Emergenza Covid: arriva la circolare per le regioni. Obiettivo prepararsi a una nuova ondata

Dopo i controlli a tappeto sugli aerei provenienti dalla Cina, il Paese sembra che si stia preparando a una nuova ondata Covid e arriva una nuova Circolare del Ministero della Salute diretta alle regioni in modo che siano pronte ad attuare un piano straordinario. Ecco le misure principali previste.

Ripresa della campagna vaccinale per il contrasto al Covid

La fine del 2022 sembra riportare indietro nel tempo, a quando, al termine del 2019, si iniziava a parlare di emergenza Covid e di certo nessuno immaginava cosa stava per accadere. Il Ministero della Salute ha pubblicato una nuova circolare con le indicazioni per le regioni per affrontare al meglio una nuova eventuale ondata di contagi Covid. La circolare è rubricata: Interventi in atto per la gestione della circolazione del SarsCoV2 nella stagione invernale 2022-23.

Nella circolare si sottolinea che è fortemente consigliata la quarta dose di vaccino anti sars-covid per coloro che possono essere considerati soggetti a rischio in quanto con difese immunitarie compromesse. Rientrano tra questi gli ultra-ottantenni, tutti coloro che sono ricoverati in Rsa e ultra-sessantenni con fragilità. Inoltre si consiglia il vaccino anche ai bambini in età scolare a partire dal 9 gennaio, c’è quindi il timore di un’ondata di contagi con la riapertura delle scuole soprattutto nel caso in cui presentino situazioni di fragilità. L’obiettivo è evitare nuove ondate di ospedalizzazioni con strutture al collasso, come già abbiamo visto in precedenza. La quarta dose può essere effettuata se sono trascorsi 120 giorni dall’ultima.

Regioni si preparino ad attuare piani straordinari

Alle regioni si richiede di mettere a punto un piano immediatamente eseguibile per far fronte a un peggioramento della situazione in caso di aumentata richiesta assistenziale.

Viene raccomandato anche l’uso delle mascherine in quanto strumento efficace nella riduzione della trasmissione dei virus respiratori e ad evitare nel in cui dovesse esservi un peggioramento epidemiologico un grave impatto clinico.

Nella circolare è anche sottolineato che in caso di peggioramento della situazione epidemiologica sarà bene valutare anche l’adozione di misure come lo smart working e limitare gli eventi che possono portare assembramenti. Vi è inoltre l’invito a migliorare i sistemi di aerazione in particolare in luoghi chiusi con forte afflusso di persone.

Resta naturalmente l’obbligo di indossare dispositivi di protezione per i visitatori di Rsa e strutture sanitarie. Si tratta di uno dei limiti che ha continuato ad essere vigente in questi mesi, sebbene all’inizio del mandato del nuovo Governo si pensava a un allentamento di tale misura.

Leggi anche: Proroga obbligo di mascherine e stop obbligo vaccino

Banche delle terre agricole: uno strumento per trovare terreni incolti

In Italia è stato calcolato che sono disponibili circa 3,5 milioni di ettari di terreno coltivabili e non utilizzati per vari motivi, allo stesso tempo ci sono giovani e meno giovani, imprese già operanti nel settore agricolo, che vorrebbero avere dei terreni da coltivare. Le banche delle terre  agricole hanno l’obiettivo di far incontrare domanda e offerta.

Le banche delle terre agricole

La prima cosa da chiarire è perché parliamo di banche dei terreni agricoli, la risposta è semplice: si parla al plurale perché in Italia sono attive diverse piattaforme che hanno l’obiettivo di far incontrare domanda e offerta di terreni.

Banca delle terre agricole ISMEA: come funziona

La  “banca” più importante è sicuramente quella gestita da ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), la particolare rilevanza è data dal fatto che si tratta di un ente pubblico economico che funziona in stretta correlazione con il Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali. In questa sede ci sarà solo un breve excursus alle iniziative di ISMEA perché di fatto il bando è già in una fase avanzata. Il 9 giugno 2021 sul sito ISMEA sono iniziate le manifestazioni di interesse per i terreni presenti nella banca dati ISMEA. Il bando ha messo a disposizione 16 mila ettari di terreno dislocati in tutto il territorio nazionale, la maggior parte al Sud, in grado di sviluppare potenzialmente 624 aziende agricole.

