Buoni Fruttiferi Postali arrivata la multa dell’Antitrust. Chiesti rimborsi

Nuove brutte notizie per Poste Italiane in merito ai buoni fruttiferi postali: l’Antitrust, su esposto dell’Adiconsum Sardegna, ha comminato una sanzione di 1,4 milioni di euro per comprotamento ingannevole.

Antitrust: le informazioni sulle scadenze dei buoni fruttiferi sono ingannevoli

I buoni fruttiferi postali hanno rappresentato per decenni una forma di risparmio molto amata da tutti i cittadini che erano soliti utilizzarli anche come regali per nipoti e figli. A renderli appetibili erano i rendimenti, ma a un certo punto il rapporto di fiducia tra i risparmiatori e Poste Italiane si sono rotti e sono iniziate numerose azioni giudiziali volte al riconoscimento di maggiori interessi o minori imposte. Ora un’altra tegola cade su Poste Italiane, infatti l’Antitrust ha comminato a Poste Italiane (partecipata al 65% dallo Stato) una sanzione di 1,4 milioni di euro perché ha omesso e/o formulato in modo ingannevole informazioni essenziali relative ai termini di scadenza e di prescrizione dei titoli.

Per conoscere i dettagli della vicenda, si può leggere l’articolo precedentemente pubblicato sul caso: Buoni Fruttiferi Postali: Antitrust apre un’indagine per pratiche scorrette

Motivazioni della sanzione dell’Antitrust

L’Antitrust ha basato la sanzione sul fatto che la normativa prevede la prescrizione dei diritti dei risparmiatori una volta che siano decorsi 10 anni dalla scadenza dei buoni fruttiferi postali. Trascorso tale lasso di tempo, i buoni non sono più esigibili e il risparmiatore perde interessi e investimento iniziale. Gli importi sono devoluti allo Stato per i buoni emessi fino al 13 aprile 2001 e al Fondo per indennizzare i risparmiatori rimasti vittime di frodi finanziarie per quelli emessi successivamente.

L’Antitrust ha censurato Poste Italiane in quanto non ha fornito idonee informazioni a riguardo, inoltre non ha tempestivamente informato i risparmiatori della prossimità della scadenza dei titoli stessi causando così il mancato rimborso degli stessi. Questo comportamento secondo l’Antitrust viola:

  • il principio di correttezza e buona fede;
  • viola i doveri di diligenza professionale;
  • infine, tale comportamento è idoneo ad alterare il comportamento economico del consumatore in relazione all’esercizio dei diritti di credito relativi ai buoni fruttiferi postali.

Adiconsum: siano rimborsati i risparmiatori

Nonostante tali rilievi, l’Antitrust ha comunque ritenuto opportuno ridurre la sanzione nei confronti di Poste Italiane. Infatti in seguito all’esposto ha intrapreso la strada della trasparenza nel rapporto con i risparmiatori andando a specificare le clausole del contratto attraverso un’idonea informativa in favore dei risparmiatori al momento della sottoscrizione dei buoni fruttiferi postali.

Il caso ha preso il via in seguito a un esposto dell’associazione dei consumatori Adiconsum Sardegna ed è proprio tale associazione oggi a richiedere oltre alla sanzione anche il rimborso in favore di tutti i risparmiatori coinvolti nel caso.

Buoni Fruttiferi Postali: Antitrust apre un’indagine per pratiche scorrette

Nei giorni scorsi è stato reso noto che l’Antitrust ( Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – AGCM) ha dato il via a un’indagine nei confronti di Poste Italiane per pratiche commerciali scorrette inerenti al collocamento dei Buoni Fruttiferi Postali.

Perché parte l’indagine dell’Antitrust sul collocamento dei Buoni Fruttiferi Postali?

I Buoni Fruttiferi Postali sono uno degli strumenti di risparmio più apprezzati dagli italiani, soprattutto da coloro che vogliono avere piccoli risparmi con un rendimento sicuro. Purtroppo negli ultimi anni Poste Italiane è stata al centro di molteplici vicende giudiziarie inerenti il calcolo degli interessi e delle imposte sui Buoni Fruttiferi della serie Q/P, emessi tra il primo luglio 1986 e il 31 ottobre 1995. Rimandiamo agli approfondimenti relativi a tale questione per coloro che sono interessati, ma ora cerchiamo di capire perché c’è un’istruttoria dell’Antitrust.

L’indagine prende il via da un esposto dell’Adiconsum della Regione Sardegna. L’associazione dei consumatori, in seguito alle lamentele di numerosi risparmiatori inerenti l’indicazione sui Buoni Fruttiferi Postali non particolarmente chiara e trasparente delle condizioni e in particolare della scadenza, si sono visti rifiutare il rimborso dei Buoni in quanto scaduti e prescritti.

