Pensione integrativa, a chi conviene aderire alla previdenza complementare e quando

A chi conviene aderire alla previdenza integrativa dei fondi pensione e in quale momento? Sono questi due tra i maggiori quesiti che si pongono i lavoratori nel momento in cui devono decidere se affidarsi a una futura pensione “di scorta” e a partire da quale età.

Perché si ricorre alla pensione integrativa?

Il ricorso alla pensione integrativa è dettato innanzitutto dalla motivazione di mantenere nel tempo una mensilità adeguata alle proprie esigenze e al tenore di vita condotto. Infatti, quando un contribuente va in pensione da lavoro, l’assegno mensile potrebbe non soddisfare le proprie necessità. Da qui l’esigenza di integrare la propria pensione futura con un assegno maturato sulla base dell’adesione volontaria ai fondi pensione.

Con l’aumento della speranza di vita le pensioni sono spalmate su più anni

La tendenza del ricorso alla previdenza complementare è tanto più ampia quanto maggiori sono i dubbi sulle pensioni da lavoro. Le pensioni pubbliche, infatti, continuano a subire nel tempo aumenti dei requisiti di uscita e diminuzione della rata mensile. A partire dagli anni ’90 il progressivo aumento della speranza di vita, e dunque l’incremento della vita media a partire dai 65 anni di età, ha avuto come conseguenza  l’allungamento del periodo in cui si beneficia della pensione, oltre a un maggior numero di anni di contributi da versare durante la vita lavorativa.

Previdenza integrativa: adesione perché le pensioni sono sempre più basse

Inoltre, proprio l’allungamento della vita da pensionato unito al forte rallentamento della crescita economica (con conseguente riduzione del peso dei contributi versati durante la vita lavorativa), ha imposto dei cambiamenti ai meccanismi previdenziali italiani. Il risultato ottenuto è quello che, progressivamente, si esce a un’età sempre più alta con un mensile di pensione sempre più basso a causa di coefficienti di trasformazione tendenzialmente al ribasso.

Contribuenti e futuro tenore di vita: l’integrazione dei fondi pensione

Con il superamento del sistema previdenziale retributivo, inoltre, le rivalutazioni delle future pensioni non saranno più legate, in alcun modo, all’aumento delle retribuzioni. In questo scenario di progressivo aumento della speranza di vita e di riduzione dell’assegno di pensione, il contribuente preoccupato del proprio tenore di vita futuro rappresenta il profilo più sensibile alle possibilità offerte dalla previdenza complementare.

Come sapere di quanto sarà l’importo mensile della pensione?

Il primo passaggio da compiere è conoscere quale sarà l’importo della propria pensione nel momento di uscita dal mondo del lavoro. L’Inps, ma anche altri siti specializzati in pensioni, ha creato una piattaforma (la Busta arancione) all’interno del proprio portale istituzionale per avere una stima di quello che sarà il futuro assegno previdenziale. Oltre all’importo prospettato per la pensione, dalla simulazione si può ricavare anche il tasso di sostituzione della previdenza obbligatoria.

Il tasso di sostituzione per capire se è necessario ricorrere alle pensioni integrative

Il tasso di sostituzione esprime il rapporto tra la prima rata di pensione e l’ultimo stipendio (o il reddito per i lavoratori autonomi). Pertanto, è l’indicatore che maggiormente descrive quale sarà la futura pensione rispetto allo stipendio in termini percentuali. Ad esempio, a fronte di uno stipendio attuale di 1200 euro e con un tasso di sostituzione pari al 70%, la futura pensione sarà di 840 euro.

Quanti dei contributi versati torneranno indietro sotto forma di pensione?

La simulazione Inps che consente di avere una stima della futura pensione (da ripete periodicamente per i cambiamenti che intervengono nella vita lavorativa) potrebbe rappresentare un primo indizio per il ricorso alla previdenza complementare. Quanto ritorna indietro dei contributi che si sono versati durante la vita lavorativa? Chi dalla simulazione ottiene un  risultato non soddisfacente, può giocarsi la carta della previdenza complementare. L’obiettivo è quello di avere un’alternativa previdenziale per poter beneficiare, in futuro, di una rendita che vada a integrare la pensione pubblica.

Fondo pensione: in che modo aderire?

