Niente lavoro usurante per bar e ristoranti

Ha suscitato polemiche la decisione di non far rientrare nelle mansioni usuranti quelle di chi lavora nei bar o nei ristoranti, poiché, in realtà, se si tratta di rimanere in pieni per dieci ore, certo non si può dire che si tratti di lavoro sedentario.
E continuare a farlo fino a 67 anni, ovvero fino alla pensione, sembra davvero impensabile.

Aldo Mario Cursano, vice presidente vicario di Fipe, Federazione Italiana Pubblici Esercizi, ha le idee ben chiare su quanto disposto, poiché ha affermato: “Il lavoro di chi fatica tutto il giorno nei bar e ristoranti italiani merita pienamente di essere considerato nelle categorie delle mansioni usuranti, per questo dovrebbe essere esentato dall’innalzamento dell’età pensionabile, senza se e senza ma. Troviamo peraltro curioso che tra i lavori usuranti non ve ne sia neppure uno del mondo dei servizi di mercato”.

Queste sono state le parole pronunciate dopo aver sentito le ultime novità relative alla proposta del Governo di esentare quindici categorie di lavoratori dall’innalzamento automatico dell’età pensionabile a 67 anni.

Il lavoro svolto nei pubblici esercizi, infatti, implica una serie di attività e mansioni che richiedono notevoli sforzi fisici e quindi portano, alla lunga, all’usura. Pensiamo alle ore consecutive passate in piedi, a servire i clienti o preparare caffè, in cucina o in sala, ma anche la necessità di trasportare carichi pesanti.

Inoltre, lavorare nei ristoranti, ma anche nei bar, significa essere aperti sempre, anche e soprattutto sabato, domenica e durante le festività. E questo, anche quando si fa il proprio lavoro con passione, alla lunga stanca e usura, proprio come, e forse di più, per altre categorie quali insegnanti, personale infermieristico, conduttori di convogli ferroviari, personale marittimo e tutte le altre categorie contemplate dall’esenzione, sia le undici già previste dall’Ape sociale che le quattro appena incluse.

Ora la parola dovrebbe andare al Governo, al quale sono state chieste spiegazioni circa la decisione, per fare chiarezza su questa esclusione apparentemente inaspettata.

Vera MORETTI

La situazione della Ristorazione italiana secondo il Rapporto 2016

E’ stato redatto il Rapporto 2016 sulla Ristorazione Italiana, con tutte le informazioni che riguardano l’anno appena trascorso, fino al 31 dicembre.
Per pubblicare questa relazione sono state prese in considerazione sia le variabili macro del settore, alquanto complesso in verità, sia alcuni fenomeni micro, come quello relativo alla dinamica dei prezzi di alcuni prodotti di punta del consumo alimentare quando ci si trova fuori casa.

Cominciando dal contesto macroeconomico, si tiene presente sia la dinamica dei consumi sia il complesso dell’economia, ma anche la ristorazione in sé e per sé. Senza tralasciare il posizionamento dell’Italia nel panorama europeo che riguarda i consumi alimentari fuori casa.
La seconda parte, invece, si occupa di osservare la struttura dinamica e imprenditoriale andando a consultare gli archivi della Camera di Commercio. A questo proposito, si tiene conto di natalità e mortalità delle imprese. Considerando le ampie differenze territoriali, che rendono la ristorazione italiana così fortemente variegata, sono state prese in considerazione informazioni a livello regionale.

Nella terza parte ci si è concentrati sulle performance economiche del settore misurando valore aggiunto, occupazione e produttività. L’illustrazione delle dinamiche strutturali di medio-lungo termine si accompagna alla presentazione di valori aggiornati ed al monitoraggio della congiuntura per mezzo dell’osservatorio trimestrale della Ristorazione 2016 – Rapporto Annuale Introduzione e sintesi dei risultati.
Ovviamente, particolare attenzione è stata data alla dinamica dei prezzi, tenendo conto delle variazioni sia confrontandole con l’anno precedente sia tra regione e regione.

