Più sconti contributivi in agricoltura, tre sostegni ai pescatori

Sconti contributivi in agricoltura più ampi dopo i chiarimenti dell’Inps sul regime applicabile alle zone particolarmente svantaggiate e montane. E alcune misure a favore dei pescatori penalizzati dalla crisi scaturita dal conflitto in Ucraina. Sono queste le due novità arrivate a sostegno dei datori di lavoro e dei dipendenti del settore primario. In particolare, come chiarito dall’Inps, l’esonero contributivo applicato al 75% per i territori montani e al 68% per le zone svantaggiate, può essere beneficiato anche dai datori di lavoro non inquadrati nel settore agricolo per i dipendenti addetti alle attività classificate come agricole.

Sgravi contributivi 2022, a quali aziende agricole vanno?

Il chiarimento è arrivato dall’Inps con la circolare numero 1666 del 2022. La misura a favore del settore agricolo consiste nella diminuzione dei premi e dei contributi dovuti dai datori di lavoro del settore per i propri dipendenti. Gli sconti contributivi possono essere goduti sia per il personale assunto a tempo determinato che indeterminato. In particolare, per i territori montani particolarmente svantaggiati, l’agevolazione a favore del datore di lavoro consiste nella riduzione al 25% di premi e contributi. Con un abbattimento degli stessi del 75%. Per le zone agricole svantaggiate occorre far riferimento all’Obiettivo 1 del regolamento numero 1260 del 1999 che comprende anche le regioni di Basilicata, Molise e Abruzzo. L’agevolazione a favore dei datori di lavori è fissata al 32% dei premi e dei contributi dovuti, con uno sgravio dunque del 68%.

Quali imprese, anche non agricole, possono beneficiare degli sgravi contributivi?

La circolare Inps ha chiarito che le attività agricole comprese nello sgravio dei contributi, compresa l’assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, le disposizioni per l’assistenza e la previdenza, rientrino anche i datori di lavoro i cui dipendenti assunti, sia a tempo determinato che indeterminato, siano da considerare come agricoli anche nei casi in cui si tratti di:

  • pubbliche amministrazioni per gli interventi di forestazione;
  • aziende associate o singole impegnate in appalti o in concessione per interventi di forestazione;
  • consorzi per l’irrigazione e il miglioramento fondiario, inclusi i consorzi di bonifica e quelli per la manutenzione degli impianti irrigui;
  • aziende, anche in forma associata, che si occupano di proteggere e curare la fauna selvatica e al controllo della caccia;
  • imprese non agricole che sono collegate alla raccolta di prodotti agricoli e alle attività di pulitura, cernita e imballaggio;
  • le aziende che fanno interventi di manutenzione e di sistemazione forestale e agraria.

Aziende pesca, in arrivo nuovi sostegni per i pescatori dovuti alla guerra in Ucraina

Per le aziende del settore della pesca sono in arrivo tre nuovi sostegni per contrastare gli effetti negativi scaturiti dalla guerra in Ucraina. Si tratta di bonus per l’arresto temporaneo delle attività di acquacoltura e della pesca, anche per la mancanza di sicurezza. Infatti, il primo intervento in arrivo è quello che sostiene le imprese del settore per i fermi temporanei delle attività nel caso di rischi per l’aggressione della Russia all’Ucraina; il secondo intervento sostiene le imprese dedite a immagazzinare i prodotti ittici in ammasso, secondo quanto prevede il Regolamento comunitario numero 1379 del 2013; il terzo sostiene le aziende ittiche per il mancato guadagno e per le spese aggiuntive derivanti dalla crisi in Ucraina. Gli aiuti funzioneranno anche come rimborsi per le spese sostenute a partire dal 24 febbraio 2022.

Sconto contributivo, qual è il limite di retribuzione mensile per il taglio dello 0,8%?

Arrivano le istruzioni dell’Inps sull’applicazione dello sconto contributivo con tetto mensile della retribuzioni pari a 2.692 euro. Il limite rappresenta il limite massimo per applicare il taglio dello 0,8% dei contributi nella busta paga. Sulla tredicesima mensilità lo sconto contributivo opera solo se il suo ammontare non ecceda la stessa somma. Sono le indicazioni riportate nella circolare numero 43 dell’Inps del 22 marzo 2022. La nota comprende le indicazioni sull’applicazione dell’esonero di 0,8 punti percentuali sulla quota dei contributi previdenziali per la pensione di vecchiaia, per l’invalidità e per i superstiti a carico del lavoratori.

Sconto contributivo Inps, quali lavoratori possono accedere?