La Banca Nazionale delle Terre Agricole ISMEA mette a disposizione terreni pronti per essere coltivati, insomma non devono essere ripristinati, riportati a coltura e di conseguenza sono in grado di produrre reddito fin da subito. Gli stessi sono venduti all’asta con una procedura semplice e trasparente. Per i giovani che vogliono iniziare a lavorare in agricoltura ci sono ulteriori agevolazioni, ad esempio piani di pagamenti trentennali. Per il lotto di terreni resi disponibili nell’anno 2021 le manifestazioni di interesse potevano essere presentate dal giorno 9 giugno al 7 settembre, mentre è in svolgimento la seconda fase che prevede l’analisi delle varie proposte. Si aprirà quindi la fase dell’assegnazione dei terreni e della stipula dei contratti.

Il bando della Banca Nazionale delle Terre Agricole è importante perché sicuramente sarà nuovamente presentato per il 2022 e offrirà nuove opportunità.

Terre AbbanDonate

Per chi non vuole attendere, un’altra possibilità di accedere a terreni agricoli è formulato dall’associazione Let Eat Be che ha realizzato il progetto Terre AbbanDonate il cui obiettivo è contrastare il fenomeno delle terre abbandonate, soprattutto quelle appartenenti a proprietari che hanno difficoltà ad occuparsene e a metterle in produzione e di conseguenza restano incolte. In questo caso i proprietari dei terreni lasciati senza colture vengono iscritti in un particolare catasto dei terreni che raccoglie questi appezzamenti, mentre coloro che hanno interesse a coltivare dei terreni sono inseriti nell’anagrafe dei coltivatori. Attraverso la piattaforma Terre AbbanDonate è possibile far incontrare proprietari e potenziali agricoltori che poi possono autonomamente stipulare il contratto.

Uno dei limiti di questa piattaforma è il fatto che sia di tipo locale, cioè il censimento dei terreni abbandonati riguarda solo quelli che sono localizzati nella zona del biellese.

Le banche delle terre regionali: Toscana, Liguria e Trentino

Il terzo progetto è invece la Banca della Terra organizzata dapprima dalla regione Toscana e in seguito anche in Trentino Alto Adige, con la speranza che presto possa diventare un progetto di tipo nazionale, naturalmente gestito dalle Regioni. Il primo progetto della banca della terra è della Regione Toscana nel 2012 e ha l’obiettivo di dare nuova vita ai terreni incolti e preferire la gestione da parte di cooperative e giovani agricoltori anche di nuova generazione, cioè persone che arrivano da altre storie e decidono di cambiare vita e quindi occuparsi di agricoltura. La piattaforma è accessibile da questo link https://www.regione.toscana.it/-/la-banca-della-terra

Banche dei terreni agricoli di altre Regioni

Il progetto approda in seguito presso la regione Liguria, in questo caso acquista il nome di Banca Regionale della Terra, BRT e ha l’obiettivo di accrescere la competitività delle aziende agricole attraverso il portare a coltura terreni abbandonati e il riordino fondiario. La normativa della Banca regionale della terra è nell’articolo 6 della legge regionale 4 del 2014, naturalmente della regione Liguria.

Nel 2015 il progetto parte anche in Trentino Alto Adige, la legge di riferimento è la legge 15 del 2015 e ha l’obiettivo di contemperare le esigenze di chi vuole avviare nuove imprese e limitare il fenomeno dell’abbandono delle terre.

In Campania la bancha dei terreni agricoli è stata istituita con la legge Regionale n. 10 del 31 marzo 2017 articolo 1, commi 63,64,65 e 66.  L’obiettivo è censire e assegnare agli agricoltori, in particolare i giovani che vogliono iniziare a lavorare in questo settore, le terre abbandonate. L’inventario dei terreni disponibili è tenuto dalla Direzione Generale delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

Cosa sono i terreni incolti?