Per maggiori informazioni sulla prescrizione dei buoni fruttiferi leggi la guida: Prescrizione dei Buoni Fruttiferi Postali: quando si verifica?

L’Antitrust nel provvedimento di apertura dell’istruttoria ha sottolineato che Poste Italiane nella gestione dei buoni caduti in prescrizione negli ultimi 5 anni avrebbe omesso di informare i consumatori della scadenza dei titoli e delle conseguenze che sarebbero derivate in caso di prescrizione degli stessi a causa della mancata richiesta di rimborso dei titoli da parte dei risparmiatori nei termini previsti. Poste Italiane, da quanto emerge, avrebbe continuato ad avere questo comportamento nonostante avesse già ricevuto numerose reclami da parte dei risparmiatori incorsi nella prescrizione.

I prossimi passi per avere tutela in caso di mancato rimborso dei Buoni Fruttiferi Postali

A spiegare i passi successivi da compiere è Giorgio Vargiu, presidente di Adiconsum Sardegna. Lo stesso ha sottolineato che, nel caso in seguito all’istruttoria, l’Antitrust dovesse rivelare che Poste Italiane ha avuto un comportamento scorretto, i risparmiatori potranno intentare causa, da soli oppure affidandosi ad associazioni dei consumatori, al fine di ottenere la restituzione di quanto investito e degli interessi maturati.

Adiconsum ha anche sottolineato che ha tratto in inganno i risparmiatori il fatto che nella scheda di sintesi dei BPF c’era la dicitura “capitale investito sempre rimborsabile”. Ciò ha indotto molti a ritenere che almeno il capitale potesse essere sempre recuperato. Inoltre secondo Adiconsum a trarre in inganno i risparmiatori vi era anche un grafico posto nella scheda di sintesi in cui c’era la dicitura “durata massima di 20 anni”, questo avrebbe indotto i risparmiatori a ritenere che in realtà si intendesse che per 20 anni i buoni avrebbero continuato a produrre interessi e non che non sarebbero più stati rimborsati.

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Contributi INPS: quando cadono in prescrizione?

“Prescrizione” sembra essere la parola magica quando si parla di mancati pagamenti, proprio quella situazione che spera si concretizzi a chi attende timorosamente un sollecito di pagamento poco gradito che infrangerebbe il suo auspicio. Come tutti i debiti, anche quelli relativi i contributi INPS possono cadere in prescrizione, che siano stati omessi o non dichiarati. Ma da quando decorre il termine di prescrizione e quanto dura?

Poiché la prescrizione ha una durata di cinque anni, così come lo è quella di tutti i contributi a prescindere dalle gestioni previdenziali, l’oggetto del contendere tra l’INPS e il contribuente resta l’inizio della decorrenza dei termini.

INPS e contribuente: posizioni diverse

Il motivo della contesa tra l’ente previdenziale e il contribuente risiede nel fatto che il primo, solitamente, invia gli avvisi di pagamento ai contribuenti per l’omissione dei versamenti dovuti, a ridosso della loro prescrizione, cosa che illude i mancati pagatori. Difficile capire perché l’INPS adotti questa consuetudine, ma un invio degli avvisi vicino al termine della prescrizione, induce il contribuente a verificare se il debito si sia già estinto o meno.

Come appena anticipato, i contributi INPS da dichiarazione si prescrivono in cinque anni: per azzerare il periodo di prescrizione l’ente previdenziale deve inoltrare una richiesta di pagamento, entro tale termine, al contribuente che ha omesso il pagamento dei contributi.

Il problema sorge nel momento in cui la richiesta di pagamento viene comunicata a ridosso della scadenza dei cinque anni. A questo punto, è d’obbligo stabilire quando parte realmente la decorrenza della prescrizione. In parole semplici: da quale giorno si deve considerare avviata la decorrenza della prescrizione?

Per questo motivo, è importante capire quando scatta la prescrizione per contributi non versati ma dichiarati, e quando, invece, per gli stessi contributi INPS non versati e nemmeno dichiarati.

La prescrizione dei contributi non versati ma dichiarati

L’INPS sostiene la posizione secondo cui, ai fini del conteggio della prescrizione per l’omesso versamento dei contributi previdenziali da dichiarazione, si debba prendere in considerazione che il momento iniziale la data d’invio della dichiarazione dei redditi, sia da considerare come il giorno a partire da cui è possibile, per gli enti demandati al controllo delle dichiarazioni, verificare l’avvenuto versamento di quanto dovuto.

