Fatturazione elettronica e regime forfettario: nessun l’obbligo dal 2022

Il regime forfettario previsto dalla legge 190 del 2014 sarà attivo anche nel 2022, ma ci sono importati novità soprattutto per quanto riguarda la fatturazione elettronica.

Cos’è la fatturazione elettronica

La fatturazione elettronica è il sistema attraverso il quale le imprese e società inviano telematicamente le fatture al cliente attraverso il Sistema di Interscambio SdI dell’Agenzia delle Entrate e Riscossione, di conseguenza i movimenti sono “tracciati”. L’emittente, attraverso un software di gestione che naturalmente deve essere acquistato, deve predisporre la fattura e inviarla attraverso l’SdI, questo controlla che la fattura sia in regola, cioè contenga tutti i dati necessari come la partita IVA, gli importi, le informazioni per identificare i soggetti coinvolti, verifica la coerenza tra l’imponibile dichiarato e l’IVA applicata. Se tutto è corretto, trasmette al cliente la fattura, in caso di errori segnala all’emittente la presenza degli stessi. L’emittente deve quindi correggere e riprovare.

Il Sistema di Interscambio consente di gestire tutto in pochi minuti comodamente dal proprio computer, ma nel caso in cui ci siano difficoltà è possibile delegare tutto al proprio commercialista di fiducia. Il regime di fatturazione elettronica è entrato in vigore per la maggiore parte delle attività, ma non per coloro che operano attraverso il regime forfettario, per loro l’entrata in vigore del nuovo sistema era previsto per il 1° gennaio 2022, ma negli ultimi giorni ci sono state novità importanti.

Fatturazione elettronica e regime forfettario: slitta l’entrata in vigore

Sembra che il Governo abbia intenzione di fare marcia indietro e quindi di far slittare l’entrata in vigore  dell’obbligo di fatturazione elettronica per le imprese che sono in regime forfettario e una data futura non è ancora prevista. Da ciò che emerge dalla Nota di Aggiornamento al DEF non c’è l’intenzione del Governo di modificare la soglia di compensi previsti per il regime forfettario che è di 65.000 euro di ricavi e 20.000 euro di spese comprendenti anche i costi dei dipendenti (contributi e salari). Inoltre sembra essere in arrivo una novità, si tratta di uno strumento di accompagnamento al nuovo regime, cioè coloro che supereranno le soglie, non entreranno in automatico nel regime ordinario, ma saranno accompagnati in questo per un biennio. Non sappiamo per ora cosa si intende esattamente per ciò.

La fatturazione elettronica per il regime forfettario potrebbe non diventare mai obbligatoria

Deve essere sottolineato che la Nota di Aggiornamento al DEF dice anche un’altra cosa che potrebbe essere molto importante e cioè che nel contrasto all’evasione ha poca rilevanza la non applicazione della fatturazione elettronica per le imprese che sono in regime forfettario. In secondo luogo, sempre dalla nota emerge che l’obbligo di fatturazione elettronica, al di sotto di una determinata soglia di compensi e ricavi, sarebbe in contrasto con il diritto dell’Unione Europea.

Questa prevede l’obbligo di fatturazione elettronica solo per gli appalti pubblici, negli altri casi resta un’opzione; l’Italia è l’unico Paese ad essere andato oltre con lo scopo di combattere l’evasione fiscale. L’esclusione dall’obbligo per le piccole imprese nel regime dei minimi o forfettario è dovuta al fatto che comunque prevede maggiori oneri per le imprese che devono adeguarsi alle nuove tecnologie e proprio per questo l’obbligo deve considerarsi vietato dall’Unione Europea. Viene comunque sottolineato che molte si sono volontariamente adeguate.

Questo dettaglio è importante in quanto non solo fa presupporre che salti l’obbligo di adeguarsi entro il 1° gennaio 2022, ma fa intendere anche che nessun obbligo ci sarà anche in futuro.

Partite Iva, in arrivo due correttivi per la riforma del regime forfettario

Partite Iva a regime forfettario verso la riforma. Sono due i possibili cambiamenti che riguarderebbero l’applicazione del meccanismo della flax tax tra gli autonomi. In primis, i coefficienti di redditività che non sarebbero più adeguati ai tetti di reddito per l’applicazione della fiscalità agevolata. Il secondo cambiamento potrebbe aversi per i contribuenti che superino il tetto dei 65 mila euro di ricavi. Si indebolisce, invece, l’ipotesi di allargare l’applicazione della fattura elettronica alle partite Iva del forfettario, eventualità che era stata avanzata negli ultimi mesi.

Riforma partite Iva a regime forfettario: il disegno di legge atteso in settimana

I correttivi sui coefficienti di redditività e sul superamento del limite dei 65 mila euro delle partite Iva a regime forfettario, secondo quanto scrive Il Sole 24 Ore, sono stati già messi in evidenza nella relazione delle commissioni parlamentari. I due correttivi potrebbero essere contenuti nella riforma fiscale, come già anticipato nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza. Il disegno di legge con le modifiche sulle partite Iva dovrebbe arrivare nel Consiglio dei ministri già a partire da questa settimana.

Partite Iva, quante sono in Italia quelle forfettarie?

Sempre più autonomi scelgono di aprire la partita Iva con il regime forfettario. Nel 2021 il 46% delle nuove aperture ha scelto la flat tax. In tutto, sono circa 1,9 i contribuenti del forfettario – senza tener conto delle chiusure – includendo chi ha optato per il regime agevolato nella dichiarazione dei redditi dello scorso anno e le nuove aperture che si sono avute tra il 2020 e il 2021. Nell’anno in corso sono state 153 mila le nuove partite Iva con la flat tax.