Secondo quanto chiarito dall’Inps sulla base dello sconto contributivo introdotto dalla legge di Bilancio 2022 (la legge numero 234 del 2021), possono accedere alla riduzione dei contributi tutti i lavoratori dipendenti di datori di lavoro privati e pubblici, indipendentemente dalla circostanza che assumano o meno la natura di imprenditore. Pertanto, il taglio dei contributi trova applicazione per tutto il periodo temporale di applicazione (dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022) per tutti i rapporti di lavoro alle dipendenze a esclusione di quelli domestici (compresi gli apprendisti), purché venga rispettato il limite della retribuzione mensile.

Sconto contributivo, cosa succede se la retribuzione mensile risulta superiore al limite di 2.692 euro?

Ciò significa che la retribuzione imponibile ai fini previdenziali deve essere al massimo pari a 2.692 euro al mese. Se la retribuzione mensile risultasse eccedente, il lavoratore non avrebbe diritto alla facilitazione. L’unica eccezione al superamento del limite fissato mensilmente è rappresentata dalla tredicesima mensilità di dicembre. In questo caso, secondo le indicazioni fornite dall’Inps, si prospetta un doppio limite di pari importo.

Sconto contributivo, come considerare la retribuzione mensile e la tredicesima mensilità di dicembre?

Ovvero l’importo di 2.692 euro deve essere applicato, in via separata, sia alla retribuzione relativa allo stipendio ordinario, sia alla tredicesima mensilità. Pertanto, il limite non si deve eccedere né come tetto della retribuzione mensile ordinaria, né come mensilità aggiuntiva. Il controllo del doppio limite per l’applicazione dello sconto contributivo vale solo per il singolo mese e non per l’anno completo. Ciò significa che i contribuenti che speravano che l’applicazione del limite valesse per l’anno completo, ovvero un limite complessivo di 2.692 euro per 13 mensilità pari a 34.996 euro (con recupero a conguaglio delle mensilità non agevolate) dovrà rivedere i calcoli.

Sconto contributivo, perché non si può considerare il limite annuale e bisogna considerare il tetto mensile?

Su questo punto, infatti, l’Inps ha chiarito che l’interpretazione della norma non può ritenersi estensiva. Pertanto, il limite di 2.692 euro va inteso per la retribuzione mensile ordinaria, mentre per il rateo della tredicesima mensilità, il rispetto del limite deve essere calcolato come riferimento a un dodicesimo di 2.962 euro, pari a 224 euro.

Sconto contributivo, va applicato anche alla quattordicesima mensilità?

Per i contribuenti che ricevono anche la quattordicesima mensilità, l’Inps ha chiarito inoltre che il riconoscimento del taglio dello 0,8% dei contributi nel mese di erogazione della mensilità aggiuntiva non avviene se l’imponibile previdenziale mensile eccede il limite dei 2.962 euro. Pertanto, nel caso della quattordicesima, se il cumulo della retribuzione mensile e la quota aggiuntiva eccede la soglia di 2.962 euro, lo sconto dello 0.8% non deve essere applicato.

Sconto contributivo dello 0,8%, cosa avviene se il contribuente chiude il rapporto di lavoro prima della fine del 2022?

Cosa avviene se il rapporto di lavoro si chiude prima del termine del 2022 ai fini dello sconto contributivo e del taglio dello 0,8% sui versamenti? In questa situazione, l’Inps ha chiarito che devono essere valutate separatamente la retribuzione ordinaria e le quote della tredicesima liquidati. Il che significa che il mese del termine del rapporto di lavoro deve essere valutato come se fosse quello di dicembre 2022.

Sconto contributivo, cosa avviene se l’imponibile previdenziale si abbassa per un indennizzo dell’Inps?

Un caso singolare potrebbe capitare nel momento in cui l’imponibile previdenziale si riduca a causa di un evento per il quale l’Inps corrisponde un indennizzo. La situazione potrebbe presentarsi per i lavoratori che percepiscono una retribuzione lorda di 2.700 euro mensili e siano costretti alla malattia per alcuni mesi. Ottenere l’indennità dall’Inps potrebbe comportare la riduzione retributiva mensile al di sotto del limite di 2.962 euro. Di pari passo, l’aliquota contributiva pensionistica, pari al 9,19%, si ridurrebbe all’8,39%.

