredi non considerano che la pensione di reversibilità è collegata all’importo del trattamento minimo Inps. Il trattamento minimo Inps per il 2022 è pari a circa 524 euro. Ed è proprio questa la cifra da cui scaturisce il calcolo della reversibilità spettante ad un erede. Infatti quando si verifica il decesso di un pensionato o in alcuni casi anche di un lavoratore assicurato ma non ancora pensionato, sia il coniuge che alcuni altri familiari possono beneficiare del trattamento pensionistico.

Le cose a cui prestare attenzione

Occorre però rispettate delle condizioni reddituali. La vedova che lavora deve fare riferimento al trattamento minimo Inps. Proprio la natura della pensione di reversibilità impone l’applicazione di queste rigide regole. Infatti la prestazione non è altro che la tutela che sistema pensionistico italiano da ai familiari più stretti di un defunto. Mettendo a rischio la continuità reddituale di una famiglia infatti la morte di un pensionato viene tutelata dalla pensione di reversibilità. In genere la pensione di reversibilità spetta al coniuge superstite. La pensione di reversibilità al coniuge superstite erogata anche se quest’ultimo lavora.

I tagli della pensione di reversibilità

Nulla cambia se il coniuge superstite o l’eventuale familiare superstite con diritto alla reversibilità, hanno un lavoro autonomo o sono lavoratori dipendenti. Ciò che incide sull’assegno di reversibilità è il reddito, anche da lavoro. Sull’assegno di reversibilità potrebbe scattare una riduzione di importo in base al reddito del superstite. Un autentico taglio di importo che varia al variare dei redditi da lavoro del superstite beneficiario dell’assegno di reversibilità. L’importo della reversibilità, che per il coniuge superstite è in genere il 60% della pensione del defunto, è intero solo con redditi del superstite fino a 20.436 euro. Si tratta di quello che in gergo tecnico si chiama reddito fino a tre volte il trattamento minimo. Se invece il reddito è superiore a 3 volte e fino a 4 volte, cioè tra 20.436 e 27.248 euro, il 60% della pensione del defunto viene tagliata del 25%. Per i redditi più alti di 27.248 euro, e fino alle 5 volte il trattamento minimo che è pari a 34.060 euro, il taglio diventa del 40%. Infine per i redditi più alti la riduzione è pari alla metà.

Nessun taglio per superstiti particolari sull’assegno di reversibilità

Anche in presenza di nuclei familiari superstiti con redditi oltre le soglie prima citate, non si applicheranno tagli e riduzioni in determinati casi. Nel caso in cui oltre al coniuge superstite sono presenti altri eredi, e quindi altri superstiti titolari del diritto alla prestazione, la riduzione di importo non si materializza se trattasi di figli minori di 18 anni o maggiori ma con problemi di invalidità. Per nuclei familiari così compositi nessun taglio di assegno è previsto.

Pensione di reversibilità: dalla Corte Costituzionale una novità per i figli dei conviventi

Il 19 aprile 2022 la Corte Costituzionale deposita un’importante sentenza, la n° 100, che riconosce ai figli minorenni nati fuori dal matrimonio, con genitori conviventi o meno, una quota più elevata di reversibilità.

Come funziona la pensione di reversibilità per coniuge e figli

Per capire bene la portata della sentenza è bene partire dalla situazione attuale. La normativa sulla pensione di reversibilità stabilisce che, alla morte di un soggetto, un eventuale coniuge ha diritto al 60% della reversibilità. In presenza di figli di minore età, a costoro si riconosce il diritto al 20% della quota di reversibilità.

Ricordiamo a questo punto che la pensione di reversibilità in seguito a una recente sentenza spetta anche al nipote disabile. Per approfondire, leggi l’articolo: Pensione di reversibilità: la Corte Costituzionale la riconosce ai nipoti

Ora appare ovvio che il figlio di genitori coniugati, oltre ad avere il vantaggio diretto del riconoscimento del diritto al 20% della quota di reversibilità, riceve anche un vantaggio indiretto determinato dal fatto che il suo genitore superstite riceve il 60% della reversibilità del coniuge deceduto, nonché padre del minore.