Partite Iva, attese modifiche ai coefficienti di redditività dei forfettari

Nel disegno di legge sulle partite Iva a regime forfettario non vi saranno variazioni nelle aliquote. Continueranno a essere in vigore quella del 15% e quella ancora più agevolata del 5% per le nuove attività. La prima revisione potrebbe riguardare i coefficienti di redditività, ovvero le percentuali, variabili a seconda dell’ambito di attività della partita Iva, che sono applicate ai ricavi e ai compensi e che determinano il reddito da tassare.

Perché potrebbero cambiare i coefficienti di redditività dei forfettari?

Le motivazioni alla base dei correttivi che il governo potrebbe adottare sulle partite Iva a regime di flat tax riguarderebbero la non aderenza delle percentuali alla “struttura dei costi delle imprese di dimensioni meno contenute”. In altre parole, per determinate imprese i costi sostenuti non sarebbero in linea con il coefficiente di redditività. Del resto, le percentuali non sono state adeguate nel momento in cui è stata elevata la soglia di ricavi (65 mila euro) per poter accedere al regime di imposta fissa del 15%. La revisione dei coefficienti di redditività era già stata suggerita a marzo scorso da Fabrizia Lapecorrella, direttore generale delle Finanze.

Quali attività potrebbero vedersi modificato il coefficiente di redditività?

Un’analisi preliminare delle Finanze ha già individuato i settori che potrebbero vedersi modificare i coefficienti di redditività. Avrebbero la possibilità di applicare un coefficiente più basso e, quindi, una più ridotta base imponibile:

  • le attività con codici Ateco rientranti nel commercio ambulante (ad oggi pari al 40% per gli alimentari e al 54% per tutti gli altri prodotti);
  • il settore delle costruzioni (coefficiente odierno dell’86%).

Chi vedrebbe salire il coefficiente di redditività sono invece gli intermediari del commercio, ai quali oggi spetta una percentuale del 62%. Tutti gli altri settori (e codici Ateco) dovrebbero rimanere invariati, compresi i professionisti che sono la categoria più numerosa dopo il commercio.

Il correttivo del superamento dei 65 mila euro delle partite Iva forfettarie

Il secondo correttivo che potrebbe riguardare le partite Iva a regime forfettario riguarda lo sforamento del tetto dei 65 mila euro di ricavi per poter mantenere il regime fiscale agevolato. La proposta prevede che chi superi il tetto massimo, rimanendo comunque al di sotto di una seconda soglia da individuare, vedrebbe applicarsi per due anni l’aliquota di forfait del 20% (anziché del 15%). L’ipotesi verrebbe ancorata all’incremento del volume di affari del contribuente autonomo di almeno il 10% annuo.

Partite Iva, lo sforamento dei 30 mila euro dall’attività alle dipendenze

Al momento non vi sono novità per le partite Iva a regime forfettario che svolgano anche lavoro alle dipendenze e, con quest’ultimo, sforino il tetto dei 30 mila euro. Nel regime attuale, lo sforamento comporta l’esclusione dal forfettario. Mentre chi può contare su altri tipi di reddito, come ad esempio quelli da capitali o quelli immobiliari, non subisce alcun divieto.

Si va verso il ‘no’ all’allargamento della fattura elettronica ai forfettari

Diversamente da quanto dibattuto nei mesi precedenti, le partite Iva a regime forfettarie potrebbero continuare a rimanere fuori dall’obbligo della fatturazione elettronica. Nei mesi scorsi l’Italia ha presentato a Bruxelles la richiesta per l’allargamento di applicazione della fattura elettronica anche al regime di flat tax. Sul punto, tuttavia, la Relazione alla Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanze è chiara. “Al di sotto di una determinata soglia di compensi e ricavi, l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica non è compatibile con la disciplina dell’Unione europea”.

 

Partite Iva: allo studio estensione obbligo fattura elettronica anche ai forfettari

È allo studio l’estensione dell’obbligo della fatturazione elettronica a un milione e mezzo di partite Iva che rientrano nel regime di flax tax o forfettario. Lo strumento, infatti, si sta dimostrando essere in grado di monitorare e di tenere sotto controllo l’andamento dell’economia. Ma l’obiettivo principale della fattura elettronica, anche alle partite Iva del regime forfettario, resterebbe quello di contrastare l’evasione fiscale. Per questo motivo, la proposta di allargamento alle partite Iva della flat tax, è arrivata dalle Commissioni Finanze della Camera e del Senato.

Fatturazione elettronica come strumento di monitoraggio dell’economia

Dal punto di vista del monitoraggio dell’andamento dell’economia, l’estensione della fattura elettronica anche alle partite Iva ad oggi non obbligate al suo impiego, consentirebbe di ricavare dati relativi ad oltre cinque miliardi di documenti digitali. L’idea è quella di avere numeri certi e facilmente reperibili per costruire le analisi dei rischi di chi opera nel sistema economico. Ma all’amministrazione finanziaria la fatturazione elettronica allargata consentirebbe anche di ricostruire i buchi dell’omessa emissione della fattura stessa.

Fattura elettronica, potrebbero essere obbligate le partite Iva forfettarie

E proprio dai buchi di omessa fatturazione si arriverebbe anche a dare una risposta all’obiezione che veniva fatta nel 2019 quando la fatturazione elettronica segnava il suo anno di inizio. Ovvero, che chi non emetteva fattura prima, non lo avrebbe fatto nemmeno con la fattura elettronica. Ma occorre considerare due elementi a due anni di utilizzo dello strumento elettronico. Il primo è che l’obbligo non sussiste per varie attività economiche professionali. E con l’innalzamento del tetto della partita Iva in regime forfettario a 65 mila euro, sono un milione e mezzo i contribuenti della flat tax che non emettono la fattura elettronica.