 

Riforma pensioni e dopo quota 100, per l’Acli occorre più flessibilità e uscita a 63-65 anni

Un sistema previdenziale più equo, flessibile e stabile è quanto chiede l’Acli per la riforma delle pensioni e il dopo quota 100. Una misura, quest’ultima, che terminerà la sua sperimentazione il 31 dicembre 2021 senza che possa essere rinnovata. Ma, al di là dei numeri e delle modalità di uscita, è necessario anche analizzare le motivazioni che hanno spinto i contribuenti a scegliere quota 100 per andare in pensione negli ultimi anni. Interessanti sono, a tal proposito, i risultati dello studio condotto proprio dall’Osservatorio del Patronato Acli sulla quota 100.

Pensioni, quanti sono stati i pensionati con quota 100 nel 2019-2021?

Non si può parlare di un ritorno alle pensioni della riforma Fornero in quanto i requisiti della legge del 2011 sono tutt’ora in vigore e lo sono stati anche negli anni in cui è rimasta in vigore quota 100. Tuttavia, nell’analisi dell’Acli, solo una minima parte dei pensionati degli ultimi anni ha beneficiato della misura. Nel primo anno, il 2019, le domande di quota 100 accolte sono state 193 mila. Poi si il numero si è ridotto progressivamente: 74 mila circa nel 2020 e un dato ancora da calcolare per l’anno in corso. Ma molto difficilmente si arriverà all’obiettivo della misura, ovvero a un milione di pensionati in tre anni.

Pensioni, si esce prima con quota 100 per avere più tempo per la famiglia

Più dei numeri è interessante avere il polso della situazione di chi ha scelto di andare in pensione con quota 100. Nello studio dell’Osservatorio Acli, infatti, quasi la metà del campione degli intervistati ha affermato di aver aderito a quota 100 “per dedicare più tempo alla famiglia” o per “avere più tempo libero”. Molto più bassa (il 12%) è stata la percentuale dei neopensionati che hanno scelto la misura di uscita dai 62 anni di età per le preoccupazioni legate alle “prospettive occupazionali del mercato del lavoro”.

Pensioni e riforma, qual è la giusta flessibilità?

Lo studio condotto dall’Osservatorio porta, dunque, a delle riflessioni su come intendere il sistema delle pensioni. La domanda da porsi è: “Perché oggi non si può scegliere di andare liberamente in pensione?”. Il quesito è direttamente legato a quanto richiesto dalle parti sociali in merito alla flessibilità in uscita dal lavoro. Ovvero, il contribuente deve aver libertà di decidere quando andare in pensione utilizzando il montante contributivo accumulato durante gli anni di attività. Anche a costo di avere una pensione più bassa.

Pensioni, un sistema più equo e stabile

Nella scelta di andare in pensione si rivendica, dunque, la possibilità da offrire al lavoratore il giusto bilanciamento tra la diminuzione dell’assegno di pensione e le esigenze di prepensionamento. È un cambio di prospettiva che l’Acli sente di poter appoggiare in vista di una riforma delle pensioni più equa, più flessibile e più stabile.

Equità delle pensioni, perché quota 100 non è stata la misura ‘per tutti’

Nell’analisi dell’Acli, il sistema previdenziale al quale i governanti dovranno giungere dovrà assicurare l’equità che quota 100 non ha garantito. Innanzitutto perché chi ha potuto beneficiare della misura sono soprattutto gli uomini con carriere lavorative più continue, situazione non replicabile per le donne per via delle interruzioni lavorative dovute alle gravidanze e al lavoro domestico. Arrivare a delle pensioni davvero eque significa assicurare trattamenti pensionistici per tutti, senza discriminazioni o situazioni di partenza che impediscano a chiunque di poter maturare i requisiti per una determinata misura.

Pensioni anticipate: troppi circa 43 anni di contributi per uscire da lavoro

In una situazione di carriere frammentate e discontinue, perfino i requisiti attuali di prepensionamento o di futura pensione delle giovani generazioni appaiono da riformare. È impensabile richiedere requisiti di pensione anticipata con circa 43 anni di contributi divenuti ormai un traguardo quasi irraggiungibile, così come i 71 anni di età ai quali andranno incontro i giovani come requisito aggiornato dalla speranza di vita dei prossimi anni.

Flessibilità delle pensioni, proposta di uscita tra 63 e 65 anni

In questo scenario, la flessibilità delle pensioni potrebbe risolvere varie situazioni. Intanto perché gli strumenti che dovrebbero garantire un’uscita agevolata ai lavoratori con particolari disagi economici o sociali (come l’opzione donna, l’Ape sociale o la stessa quota 100) si sono rivelati sistemi “rigidi” oppure “troppo selettivi”. La flessibilità dovrebbe assicurarsi con la libertà per il lavoratore di andare in pensione tra i 63 e i 65 anni, con un minimo contributivo che potrebbe essere fissato a 20 anni di versamenti.