In base alla disciplina delle banche delle terre devono essere considerate incolte le aree che non sono state utilizzate per almeno 3 annate agrarie. I terreni possono essere segnalati anche dai consorzi di miglioramento fondiario, da liberi professionisti che si occupano di materia agraria e da organizzazioni professionali agricole. Quando i terreni sono di proprietà di privati è comunque necessario il loro assenso per poter procedere e i contratti possono essere di concessione, affitto e compravendita.

Chi decide di iniziare un’attività nell’agricoltura può ottenere incentivi e aiuti, leggi gli articoli dedicati:

Agricoltura: credito di imposta per chi acquista macchinari 

Credito per il Mezzogiorno per l’agricoltura: come funziona

Tassazione delle aziende agricole: il regime delle imposte sul reddito

 

Prescrizione bollo auto: quando si può non pagarlo più?

Il bollo è una delle tasse meno amate dai cittadini e, a volte per dimenticanza, altre per mancanza di liquidità oppure per il desiderio di evadere questo balzello,  capita che il contribuente non paghi il bollo auto. In questi casi è possibile avvalersi della prescrizione del bollo auto, ma quando matura?

La prescrizione del bollo auto

La prescrizione del bollo auto si verifica dopo 3 anni da quello successivo rispetto alla scadenza. Per avere però la prescrizione devono verificarsi anche altre condizioni e in particolare vi deve essere un’inerzia dell’ente che deve riscuotere, si tratta della Regione oppure dall’Agenzia delle Entrate che si occupa della riscossione in Friuli Venezia Giulia e Sardegna.

La normativa da applicare è l’art. 5 del D.l. 953/82, modificato dall’art. 3 del D.l. 2/86 convertito nella legge 60/86: “l’azione dell’Amministrazione finanziaria per il recupero delle tasse dovute dal 1° gennaio 1983 per effetto dell’iscrizione di veicoli o autoscafi nei pubblici registri e delle relative penalità si prescrive con il decorso del terzo anno successivo a quello in cui doveva essere effettuato il pagamento”.

Le Regioni non possono derogare ai termini di prescrizione del bollo auto

Va precisato che la Corte Costituzionale in un’importante pronuncia, la sentenza 311 del 2003, stabilisce che in realtà il bollo auto è un tributo attribuito alla Regione, ma non istituito dalle regioni e di fatto è un tributo statale e di conseguenza le Regioni non possono stabilire proroghe o condoni. Discende da questo postulato che l’applicazione del termine di prescrizione non può essere oggetto di deroga da parte delle Regioni ed è unico in tutto il territorio nazionale.

La sentenza è il frutto dell’impugnazione da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri  di una normativa della Regione Campania che istituiva un termine di prescrizione più lungo per il bollo auto, motivando tale scelta con la difficoltà di riscuotere in un così breve lasso di tempo anche a causa della modifica dei sistemi ACI. La Corte Costituzionale ha ravvisato nella norma  anche una discriminazione dei cittadini campani rispetto alla totalità dei contribuenti. Questo implica che se una Regione, oltre il termine di prescrizione, in forza di una legge regionale,  dovesse chiedere ai contribuenti il pagamento del bollo auto prescritto, l’atto deve essere impugnato.

 Cosa interrompe il termine di prescrizione?

Il termine di prescrizione inizia a decorrere dall’anno successivo rispetto alla scadenza, quindi se il bollo scade il 31 ottobre 2020, il termine di prescrizione inizia a decorrere dal 1° gennaio 2021 e termina il 31 dicembre del terzo anno successivo (31 dicembre 2023). Ciò implica che dal 1° gennaio del 2024 l’amministrazione non potrà richiedere il pagamento del bollo auto scaduto.  Nel frattempo però l’ente che riscuote la tassa potrebbe accorgersi del mancato pagamento e in questo caso invia un avviso bonario in cui si invita il contribuente a effettuare il pagamento. Tale notifica va ad interrompere il termine di prescrizione che  inizia a decorrere nuovamente il giorno successivo rispetto a quello in cui il contribuente ha ricevuto l’avviso.  A questo punto il contribuente può pagare, contestare il mancato pagamento,  ad esempio presentando la ricevuta del pagamento effettuato,  o continuare ad omettere il pagamento.