Il lavoro si chiude con l’analisi dei comportamenti di consumo fuori casa effettuata per mezzo di un’indagine CATI i cui principali obiettivi sono stati quelli di misurare il livello di accesso al servizio ed i modelli di consumo e di spesa seguendo il consumatore nelle diverse occasioni della giornata, dalla colazione della mattina alla cena.

Vera MORETTI

Pubblici esercizi messi in ginocchio dalla crisi

I dati diffusi da Istat relativi al quarto trimestre 2013 sono quantomeno sconfortanti, in particolare per i pubblici esercizi.
La crisi, infatti, ha messo in ginocchio il settore e sono sempre di più le serrande che, abbassandosi la sera, non si sono più rialzate la mattina seguente.

Anche l’Ufficio Studi di Fipe Confcommercio ha voluto commentare questo quadro allarmante, che ha confermato lo stato di profonda difficoltà in cui versano, con attenzione speciale per bar e ristoranti, in maggiore sofferenza.

Il fatturato, infatti, di questo comparto è calato del 2,8%, portando a -3,6% l’intero fatturato del 2013. E’ risultata negativa anche la differenza tra imprese che hanno avviato una nuova attività ed imprese che l’hanno cessata, poiché il saldo rimane negativo, di ben 9.475 unità.

Vera MORETTI

Domani sciopero dei pubblici esercizi

I lavoratori del settore dei pubblici esercizi incroceranno le braccia per uno sciopero domani, 31 ottobre, per protestare contro l`atteggiamento di Fipe, Federazione italiana pubblici esercizi, e Angem, rappresentante delle imprese del settore della ristorazione collettiva, entrambe uscite dal contratto nazionale.

I sindacati di categoria degli addetti dei pubblici esercizi, Filcams-Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, parteciperanno in massa, come ha confermato anche Cristian Sesena, segretario nazionale Filcams-Cgil: “È pervenuta oggi la comunicazione, da parte della Fipe, della recessione dal contratto nazionale del turismo: un atto di inaudita gravità che rischia di aprire una stagione di conflittualità quasi permanente”.

Tra i nomi associati a Fipe ci sono Autogrill, Mc Donalds, My Chef, Chef express, gruppo Cremonini, mentre tra le società aderenti ad Angem spiccano Elior Ristorazione, Gemeaz Elior, Compass, Dussmann Service, Sodexo Italia.

Continua Sesena: “Lo sciopero previsto per il 31 ottobre prossimo, alla luce degli ultimi avvenimenti sarà ancor più importante e significativo. Lo sgretolamento di un contratto nazionale così importante è un comportamento irresponsabile e aggrava un quadro che rischia di diventare drammatico“.

Nella mattinata di domani si svolgeranno a Roma e a Milano, davanti alle rispettive sedi di Confcommercio, due importanti manifestazione, a sostegno della vertenza.

Vera MORETTI

“Rinviare la Tares? Un palliativo”

di Davide PASSONI

La Tares è il nuovo spettro fiscale per imprese e privati, inutile negarlo. E intorno alla nuova tassa sui rifiuti si è scatenato più di un polverone, tanto che la maggiorazione sulla tassa sui rifiuti è stata rimandata a dicembre e non con la prima rata prevista a maggio, che rimarrà invariata. Ma che cosa pensa chi con questa tassa avrà una pesantissima mazzata? Lo abbiamo chiesto a Lino Stoppani, presidente di Fipe.

Quanto vi lasciano soddisfatti le nuove scadenze che si vanno delineando per la Tares?
L’applicazione differita della Tares è un palliativo, visto il livello degli incrementi rispetto all’Imu. Significa solo rinviare un grande problema, che almeno impedisce un ingorgo fiscale pesantissimo con l’acconto Imu e l’aumento dell’Iva. Per cui piuttosto che niente meglio piuttosto, ma continuiamo a ritenere la Tares eccessivamente onerosa se considerata in rapporto alle tasse che sostituisce; è una soddisfazione per chi ha sempre chiesto il rinvio, speriamo che questo possa servire anche a rivederla dal profondo.