Diversa la posizione dei contribuenti, per cui l’inizio del periodo di computo debba coincidere con la data di scadenza del versamento dovuto. La differenza tra le due posizioni è notevole, visto che nel sistema italiano i versamenti dei saldi da dichiarazione annuale scadono alcuni mesi prima dell’invio telematico del modello dichiarativo.

Sul contenzioso tra INPS e contribuente è intervenuta a più ripresa la Corte di Cassazione. A tal proposito, i giudici supremi con la sentenza n. 4899 del 23 febbraio 2021 chiariscono con testuali parolec cheil fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva è costituito dall’avvenuta produzione, da parte del lavoratore autonomo, di un determinato reddito costituente la base imponibile per il calcolo del contributo” e che “la decorrenza del termine di prescrizione dipende dall’ulteriore momento in cui la corrispondente contribuzione è dovuta e quindi dal momento in cui scadono i termini di pagamento di essa”.

Quindi, è possibile dichiarare che la prescrizione dei contributi INPS da dichiarazione avviene in cinque anni a partire dal giorno in cui questi versamenti dovevano essere versati.

Meno definita la questione del contendere tra INPS e contribuente, quando i contributi previdenziali, non solo non sono stati versati dal contribuente, ma nemmeno dichiarati.

La prescrizione dei contributi non versati e non dichiarati

In tal caso sulla prescrizione pesa il punto 8 dell’art. 2941 del Codice civile, in base al quale la prescrizione resta sospesa tra il debitore che ha omesso volontariamente l’esistenza del debito e il creditore, fino a quando il dolo non sia stato scoperto. L’INPS ha così rafforzato la sua posizione, per la quale la prescrizione è sospesa sino a quando non emerga l’omissione, a seguito dell’ordinaria attività di controllo delle dichiarazioni dei redditi.

Ciononostante, la Corte di Cassazione con l’ordinanza 14410/2019 ha stabilito che “l’operatività della causa di sospensione della prescrizione, di cui all’articolo 2941, numero 8, Codice civile, ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito”, che tale criterio “richiede di considerare l’effetto dell’occultamento in termini di impedimento non sormontabile con gli ordinari controlli”, e che “va pertanto affermato che la mancata denuncia del reddito non equivalga né ad un doloso e preordinato occultamento del debito contributivo da corrispondere all’INPS, né che essa configuri impedimento assoluto, non scongiurabile con i normali controlli che l’istituto può invece sempre attivare e sollecitare anche rivolgendosi all’Agenzia delle Entrate”.

Quanto stabilito dai giudici supremi con la sentenza sopra citata, è di fondamentale importanza interpretativa per l’oggetto del contendere: escludendo la legittimità dell’applicazione dell’articolo 2941 n. 8 del Codice civile, la Corte di Cassazione, di fatto, riporta la fattispecie (la prescrizione dei contributi INPS non versati e non dichiarati) all’interno dell’ordinario perimetro di prescrizione, che, anche in questo caso, sarà di cinque anni dalla data del versamento omesso.

In conclusione, nel contenzioso tra ente previdenziale e contribuente per quanto concerne il computo della prescrizione dei contributi non versati e non dichiarati, la giurisprudenza va nella direzione di salvaguardare, per quanto possibile, il contribuente piuttosto che l’INPS.

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Prescrizione bollo auto: quando si può non pagarlo più?

Il bollo è una delle tasse meno amate dai cittadini e, a volte per dimenticanza, altre per mancanza di liquidità oppure per il desiderio di evadere questo balzello,  capita che il contribuente non paghi il bollo auto. In questi casi è possibile avvalersi della prescrizione del bollo auto, ma quando matura?

La prescrizione del bollo auto

La prescrizione del bollo auto si verifica dopo 3 anni da quello successivo rispetto alla scadenza. Per avere però la prescrizione devono verificarsi anche altre condizioni e in particolare vi deve essere un’inerzia dell’ente che deve riscuotere, si tratta della Regione oppure dall’Agenzia delle Entrate che si occupa della riscossione in Friuli Venezia Giulia e Sardegna.

La normativa da applicare è l’art. 5 del D.l. 953/82, modificato dall’art. 3 del D.l. 2/86 convertito nella legge 60/86: “l’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero delle tasse dovute dal 1° gennaio 1983 per effetto dell’iscrizione di veicoli o autoscafi nei pubblici registri e delle relative penalità si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento”.