L’iscrizione a ruolo delle somme

Se trascorrono 3 ulteriori anni senza nessuna notifica c’è la prescrizione, ma in caso contrario e quindi se vi è il secondo passo solitamente fatto dall’amministrazione, cioè  l’iscrizione a ruolo delle somme e la notifica della cartella esattoriale in cui il contribuente viene invitato a sanare la posizione entro 60 giorni, questo atto va di nuovo a interrompere i termini di prescrizione, che ricominciano poi a decorrere nuovamente. Si deve ricordare che dopo la notifica della cartella esattoriale, il contribuente può proporre opposizione, ma in assenza di ricorso o di pagamento entro i termini stabiliti, l’amministrazione procede ad inviare il preavviso di fermo e dopo 30 giorni il fermo amministrativo sarà attivo, quindi l’auto non potrà circolare. Il ricorso avverso la cartella esattoriale interrompe i termini di prescrizione che ricominciano a decorrere quando il giudizio sarà concluso e il provvedimento divenuto definitivo.

Quando si verifica la prescrizione del bollo auto?

In linea di massima la prescrizione può verificarsi anche dopo molti anni rispetto alla scadenza iniziale. Per ridurre il carico pendente delle riscossioni, il decreto fiscale 2019 ha previsto la cancellazione delle imposte scadute e non riscosse e tra queste il bollo auto scaduto tra il 2000 e il 2010, ciò fino all’importo massimo di 1000 euro che deve però comprendere anche interessi e sanzioni e quindi non il bollo “puro”. La cancellazione di tali importi avviene in modo automatico. Inizialmente su tale norma c’è stata molta confusione infatti molte Regioni hanno ritenuto che in realtà il decreto fiscale 2019 non si riferisse anche al bollo auto, a chiarire i dubbi è intervenuto il Ministero con una sua nota che ha appunto previsto che nel decreto strappa-cartelle rientrava anche il bollo auto.

 Cosa fare se c’è la notifica di una cartella esattoriale per bollo auto scaduto e prescritto?

La prima cosa da fare è valutare bene se i termini sono realmente prescritti oppure se è stato notificato un atto di accertamento. Se si è sicuri della prescrizione si può procedere con un’istanza di sospensione legale della riscossione; l’ente deve rispondere a tale istanza entro 220 giorni, se non lo fa il debito si intende prescritto.

In alternativa o contemporaneamente  si può proporre ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, in questo caso inizia una vera procedura giudiziaria volta ad accertare se effettivamente la prescrizione è maturata.

Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’atto; la richiesta di sospensione legale della riscossione non interrompe i termini per la proposta del ricorso alla commissione tributaria.

In vent’anni, raddoppiata la spesa degli enti pubblici

Un’analisi di Confcommercio realizzata in collaborazione con il CER, Centro Europa Ricerche, ha fatto emergere l’ennesima brutta notizia per l’Italia e le sue Pubbliche Amministrazioni.

Sembra, infatti, che negli ultimi 20 anni la spesa delle amministrazioni centrali, ovvero di Stato ed altri Enti istituzionali, sia aumentata del 53%.
Ma non è tutto, e non è il peggio, poiché la spesa di Regioni, Province e Comuni è salita del 126% e quella degli enti previdenziali del 127%: ciò significa, in parole povere, e mai aggettivo è stato più azzeccato, che la spesa pubblica complessiva è raddoppiata.

Per tamponare, dunque, i danni relativi a questa situazione, e rientrare nei costi, si è assistito ad una esplosione del gettito derivante dalle imposte (dirette e indirette) a livello locale con un aumento del 500% a cui si è associato il sostanziale raddoppio a livello centrale.

Nell’ultimo decennio, inoltre, è quasi triplicata l’incidenza delle addizionali regionali e comunali sull’Irpef, mentre esiste una profonda spaccatura tra le singole Regioni in base all’incidenza dalla tassazione locale: l’aliquota Irap per un’impresa della Campania è quasi il doppio di quella che deve pagare un’impresa di Bolzano.