Era proprio necessario, a vostro avviso, il passaggio dalla Tarsu alla Tares?
Lo smaltimento rifiuti e la salvaguardia dell’ambiente sono grandi problemi, ma non possono sempre scaricarsi sulle tasche di aziende e famiglie, lo Stato deve avere l’intelligenza e la capacità di organizzarsi in altro modo per non aggravare una pressione fiscale già insostenibile.

E quindi?
Siamo produttori di rifiuti a tutti i livelli, è innegabile. E questa produzione è cresciuta nel tempo grazie al moltiplicarsi e al diversificarsi degli imballaggi, che pesano sui costi di smaltimento. Questo ha creato grandi investimenti e anche grandi problemi, tanto che la Tares dovrebbe servire anche a trovare soluzioni per questo problema. Prima si era pensato di legare l’importo della tassa agli effettivi consumi e “ingombri” del soggetto che produce i rifiuti; oggi si va per metri quadri disponibili, numeri di persone che compongono la famiglia, tipologia produttiva dell’azienda o dell’esercizio commerciale… Insomma, penso che la Tares porterà sollievo allo Stato ma disagi e costi aggiuntivi a famiglie e aziende.

Quali sono le preoccupazioni che, come Fipe, raccogliete dai vostri associati riguardo a questa nuova tassa?
C’è grande preoccupazione da parte dei nostri associati, sia sul lato imprenditoriale sia su quello dei bilanci familiari, loro e dei loro clienti.

Le stime di rincari nel passaggio Tarsu-Tares fatte per alcune tipologie di esercizi non rischiano di creare allarmismo eccessivo?
Per gli esercizi commerciali si ragiona di cifre importanti, le stime di Confcommercio parlano chiaro: una media del 60% in più per la maggior parte degli esercizi commerciali al dettaglio, con picchi per attività tipo ristoranti, +550%, bar, +70%, stazioni di servizio +170%.

Troppo…
Le cose vanno fatte con gradualità e, soprattutto, non gravando sempre sulle tasche dei cittadini e sui bilanci delle imprese.

A suo avviso, in generale, la tassa sui rifiuti urbani – indubbiamente alta – è compensata da una qualità del servizio di pari livello?
C’è ancora molto da fare, basti pensare alle emergenze periodiche che si ripropongono in varie città italiane. Sono molti i problemi non ancora risolti legati allo smaltimento dei rifiuti, perché ci sono resistenze, pregiudizi e cattiva informazione. Siamo molto indietro anche in termini di educazione, che parte dalla famiglia, da una corretta gestione della raccolta differenziata e da tutto il resto.

Quindi paghiamo per un servizio non all’altezza?
Anche in città come Milano – parlo della mia città -, un servizio di raccolta rifiuti puntuale, efficiente e ben erogato merita di essere pagato anche a prezzi superiori agli attuali, ma con questi livello di applicazione, quando si parla di maggiorazioni di 4 o 5 volte l’importo attuale, si sono superati tutti i limiti di sopportabilità economica.

Come Fipe avete intenzione di intraprendere delle iniziative specifiche?
Ci siamo già attivati con le osserazioni di cui sopra sui tavoli del ministero dell’Ambiente e con il governo. Abbiamo avuto risposte deludenti, o perché ci hanno detto che ci sono vincoli di bilancio, o perché sono state ricevute direttive dall’Europa…

Conclusione?
Ci troveremo, dopo l’Imu, anche la Tares e che pagherà sarà, alla fine, sempre il cliente. Se, come esercizio pubblico, vedo aumentare i costi, devo aumentare anche i prezzi finali al cliente. Già facciamo fatica adesso: comprimere ulteriormente la capacità di spesa dei consumatori e aumentare una situazione fiscale già a livelli mai visti sono azioni che fanno bene alle casse dello Stato ma non al Paese.