La Corte Costituzionale con la sentenza n° 100 depositata il 19 aprile 2022 intende porre in essere un atto di giustizia sostanziale.

Il caso

Il caso vede il genitore non coniugato esercente la responsabilità genitoriale proporre ricorso avverso il provvedimento che riconosce al figlio solo la quota del 20% della reversibilità del padre (morto una ventina di giorni prima della nascita del bambino). La quota per i primi anni è stata innalzata al 25% in virtù del beneficio concesso ai dipendenti civili e militari dello Stato. Nel frattempo, alla coniuge separata del padre per i primi anni dal decesso si riconosce il 75% della reversibilità, poi ridotto al 60% ( sempre in virtù del beneficio prima visto).

Il genitore esercente la responsabilità genitoriale propone quindi ricorso, naturalmente INPS e Ministero della Difesa affermano che hanno applicato le quote previste dalla legge.

Il rimettente, cioè il giudice del merito che in questo caso è la Corte dei Conti, sottolinea che la Corte Costituzionale già in altre pronunce ha parificato il figlio di genitori non coniugati a un orfano di entrambi i genitori (sentenza 86 del 2009)

Il rimettente sottolinea che la situazione del figlio nato fuori dal matrimonio deve essere parificata a quella del figlio orfano di entrambi i genitori e, di conseguenza, gli spetterebbe il 70% della quota di reversibilità. La parte però osserva anche che se venisse riconosciuta la quota del 70% al figlio orfano e del 60% al coniuge separato ci sarebbe un superamento della quota del 100%, fatto comunque vietato dall’ art. 13, quarto comma, del r.d.l. n. 636 del 1939, come da ultimo sostituito dall’art. 22 della legge n. 903 del 1965 .

La Corte dei Conti rimettente propone una rideterminazione delle quote tra gli aventi diritto con decurtazione proporzionale delle due quote in modo da raggiungere comunque il 100% dell’assegno pensionistico e non superare tale misura. Suggerisce il 53,85% al figlio superstite e il 46,15 all’ex coniuge.

La sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale sposa a pieno la tesi del ricorrente/rimettente (Corte dei Conti) si ferma però di fronte alla determinazione delle quote che invece è suggerita dalla Corte dei Conti.

Nonostante questa paventata parificazione, i giudici si astengono dal determinare le quote, ma rimandano al legislatore con indicazione di esprimere un’autonoma rideterminazione delle quote avendo come punto di riferimento proprio la stessa sentenza. Infatti se il collegio indicasse anche le quote in modo vincolante, pronuncerebbe una sentenza additiva e andrebbe a invadere il campo che spetta al legislatore con un intervento che definito dalla stessa Corte Costituzionale “manipolativo”.

Proprio per questo invita il legislatore a un tempestivo intervento al fine di colmare una lacuna che compromette i valori costituzionali di solidarietà familiare, ma di fatto dichiara inammissibili le doglianze della Corte dei Conti.

Pensione di reversibilità: la Corte Costituzionale la riconosce ai nipoti

Con un’importante sentenza depositata dalla Corte Costituzionale il 5 aprile 2022 si tutelano i nipoti orfani che perdono i nonni riconoscendo loro il diritto alla pensione di reversibilità. Ecco cosa dice la sentenza.

Le norme costituzionali oggetto di valutazione

Prima di passare al contenuto della sentenza della Corte Costituzionale è bene fare un primo excursus sulle norme che la pronuncia va ad esaminare. L’articolo 38 del DPR 818 del 1957 prevede il diritto alla reversibilità della pensione per figli legittimi o legittimati, i figli adottivi e gli affiliati, quelli naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, quelli nati da precedenti matrimoni dell’altro coniuge nonché i minori regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge.

Agli stessi fini s’intendono equiparati ai genitori gli adottanti, gli affilianti, il patrigno e la matrigna, nonché le persone alle quali l’assicurato fu affidato come esposto.