Riforma pensioni, purché sia un sistema stabile e di regole certe

Infine, la riforma delle pensioni dovrà garantire la stabilità delle norme. Non è possibile accedere al mercato del lavoro con determinate regole pensionistiche e ritrovarsi le stesse stravolte dal passare degli anni, delle leggi e dei meccanismi di uscita. In tal senso dovrà essere superata anche la logica degli interventi sperimentali. Misure frammentarie, episodiche, valide per qualche anno hanno caratterizzato la materia previdenziale per troppi anni, soprattutto negli ultimi decenni.

Pensioni integrative in soccorso dei lavoratori del contributivo

E, da ultimo, tra le proposte dell’Acli figura quella di rendere obbligatoria l’iscrizione alla previdenza complementare. Uno strumento che potrebbe risolvere molte delle situazioni penalizzanti dei contribuenti, soprattutto dei giovani. Con un sistema previdenziale che tra qualche anno sarà costituito da soli lavoratori del contributivo, costruirsi una “pensione di scorta” non potrà che rafforzare la scelta flessibile per andare in pensione prima.

Pensioni, cosa avviene se i contributi sono versati a più enti? Ricongiunzione, cumulo e totalizzazione

Può capitare che, durante la vita lavorativa, il contribuente si sia iscritto a più enti previdenziali. Cosa avviene in questo caso alla futura pensione? Tre strumenti intervengono per il calcolo dei contributi: la ricongiunzione, la totalizzazione e il cumulo gratuito. Le tre modalità, nella specificità degli strumenti previsti, consentono di riunire il proprio montante contributivo e garantire, pertanto, un accesso più immediato alla pensione.

La ricongiunzione dei contributi: ecco come funziona ai fini della pensione

Con la ricongiunzione dei versamenti si consente al lavoratore che ha più posizioni previdenziali aperte in gestioni diverse di trasferire tutti i contributi maturati nel corso della carriera lavorativa in una sola gestione. Il risultato finale sarà quello di avere un’unica pensione. Le gestioni previdenziali diverse di versamento dei contributi possono essere anche le Casse previdenziali dei liberi professionisti, ma non possono ricomprendere la Gestione separata.

Cosa avviene ai contributi con la ricongiunzione e come si chiede

La ricongiunzione permette al lavoratore di unificare i contributi come se fossero stati versati, fin dall’inizio, in un’unica gestione previdenziale. In tal caso, il contribuente andrà in pensione con i requisiti previsti dallo specifico fondo che ha ricongiunto i versamenti. La domanda deve essere presentata dal contribuente direttamente all’ente di previdenza presso il quale desidera riunire i contributi. Lo stesso ente sarà anche quello che in futuro verserà l’assegno di pensione.

La ricognizione dei contributi si paga?

Ricorrere a questa formula di riunione dei contributi potrebbe significare dover sostenere un onere. Ma potrebbe anche essere gratuita. Se a pagamento e di quanto dipende da vari elementi. In particolare il costo varia in base:

  • all’entità dei contributi da trasferire da una gestione a un’altra;
  • alla tipologia dei contributi;
  • a quando si collocano nel tempo ovvero al periodo nel quale sono stati versati.

Totalizzazione della pensione, che cos’è?

Con la totalizzazione della pensione si consente ai contribuenti iscritti a diverse gestioni della previdenza di cumulare tutti i periodi che non coincidono tra di loro. L’obiettivo finale della totalizzazione è quello dell’erogazione di un unico assegno di pensione che scaturisce dalla somma dei trattamenti maturati all’interno delle varie gestioni. È importante rilevare che, se al momento del pensionamento il contribuente non ha maturato un diritto autonomo alla pensione in nessuna delle gestioni, l’assegno con il meccanismo della totalizzazione viene ricalcolato interamente con il metodo contributivo.

Si paga la totalizzazione della pensione?

Diversamente dalla ricongiunzione dei contributi, la totalizzazione non si paga mai e può inglobare anche la Gestione separata. La domanda di totalizzazione deve essere presentata presso l’ultimo ente previdenziale di iscrizione del contribuente. Sarà lo stesso ente a far partire la procedura.

Il cumulo gratuito della pensione

Il cumulo gratuito della pensione è in vigore solo da alcuni anni. L’istituto consente, anche ai liberi professionisti, di cumulare senza costi i contributi maturati presso diverse gestioni previdenziali. Differentemente dalla ricongiunzione e analogamente alla totalizzazione non vi è un effettivo trasferimento dei contributi. Infatti, i versamenti vengono sommati tra di loro con l’obiettivo di sfruttare tutti i periodi lavorativi e di versamenti che non coincidono.