Professionisti, fate i buoni (pasto)

di Davide PASSONI

Il buono pasto, per noi di Infoiva, è da sempre un pallino. Non perché ci piaccia mangiar bene anche in pausa pranzo (oddio, in realtà un po’ sì…), ma perché sono uno strumento tanto utilizzato quanto poco conosciuto per i vantaggi che comporta a livello fiscale. Prova ne è il fatto che, in Italia, la maggior parte dei suoi utilizzatori è costituita da lavoratori dipendenti di aziende medio-grandi e da lavoratori del pubblico impiego.

In realtà, il buono pasto è una valida soluzione anche e soprattutto per i professionisti, grazie alla favorevole normativa fiscale che ne norma l’utilizzo e il rilascio. Purtroppo, però, tra di essi la cultura del ticket è ancora poco diffusa: vuoi perché le aziende emettitrici preferiscono concentrarsi dove possono contare su valori maggiori, vuoi per la pigrizia di chi potrebbe sfruttarli e invece non lo fa.

Proprio per questo abbiamo dedicato al buono pasto il focus della settimana appena trascorsa: per cercare di diffondere un po’ di “cultura” tra chi ancora non ne conosce gli aspetti e per cercare di capire quali sono le dinamiche che governano i rapporti tra società emettitrici, utenti, pubblici esercizi, società e aziende appaltatrici. Dinamiche che, purtroppo, spesso sono ancora all’insegna dello scontro – o della diffidenza – più che della collaborazione e che, proprio per questo, non favoriscono la diffusione di questa cultura. Noi, nel nostro piccolo, ci abbiamo provato: speriamo di avervi reso un buon servizio.

Leggi l’intervista a Franco Tumino, presidente Anseb

Leggi l’intervista a Lino Stoppani, presidente Fipe

Leggi l’intervista a Marc Buisson, Direttore generale di Day Ristoservice

Buoni pasto: la normativa

Buoni pasto: le principali aziende che li emettono

Buoni pasto, una normativa che premia

La normativa sui buoni pasto non è particolarmente complessa e, nello stesso tempo, è piuttosto vantaggiosa tanto per le aziende quanto per i professionisti che si servono o erogano ticket ai loro dipendenti.

Intanto, il buono pasto può essere offerto da un’azienda a tutti i prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o part time, anche se l’orario di lavoro non prevede una pausa pranzo. Il buono può essere erogato anche a tutti i soggetti che hanno instaurato con l’azienda un rapporto di collaborazione anche non subordinato, come può essere un contratto a progetto.

Poi, non vi è differenza di trattamento tra buono pasto cartaceo ed elettronico: la Risoluzione n° 63/E del 17 marzo 2005 dell’Agenzia delle Entrate assimila infatti la somministrazione di alimenti e bevande tramite card elettronica al servizio di “mensa diffusa”, con le medesime agevolazioni dal punto di vista fiscale e contributivo.

Dal punto di vista tanto di una piccola azienda quanto di un professionista, l’Iva sui buoni pasto è integralmente detraibile e cambia a seconda dell’acquirente: per un’azienda è pari al 4%, per un libero professionista – sia esso titolare d’azienda, soci di un’azienda o azienda individuale – è pari al 10%. Sia per l’azienda che per il professionista l’Iva è detraibile al 100%, come indicato dalla Legge n.133/2008, che modifica l’art.19 bis 1 del DPR n.633/72 a decorrere dal 1° settembre 2008.

I buoni pasto per le aziende sono esenti da oneri fiscali perché, secondo l’art. 51 Comma 2 del T.U.I.R, non concorrono a formare reddito da lavoro dipendente fino all’importo complessivo giornaliero di 5,29 euro. L’eccedenza rispetto alla cifra, al netto della quota a carico del dipendente, rientra nella base imponibile. Discorso differente per i liberi professionisti, per i quali i buoni pasto non prevedono un tetto massimo di esenzione fiscale.

I buoni pasto per le aziende sono deducibili al 100% perché, secondo la Circolare Ministeriale n° 6/E del 3 marzo 2009, tale deducibilità si applica al “servizio sostitutivo di mensa” effettuato con i buoni pasto, siano essi cartacei che elettronici, e al servizio di “mensa aziendale diffusa”, che viene erogato dalle società emettitrici di buoni pasto attraverso le card elettroniche. Il discorso cambia per i liberi professionisti: le fatture dei ristoranti che vengono normalmente messe in nota spese sono infatti deducibili solo al 75%, secondo gli articoli 54 e 109 del DPR n. 917/86.