L’iter per arrivare alla fatturazione elettronica per tutti

Secondo fonti informate, il lavoro delle Commissioni Finanze delle due Camere sull’allargamento dell’obbligo della fatturazione elettronica sarebbe ben accettato dal Governo. Il passaggio più complesso riguarda il via libera della Commissione europea. E, in tal senso, già nella scorsa primavera la direttrice delle Finanze aveva richiesto al governo di ottenere il lasciapassare della Commissione europea per allungare la scadenza alla fine del 2024 dell’obbligo della fattura elettronica per i soggetti che devono emetterla. Ma anche per l’allargamento del numero delle partite Iva obbligate all’emissione della fattura elettronica, includendo anche quelle forfettarie.

Non obbligati alla fatturazione elettronica: partite Iva forfettarie, associazioni e società sportive dilettantistiche

Le due Commissioni, inoltre, nello scorso giugno avevano indirizzato la riforma fiscale anche nella direzione dell’obbligo della fatturazione elettronica per i soggetti attualmente non obbligati. E, oltre alle partite Iva a regime forfettario, sono esenti anche le associazioni e le società sportive dilettantistiche che nel periodo precedente non abbiano superato i 65 mila euro dalle proprie attività commerciali.

Obbligo di fatturazione elettronica ai forfettari nella Manovra 2022?

Novità in tal senso potrebbero arrivare dalla legge di Bilancio del 2022 che il governo Draghi è chiamato ad approvare nell’ultima parte dell’anno. Si ipotizza che l’estensione potrebbe arrivare come esigenza di uniformità in tema di digitalizzazione. E, ovviamente, di contrasto all’evasione fiscale. L’alternativa alla legge di Bilancio potrebbe arrivare attraverso il percorso della delega fiscale.

Regime forfettario 2022: diventa obbligatoria fattura elettronica?

Il regime forfettario 2022 non dovrebbe avere ostacoli al suo rinnovo. Ma potrebbe arrivare la novità della fattura elettronica obbligatoria.

Regime forfettario 2022: cosa potrebbe cambiare?

Le partite Iva e le imprese in generale hanno gli occhi puntati sulla manovra fiscale del governo. Anche se inizialmente vi era orientati verso l’abolizione del regime forfettario; oggi le cose sembrano diverse. Infatti sembra che l’applicazione del regime agevolato sia stato scelto, con soddisfazione, da molte imprese. Pertanto, il governo non sia propenso alla cancellazione, ma all’integrazione di altre misure, volte a garantire maggiore trasparenza delle operazioni economiche.

Tra cui l’introduzione dell’obbligo di utilizzo della fattura elettronica. La fattura elettronica è diventata obbligatoria dal giorno 1 gennaio 2019. E che potrebbe diventare obbligatoria, già dal prossimo anno, per tutti gli operatori che hanno adottato il regime forfettario.

Cos’è la fattura elettronica?

La fattura elettronica è un documento digitale in formato XML emesso ed inviato attraverso degli strumenti informatici. Questa contiene una Firma elettronica che conferisce validità allo stesso documento. Ma è trasmessa attraverso un sistema di interscambio che svolge la funzione di controllo. Ma attenzione, questo si traduce in ulteriori costi per le piccole imprese, che dovranno acquistare i software a pagamento per l’adeguamento alla probabile nuova normativa.

Anche se la fattura elettronica può essere compilata direttamente nell’area personale presente nel sito dell’Agenzia delle entrate, tramite il servizio dedicato. In questo caso basterà creare la propria area personale nel sito e tramite il Sdi (Sistema di interscambio) dell’Agenzia delle entrate, poter fatturare in modo elettronico.

Gli attuali requisiti per accedere al regime forfettario

Se da una parte la possibilità di utilizzo della fattura elettronica dovrebbe essere certa, dall’altra dovrebbero restare invariati i requisiti per accedere al regime forfettario. Pertanto sono i seguenti:

  • aver conseguito ricavi per importi non superiori a 65 mila euro;
  • aver sostenuto spere per un importo complessivo  non superiore a 20 mila euro lordi per lavoro accessorio, lavoro dipendente e compensi a collaboratori, anche a progetto, comprese le somme erogate sotto forma di utili da partecipazione agli associai con apporto costituito da solo lavoro e quelle corrispondenti per prestazioni di lavoro rese dall’imprenditore o dai suoi familiari.

Tutti questi soggetti “vecchi e nuovi” del regime forfettario dovranno dotarsi, se verrà approvata la modifica, dei mezzi necessari alla fatturazione elettronica. Tramite Agenzia delle entrate ci si può registrare sul sito, farsi rilasciare il PIN ed accedere. Una volta effettuato l’accesso alla sezione “Fatture e corrispettivi” si è pronti per generare la fattura elettronica scegliendo tra ordinaria, semplificato ao fattura PA.

Partite Iva, torna l’obbligo dei versamenti: entro il 15 settembre pagamenti Redditi, Irap e Iva 2021

Torna l’obbligo dei versamenti per le partite Iva: entro il 15 settembre è previsto il pagamento per i modelli Redditi, Irap e Iva per l’anno di imposta 2020. Si calcola che la scadenza riguarda oltre quattro milioni di autonomi. I versamenti sono quelli che erano in calendario dalla fine di giugno alla fine di agosto 2021. La stessa Agenzia delle entrate, con la risoluzione numero 53/E del 5 agosto scorso, ha precisato che non si può rimandare il pagamento in scadenza mercoledì prossimo, 15 settembre, con la proroga di ulteriori 30 giorni e applicando lo 0,40% in più.

Il rinvio del pagamento dei contributi del decreto Sostegni bis

Il rinvio dei pagamenti dei contributi dovuti è previsto dall’articolo 9 ter del decreto legge numero 73 del 2021 (decreto “Sostegni bis). La norma ha introdotto, per diverse categorie di contribuenti, la proroga al 15 settembre 2021, senza alcuna maggiorazione, dei versamenti dovuti secondo la dichiarazione dei redditi, Irap e Iva 2021. La proroga riguarda i versamenti in scadenza dal 30 giugno al 31 agosto 2021.