Non è necessario che la rata mensile dei contributi versati a un fondo pensione sia elevata. Invece, è consigliabile spalmare la contribuzione complementare su un numero più ampio possibile di anni. Anche un importo non elevato può rappresentare, per un numero elevato di anni, una formula di previdenza e di risparmio soddisfacente. Inoltre, se si sceglie di aderire a un fondo pensione in giovane età è possibile aderire a fondi più rischiosi, ma con un rendimento più elevato. Diversamente, più si è vicini all’uscita per la pensione e maggiormente si vira verso fondi più sicuri e con rendimenti meno elevati.

Quali sono i vantaggi dell’adesione al fondo pensione in età giovanile?

Un aspetto del “quando aderire” è rappresentato dai vantaggi riservati ai più giovani. Infatti, meno elevata è l’età di partecipazione al fondo pensione e maggiori sono i benefici della previdenza complementare. Sono almeno quattro i vantaggi che possono riscontrarsi in un’adesione di lunga data:

  • la rivalutazione assicurata dai fondi con i connessi vantaggi della deducibilità fiscale;
  • La deducibilità fiscale per i versamenti previsti periodicamente per la partecipazione al fondo;
  • la possibilità di accedere a quanto già versato nel caso in cui si dovessero presentare situazioni di difficoltà;
  • il reintegro del capitale nei periodi più favorevoli.

Quanto si può avere in più di pensione con la previdenza complementare?

Con la stima della propria futura pensione è più facile scegliere, tra i fondi pensione, quello che potrà garantire l’integrazione utile a mantenere un tenore di vita adeguato. Per conoscere di quanto si può integrare la pensione con la previdenza complementare esistono sul web numerosi comparatori. Questi strumenti servono a mettere a confronto tra loro le diverse formule di pensione integrativa. L’attenzione va posta sulla soluzione che massimizza il rapporto dei costi di accesso ai rendimenti.

Previdenza complementare, quanto bisogna versare per avere una ‘pensione di scorta’?

Quanto è necessario versare per avere in futuro una pensione di scorta? Il riferimento è alla pensione integrativa che permette di integrare l’assegno previdenziale una volta maturati i requisiti di uscita da lavoro. Tuttavia, l’importo stimabile su quanto versare per avere una soddisfacente pensione integrativa non è univoco, ma dipende da vari parametri.

In base a cosa si sceglie l’importo da versare per la pensione integrativa?

Incidono nella scelta di quanto versare per la pensione integrativa più fattori. Innanzitutto l’importo della pensione integrativa nel momento in cui spetta la prestazione previdenziale. In seconda battuta, di quanto si incrementa la pensione lavorativa decidendo di ricorrere anche alla pensione integrativa. Inoltre nella scelta va considerato anche il numero di anni che spettano di contribuzione per l’accumulo ai fini della prestazione integrativa. Infine, il rendimento netto derivante dalla propria scelta.

Come si procede per la scelta di quanto versare per la pensione integrativa

Il primo passaggio da compiere è quello di stimare la propria pensione lavorativa una volta che matureranno i requisiti per l’uscita da lavoro. È importante, in questo senso, tenere sotto controllo le simulazioni della “Busta arancione” dell’Inps, lo strumento che permette di stimare quale sarà l’importo mensile della futura pensione. Ottenuta l’informazione, è necessario immaginare di quanto dovrebbe essere l’incremento della pensione lavorativa versando alla previdenza complementare. Si tratta di un calcolo del tutto personale, basato sul proprio tenore di vita e sulle spese previste in futuro.  Dunque la pensione integrativa, insieme alla pensione pubblica, dovrebbe consentire di non perdere la situazione economica che il contribuente ha durante la vita lavorativa.

Pensione integrativa: è necessario considerare per quanto tempo bisogna versare contributi

Naturalmente, tra i fattori di scelta rientra anche la durata della contribuzione alla previdenza complementare. Nella scelta bisogna tener presente che tanto più alto è il numero di anni di versamenti al fondo pensione, tanto maggiore è la somma che si accumulerà per la vita futura da pensionati. Non è necessario versare mensilmente somme elevate: con contributi relativamente contenuti negli anni si può accumulare una buona somma.

Pensione integrativa: i vantaggi della fiscalità

Se al beneficio futuro di avere una pensione integrativa si aggiungono i vantaggi fiscali derivanti dai versamenti il gioco è fatto. In particolare, il contribuente ha la possibilità di beneficiare della deducibilità fiscale fino a 5.164 euro all’anno sui versamenti sostenuti. L’importo netto del contributo sarà pertanto inferiore a quanto realmente accantonato presso il fondo pensione.