Buone notizie, infine, sul fronte contributivo. I buoni pasto sono infatti esenti da contributi, poiché il decreto legislativo n° 314/97 il “servizio sostitutivo di mensa” è escluso da contributi previdenziali e assistenziali fino all’importo complessivo giornaliero di 5,29 euro, in quanto non costituisce reddito da lavoro dipendente (Art. 51 T.U.I.R.).

Buoni pasto: quali sono e cosa offrono

Ormai le mense aziendali sono sempre meno e vengono quasi sempre sostituite dalla distribuzione di buoni pasto, che le aziende erogano ai loro dipendenti, i quali poi li utilizzano nei locali convenzionati o per la spesa settimanale.

Dopo aver ascoltato le voci di chi distribuisce buoni pasto (Anseb) e di chi li accetta (Fipe), vediamo oggi quali sono le società più importanti attive nel settore della emissione di ticket.

DAY
Non solo pausa pranzo, ma anche beni e servizi: questo è ciò che viene garantito da Day Ristoservice, una Società per Azioni leader nel mercato italiano dei buoni pasto. L’azienda è nata nel 1987 da un’alleanza tra Camst, una delle più importanti realtà che riguardano la ristorazione italiana, e la società francese Groupe Chèque Déjeuner, numero 3 a livello mondiale nell’emissione di buoni sociali e culturali. Da entrambe ha ereditato la solidità dell’esperienza e, in più, ha aggiunto la dinamicità tipica di un team lavorativo giovane. I risultati ottenuti collocano Day Ristoservice ai vertici del mercato dei buoni pasto il Italia, con oltre 500 milioni di euro fatturati all’anno, più di 80 milioni di buoni pasto emessi, 15mila aziende clienti e 100mila locali affiliati, per un totale di 500mila utilizzatori giornalieri.

SODEXO
Si tratta di una società di servizi che ha come mission esplicita quella di migliorare la qualità della vita e, per farlo, punta su quelli che considera i tre elementi chiave della sua organizzazione: persone, processi e infrastrutture. I servizi che offre, soprattutto nella ristorazione, sono principalmente rivolti alle aziende, ma tra i suoi partner ci sono anche strutture sanitarie e scuole. Con un volume d’affari di 663 milioni di euro e 7mila clienti, Sodexo è sicuramente una delle società leader del suo settore.

RISTOMAT
E’ presente sul mercato della ristorazione con due diversi prodotti: il buono pasto cartaceo, sicuro e conveniente, perché dotato di un sistema anticontraffazione e di una completa tracciabilità, oltre ad agevolazioni fiscali e contributive che permettono di eliminare i costi di gestione di una mensa, e il buono pasto elettronico, ovvero il lunchtronic, che offre gli stessi vantaggi ma ha dalla sua anche l’innovazione tecnologica. Sono oltre 75mila gli esercizi convenzionati in tutta Italia messi a disposizione delle aziende, che possono così tagliare sui costi della mensa.

CIR BLUTICKET
Bluticket è la Divisione Buoni Pasto del Gruppo CIR Food. Presente in 16 regioni italiane, CIR Food, Cooperativa Italiana di Ristorazione, ha sede a Reggio Emilia e rappresenta ad oggi una delle maggiori aziende italiane ed europee nel settore della ristorazione moderna. Nata nel 1997, vanta oltre 40mila esercizi affiliati, che quindi garantiscono ampia libertà di scelta per le decine di migliaia di lavoratori che ogni giorno pranzano con i buoni pasto Bluticket. Dai bar alle pizzerie, dai ristoranti alla tavola calda, CIR Food è presente su quasi tutto il territorio nazionale.