Partite Iva, chi ha potuto usufruire della proroga dei versamenti al 15 settembre

La proroga al 15 settembre, senza alcuna maggiorazione di pagamento, è stata prevista per chi esercita, come lavoratore autonomo o come impresa, attività economiche che hanno ricevuto l’approvazione degli Indici sintetici di affidabilità (Isa), a prescindere dal fatto che siano stati applicati o meno detti indici. Il limite dei ricavi o dei compensi non deve essere superiore a quanto stabilito per ciascun indice. Per il 2021 il tetto è fissato a 5.164.569 euro, come stabilito dal decreto di approvazione del ministero dell’Economia e delle Finanze.

Partite Iva a regime forfettario rientrano tra i soggetti interessati alla proroga dei versamenti

La scadenza del 15 settembre riguarda anche i contribuenti che, per il periodo di imposta fino al 31 dicembre scorso:

  • abbiano applicato il regime forfettario agevolato;
  • rientrino nel regime fiscale di vantaggio per l’imprenditorialità giovanile e lavoratori in mobilità.

Società e imprese che possono posticipare il pagamento delle imposte al 15 settembre 2021

Ulteriori soggetti aventi diritto a usufruire dei maggiori termini di versamento riguardano i contribuenti che:

  • partecipino a società, associazioni e imprese in regime di trasparenza fiscale. Nel dettaglio si tratta delle società di persone previste dall’articolo 5 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (Tuir), o società a responsabilità limitata secondo quanto disciplinato dagli articoli 115 e 116 del Tuir. In tutti i casi è necessario avere i requisiti per ottenere la proroga dei versamenti;
  • la cui determinazione del reddito avvenga con altre tipologie di criteri forfettari;
  • sono esclusi dagli Indici sintetici di affidabilità.

Versamento delle imposte al 15 settembre: come procedere con la rateizzazione

Per i soggetti che beneficiano della scadenza del 15 settembre per i versamenti delle imposte risultanti dalle dichiarazione dei redditi, Irap e Iva, le modalità di rateizzazione cambiano a seconda che il contribuente abbia fatto già versamenti oppure no. Infatti, si può provvedere ai pagamenti dovuti per il saldo e per il primo acconto delle imposte sui redditi, incluso il versamento annuale dell’Irap e dell’Iva, in rate mensili di pari importo.

Pagamento delle rate dei contributi successive alla prima

La prima rata deve essere versata entro il 15 settembre e le rate successive saranno prorogate di conseguenza. Le rate successive a quella del 15 settembre dovranno estinguersi, in ogni caso, entro il mese di novembre 2021. Su queste rate si calcolano gli interessi del 4% annuo.

Pagamento contributi partite Iva e imprese: modalità di chi ha già iniziato le rate

I soggetti che hanno già iniziato a pagare le rate, secondo quanto prevede la normativa in un momento precedente all’arrivo della proroga, possono continuare i versamenti secondo le scadenze previste dal piano delle rate. Pertanto, questi contribuenti possono considerare posticipato al 15 settembre il termine dei versamenti delle rate che scadevano dal 30 giugno al 31 agosto 2021. Su questi pagamenti non sono calcolati interessi. Per le rate con scadenze successive, ovvero quelle dal 16 settembre in poi, sono dovuti gli interessi del 4% annuo.

Pagamento imposte 2021: cosa deve fare chi ha fatto già più versamenti

I soggetti che, entro il 15 settembre prossimo, effettuino versamenti a libera scelta, ovvero con scadenze e importi senza un piano di rateizzazione, possono versare la differenza dovuta a saldo in due modalità. La prima prevede il versamento in un’unica soluzione entro il 15 settembre, senza interessi. La seconda può avvenire in massimo quattro rate, delle quali la prima deve essere pagata entro il 15 settembre. Le restanti rate possono essere pagate in data successiva con gli interessi del 4%.

Versamenti degli acconti delle imposte 2021

Particolare attenzione deve essere prestata per il calcolo degli acconti delle imposte del 2021. A differenza dei soggetti che eseguono il versamento dell’acconto in due soluzioni nelle misure del 40% entro il termine per il saldo delle imposte del 2020 e del 60% entro novembre prossimo, i contribuenti Isa e gli altri soggetti collegati pagano il 50% entro ciascuna scadenza.

Pagamento degli acconti per imposte 2021 dei soggetti Isa: la scadenza del 30 novembre

Pertanto, chi ha pagato il 40% alla prima scadenza in luogo del 50%, dovrà procedere con il versamento del 60% entro il 30 novembre prossimo. In questo modo non dovrebbero essere applicate sanzioni per il primo insufficiente pagamento.

Contributi a fondo perduto perequativo: i requisiti

Con la circolare 227357 del 4 settembre 2021 l’Agenzia delle entrate ha individuato gli specifici campi delle dichiarazione dei redditi per poter determinare gli ammontari dei risultati di esercizio. I periodi delle dichiarazione dei redditi sono inerenti ai periodi di imposta al 31 dicembre 2019 e al 31 dicembre 2020. I dati sono necessari per il riconoscimento dei contributi a fondo perduto perequativo.

Contributi a fondo perequativo: i riferimenti del decreto Sostegni bis

Nella circolare dell’Agenzia delle entrate si fa riferimento ai contributi a fondo perduto a favore degli operatori economici colpiti dall’emergenza epidemiologica da Covid-19. In particolare, i contributi a fondo perduto sono quelli inerenti ai commi dal 16 al 27 dell’articolo 1 del decreto legge numero 73 del 25 maggio 2021 (decreto “Sostegni bis“). Il decreto è stato poi convertito dalla legge numero 106 del 23 luglio 2021.