Come funziona il cumulo gratuito e perché risulta più facile arrivare alla pensione

L’obiettivo del cumulo, come degli altri istituti, è quello di maturare i requisiti validi per andare in pensione. In questo caso, la legge facilita il conseguimento della pensione rendendo accessibile il cumulo gratuito anche se nelle gestioni, prese singolarmente, non siano stati raggiunti i requisiti minimi per il pensionamento.

Calcolo della pensione con il cumulo gratuito

Il punto forte del cumulo della pensione, oltre alla gratuità del metodo, riguarda il calcolo della pensione. Infatti, diversamente dalla totalizzazione che per il ricalcolo delle diverse gestioni utilizza unicamente il sistema contributivo, il cumulo adotta un diverso meccanismo di determinazione della futura pensione. Le diverse gestioni previdenziali vengono unite ma mantengono ciascuna la propria quota di calcolo della pensione, secondo le regole previste per ciascun fondo. Dunque, gestioni retributive mantengono il relativo sistema di calcolo basato sugli ultimi anni di stipendio.

Ricongiunzione, totalizzazione e cumulo pensione: alcuni elementi da considerare nella scelta

Nella scelta tra l’uno o l’altro dei meccanismi di unione dei contributi possono entrare diversi fattori. Considerando che non è possibile stabilire a priori quale meccanismo dei tre sia il più conveniente e adatto a tutti, è bene considerare che:

  • per fare richiesta per uno dei tre non bisogna essere già titolare di una pensione;
  • non può fare richiesta chi ha già utilizzato i contributi per sommarli o per trasferirli da una gestione a un’altra;
  • non è possibile richiedere la totalizzazione dei contributi se il lavoratore ha già chiesto e pagato l’onere previsto nei casi di ricongiunzione.

Tassazione e sgravi: alcuni effetti fiscali della legge di stabilità 2015

La legge di stabilità 2015, approvata due giorni prima di Natale, ha portato alcuni “regali” dal punto di vista della tassazione.

Innanzitutto aumenta la tassazione sulla previdenza in generale: sui rendimenti dei fondi pensione, che passa dal 11,50% al 20%, sulla rivalutazione del TFR, dal 11% al 17%, sui rendimenti finanziari delle casse di Previdenza, dal 20% al 26%, sulle polizze vita che passano da 0% a 26%.

Secondo molte sentenze dei tribunali italiani e della Corte di Cassazione, le polizze vita sono strumenti assimilabili ai prodotti previdenziali quando hanno due caratteristiche: sono collegati ad un evento inerente la vita umana e prevedono un premio di maggiorazione per decesso all’età dell’assicurato. In pratica assumono la funzione di integrazione del reddito dei superstiti, beneficiari della polizza.

La tassazione dei rendimenti di tali polizze era pari a zero, nei confronti dei beneficiari, mentre con la nuova legge sono ora tassati ordinariamente al 26% con in più un effetto retroattivo ai rendimenti del 2014.

Rimangono, per il momento, escluse dall’asse ereditario e quindi esenti da imposte di successione o donazione, ma non credo che questo vantaggio rimanga ancora per molto tempo, considerando la media europea in tema di imposte di successione molto più elevata rispetto all’Italia e l’assenza o la scarsa presenza in Europa di esclusioni e franchigie. Ricordo che da noi la franchigia è di 1 milione di euro per erede.

Anche l’aumento della tassazione sui fondi pensione li rende meno appetibili e convenienti per i pensionandi. Considerando anche la scarsa trasparenza sulle gestioni dei medesimi e i rendimenti non esattamente brillanti, viene da pensare se esistono alternative per costruire un reddito supplementare da utilizzare al momento della pensione.

Stesso discorso vale per il TFR: aumentata la tassazione sulla rivalutazione, investire il proprio TFR in strumenti a carattere previdenziale, rimane un investimento utile ad integrare la pensione? Con la nuova legge viene data la possibilità ai lavoratori del settore privato (escluso quello agricolo e domestico) di incassare quanto versato e inoltre di ricevere in busta paga l’importo che l’azienda dovrebbe accantonare. Se queste somme venissero impiegate cum grano salis ed investite correttamente, potrebbero generare risultati integrativi della pensione molto più soddisfacenti rispetto ai tradizionali strumenti previdenziali, seppur appesantite dalla tassazione che in questo caso diverrebbe ordinaria e non più agevolata (ma sempre meno).