QUI!TICKET
E’ la prima azienda che si occupa di ristorazione ad essere a capitale interamente italiano. Nata con il nome di QUI!Ticket, ora è stata ribattezzata TornaQui! Partita come ditta distributrice di buoni pasto e quindi specializzata nei servizi sostitutivi di mensa, successivamente Qui!Group ha messo a punto una serie di soluzioni che si basano sull’utilizzo di tecnologia card e reti POS. Ad oggi, i buoni pasto TornaQui! Sono accettati da oltre 150mila esercizi in tutta Italia, con un risultato, per quanto riguarda il fatturato annuo, di 500 milioni nel 2011. Qui!Group è inoltre presente nel sociale con il progetto Pasto Buono, che prevede il recupero delle eccedenze alimentari invendute dal settore ristorazione e la loro redistribuzione a fini di solidarietà sociale.

PELLEGRINI
La Divisione Buoni Pasto è nata nel 1985 da una costola della Pellegrini spa, fondata nel 1965. Ma, se inizialmente operava solo ed esclusivamente nel campo della ristorazione, nel corso degli anni ha progressivamente diversificato le sue attività, per arrivare ad oggi, con quattro divisioni specifiche. Oltre alla ristorazione, Pellegrini è attiva anche nella distribuzione automatica, nelle pulizie e servizi integrati e nel central food. La Divisione Buoni Pasto di Pellegrini è tra i primi 3 operatori del mercato privato per fatturato. Nella ristorazione collettiva e commerciale si contano 40 milioni di pasti l’anno, mentre sono 35 milioni i buoni pasto annuali utilizzati dalle aziende. Numeri che hanno portato, nel 2011, a registrare un fatturato di 500 milioni di euro.

Vera MORETTI

Speciale buoni pasto: la voce della Fipe

di Davide PASSONI

In Italia ci sono oltre 125mila esercizi convenzionati per l’utilizzo dei diversi buoni pasto. Cifre importanti, che ci hanno spinti a sentire il presidente della Federazione Italiana Pubblici Esercizi, Lino Stoppani, per capire come è attualmente la situazione del mercato vista da chi i buoni li incassa.

Come vede Fipe il sistema dei buoni pasto?
Nel loro complesso per Fipe i buoni pasto sono uno strumento importante perché canalizzano nel settore un business che vale diversi miliardi.

E gli associati, come si rapportano a questo strumento di pagamento?
I nostri associati hanno qualche malumore, legato soprattutto ad alcune anomalie del mercato che nascono dall’aumento delle commissioni per le convenzioni, da ritardi nei pagamenti, dal comportamento di alcune società emettitrici che, spesso, hanno dei comportamenti vessatori nei confronti dei pubblici esercizi, come, per esempio, gli aggravi sui costi aggiuntivi del servizio.

Com’è il rapporto tra voi, le società emettitrici e quelle appaltatrici?
Oggi gli appalti per l’assegnazione del servizio sono fatti solo con l’obiettivo di massimizzare lo sconto, che può arrivare fino al 20%. In questo modo le società emettitrici ribaltano i maggiori oneri a carico dei pubblici esercizi. Chiaro che di fronte a questo fenomeno i malumori degli associati Fipe montano, ma ci tengo a precisare che per noi il buono pasto era e rimane uno strumento importante. Certo, anche lo Stato da parte sua dovrebbe muoversi, facendo in modo che gli organi di controllo verifichino il corretto utilizzo dei ticket o alzando la quota defiscalizzata oltre gli 5,29 euro. Una cifra con la quale si riesce a mangiare molto meno rispetto a quanto si faceva, per esempio, negli Anni ’80 con un ticket da 10mila lire.

Non mi dirà che il ticket sta perdendo di valore…
Lo strumento è stato straordinario e lo è ancora, ma vogliamo che sia riportato nel suo alveo originario, ossia che il suo utilizzo sia circoscritto a bar, ristoranti, mense, esercizi, alimentari. Non è un segreto che, spesso, i ticket sono utilizzati come cartamoneta, anche per comprare libri, computer, accessori. Vogliamo anche che le gare di appalto siano gestite senza puntare al massimo ribasso, perché tutti gli attori coinvolti ci devono guadagnare, non solo una alcuni.