I requisiti richiesti dal Sostegni bis per richiedere i contributi a fondo perduto

Nel dettaglio, l’erogazione dei contributi a fondo perduto sono a favore degli esercenti attività di impresa, arte o professione o produttori di reddito agrario. Tra i requisiti è richiesto il possesso della partita Iva e la residenza o stabilità nel territorio dello Stato. In merito a quanto richiede il decreto sui periodi di imposta, è necessario che nel periodo precedente al periodo in vigore del decreto “Sostegni bis” (il 2020) l’impresa richiedente non abbia conseguito un ammontare di compensi o di ricavi superiore ai 10 milioni di euro.

Il requisito del peggioramento del risultato economico d’esercizio

L’individuazione degli specifici campi delle dichiarazioni dei redditi serve a determinare il peggioramento del risultato economico d’esercizio per l’emergenza sanitaria. In particolare, il peggioramento deve essere relativo “al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2020 rispetto a quello inerente al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019, in misura pari o superiore alla percentuale definita con decreto dal ministero dell’Economia e delle Finanze”. Tale percentuale è ancora in corso di definizione e verrà adottata con decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze.

Allegato ‘A’ dei campi delle dichiarazione dei redditi della circolare Agenzia entrate 227357 del 4 settembre 2021

I campi delle dichiarazioni dei redditi indispensabili per determinare gli ammontari dei risultati economici d’esercizio ai fini del riconoscimento del contributo a fondo perduto perequativi si trovano nell’allegato “A” della circolare numero 227357 del 4 settembre 2021. In particolare, per il reddito agricolo si fa riferimento, sia per il 2019 che per il 2020, al reddito agrario imponibile del modello 730. Il dettaglio dei puntamenti si ritrova nell’allegato A.

Contributi a fondo perduto perequativo per le persone fisiche

Per quanto concerne le dichiarazioni dei redditi delle persone fisiche è necessario distinguere la tipologia di reddito. Nel dettaglio:

  • per il reddito agrario è necessario far riferimento al reddito agrario imponibile sia nell’anno di imposta del 2019 che del 2020;
  • analogamente per le persone fisiche in contabilità ordinaria e contabilità semplificata, per i due anni, si fa riferimento al reddito d’impresa analitico al lordo delle perdite;
  • sui redditi dei lavoratori autonomi vige la differenza, ovvero il reddito di lavoro autonomo analitico al lordo delle perdite;
  • per le attività di lavoro autonomo e di impresa in regime di vantaggio o forfettari ad aliquota sostitutiva si considera il reddito al lordo delle perdite;
  • sul reddito di allevamento di animali, di produzione di vegetali e di attività agricole connesse si prende in esame il reddito d’impresa forfettario al lordo delle perdite.

Società di persone, i redditi da considerare per ottenere il fondo perduto perequativo

Per le società di persone che vogliano beneficiare dei contributi a fondo perduto per le perdite subite a causa del coronavirus, si distinguono:

  • le società a contabilità ordinaria, semplificata e in regime di Tonnage tax per le quali si considera il reddito d’impresa al lordo delle perdite per il 2019 e 2020;
  • per le attività di lavoro autonomo il reddito analitico;
  • sugli allevamenti di animali, produzione di vegetali e attività agricole connesse il reddito d’impresa forfettario al lordo delle perdite;
  • sulle società agrarie il reddito agrario imponibile.

Dichiarazione dei redditi Enti non commerciali ai fini del fondo perduto perequativo

I redditi degli enti non commerciali ai fini della richiesta degli aiuti a fondo perduto riguardano per il 2019 e 2020:

  • il reddito degli enti a contabilità ordinaria, semplificata e contabilità pubblica va preso al lordo delle perdite;
  • nel caso di lavoro autonomo si considera il reddito analitico al lordo delle perdite;
  • per gli enti che hanno reddito da allevamenti di animali o da produzione di vegetali e attività agricole connesse si fa riferimento al reddito di impresa forfettario al lordo delle perdite;
  • dei redditi agrari degli enti non commerciali si prende il reddito imponibile.

Richiesta contributi a fondo perduto per le società di capitali

Per la richiesta dei contributi a fondo perduto delle società di capitali, i redditi da considerare per il 2019 e 2002 sono:

  • nel caso di reddito di impresa, si considera l’analitico al lordo delle perdite;
  • le società sportive dilettantistiche devono considerare il reddito forfettario al lordo delle perdite;
  • per il regime di Tonnage tax si considera il reddito d’impresa forfettario al lordo delle perdite.

Partita Iva regime forfettario: come si compila il quadro LM con due codici Ateco e aliquota agevolata?

Come si compila il quadro LM in sede di dichiarazione dei redditi per una partita Iva a regime forfettario con due diversi codici Ateco riguardanti due diverse attività? La prima considerazione da fare è quella che le attività possono rientrare nell’aliquota agevolata del 15% o del 5% (in caso di nuove attività per i primi 5 anni). Però è necessario verificare determinate condizioni.

Partita Iva forfettaria, due attività che non superano il tetto dei 65.000 euro

Ammettiamo che un lavoratore autonomo abbia aperto la partita Iva a inizio del 2020. Dopo qualche mese ha aggiunto una seconda attività e, pertanto, anche un nuovo codice Ateco. Le due attività, pur essendo diverse, ricadono nello stesso gruppo e dunque hanno la stessa percentuale di redditività. Dalle attività, il contribuente ha ricavato redditi che non superano, complessivamente, i 65.000 euro annuali. È questa una delle condizioni per continuare a mantenere la partita Iva in regime forfettario.