Uno degli obiettivi principali del federalismo fiscale, cioè quello di mantenere inalterata la pressione fiscale a carico dei contribuenti, non è stato centrato, anzi: diventa sempre più urgente, e necessario, un maggiore coordinamento fra le politiche tributarie attuate ai diversi livelli di governo.

Vera MORETTI

Federalismo fiscale: trasporto pubblico, fisco municipale, Milleproroghe… si discute

Il federalismo fiscale sta soffrendo un momento di impopolarità. A lamentare problemi e incoerenze sono Regioni, Province e Comuni, che rivendicano maggiori attenzioni e il rispetto di accordi precedenti. I Comuni in particolare lamentano che i loro emendamenti non sono accolti nonostante siano passati all’esecutivo. Le Province lamentano la mancanza di fondi e risorse fondamentali per il loro funzionamento. Lamentele che sono state sollevate a voci spiegate alla commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale presieduta da Enrico La Loggia. Il cosiddetto “Comitato dei 12”, capitanato dal presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani ha affermato: “Abbiamo siglato un accordo a metà dicembre 2010 che per noi è fondamentale anche per il rapporto con il decreto sul fisco regionale. L’accordo non ha ancora avuto seguito da parte del governo. Non possiamo non sottolineare come questo elemento impatti negativamente sulla discussione”.

Mancano soprattutto accordi circa il trasporto pubblico locale, un raccordo tra il decreto sul fisco municipale e quello regionale, decreto Milleproroghe In merito a quest’ultimo è stato detto che “Ci sono molte norme caratterizzate da un impianto sostanzialmente a-federale“. Errani ha criticato ha criticato sia la previsione che in caso di calamità le Regioni possano aumentare l’aliquota delle addizionali o i tributi propri, sia il fatto che 70 milioni di euro destinati alla sanità torneranno allo stato centrale anche per finanziare le Fondazioni liriche ”che e’ vero devono essere finanziate ma sottrarre soldi alle Regioni è inaccettabile“.

Cota, presidente del Piemonte,intervenendo in audizione, ha assicurato: ”il governo manterra’ gli impegni presi in tema di federalismo fiscale”. ”Siamo al governo per fare il federalismo e lo porteremo a casa”, e’ stato invece il commento del governatore del Veneto, Luca Zaia. A calmare le acque e cercare un confronto è stato il ministro per la Semplificazione Normativa Roberto Calderoli, anche se la strada da fare è ancora molta e le risposte a volte tardano ad arrivare.

d.S.

Regioni e Unioncamere uniti per le pmi

Le pmi sono al centro di un’azione di sostegno per quanto riguarda l’internazionalizzazione da parte di Regioni e Camere di Commercio.
E’ quanto ha confermato Gian Mario Spacca, presidente della Regione Marche e coordinatore della Commissione attività produttive e internazionalizzazione della Conferenza delle Regioni.

Obiettivo è quello di valorizzare l’impegno di Regioni e Camere di Commercio nell’affiancare le piccole aziende che intendono cimentarsi con la sfida dell’export. La decisione di focalizzarsi su micro e piccole imprese è semplice: “è questa la dimensione largamente prevalente nella realtà produttiva del nostro Paese. Pensiamo che la crescita debba coinvolgere proprio questo target, che trova nelle istituzioni pubbliche più prossime gli interlocutori privilegiati. E’ una sfida molto importante che punta anche a portare nell’ambito della Cabina di Regia nazionale un contributo del sistema territoriale meno frammentato e più efficace”.

Per questo, è stato da poco presentato, direttamente alla Cabina di regia, un piano di lavoro che vede Regioni e Unioncamere uniti per il sostegno alle politiche di internazionalizzazione delle micro, piccole e medie imprese.

Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, vede in questa alleanza un’opportunità concreta per aiutare un numero sempre maggiore di imprese, soprattutto di piccole e piccolissime dimensioni, a varcare i confini nazionali: “Oggi sono soltanto 211mila le imprese che fanno affari oltreconfine e di queste poco più di 10mila lo fanno stabilmente. Eppure, secondo i nostri dati, altre 70mila aziende sarebbero pronte ad affrontare la sfida dei mercati stranieri ma ancora non riescono a buttarsi nel mare aperto della competizione globale. Aiutare le prime a consolidare la presenza all’estero e le seconde a oltrepassare i confini nazionali è dunque un imperativo imprescindibile“.

Il Piano Regioni-Unioncamere riguarda diversi ambiti:

  • Assistenza tecnica ed informativa alla micro, piccola e media impresa sul territorio, che prevede l’utilizzo di sportelli informativi, situati presso le Camere di Commercio, ma anche l’attivazione di punti di informazione in collaborazione con l’agenzia ICE su: mercati geografici, settori merceologici, procedure di esportazione, documentazione necessaria, aspetti fiscali, commerciali e legali, programmi di outgoing ed incoming, eventi fieristici, incentivi italiani ed esteri; inoltre le Regioni si impegneranno ad avviare un percorso di razionalizzazione delle attività degli Sportelli regionali per l’internazionalizzazione, ovvero lo SPRINT, e sui mercati esteri;
  • Attività di formazione, con un Piano pluriennale regionale di formazione condiviso e cofinanziato da Regioni e Camere di Commercio con il coinvolgimento dell’Agenzia Ice e del sistema delle Università locali, finalizzato ad ampliare e diffondere la cultura dell’internazionalizzazione;
  • Valorizzazione del territorio per l’attrazione degli investimenti esteri/marketing territoriale, con la costituzione di un tavolo regionale di lavoro comune per la selezione delle opportunità da proporre agli investitori esteri sul territorio;
  • Sviluppo degli strumenti finanziari: Regioni ed Unioncamere si impegnano a selezionare e promuovere gli interventi di accesso al credito ritenuti più efficaci per favorire i processi di internazionalizzazione;
  • Azioni di promo commercializzazione all’estero e in Italia: Regioni e Camere di Commercio individuano annualmente qualificate e selezionate attività di sistema definendo contestualmente aree geografiche prioritarie, settori merceologici coinvolti, e risorse da investire;
  • Focus sul Sud e Fondi strutturali: verifica con le Regioni del Sud, area Obiettivo Convergenza, per realizzare apposite iniziative di sostegno per promuovere attività di internazionalizzazione con una riprogrammazione dell’utilizzo dei cosiddetti fondi strutturali, anche sulla base delle best practice in corso.

Vera MORETTI

La Cgia ribadisce l’importanza delle Regioni

Lo scandalo della Regione Lazio ha portato molti a desiderare che le Regioni, come istituzioni, vengano abolite. Non bastasse l’astio per le province…

Per questo, l’Ufficio Studi della Cgia di Mestre ha condotto uno studio che pone l’attenzione, al contrario, sull’importanza di esse.
Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha inoltre ricordato come, se in precedenza i poteri delle Regioni, benchè citati dalla Costituzione, fossero in effetti gestiti dallo Stato, ora il potere è decentrato ad ogni regione singola, come conseguenza della riforma del 2001.

Lo Stato, da allora, detiene le redini di giustizia, difesa, politica estera, mentre le Regioni detengono i poteri su tutte quelle funzioni non riservate esplicitamente riservate allo Stato. In un decennio, le Regioni italiane hanno speso hanno speso 89 miliardi di euro in più, a fronte di una crescita della spesa del 74,6%, considerando l‘aumento dell‘inflazione fino al 23,9%. Ben 49,1 miliardi sono andati alla sanità.

Bortolussi, pur riconoscendo sprechi, sperperi ed inefficienze, che andrebbero il più possibile monitorati ed eliminati, ha dichiarato che “nell’ultimo decennio l’aumento della spesa delle Regioni è imputabile al nuovo ruolo istituzionale conferito loro e dalle nuove competenze assunte. In primis la gestione e l’organizzazione della sanità, ma anche dell’industria e del trasporto pubblico locale. Vi sono poi alcune materie nelle quali le Regioni hanno oggi una potestà esclusiva, mentre in precedenza dovevano sottostare ai limiti normativi dello Stato. Tra queste ricordo l’artigianato, l’agricoltura, il commercio, la formazione professionale, il turismo e l’ambiente”.