La Corte Costituzionale con la sentenza 180 del 1999 ha già censurato l’articolo 38 citato nella parte in cui non include tra i soggetti che hanno diritto alla pensione di reversibilità i minori per i quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti. Si tratta in particolare dei nipoti affidati ai nonni e che sono a loro carico anche senza che vi sia stato un provvedimento formale di affidamento. La Corte Costituzionale quindi ritiene che debba essere data prevalenza alla sostanza e non alla forma.

A questa importante pronuncia si unisce quella del 5 aprile 2022, in cui si va oltre e si ritiene che la norma, come formulata, sia incostituzionale in violazione degli articoli  3 e 38 della Costituzione. La violazione sarebbe dovuta al fatto che devono essere equiparati ai minori anche i maggiorenni che siano inabili al lavoro, orfani e viventi a carico degli ascendenti assicurati.

Il ricorso della Corte di Cassazione avverso l’esclusione dei nipoti maggiorenni, inabili e orfani dalla pensione di reversibilità

La questione di legittimità costituzionale della norma in oggetto è stata sollevata dalla Corte di Cassazione, sezione lavoro con ordinanza dell’8 aprile 2021. La vicenda ha riguardato una giovane, maggiorenne, orfana, incapace di intendere e di volere, non titolare di altri trattamenti economici, che vede negato l’accesso alla pensione di reversibilità del nonno in applicazione della disposizione che riconosce il diritto alla pensione di reversibilità dei nonni solo ai nipoti minorenni.

La Corte di Cassazione nell’introdurre la questione di legittimità sottolinea che l’obiettivo della pensione di reversibilità è la tutela previdenziale finalizzata al perseguimento dell’interesse collettivo alla liberazione di ogni cittadino dallo stato di bisogno. Di conseguenza nella situazione concreta di cui si sta occupando si tratta di applicare la ratio stessa della normativa della reversibilità e assicurare un’esistenza libera e dignitosa a una persona in evidente difficoltà. La Corte di Cassazione va oltre e richiama anche art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, (CEDU) che valorizza il significativo rapporto tra ascendente e nipote suscettibile di tutela.

La decisione della Corte Costituzionale: la pensione di reversibilità spetta anche ai nipoti maggiorenni disabili

La Corte Costituzionale statuisce che l’articolo 38 del DPR 818 è discriminatorio, in quanto viola l’articolo 3 della Costituzione che statuisce il diritto all’uguaglianza formale e sostanziale, l’esclusione dal diritto al godimento della pensione di reversibilità del nipote che sia:

  • orfano ( quindi non ha genitori che possano provvedere alle sue esigenze);
  • inabile al lavoro e quindi non in grado di procurarsi sostentamento;
  • e che sia a carico dei nonni.

Questo anche perché generalmente per tutte le altre prestazioni del welfare il maggiorenne disabile/inabile viene parificato al minore, ad esempio nel caso dell’assegno unico si è visto che i figli che abbiano superato i 21 anni e che abbiano delle disabilità, hanno comunque diritto a percepire l’assegno. Questo è solo uno degli esempi da cui si evince la particolare protezione del nostro sistema per le persone che hanno difficoltà.

A supporto di tale tesi c’è anche il fatto che la pensione di reversibilità dei genitori spetta normalmente ai figli inabili al lavoro anche se maggiorenni, quindi non si vede perché debbano essere fatte differenze nel caso in cui i genitori non siano in vita e il minore di fatto è a carico dell’ascendente di secondo grado, cioè il nonno.

Violazione dell’articolo 38 della Costituzione

La Corte Costituzionale inoltre rinviene nella esclusione dal godimento della pensione di reversibilità per i nipoti maggiorenni, inabili al lavoro e orfani, la violazione dell’articolo 38 della Costituzione che stabilisce: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.

Sottolinea la Corte che non basta a giustificare tale discriminazione il fatto che il godimento della pensione di reversibilità in favore dei nipoti minorenni sarebbe limitato nel tempo, mentre includendo i nipoti maggiorenni inabili la prestazione sarebbe dovuta per un tempo astrattamente lungo. Infatti la matrice solidaristica di questo sussidio è prevalente rispetto a tale interesse. La Corte, in una lunga disamina, boccia anche tutti i rilievi fatto dal Presidente del Consiglio dei Ministri difeso dall’Avvocatura di Stato.