Lo Stato sicuramente ci guadagna, perché la tassazione è più elevata, ma forse anche il lavoratore può trarne dei vantaggi, se non fiscali, almeno per quanto riguarda libertà di utilizzo di quanto versato e rendimenti generati nel tempo. Chi aderisce alla previdenza complementare o versa il TFR alla medesima, è vincolato alle regole in materia pensionistica; difficoltà ad ottenere quanto versato se non per casi eccezionali, conversione in rendita almeno del 50% del versato (non viene restituito tutto il capitale a scadenza), e tabelle di conversione in rendita applicate dalle compagnie assicuratrici o dai fondi pensione, che pareggiano la rendita annuale con quanto versato mediamente dopo 18 anni (65+18=83 anni). Se il pensionato vive oltre, inizia a guadagnare qualcosa. Altrimenti, ci guadagna la compagnia o il fondo.

Una buona notizia: è invece aumentato a 30.000,00 euro l’importo massimo per la deducibilità ai fini IRES delle erogazioni liberali in denaro (effettuate in maniera tracciabile) in favore delle Organizzazioni No Profit di Utilità Sociale, aumentando al 26% la percentuale di detraibilità ai fini IRPEF.

Ma c’è il rovescio della medaglia, che è la nuova tassazione degli enti non commerciali, di cui fanno parte appunto gli enti No Profit, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato e i trust. In precedenza questi enti avevano una esenzione di imposta del 95%, pagavano quindi le imposte solo sul 5% degli utili distribuiti. Ora invece l’esenzione è ridotta al 22,76% e pagheranno quindi sul 77,24% degli utili. Retroattiva anche questa, a partire dal primo gennaio 2014. In pratica, se prima pagavano 27,5%*5%=1, 375%, ora pagano 27,5%*77,24%= 21,24%, che significa un aumento di oltre 15 volte l’imposta.

Inoltre, se gli enti hanno dei beneficiari individuati, l’aliquota sarà quella marginale e quindi mediamente 43% invece del 27,5%, con un ulteriore inasprimento per il contribuente.

La ragione del provvedimento è stata motivata con l’equiparazione tra tassazione degli enti non commerciali e quella delle persone fisiche, che appunto pagano mediamente il 43% di aliquota. Però non si comprende la ratio, perché le persone fisiche possono utilizzare gli utili e i dividendi per le finalità che ritengono opportune, mentre gli enti no profit devono reinvestire gli utili per i fini istituzionali e non possono utilizzarli diversamente. Di fatto gli enti No Profit reinvestono gli utili in favore dei propri assistiti o dei beneficiari dell’ente, rimettendo in circolo il risultato generato. Quindi perché equipararli alle persone fisiche?

La retroattività invece non si applica allo sconto sull’Irap di imprese e professionisti, che decorre dal 2015. Potrà essere scalato interamente il costo dei soli lavoratori a tempo indeterminato, esclusi quindi collaboratori a progetto, collaboratori e tutti i lavoratori assunti con contratti a tempo determinato. Sono esclusi gli enti non commerciali.

Ma si tornano però ad applicare le aliquote IRAP del 2013, più elevate rispetto al 2014, aumentando nuovamente dal 3,5% al 3,9% l’aliquota base, questa con effetto retroattivo al 2014. Viene annullato quindi il beneficio concesso lo scorso anno, che non entra in vigore. Chi ha già anticipato, dovrà integrare sulla base della nuova aliquota. Abbiamo scherzato, insomma!

Sempre il bastone e la carota, non c’è verso di cambiare. Se c’è una agevolazione da un lato, subito spunta un aumento dall’altro. Ci sarà un credito di imposta in compensazione, aumentato al 10% dell’imposta lorda, per chi non ha dipendenti; è stato introdotto per bilanciare lo svantaggio di non poter utilizzare il taglio IRAP per i dipendenti per chi non ne ha.

Il bonus IRPEF di 80 euro in busta paga diventa, da credito d’imposta precedente, una detrazione per l’azienda e diventa strutturale, non più provvisorio.

E’ ovvio che più dipendenti, assunti a tempo indeterminato, ha un’azienda, maggiore sarà il vantaggio fiscale, che però, decorrendo dal 2015, diventerà effettivo solo a partire dai versamenti del 2016. Quindi tocca tirare la cinghia anche per il 2015!

dott. Marco Degiorgis – Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Cosa prevede il nostro ordinamento riguardo le assenze dal lavoro

Le assenze dal lavoro sono tutelate da una normativa che, in materia di lavoro e previdenza, prevede una serie di motivazioni che legittimano l’interruzione temporanea, da parte del lavoratore subordinato, dell’impiego.

Si tratta del diritto alla conservazione del posto di lavoro e della previsione della facoltà del lavoratore di goderne senza possibilità di opposizione da parte del datore di lavoro e la nullità del licenziamento disposto in concomitanza dell’evento stesso.