Partita Iva forfettaria, codici Ateco e coefficienti di redditività

La partita Iva forfettaria è compatibile con lo svolgimento di più attività ricadenti in differenti codici Ateco. Nel caso in esame, è necessario verificare che le due attività ricadano nel medesimo gruppo di redditività. Ci viene incontro l’allegato 2 della legge numero 145 del 2018. Infatti, nel documento sono riportati il gruppo di settore di svolgimento di attività, il codice Ateco classificato nel 2007 e il coefficiente di redditività. All’interno del gruppo di attività, ma in alcuni casi anche per gruppi differenti, può trovare applicazione il medesimo coefficiente di redditività.

Come controllare a quale gruppo appartiene l’attività svolta dalla partita Iva dal codice Ateco?

È il caso, ad esempio, di una partita Iva che svolga attività di commercio al dettaglio (gruppo 2) e, come seconda attività, quella di servizi di ristorazione (gruppo 7). Per entrambe le attività il coefficiente di redditività è pari al 40%. Ma attività diverse l’una dall’altra possono rientrare anche nello stesso gruppo. Ad esempio, nel gruppo 9 sono riportate le “altre attività economiche” con coefficiente di redditività pari al 67%. Le tante attività riportate all’interno del gruppo possono avvicinarsi tra loro ma anche essere estremamente differenti.

Come vanno riportati i redditi in sede di dichiarazione per due attività della stessa partita Iva?

Nel caso preso in esame della partita Iva con due attività e differenti codici Ateco ma con la medesima percentuale di redditività, è possibile procedere alla compilazione del modello dei redditi 2021 delle persone fisiche nel seguente modo:

  • nel rigo Lm 22 va indicato nella colonna 1 il codice Ateco inerente l’attività che può essere considerata prevalente;
  • nella colonna 2 va indicato il corrispondente coefficiente di redditività;
  • in quella numero 3 il volume totale dei compensi e dei corrispettivi percepiti nell’anno di imposta;
  • nella colonna 5 va indicato il reddito da determinare forfettariamente.

Applicazione dell’aliquota del 5% o del 15% sul reddito forfettario di una partita Iva

Il quadro LM così compilato ai fini della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche consente l’applicazione dell’aliquota spettante. L’agevolazione può essere al 5%, applicata sui compensi di entrambe le attività e codici Ateco con lo stesso coefficiente di redditività. Oppure del 15% nel caso in cui si siano esauriti i primi 5 anni di nuova attività.

Determinazione imposta da pagare, si considera la sommatoria dei compensi delle due attività

La percentuale agevolata, dunque, va applicata sull’intero importo del reddito della partita Iva forfettaria risultante dall’applicazione del coefficiente di redditività. E, pertanto, sulla sommatoria dei componenti positivi riconducibili a tutte e due le attività che l’autonomo svolge.

Pensione integrativa e convenienza fiscale: la deducibilità delle partite Iva forfettarie

I lavoratori autonomi che adottano la partita Iva in regime forfettario non possono sfruttare tutte le detrazioni e le deduzioni fiscali contemplate nel regime ordinario della partita Iva, ad eccezione dei contributi previdenziali obbligatori. Tuttavia, anche chi rientra nel regime forfettario può avvalersi di deduzioni e detrazioni fiscali nel caso di altri redditi sui quali sono dovute le imposte Irpef. Rientrano in questo campo di applicazione l’ulteriore reddito da lavoro dipendente o da locazione, purché senza cedolare secca.

Pensione integrativa e regime forfettario

Nel caso del regime forfettario, l’adesione alla pensione integrativa, dunque, non comporta l’applicabilità della deduzione fiscale dei contributi versati al fondo pensione. La deducibilità, tuttavia, è possibile sugli ulteriori altri redditi soggetti a Irpef. L’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica è prevista sulla parte di contributi non dedotta.

Esenzione fiscale della prestazione finale del fondo pensione

Tuttavia, anche nel caso del regime forfettario di partita Iva è prevista l’esenzione fiscale sulla prestazione pensionistica futura. Infatti, nell’erogazione della prestazione previdenziale si deve considerare:

  • che la prestazione è soggetta a ritenuta con aliquota agevolata, tra il 15 % e il 9% a seconda della durata, in anni, di partecipazione al fondo pensione;
  • che la ritenuta è esente, in parte, da tassazione.

Base imponibile prestazione pensione integrativa soggetta a ritenuta

Il vantaggio, anche per le partite Iva a regime forfettario, consiste nel fatto che sulla base imponibile della futura prestazione pensionistica, e sulla quale andrà applicata la ritenuta d’imposta, dovrà essere escluso quanto già tassato precedentemente. Dunque, risultano esenti dalla prestazione pensionistica:

  • i rendimenti già tassati nella fase in cui si sono versati i contributi;
  • i contributi che il contribuente non ha dedotto ficalmente.

Partita Iva con regime forfettario: come funziona la deducibilità dei contributi al fondo pensione

Un contribuente con partita Iva a regime forfettario che abbia versato al fondo pensione contributi per 4.500 euro, dunque, non potrà godere, a differenza degli altri regimi di partita Iva, della deduzione fiscale sui contributi versati. In ogni caso, il contribuente dovrà procedere a inoltrare al fondo pensione la comunicazione dei “contributi non dedotti“. Il lavoratore autonomo deve presentare la comunicazione non oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello nel quale i contributi sono stati versati. L’importo che deve contenere la comunicazione è pari a 4.500 euro, ovvero al totale annuo dei contributi pagati al fondo.

Contribuenti forfettari: esenzione fiscale della prestazione pensionistica

Come già detto in precedenza, i 4.500 euro versati al fondo pensione, pur non essendo deducibili nel momento in cui sono stati versati, rappresentano l’esenzione fiscale della futura prestazione pensionistica. E pertanto, il contribuente in regime forfettario, con la comunicazione dei contributi non dedotti, dichiara al gestore del fondo di non essersi avvalso della deducibilità fiscale dei contributi versati. Ma godrà della detassazione totale per 4.500 euro una volta che avrà ottenenuto la prestazione previdenziale complementare.