Le sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo avendo come unico limite le situazioni irreversibili. Questo vuol dire che ora chiunque si trovi nella condizione sanzionata dalla Corte Cotituzionale, potrà trovare tutela.

Pensione di reversibilità e divorzio: quando ne ha diritto l’ex coniuge?

La pensione di reversibilità è anche conosciuta come pensione indiretta e pensione superstiti e si riconosce il diritto a percepirla solo a determinate categorie di “parenti stretti”, tra queste vi è il coniuge. Tra le novità introdotte da poco su pensione di reversibilità e divorzio vi è il riconoscimento del diritto a percepirla anche per il coniuge divorziato con addebito.

Pensione di reversibilità e divorzio

Quando una persona ha maturato i requisiti minimi per il pensionamento e perde la vita, ai parenti può spettare la pensione superstiti o di reversibilità. Il coniuge, anche se legalmente separato, ha diritto al 60% della pensione se è solo, 80% se ha un figlio e al 100% della pensione che avrebbe percepito il marito in presenza di due o più figli minori.

Ricordiamo che la separazione non fa venire meno gli effetti civili del matrimonio, ma semplicemente autorizza i coniugi a vivere separati. Al termine del periodo di separazione possono decidere se procedere o meno alla richiesta di divorzio. Proprio per questo non vi è alcun dubbio che il coniuge legalmente separato possa beneficiare della pensione di reversibilità, ma cosa capita in caso di divorzio? Particolarmente complicata potrebbe essere la situazione in presenza di diversi ex coniuge e concorrenza con il coniuge/vedovo.

Cosa succede però se i coniugi sono diversi, cioè se vi è più di un ex coniuge? In Italia la pensione di reversibilità spetta anche all’ex coniuge. Fino a pochi mesi fa il riconoscimento aveva luogo solo nel caso in cui era titolare di un assegno periodico divorzile. Questo vuol dire che l’ex coniuge che aveva preferito la liquidazione una tantum dell’assegno divorzile non aveva diritto a una quota della pensione di reversibilità. La stessa non spettava neanche all’ex coniuge che non aveva ottenuto l’assegno divorzile in quanto ha avuto l’addebito della separazione.

La circolare 19 del 2022 riconosce la pensione di reversibilità all’ex coniuge indipendentemente dal titolo della separazione

Tutto cambia con la circolare 19 del 2022 dell’INPS, questa infatti ha provveduto a rendere noti alcuni chiarimenti adeguandosi, tra l’altro, ad alcune sentenze della Corte di Cassazione.

La premessa della circolare ripercorre la disciplina.

La prima norma da ricordare è l’articolo 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903 che riconosce il diritto a percepire la pensione superstiti per il coniuge che sopravvive, ma, sottolinea l’INPS, non prevede che per poterla percepire sia necessario il presupposto della vivenza a carico.

Segue la circolare 185 del 2015 dell’INPS in cui si sottolinea che la pensione superstiti spetta anche al coniuge che ha avuto l’addebito della separazione, se titolare di assegno alimentare.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione è andata però in diversa direzione riconoscendo il diritto alla pensione di reversibilità all’ex coniuge indipendentemente dal fatto che la separazione fosse o meno con addebito e che la parte fosse o meno titolare di un assegno divorzile. Proprio in ragione di ciò l’INPS ha emanato la circolare 19 del 2022 dove viene appunto riconosciuto il diritto ad ottenere la pensione di reversibilità per il coniuge o ex coniuge anche se non era titolare di assegno di divorzio o di assegno alimentare.

Come si determina l’ammontare?

Ciò che resta difficile è invece determinare il quantum, soprattutto nel caso in cui ci sia concorrenza tra più coniugi. In genere il coniuge vedovo riceve una percentuale maggiore, ma per determinare l’ammontare devono essere considerati diversi fattori, ad esempio la durata del matrimonio. Non esistono però criteri fissi di riferimento, ecco perché nel caso in cui si ritenga che la determinazione fatta dall’INPS sia contraria ai propri interessi, è possibile proporre ricorso.