Ora non è così?
Ora ci sono quattro attori coinvolti, di cui tre perdono e uno guadagna. Perde il pubblico esercizio, che paga commissioni più alte o sconta ritardi nei pagamenti; perde l’utilizzatore, perché con servizi appaltati a costi bassi e commissioni alte ci rimette in termini di prezzo o di qualità di quello che mangia, ossia i due ambiti dove il pubblico esercizio cerca di riguadagnare quanto perde in commissioni; perdono le società emettitrici, che hanno ridotto i loro margini. Guadagnano solo le aziende che richiedono i ticket, che in virtù delle condizioni del mercato sono in una posizione di forza e possono richiedere più sconti.

In questo senso unite le forze con Anseb?
Insieme ad Anseb, noi di Fipe facciamo azioni per contrastare i “poteri forti” che gestiscono le gare d’appalto: da una parte Consip per l’area del pubblico impiego, dall’altra le grandi aziende clienti, alleate tra loro per minimizzare i costi. Una dinamica nella quale il consumatore finale finisce sempre per rimetterci, avendo meno potere d’acquisto con il ticket o dovendo mangiare cibo più scadente.

Che cosa chiedete a chi norma il settore dei buoni pasto?
Chiediamo che il settore resti in piedi, eliminando le forzature attuali di cui ho parlato prima, magari guardando anche a ciò che accade fuori dall’Italia, per esempio in Francia, dove i ticket hanno mantenuto la loro solvibilità e il loro potere di acquisto.

E come vede chi utilizza i buoni pasto non per in pausa pranzo ma per fare la spesa al supermercato?
Lo vedo semplicemente come un modo alternativo di spenderli. Ciascuno si può gestire il buono pasto in tanti modi, portandosi in ufficio il panino da casa e utilizzando il ticket per acquistare generi alimentari per sé e la famiglia. Ripeto, il buono pasto è un ottimo strumento, se usato correttamente e se ben gestito da tutti gli attori in gioco, uno strumento che vorremmo salvaguardare.

Speciale buoni pasto: la posizione dell’Anseb

di Davide PASSONI

Inizia oggi uno speciale di Infoiva dedicato al mondo dei buoni pasto. Un mondo fatto di attori diversi, criticità e opportunità per chi si serve dei ticket. Con tanti lati nascosti. Sentiamo, per cominciare, la voce dell’associazione che rappresenta le imprese emettitrici di ticket, l’Anseb. Il presidente Franco Tumino fa il punto sul mercato, le cifre, la normativa fiscale e molto altro.

Com’è il mercato dei buoni pasto in Italia, oggi?
La situazione del mercato ha visto una tendenza alla crescita fino a 2-3 anni fa, con committenze pubbliche e private che aumentavano, un crescente ricorso degli aventi diritto a all’utilizzo di questa modalità per assicurarsi la pausa pranzo. Ora il mercato si è assestato e probabilmente i recenti provvedimenti del governo in materia di spending review nel settore pubblico, che pesa circa un terzo del totale sul mercato dei buoni pasto, ne determineranno una contrazione. La fetta di introiti derivante dal pubblico non sarà compensata dal privato.

Quali le cifre?
Secondo uno studio dell’Universita Bocconi per Sodexho e Ristoservice, il mercato è costituito da 2 milioni e 300mila dipendenti pubblici e privati che utilizzano i buoni pasto, per un giro d’affari di oltre 3 miliardi e 400 milioni e circa 125mila esercizi commerciali convenzionati, tra GDO, ristoranti, bar e alimentari.