Deducibilità contributi pensione integrativa per partite Iva ordinarie

Diverso è il caso dei lavoratori autonomi con partita Iva ordinaria. Un contribuente che versi al fondo pensione contributi per 3.000 euro l’anno, ottiene la deducibilità fiscale dei versamenti per lo stesso importo.  I contributi versati al fondo non superano il limite massimo della deducibilità, fissato in 5.164,57 euro. Non dovrà presentare alcuna comunicazione al fondo pensione per contributi non dedotti, ma cambia la fiscalità della futura prestazione pensionistica. Infatti, all’ottenimento della pensione integrativa i rendimenti saranno tassati.

Pensione integrativa: quali vantaggi per la partita Iva ordinaria?

Diverso è, inoltre, il caso di un contribuente, in regime di partita Iva ordinaria, che versi contributi al fondo pensione superiori al limite di deducibilità. Ad esempio, un lavortore autonomo che versi 7.000 euro annui a fronte del massimo deducibile di 5.164,57 euro. Proprio il limite costituisce dunque, il massimo della deduzione fiscale dei contributi versati in sede di dichiarazione dei redditi. Tuttavia, la differenza tra quanto versato e il massimo, pari a 1.835,37 euro, deve essere comunicata al fondo pensione. La comunicazione dovrà avvenire per mettere al corrente dei contributi che il contribuente non ha dedotto.

Futura pensione complementare di chi lavora con partita Iva

In quest’ultimo caso, dunque, il contribuente si avvarrà, nella futura prestazione complementare, di una quota esente da tassazione rappresentata dai contributi che non sono stati dedotti fiscalmente. E pertanto, nella base imponibile soggetta a ritenuta d’imposta sulla futura pensione integrativa, dovranno essere sottratti i contributi che non sono stati dedotti fiscalmente negli anni di accumulo. Nel caso in questione, tali contributi sono pari proprio a 1.835,57 euro.

Chi è obbligato a presentare la dichiarazione IRAP? Scopriamolo insieme

L’IRAP è l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive ed è un’imposta annuale il cui gettito entra nelle casse delle Regioni ed è destinato prevalentemente alle spese sanitarie. In questa piccola guida cercheremo di capire chi è obbligato a presentare la dichiarazione IRAP, cioè chi sono i soggetti passivi di questo tributo.

Chi deve presentare la dichiarazione IRAP

Le caratteristiche generali dell’IRAP sono state delineate nel precedente articolo che è possibile trovare QUI, cercheremo ora di delineare chi sono i soggetti che devono presentare la dichiarazione IRAP 2021. Per capire ciò è necessario fare riferimento prevalentemente al TUIR (Testo Unico Imposte sul Reddito).

Devono presentare la dichiarazione IRAP:

  •  in base all’articolo 53 TUIR devono presentare la dichiarazione le persone fisiche esercenti arti e professioni che siano titolari di reddito di lavoro autonomo;
  • l’ art 55.TUIR indica come obbligati le persone fisiche esercenti attività commerciali e titolari di reddito d’impresa;
  • allevatori;
  • agriturismo che si avvalgono del regime semplificato per la determinazione del reddito;
  •  Società Semplici, Società in Nome collettivo (SNC), Società in Accomandita Semplice (SAS) ed equiparate comprese le associazioni costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni;
  • Società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative e di mutua assicurazione, trust, enti pubblici e privati residenti nel territorio dello Stato o che qui svolgono attività commerciale in modo prevalente, società ed enti di ogni tipo, anche senza personalità giuridica e senza residenza in Italia, limitatamente all’attività esercitata sul territorio  per un tempo non inferiore a 3 mesi con organizzazione stabile;
  •  enti privati diversi da società e da trust residente nel territorio e che hanno per attività principale quella commerciale;
  •  enti non commerciali e non residenti che hanno esercitato in Italia attività attraverso un’organizzazione stabile per un periodo non inferiore a tre mesi o che hanno esercitato attività agricola;
  • amministrazioni pubbliche.

Soggetti esonerati dalla presentazione della dichiarazione IRAP

Per capire bene il campo di applicazione IRAP 2021 è necessario anche avere in considerazione i soggetti esonerati dall’obbligo di presentare la dichiarazione IRAP. Si tratta di:

contribuenti esercitanti attività di impresa, arti e professioni che hanno aderito al regime forfettario o a un regime fiscale di vantaggio ad esempio contributi per l’imprenditoria giovanile, lavoratori in mobilità;

  • incaricati di vendita a domicilio;
  • coloro che scelgono il regime forfettario;
  • imprese  che esercitano attività agricole (legge 208 del 2015) tra cui anche agriturismo;
  • coloro che hanno un reddito derivante da collaborazione coordinata e continuativa;
  • redditi derivanti dalla concessione in locazione di fabbricati e terreni;
  • fondi di investimento;
  • reddito occasionale.

Il presupposto oggettivo per la dichiarazione IRAP

Dal punto di vista oggettivo è necessario fare riferimento all’articolo 2 comma 1 del decreto legislativo 446 del 1997 che ha istituito questa imposta. Lo stesso è rubricato “presupposto dell’imposta” e stabilisce: Presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta.

Da ciò deriva che nel singolo caso occorre verificare se effettivamente sono presenti tutti i presupposti per poter applicare l’imposta e quindi se vi è obbligo o meno di presentare la dichiarazione IRAP. L’attività deve quindi essere svolta:

  • abitualmente;
  • deve essere diretta alla produzione di beni e alla prestazione di servizi;
  • deve essere presente una organizzazione di risorse e beni diretta alla stessa attività produttiva.