Per capire a chi viene riconosciuta la pensione di reversibilità, o superstiti, c’è l’approfondimento: Pensione superstiti, o di reversibilità: a chi spetta e a quanto ammonta

Limiti al pignoramento della pensione 2022: importi e modalità

La legge stabilisce che in presenza di debiti è possibile pignorare i beni dei debitore presso terzi, tra i beni del debitore presso terzi che possono essere oggetto di pignoramento vi sono lo stipendio e la pensione. In questo caso si parla di pignoramento presso terzi perché il bene viene aggredito prima che entri nella disponibilità del debitore. Naturalmente la legge prevede anche dei limiti e gli stessi corrispondono a quello che viene considerato il minimo vitale per poter vivere. Naturalmente questo minimo viene adeguato al costo della vita e all’inflazione. Vediamo quindi quali saranno i limiti al pignoramento della pensione 2022.

Limiti al pignoramento della pensione: tipologie escluse

La disciplina del pignoramento presso terzi è prevista dall’articolo 543 del codice di procedura civile. Si tratta di una vera e propria espropriazione dei beni del debitore che però avviene prima che lo stesso abbia disponibilità di tali beni. La prima cosa da sottolineare è che non tutte le pensioni possono essere pignorate, in particolare non sono oggetto di pignoramento quelle che sono considerate prestazioni assistenziali e quindi la pensione sociale e la pensione di invalidità civile, mentre può essere sottoposta a pignoramento la pensione di reversibilità, anche conosciuta come pensione superstiti.

Come si calcola il limite pignorabile?

La prima cosa da fare è calcolare il limite impignorabile, la disciplina prevede che la quota di pensione che non si può toccare è pari a 1,5 volte l’assegno sociale. Quindi in primo luogo è necessario conoscere l’importo previsto per l’assegno sociale, lo stesso è fissato per il 2022 in 468,10 euro. Tale importo deve poi essere moltiplicato per 1,5. Risulta quindi che il limite al pignoramento della pensione 2022 è di 702,15 euro.

Questo però non vuol dire che la rimanente parte può essere pignorata al 100%, infatti di questa residua porzione di pensione, può essere pignorato solo il 20%, o meglio 1/5.

Ne consegue che nel caso in cui una persona percepisca 900 euro di pensione, a questa somma deve essere detratto il limite al pignoramento della pensione 2022, quindi 702,15 euro, restano quindi 197,85 euro. Di questo importo il creditore può aggredire il 20%, cioè 39, 57 euro.

Cambiano però gli importi nel caso in cui ci sia più di un creditore. In questo caso restano fermi i limiti al pignoramento della pensione, ma la quota rimanente può essere pignorata al 40%, quindi nel caso già visto, si tratta di una quota pari a 79,14 euro.

Pignoramento pensione già accreditata

In caso di accredito della pensione in conto corrente, è possibile pignorare anche la quota di importi presenti in conto al momento dell’inizio dell’esecuzione forzata. Cosa vuol dire? Semplicemente che se l’esecuzione, ad esempio, viene autorizzata il 15 del mese, sulle somme presenti a tale data sul conto corrente su cui viene accreditata la pensione, si effettua un primo prelievo, lo stesso però può avere un ammontare pari a 1/5 rispetto all’importo dell’assegno sociale moltiplicato per 3. Quindi la quota che non si può toccare giacente in conto è per il 2022 di 1.404,30€ , la rimanente parte può essere accreditata al creditore per un importo pari a 1/5 (20%). Ad esempio se in conto ci sono 2.500 euro, è necessario sottrarre 1.404,40, restano 1.095,70 e su questa quota al creditore spetta il 20%, cioè 219,14 euro. I successivi pignoramenti saranno fatti prima dell’accredito e con i criteri visti in precedenza.

Se il pignoramento è effettuato dall’Agenzia delle Entrate per crediti esattoriali cambiano gli importi. In questo caso il pignoramento ha importo pari al:

  • 1/10 per importi fino a 2.500 euro;
  • 1/7 per importi compresi tra 2.500 euro e 5.000 euro;
  • 1/5 per importi superiori a 5.000 euro.