E’ bene ricordare che il nostro ordinamento non contiene un divieto assoluto di svolgere l’ attività lavorativa durante il periodo di malattia, previa richiesta al lavoratore di una specifica certificazione medica dalla quale risulti la piena idoneità psico-fisica allo svolgimento delle mansioni da svolgere.

L’obbligo del lavoratore di comunicare tempestivamente al datore di lavoro lo stato di malattia e l’indirizzo di reperibilità, qualora diverso dalla residenza o domicilio abituale, al fine consentire gli eventuali controlli medico-fiscali, rimane distinto e preventivo rispetto all’invio telematico della certificazione del medico, in quanto la comunicazione serve a giustificare l’assenza dal lavoro, mentre la certificazione è finalizzata a dimostrare l’esistenza della causa giustificativa.

Da questa circostanza emerge la determinazione dei limiti all’esercizio del potere di controllo da parte del datore e degli enti preposti che andrà valutata con il proprio Consulente del lavoro.

Controversa è la possibilità di poter usufruire dei permessi previsti dalla legge soltanto in capo ad uno dei rapporti di lavoro part-time coesistenti, la facoltà di determinare il periodo temporale di godimento del congedo matrimoniale, la eventuale interruzione della fruizione dei periodi di ferie, congedo parentale o permessi retribuiti in caso di malattia.

C’è poi la questione che riguarda la possibile realizzazione di una più flessibile e “sostenibile” articolazione, “a saldi invariati”, dei periodi di riposo connessi alla tutela della maternità.

Vera MORETTI

Professional Day: ecco le richieste dei professionisti

Oggi è il Professional Day e, per celebrarlo a dovere, è stato organizzata, presso l’Auditorium della Conciliazione di Roma, un’assemblea virtuale dei professionisti italiani chiamati a testimoniare l’importanza delle libere professioni per lo sviluppo del Paese.

A collegarsi, oggi durante l’evento, saranno 100 città e potranno quindi confrontarsi con i rappresentanti di tutti i partiti politici circa le idee per il Paese degli Ordini professionali. Le esigenze, da parte dei professionisti, di aprire una nuova finestra di dialogo sulle prospettive di crescita del Paese sono nate in conseguenza della crisi profonda che stiamo attraversando.

In particolare, oggetto di discussione saranno alcuni temi molto “caldi”:

Lavoro e Welfare: Non c’è lavoro senza Previdenza, perciò i professionisti italiani devono essere sostenuti durante tutta la loro vita lavorativa. Un regime fiscale adeguato può liberare risorse da investire per lo sviluppo e la crescita del Paese e del lavoro.
Inoltre, non si nega che il mondo del lavoro ha urgente bisogno di semplificazione e sburocratizzazione, così come risulta indispensabile una diminuzione della pressione fiscale sulle aziende. Solo in questo modo potranno tornare ad assumere nuovi lavoratori.

Giustizia legalità e carceri: Tutti gli indicatori individuano in questi tre temi altrettanti freni allo sviluppo del sistema Paese, senza che finora si sia trovata una soluzione efficace. Le professioni impegnate in questi settori da tempo sostengono che in virtù delle specifiche competenze anche acquisite con il lavoro quotidiano, sia indispensabile un loro diretto coinvolgimento per quanto riguarda analisi, proposte e operatività.

Ambiente e sicurezza: Le professioni dell’area tecnica lanciano 11 proposte a costo zero su ambiente e sicurezza per ripensare e rigenerare lo sviluppo e l’occupazione del nostro paese. Sono riforme indirizzate alla crescita e all’innovazione, che le professioni pongono all’attenzione delle forze politiche in un’ottica di condivisione.

Salute: La progressiva dismissione del Servizio Sanitario Nazionale e la riduzione delle risorse dedicate alla tutela della salute dei cittadini pregiudicano un bene e un diritto. La salute può essere garantita solo quando i professionisti sono nelle condizioni di dare il proprio contributo, fatto di competenze e di formazione continua.

Vera MORETTI

Cassa forense apre al dialogo con Fornero e Severino

Alberto Bagnoli, presidente della Cassa forense, ha commentato l‘invito che il ministro del Lavoro ha rivolto agli enti previdenziali privati per discutere di previdenza in vista del prossimo 30 settembre 2012, termine per la presentazione al governo dei nuovi bilanci tecnici a 50 anni. “Apprezzo l’iniziativa presa dal ministro Fornero, e spero sia solo il primo passo di un cammino condiviso per affrontare le problematiche previdenziali dei professionisti”.