L’ultimo punto è stato interpretato nel senso che il lavoratore autonomo, ad esempio un professionista, ricade nell’applicazione dell’IRAP nel caso in cui per lo svolgimento dell’attività si avvalga della collaborazione di altri soggetti, oppure abbia investito notevoli capitali, ma se lavora da solo, non ha dipendenti e collaboratori di alcun genere e non ha effettuato investimenti importanti, ad esempio per l’acquisto di strumentazioni, è esentato. Il caso di scuola è quello dell’avvocato che ha uno studio in cui opera solo lui.

La giurisprudenza

Si ritiene che l’esercizio occasionale di tali attività professionali, ad esempio quella di avvocato, non costituisca il presupposto per l’applicazione dell’imposta. La giurisprudenza nel tempo ha maturato diversi orientamenti. Ad esempio la Corte Costituzionale nella sentenza  156 del 2001 ha stabilito che non è soggetto passivo dell’imposta il professionista che esercita l’attività in assenza di elementi di organizzazione. Sulla stessa linea c’è la sentenza della Corte di Cassazione 3672 del 2007 che afferma che l’imposta non è applicabile quando il contribuente si sia avvalso di mezzi materiali e personali che rappresentano un mero ausilio all’attività.

Entra nel merito della questione la Corte di Cassazione e in diverse pronunce ribadisce che l’imposta non è dovuta:

  • quando il professionista è responsabile dell’organizzazione dei mezzi;
  • nel caso in cui non s parte di strutture organizzative riferibili a responsabilità e interessi altrui;
  • se si avvale in maniera occasionale del lavoro altrui.

Termini di presentazione del modello IRAP 2021

La dichiarazione IRAP deve essere presentata entro il 30 novembre dell’anno successivo rispetto al periodo di imposta, ad esempio per il periodo di imposta 2020 la dichiarazione IRAP deve essere presentata entro il 30 novembre 2021.

 

 

Meglio un’associazione culturale o società? Scopriamolo insieme

Le persone hanno sempre avuto il desiderio di vivere in comunità e perseguire degli obiettivi comuni, proprio per questo l’uomo si definisce generalmente un animale sociale. Allo stesso tempo ha la necessità di regolare i rapporti che possono nascere al fine anche di evitare problemi e realizzare quella che viene definita la certezza del diritto. Purtroppo, soprattutto in Italia, per poter svolgere le attività “sociali” sono disponibili diverse forme giuridiche e non sempre è facile scegliere quella giusta perché ognuna ha dei pro e dei contro. Vedremo ora quali sono le differenze tra queste due forme in modo da poter scegliere tra associazione culturale o società.

Associazione culturale o società?

Nel precedente articolo sono stati esaminati i vantaggi e gli svantaggi di un’associazione culturale e in particolare è stato posto l’accento sui vantaggi fiscali che possono ottenere gli enti del terzo settore, con o senza personalità giuridica. Ciò che però molti si chiedono è se conviene di più scegliere di esercitare l’attività sotto forma di associazione culturale o società. Non è semplice rispondere al quesito, molto dipende dall’obiettivo che si intende perseguire, di fatto non esiste una risposta univoca, ma occorre analizzare bene la situazione concreta della singola realtà che si vuole costituire e capire come agire. Deve essere sottolineato che in Italia è possibile avere anche la società unipersonale, mentre per quanto riguarda le associazioni occorre che siano presenti almeno tre soci fondatori che possano ricoprire le cariche essenziali. Già questa è una prima nota che può fare la differenza.

Occorre ricordare che l’attività delle associazioni culturali deve essere svolta senza fini di lucro, si tratta infatti di un ente no profit, e  quindi gli associati non possono dividere gli utili. E’ vero che l’associazione culturale può avere dei dipendenti e che gli stessi naturalmente devono essere retribuiti, ma questo non fa venire meno il divieto di dividere gli utili, che è un’operazione diversa rispetto al pagamento delle retribuzione e dei contributi per dipendenti.

Si è detto in precedenza che le associazioni culturali possono anche avere una partita IVA e che possono avere anche natura commerciale, ma questo non vuol dire che vi sono degli utili da dividere, infatti eventuali ricavati dalle attività commerciali sono utilizzabili per pagare i dipendenti e per svolgere attività inerenti la stessa associazione e più in particolare il raggiungimento dello scopo.

La principale differenza tra associazione culturale e società

Questa breve disamina non vuole essere una inutile ripetizione di contenuti già presenti, ma un modo per far capire che vi è una fondamentale differenza tra l’attività svolta da un’associazione culturale e quella invece svolta da una società, di fatto sia scegliendo la formula della società di persone, sia quella di società di capitali  si ha la possibilità di dividere gli utili e quindi di avere un lucro. Tra le varie forme societarie presenti nel diritto italiano quella che molto probabilmente si avvicina di più all’associazione culturale è la società cooperativa in quanto ha comunque uno scopo mutualistico e ha come obiettivo la divisione degli utili tra tutti coloro che partecipano alla stessa società cooperativa.

Regime forfettario e associazione culturale

Ci sono inoltre altri risvolti da tenere in considerazione, ad esempio chi ha una partita IVA, professionista o con altra attività professionale, ed opera con il regime forfettario non può detenere quote o azioni di società e continuare ad operare con il regime fiscale forfettario. Tale limite però non vi è nel caso in cui si sia soci di un associazione culturale, questo vale anche nel caso in cui nella stessa associazione culturale si ricopra il ruolo di membro del consiglio direttivo.

Questo implica che se si vuole svolgere attività di promozione culturale ma professionalmente si lavora con una partita IVA e si gode del regime agevolato, è conveniente svolgere l’attività di promozione culturale con il vincolo associativo e non societario. L’unico caso in cui si può essere membri di una società e allo stesso tempo conservare il regime forfettario è quello della società cooperativa, ecco perché ancora una volta questa forma societaria potrebbe essere la soluzione.

Sei ancora indeciso tra associazione culturale o società? L’aiuto di un professionista inq uesto caso potrebbe esserti molto utile.