Previdenza complementare: non solo pensione futura, ma anche rendimento dell’investimento

La scelta di aderire a un fondo pensione non deve essere valutata solo ai fini della futura pensione di scorta, ma anche dal punto di vista del rendimento dell’investimento fatto. In linea di massima, una delle regole principiali per chi aderisce ai fondi pensione è quella di valutare la partecipazione a proposte più rischiose ma con più alti rendimenti quanto più si è lontani dalla pensione lavorativa.

Contribuente vicino alla pensione, quanto si può rischiare con i fondi più redditizi?

Viceversa, per chi è più vicino all’uscita da lavoro è consigliabile puntare su soluzioni meno redditizie, ma sicuramente meno rischiose. L’obiettivo è quello di avere un rendimento che nel tempo possa essere il più bilanciato possibile. Il punto ottimale, dunque, è quello in cui il contribuente riesce a mantenere in linea la scelta dell’adesione al fondo pensione con il livello di rischio che è disposto ad accettare.

I rendimenti dei fondi pensione cambiano nel tempo

Naturalmente, la scelta di adesione a un fondo pensione non è per sempre. Ovvero si può rimodulare strada facendo il proprio percorso di contribuzione. Questo dipende anche dal fatto che i rendimenti attesi nel tempo possono variare. A far decidere al contribuente di provare a fare qualche cambiamento sul piano contributivo della pensione integrativa può concorrere il proprio patrimonio e gli anni che spettano prima della pensione. Per questo motivo nessuna scelta è vincolante.

Formule di adesione alla pensione integrativa tramite il datore di lavoro: l’accordo collettivo aziendale

In tema di quanto pagare per avere una buona pensione integrativa futura non vanno dimenticate le adesioni ai fondi pensione rientranti in accordi collettivi o regolamenti aziendali. L’accordo collettivo al fondo pensione consente all’aderente di beneficiare anche del contributo versato dal proprio datore di lavoro. L’entità del versamento di quest’ultimo è stabilito proprio dall’accordo aziendale. La condizione da rispettare è quella che il lavoratore deve versare, a sua volta, quanto stabilito dall’accordo stesso o, in alternativa,  un importo maggiore.

Adesione contrattuale al fondo pensione: il lavoratore sceglie se versare

Diversamente dall’accordo, con l’adesione contrattuale (e in presenza di versamenti fatti già dal datore di lavoro al fondo pensione a favore del dipendente) il lavoratore può decidere se contribuire e di quanto deve essere la sua rata mensile. Dunque l’obbligo di accantonamento al fondo pensione vige solo sul datore di lavoro, ma il lavoratore può decidere di incrementare la propria quota di adesione.

Fondo pensione, adesione tramite il Trattamento di fine rapporto (TFR)

L’obbligo o la decisione del lavoratore di integrare i versamenti al fondo pensione nei casi di accordo o di adesione contrattuale può essere ottemperata attraverso il Trattamento di fine rapporto. Infatti, il lavoratore può integrare la propria posizione versando il proprio Tfr futuro, in tutto o in parte. Tuttavia, se il lavoratore dovesse decidere di aderire con il solo Tfr non potrà avvalersi della contribuzione del datore di lavoro. Pertanto, al lavoratore spetta la scelta di contribuire anche di tasca propria: solo in questo caso, il datore di lavoro è obbligato a contribuire per la sua parte. I limiti e le modalità di contribuzione, tuttavia, devono essere previsti dagli accordi aziendali di riferimento.

Pensione integrativa e convenienza fiscale: la deducibilità delle partite Iva forfettarie

I lavoratori autonomi che adottano la partita Iva in regime forfettario non possono sfruttare tutte le detrazioni e le deduzioni fiscali contemplate nel regime ordinario della partita Iva, ad eccezione dei contributi previdenziali obbligatori. Tuttavia, anche chi rientra nel regime forfettario può avvalersi di deduzioni e detrazioni fiscali nel caso di altri redditi sui quali sono dovute le imposte Irpef. Rientrano in questo campo di applicazione l’ulteriore reddito da lavoro dipendente o da locazione, purché senza cedolare secca.