La stessa soddisfazione è stata espressa dal presidente della Cassa forense per le parole pronunciate dal ministro della Giustizia, Paola Severino, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario forense, quando ha manifestato la volontà di aprire un tavolo di consultazione con l’Avvocatura per affrontare le criticità della giustizia. “Vogliamo essere presenti ai tavoli di confronto per dare il nostro fattivo contributo affinchè le problematiche dell’Avvocatura e della sua previdenza siano affrontate parallelamente a quelle della giustizia: è solo attraverso il dialogo costruttivo -conclude Bagnoli- che si può sperare di trovare la soluzione migliore per tutelare presente e futuro dei professionisti”.

Per Enasarco un 2011 in utile

Buone notizie per la Fondazione Enasarco, che chiude il bilancio consuntivo 2011 con un utile pari a 158 milioni di euro (di questi, 20 milioni rappresentano la somma destinata preventivamente al Fondo FIRR, il trattamento di fine rapporto degli iscritti).

I contributi previdenziali ammontano a 776 milioni di euro, rispetto ai 774 del 2010, mentre la spesa per pensioni si è incrementata del 4%. Il saldo dell`assistenza è invece positivo per 36 milioni di euro, in linea con quello del 2010. I contributi assistenziali versati dalle aziende hanno superato i 56 milioni di euro (52 milioni nel 2010), mentre le prestazioni riconosciute ammontano a circa 21 milioni di euro, costo che comprende anche la maggiore spesa relativa alla polizza agenti, scaturita dal miglioramento delle garanzie a favore degli assicurati.

Il rapporto tra il patrimonio e le pensioni erogate è stato pari a 4,9. Il patrimonio netto della Fondazione Enasarco, per effetto dell’utile realizzato, è pari a 4.146 milioni di euro contro i 4.008 milioni di euro del 2010.

Positivi i risultati nell’ambito della gestione immobiliare e finanziaria. La gestione immobiliare evidenzia un saldo positivo di 41 milioni euro, (euro 51 milioni nel 2010). Il rendimento del patrimonio immobiliare si è attestato sull’1,3%.

La gestione finanziaria, nonostante la pesante situazione dei mercati, evidenzia un saldo positivo di 43 milioni di euro (euro 34 milioni nel 2010). Il bilancio consuntivo 2011 evidenzia anche il contenimento delle spese generali, che si attestano sui 5,4 milioni di euro, al di sotto della soglia del 4% dei contributi, raccomandata dai Ministeri Vigilanti, e in linea con i risparmi pianificati e gli obiettivi di budget.

Per quanto riguarda il piano di dismissione del patrimonio immobiliare, entro l’estate salirà a 10mila il numero delle lettere inviate agli inquilini per poter esercitare il diritto di prelazione all’acquisto.

Federarchitetti e le perplessità sulla Fondazione di Inarcassa

Federarchitetti torna a esprimere la sua forte perplessità circa l’opportunità della costituzione, da parte di Inarcassa, di una Fondazione del tipo “di partecipazione”. Già nel marzo scorso, infatti, il Sindacato nazionale architetti liberi professionisti aveva infatti scritto una lettera al ministero del Lavoro sollevando dubbi sulla legittimità alla costituzione, da parte di Inarcassa, di una Fondazione di Partecipazione con caratteristiche di rappresentanza sindacale.

L’organo di Previdenza degli architetti ha infatti deliberato di impiegare risorse di notevole entità, oltre 300mila euro, per svolgere azioni di sostegno alla professione assumendo così le caratteristiche di organo di rappresentanza ai livelli istituzionali e sindacali, a mezzo della creazione, a detta di Federarchitetti, “di un Ente privo delle necessarie prerogative di assetto democratico deliberante“.

Un organismo con prerogative verticistiche ed unilaterali che, a parere di Federarchitetti, costituisce una impropria entità supplementareche genera ulteriore confusione nel quadro già frammentato delle professioni, trascurando l’occasione per promuovere un’azione coerente e concertata tra gli organi istituzionali, ordinistici, previdenziali e sindacali delle categorie di ingegneri ed architetti“.

Federarchitetti, quindi, avverte forti perplessità per un concreto esito degli obiettivi dichiarati “anche in riferimento alle risultanze di bilancio della spesa prevista, ravvisando divergenze con le competenze e finalità dell’Ente Previdenziale ed il configurarsi di caratteristiche antisindacali dell’iniziativa“.

Il Sindacato nazionale architetti liberi professionisti torna quindi a sollecitare le istituzioni competenti, il Ministero del Lavoro e la Prefettura di Roma, ad una valutazione di quanto evidenziato negli ultimi mesi.