Cifre statiche però, mi pare di capire…
Come detto, la tendenza da un paio d’anni è a non crescere, ma crediamo che il problema sia più datato a causa degli evidenti problemi che l’economia italiana ha da almeno 15 anni, primo dei quali la debolezza del mercato interno. I dati Ocse dimostrano che tra i Paesi sviluppati siamo in coda per reddito medio delle famiglie, una tendenza che è doveroso spezzare assumendo politiche anticicliche che stimolino la domanda interna, in partcolare proprio quella delle famiglie. L’effetto macroeconomico che deriva dal sostegno al sistema dei buoni pasto è di 1 a 1: se metto a disposizione delle famiglie risorse come i buoni pasto, questi vengono immessi nel circolo economico per il loro intero valore, generando consumi e ricchezza. Inoltre, visto che il sistema dei ticket è completamente tracciato, utilizzandoli il sommerso è quasi impossibile. Altro beneficio per l’economia del Paese.

Chi è l’utilizzatore tipo dei buoni pasto? Dipendente, professonista…
Principalmente un dipendente. Il ticket copre un’esigenza primaria di chi lavora, indipendentemente da dove lavora.

Perché un’azienda o un professionista dovrebbero scegliere di servirsi di un buono pasto? Quali i vantaggi?
Il professionista titolare di uno studio avrebbe vantaggi fiscali, dal momento che può detrarre come spese di produzione importi che comprendono anche i pasti. Chi è collaboratore o subordinato, con il ticket può alimentarsi in modo corretto. Penso che si dovrebbe studiare un’ipotesi per stimolarne l’uso dei ticket negli studi professionali, anche se vedo per gli emettitori qualche difficoltà a organizzarsi data la capillarità degli studi stessi in Italia.

Quota defiscalizzata: perché aumentarla?
Intanto chiediamo che sia aumentata ad almeno 8 euro. Prima del passaggio alla moneta unica, l’importo defiscalizzato e decontribuito era pari a 10mila lire, passato poi a 5,29 euro. La legge stabilì che i governi potevano – ma non erano obbligati a farlo – agganciare il valore del buono all’inflazione. Naturalmente la cosa non è stata mai fatta. Si tratta di una politica miope, perché deprime la capacità di spesa delle famiglie; aumentando il valore del ticket, si potrebbe innescare un circolo virtuoso lungo tutta la filiera. Sempre lo studio della Bocconi che ho citato prima ha calcolato l’aumento dei prezzi alimentari dall’epoca pre-euro ad oggi e, parametrando i 5,29 euro a questo aumento, il valore del ticket dovrebbe corrispondere proprio a 8 euro. Anche i 7 euro che la spending review ha fissato come valore facciale del buono pasto per i dipendenti pubblici non basta. Dovrebbe essere pari a 8 solo per mantenere il valore di un tempo e anche la detraibilità fiscale dovrebbe essere portata alla stessa cifra.

Fipe lamenta una tendenza alla ricerca del massimo ribasso da parte di enti e aziende che si vogliono servire di buoni pasto: qual è la posizione di Anseb?
Condivido la lamentela e mi sono sforzato sempre di spiegare che ci possono essere comportamenti da parte degli emettitori non associati Anseb che approfittano di una posizione di forza verso gli esercenti, ma che sono i committenti che possono portare storture nel mercato. Se bandiscono gare al massimo ribasso e le società emettitrici decidono comunque di partecipare pur di non perdere fatturato, è chiaro che si devono adattare alle richieste dell’asta. Va da sé che, puntando al ribasso, ne va della qualità o del prezzo.

Come vi muovete con Fipe?
Con Fipe cerchiamo di fare azioni comuni e ridurre la tendenza al prezzo aggressivo che produce i problemi a valle della filiera. Per esempio, Consip sta per bandire la gara per i buoni pasto edizione 6: spero che i miglioramenti consigliati dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici saranno accolti e che consentiranno che la gara sia bandita e aggidicata in maniera economicamente sostenibile per tutti gli attori. Si tratta di una gara che vale circa un quarto del mercato, è detto tutto…

Faccia uno “spot” per invitare i professionisti a usare i buoni pasto.
Consentono e chi ne ha diritto la massima libertà di scelta e consentono di uscire dallo studio o dall’azienda per prendere un po’ d’aria in pausa pranzo: una cosa che fa bene per socializzare e lavorare meglio al pomeriggio. Senza dimenticare, naturalmente, i vantaggi fiscali.