Questi sono i limiti al pignoramento della pensione 2022.

Pensione di reversibilità: l’INPS la riconosce al separato con addebito

Novità per i coniugi separati: la pensione di reversibilità o superstiti spetta indipendentemente dal titolo della separazione (con addebito o senza addebito) e dalla corresponsione dell’assegno alimentare.

L’INPS cambia orientamento: la pensione superstiti spetta al coniuge separato con addebito

L’INPS con la Circolare 19 del 1° febbraio 2022 ha chiarito alcune disposizioni. L’INPS riprende la circolare 185 del 2015 in cui aveva specificato che la pensione di reversibilità era di spettanza del coniuge separato nel caso in cui, nonostante l’addebito della separazione, aveva ottenuto il riconoscimento del diritto all’assegno alimentare. Questa disposizione però di fatto era stata superata dalla giurisprudenza. La Corte Costituzionale con la sentenza 286 del 1987 ha infatti stabilito che la pensione di reversibilità spetta al coniuge separato indipendentemente dal titolo della separazione.

Di conseguenza trova applicazione l’articolo 22 della legge n. 903 del 1965 che non richiede l’assenza dell’addebito per riconoscere il diritto alla pensione superstiti.

Pensione di reversibilità al coniuge separato con addebito: le posizioni pendenti e già definite

L’INPS nella circolare chiarisce anche cosa succede con i rapporti pendenti. Per le domande presentate successivamente alla circolare devono essere applicate le nuove disposizioni. Per i rapporti pendenti, quindi per le richieste inoltrate e non ancora definite, si applicano ugualmente i nuovi criteri.

Nella circolare l’INPS sottolinea anche che è necessario riesaminare le domande respinte alla luce dei nuovi orientamenti. Vi sono però condizioni e limiti per fare ciò. In primo luogo è necessaria una nuova istanza da parte del coniuge separato la cui domanda per la pensione superstiti sia stata oggetto di rigetto. Inoltre, affinché si possa presentare la domanda e questa possa ottenere l’accoglimento, è necessario che non sia presente una sentenza passata in giudicato.

In caso di giudizi in corso, in primo grado o in appello, le strutture territoriali dell’INPS dovranno accogliere le istanze nei limiti della prescrizione quinquennale. Per i ricorsi amministrativi, dove possibile, le sedi territoriali INPS dovranno agire in autotutela.

Cosa succede se altri soggetti godono della pensione di reversibilità?

Può capitare che in assenza di coniuge altri soggetti abbiano ottenuto il riconoscimento della pensione di reversibilità, ad esempio i figli. Cosa succede in questi casi? L’INPS nella circolare 19 del 2022 chiarisce che in questo caso si rende necessaria la ricostituzione o la revoca della pensione già liquidata con effetto dalla decorrenza originaria, cioè dalla morte del soggetto titolare del diritto alla pensione.

Emerge da questa disamina che l’obiettivo dell’INPS è evitare/ ridurre il contenzioso in tale materia. Si adegua così all’interpretazione giurisprudenziale prevalente. Inoltre vita che possano esservi trattamenti diversi in situazioni analoghe, dovute alla mancata presentazione di ricorsi oppure da interpretazioni diverse operate dai vari giudici.

Naturalmente la questione si tratta in modo diverso in caso di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ovvero se i coniugi hanno perfezionato il divorzio. Occorre anche ricordare che non sempre ritornare a convivere interrompe la separazione.

Inoltre anche il TFR deve essere diviso con il coniuuge sebbene divorziato o separato. Per sapere come viene calcolato, leggi l’articolo: TFR e divorzio: quando l’ex coniuge ha diritto a una quota

Pensione di reversibilità, da oggi il via per la domanda precompilata

La Pensione di reversibilità è richiedibile anche online a partire dal 20 ottobre 2021. Ecco come fare per poterla richiedere da casa.