Pensione integrativa e regime forfettario

Nel caso del regime forfettario, l’adesione alla pensione integrativa, dunque, non comporta l’applicabilità della deduzione fiscale dei contributi versati al fondo pensione. La deducibilità, tuttavia, è possibile sugli ulteriori altri redditi soggetti a Irpef. L’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica è prevista sulla parte di contributi non dedotta.

Esenzione fiscale della prestazione finale del fondo pensione

Tuttavia, anche nel caso del regime forfettario di partita Iva è prevista l’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica futura. Infatti, nell’erogazione della prestazione previdenziale si deve considerare:

  • che la prestazione è soggetta a ritenuta con aliquota agevolata, tra il 15 % e il 9% a seconda della durata, in anni, di partecipazione al fondo pensione;
  • che la ritenuta è esente, in parte, da tassazione.

Base imponibile prestazione pensione integrativa soggetta a ritenuta

Il vantaggio, anche per le partite Iva a regime forfettario, consiste nel fatto che sulla base imponibile della futura prestazione pensionistica, e sulla quale andrà applicata la ritenuta d’imposta, dovrà essere escluso quanto già tassato precedentemente. Dunque, risultano esenti dalla prestazione pensionistica:

  • i rendimenti già tassati nella fase in cui si sono versati i contributi;
  • i contributi che il contribuente non ha dedotto ficalmente.

Partita Iva con regime forfettario: come funziona la deducibilità dei contributi al fondo pensione

Un contribuente con partita Iva a regime forfettario che abbia versato al fondo pensione contributi per 4.500 euro, dunque, non potrà godere, a differenza degli altri regimi di partita Iva, della deduzione fiscale sui contributi versati. In ogni caso, il contribuente dovrà procedere a inoltrare al fondo pensione la comunicazione dei “contributi non dedotti“. Il lavoratore autonomo deve presentare la comunicazione non oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale i contributi sono stati versati. L’importo che deve contenere la comunicazione è pari a 4.500 euro, ovvero al totale annuo dei contributi pagati al fondo.

Contribuenti forfettari: esenzione fiscale della prestazione pensionistica

Come già detto in precedenza, i 4.500 euro versati al fondo pensione, pur non essendo deducibili nel momento in cui sono stati versati, rappresentano l’esenzione fiscale della futura prestazione pensionistica. E pertanto, il contribuente in regime forfettario, con la comunicazione dei contributi non dedotti, dichiara al gestore del fondo di non essersi avvalso della deducibilità fiscale dei contributi versati. Ma godrà della detassazione totale per 4.500 euro una volta che avrà ottenenuto la prestazione previdenziale complementare.

Deducibilità contributi pensione integrativa per partite Iva ordinarie

Diverso è il caso dei lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Un contribuente che versi al fondo pensione contributi per 3.000 euro l’anno, ottiene la deducibilità fiscale dei versamenti per lo stesso importo.  I contributi versati al fondo non superano il limite massimo della deducibilità, fissato in 5.164,57 euro. Non dovrà presentare alcuna comunicazione al fondo pensione per contributi non dedotti, ma cambia la fiscalità della futura prestazione pensionistica. Infatti, all’ottenimento della pensione integrativa i rendimenti saranno tassati.

Pensione integrativa: quali vantaggi per la partita Iva ordinaria?

Diverso è, inoltre, il caso di un contribuente, in regime di partita Iva ordinaria, che versi contributi al fondo pensione superiori al limite di deducibilità. Ad esempio, un lavortore autonomo che versi 7.000 euro annui a fronte del massimo deducibile di 5.164,57 euro. Proprio il limite costituisce dunque, il massimo della deduzione fiscale dei contributi versati in sede di dichiarazione dei redditi. Tuttavia, la differenza tra quanto versato e il massimo, pari a 1.835,37 euro, deve essere comunicata al fondo pensione. La comunicazione dovrà avvenire per mettere al corrente dei contributi che il contribuente non ha dedotto.

Futura pensione complementare di chi lavora con partita Iva

In quest’ultimo caso, dunque, il contribuente si avvarrà, nella futura prestazione complementare, di una quota esente da tassazione rappresentata dai contributi che non sono stati dedotti fiscalmente. E pertanto, nella base imponibile soggetta a ritenuta d’imposta sulla futura pensione integrativa, dovranno essere sottratti i contributi che non sono stati dedotti fiscalmente negli anni di accumulo. Nel caso in questione, tali contributi sono pari proprio a 1.835,57 euro.