Le Regioni non possono derogare ai termini di prescrizione del bollo auto

Va precisato che la Corte Costituzionale in un’importante pronuncia, la sentenza 311 del 2003, stabilisce che in realtà il bollo auto è un tributo attribuito alla Regione, ma non istituito dalle regioni e di fatto è un tributo statale e di conseguenza le Regioni non possono stabilire proroghe o condoni. Discende da questo postulato che l’applicazione del termine di prescrizione non può essere oggetto di deroga da parte delle Regioni ed è unico in tutto il territorio nazionale.

La sentenza è il frutto dell’impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri  di una normativa della Regione Campania che istituiva un termine di prescrizione più lungo per il bollo auto, motivando tale scelta con la difficoltà di riscuotere in un così breve lasso di tempo anche a causa della modifica dei sistemi ACI. La Corte Costituzionale ha ravvisato nella norma  anche una discriminazione dei cittadini campani rispetto alla totalità dei contribuenti. Questo implica che se una Regione, oltre il termine di prescrizione, in forza di una legge regionale,  dovesse chiedere ai contribuenti il pagamento del bollo auto prescritto, l’atto deve essere impugnato.

 Cosa interrompe il termine di prescrizione?

Il termine di prescrizione inizia a decorrere dall’anno successivo rispetto alla scadenza, quindi se il bollo scade il 31 ottobre 2020, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal 1° gennaio 2021 e termina il 31 dicembre del terzo anno successivo (31 dicembre 2023). Ciò implica che dal 1° gennaio del 2024 l’amministrazione non potrà richiedere il pagamento del bollo auto scaduto.  Nel frattempo però l’ente che riscuote la tassa potrebbe accorgersi del mancato pagamento e in questo caso invia un avviso bonario in cui si invita il contribuente a effettuare il pagamento. Tale notifica va ad interrompere il termine di prescrizione che  inizia a decorrere nuovamente il giorno successivo rispetto a quello in cui il contribuente ha ricevuto l’avviso.  A questo punto il contribuente può pagare, contestare il mancato pagamento,  ad esempio presentando la ricevuta del pagamento effettuato,  o continuare ad omettere il pagamento.

L’iscrizione a ruolo delle somme

Se trascorrono 3 ulteriori anni senza nessuna notifica c’è la prescrizione, ma in caso contrario e quindi se vi è il secondo passo solitamente fatto dall’amministrazione, cioè  l’iscrizione a ruolo delle somme e la notifica della cartella esattoriale in cui il contribuente viene invitato a sanare la posizione entro 60 giorni, questo atto va di nuovo a interrompere i termini di prescrizione, che ricominciano poi a decorrere nuovamente. Si deve ricordare che dopo la notifica della cartella esattoriale, il contribuente può proporre opposizione, ma in assenza di ricorso o di pagamento entro i termini stabiliti, l’amministrazione procede ad inviare il preavviso di fermo e dopo 30 giorni il fermo amministrativo sarà attivo, quindi l’auto non potrà circolare. Il ricorso avverso la cartella esattoriale interrompe i termini di prescrizione che ricominciano a decorrere quando il giudizio sarà concluso e il provvedimento divenuto definitivo.

Quando si verifica la prescrizione del bollo auto?

In linea di massima la prescrizione può verificarsi anche dopo molti anni rispetto alla scadenza iniziale. Per ridurre il carico pendente delle riscossioni, il decreto fiscale 2019 ha previsto la cancellazione delle imposte scadute e non riscosse e tra queste il bollo auto scaduto tra il 2000 e il 2010, ciò fino all’importo massimo di 1000 euro che deve però comprendere anche interessi e sanzioni e quindi non il bollo “puro”. La cancellazione di tali importi avviene in modo automatico. Inizialmente su tale norma c’è stata molta confusione infatti molte Regioni hanno ritenuto che in realtà il decreto fiscale 2019 non si riferisse anche al bollo auto, a chiarire i dubbi è intervenuto il Ministero con una sua nota che ha appunto previsto che nel decreto strappa-cartelle rientrava anche il bollo auto.

 Cosa fare se c’è la notifica di una cartella esattoriale per bollo auto scaduto e prescritto?

La prima cosa da fare è valutare bene se i termini sono realmente prescritti oppure se è stato notificato un atto di accertamento. Se si è sicuri della prescrizione si può procedere con un’istanza di sospensione legale della riscossione; l’ente deve rispondere a tale istanza entro 220 giorni, se non lo fa il debito si intende prescritto.

In alternativa o contemporaneamente  si può proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, in questo caso inizia una vera procedura giudiziaria volta ad accertare se effettivamente la prescrizione è maturata.

Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto; la richiesta di sospensione legale della riscossione non interrompe i termini per la proposta del ricorso alla commissione tributaria.