Pensione di reversibilità: la domanda sull’app My INPS

La pensione di reversibilità o superstiti è una parte di pensione che viene riconosciuta ai parenti del defunto. Nel primo caso è una pensione che spetta più che altro al coniuge; nel secondo caso ai figli. Ma ci sono una serie di condizioni affinché sia riconosciuta. Questo tipo di pensione è pagata dall’INPS (istituto nazionale di previdenza sociale).

La domanda, quest’anno è richiedibile online, grazie all’App My Inps. A dirlo è lo stesso Istituto con il messaggio n.3555 del 19 ottobre 2021. Infatti da giorno 20 ottobre è possibile che tutti i famigliari superstiti, una volta cessata una pensione per morte del titolare, possono accedere alla propria area personale MY INPS e utilizzare la domanda precompilata. E’ lo stesso sistema a generarla, in maniera automatica, in base ai dati in suo possesso.

Cosa fare per richiederla?

Come prima cosa avere una posizione INPS aperta. Basta entrare sul sito. Selezionando SPID – Sistema Pubblico di Identità Digitale è possibile accedere alle informazioni riguardanti il Sistema Pubblico di Identità Digitale. L’area CIE – Carta d’Identità Elettronica contiene le informazioni necessarie ai possessori di Carta di identità elettronica (CIE) per accedere ai servizi INPS.

Una volta entrati sulla propria My INPS, l’utente è comunque informati con apposita notifica che lo condurrà alla redazione della richiesta di reversibilità. Ma non solo sempre nella stessa sezione sarà possibile:

  • assistere l’utente nella presentazione della domanda precompilando il modulo con tutti i dati necessari e reperibili negli archivi già in possesso dell’Istituto;
  • facilitare il completamento del modulo rendendo, così, informazioni di interesse immediato;
  • ottimizzare i tempi di definizione dell’istruttoria e di erogazione della prestazione.

Infine l’interessato comunque sarà avvisato tramite sms sull’andamento della sua domanda di pensione di reversibilità.

Pensione di reversibilità e piano di sviluppo

La nuova modalità di presentazione della domanda precompilato di pensione di reversibilità è una valida su tutto il territorio nazionale. Anche se a dire il vero già da giugno era stato avviato un progetto pilota, ma solo in fase sperimentale e solo per alcune strutture territoriali dell’Istituto. Ma oggi le cose sono diverse ed è accessibile a tutti gli aventi diritto, stando seduti direttamente da casa.

L’innovazione dell’INPS rientra nell’ambito dei Progetti di innovazione digitale 2021. E nello specifico ricade nel progetto denominato “Piena automazione dei processi di liquidazione dei trattamenti economici semplici”. Un grande passo avanti che permette di agevolare il cittadino migliorando il rapporto con le istituzioni.

 

Pensioni di reversibilità e indiretta ai superstiti, i limiti di reddito del 2021

Alla morte di un contribuente, lavoratore o pensionato, i familiari più stretti hanno diritto a una pensione. Si tratta di una prestazione riconosciuta dall’ordinamento giuridico al coniuge e ai figli, e subordinatamente, ai genitori del defunto di almeno 65 anni, ai fratelli e alle sorelle inabili. Non è richiesto alcun requisito contributivo particolare al defunto in quanto già titolare di una prestazione pensionistica (di vecchiaia, di anzianità o di inabilità). In tal caso la prestazione spettante ai superstiti si chiama pensione di reversibilità

Pensione di reversibilità e pensione indiretta

Nel caso in cui il defunto era ancora un lavoratore (non ancora titolare di pensione) con non meno di 780 settimane di contributi o 260 settimane di versamenti dei quali almeno 156 nei cinque anni precedenti la data della morte, ai superstiti spetta la pensione indiretta. Inoltre, il mancato raggiungimento dei requisiti contributivi del defunto presso un ulteriore fondo previdenziale presso il quale il defunto ha contribuito fa scattare la pensione supplementare indiretta, spettante al solo superstite già beneficiario di prestazione di reversibilità o indiretta. 

Reversibilità, cosa succede se il coniuge ha altri redditi?

Se il coniuge svolge attività lavorative o possiede altri redditi, sia la pensione di reversibilità che quella indiretta subiscono delle riduzioni. Normalmente, i due trattamenti sono di importo pari al 60% della pensione percepita dal defunto o di quella maturata nel caso dell’indiretta. Tuttavia, in presenza di altri redditi personali, superiori a tre volte il trattamento minimo stabilito dall’Inps, la quota della prestazione spettante al coniuge si riduce di percentuali tanto più alte quanto più elevato è il reddito percepito. 

Percentuali di riduzione pensione di reversibilità o indiretta

Le percentuali di riduzione della pensione di reversibilità o di quella indiretta in presenza di altri redditi sono stabile dal comma 41 dell’articolo 1  della legge 225 del 1995 (Legge Dini). Secondo il richiamato comma, le riduzioni sono pari al 25, al 40 e al 50% della prestazione spettante nel caso in cui il reddito del superstite sia maggiore, rispettivamente, di tre, quattro o cinque volte il trattamento minimo dell’Inps. Tale limite di trattamento è stabilito per annualmente e deve essere calcolato sulle tredici mensilità.

Riduzione della pensione di reversibilità per redditi del coniuge superiori a 20.107,62 euro

Nell’anno 2021, per non subire alcuna decurtazione della pensione di reversibilità o indiretta, è necessario che il coniuge superstite non superi il limite di reddito pari a 20.107,62 euro. Nel caso in cui il coniuge dovesse superare questa soglia annua, la riduzione della prestazione (il 60% della pensione percepita dal coniuge defunto oppure quella maturata fino al momento della sua morte) sarà del 25% per un ammontare dei redditi del beneficiario da 20.107,62 euro a 26.810,16 euro. Ciò significa che l’importo spettante al coniuge superstite non sarà del 60% ma del 45% della pensione maturata dal defunto, risultato ottenuto applicando la riduzione del 25%. 

Limite di reddito che il coniuge non deve superare per ridurre della metà la prestazione di reversibilità

Per redditi del coniuge superstite superiori, la percentuale di decurtazione della prestazione spettante come reversibilità o pensione indiretta è ulteriormente più alta. Pertanto, la presenza di redditi prodotti nell’anno da 26.810,16 euro a 33.512,70 euro, fa salire la percentuale di riduzione al 40%. Ne consegue che l’importo spettante al vedovo o alla vedova sarà pari al 36% (e non il 60%) della pensione maturata dal defunto. Il taglio della prestazione può arrivare fino al 50% per redditi annui di importo superiore a 33.512,70 euro. In tal caso, la prestazione di reversibilità corrisponde alla metà (il 30%) di quanto sarebbe spettato in assenza di redditi o per redditi entro i 20.107,62 euro. 

Pensioni di reversibilità, i redditi da prendere in considerazione

I redditi da prendere in considerazione ai fini della riduzione della prestazione di pensione di reversibilità o indiretta sono quelli assoggettati all’Irpef. Gli importi vanno presi al netto dei contributi assistenziali e previdenziali, ma rientrano ai fini del calcolo il trattamento di fine rapporto e le relative anticipazioni, i redditi della casa di abitazione e le competenze arretrate sottoposte alla tassazione separata. Tuttavia, non va considerato l’importo della pensione ai superstiti sulla quale va effettuata eventualmente la riduzione stessa. 

Il superstite deve presentare la dichiarazione reddituale per la pensione di reversibilità

Sia al momento della domanda di pensione di reversibilità o indiretta, che negli anni successivi, il coniuge deve presentare la dichiarazione reddituale che attesti i redditi percepiti nell’anno di riferimento. Dalla dichiarazione si calcola la riduzione da applicare alla prestazione del defunto. Le riduzioni scattano sempre nei casi di prestazione spettante solo al coniuge, ovvero ai genitori o ai fratelli e sorelle del defunto. Diversamente, la riduzione non scatta nel caso in cui i titolari della prestazione siano i figli, minori, studenti oppure inabili, ancorché in concorso con il coniuge del defunto.  In quest’ultimo caso, l’ordinamento giuridico permette la possibilità di cumulare per intero la prestazione del defunto con eventuali altri redditi.