L’impennata delle spese regionali, inoltre, è dovuta anche ad un altro fattore, comune in quasi tutte le Regioni, da Nord a Sud: l’aumento dei costi socio-sanitari che le Regioni hanno dovuto farsi carico a seguito dell’invecchiamento della popolazione ma anche a causa di misure straordinarie adottate per sostenere la popolazione straniera giunta nel nostro Paese. A conferma di ciò è il dato della spesa cresciuta maggiormente in questo ultimo decennio, che riguarda l’assistenza sociale (+154,4%).

A livello di singola Regione, invece, la spesa pro capite più elevata si registra in Valle d’Aosta, con un importo pro capite pari a 13.139 euro. Seguono la Provincia autonoma di Bolzano, con 9.544 euro, e quella di Trento, con 8.860 euro. Le più parsimoniose, invece, sono le Marche, con 2.583 euro di spesa pro capite, la Puglia, con 2.342 euro e la Lombardia, con 2.202 euro.

Vera MORETTI

La spending review è legge

La spending review non è più un decreto ma una legge.

La Camera, con una votazione di 371 favorevoli, 86 contrari e 22 astenuti, ha dunque dato l’ok definitivo, dopo che il testo era passato al Senato.

Questo provvedimento porterà, come principale risultato, il congelamento dell’Iva, anche se, per ottenerlo, sono stati fatti tagli, considerati “generici” dal sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo, che però destano preoccupazioni e dubbi soprattutto da parte delle Regioni e degli amministratori locali.
Per loro, infatti, più che una revisione della spesa, questa nuova legge assomiglia molto ad un’altra manovra.

I tagli degli organici pubblici, a dire il vero, hanno sollevato le proteste dei sindacati, in particolare di Cgil e Uil, che hanno già indetto uno sciopero per fine settembre. Anche se si sono dati appuntamento fuori dall’Aula di Montecitorio con tanto di mannaie per simboleggiare quanto grave sarà la conseguenza di questo decreto sul lavoro pubblico.
Polillo, però, più che con le mannaie promette che, nei prossimi mesi si lavorerà con il bisturi, con Enrico Bondi in prima linea in qualità di supercommissario all’economia.

Dopo la pausa estiva, i primi obiettivi su cui lavorare saranno i dossier Amato (finanziamenti ai partiti e permessi sindacali) e Giavazzi (incentivi alle imprese), anche se non saranno tralasciati riordino delle agevolazioni fiscali e nuova revisione della spesa degli enti locali.

Vera MORETTI

L’F24 semplificato diventa monopagina

L’Agenzia delle Entrate semplifica la vita a coloro che devono pagare e compensare le imposte dovute all’Erario, alle Regioni e agli Enti locali, presso gli sportelli degli agenti della riscossione, delle banche convenzionate e degli uffici postali.

Il modello da compilare è diventato più semplice e snello, tanto da essere composto da un’unica pagina divisa in due parti, una per il contribuente e l’altra per chi riceve la delega di pagamento.

Questo nuovo F24 semplificato è disponibile gratuitamente, assieme alle avvertenze per la compilazione, anche in formato elettronico, sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate e può essere utilizzato dal prossimo 1 giugno. Pertanto, a partire dalla stessa data, l’F24 predeterminato previsto per i pagamenti dell’Ici è stato soppresso.
Le due parti in cui è diviso il modello si differenziano solo per la firma del contribuente, che si trova sulla copia che rimane a chi riscuote.

Nella sezione “motivo del pagamento” va indicato, nella colonna “sezione”, il destinatario delle somme, identificandolo con una delle seguenti sigle:
ER – Erario
RG –Regioni
EL – Enti locali.

Le colonne con lo sfondo grigio (“ravvedimento”, “immobili variati”, “acconto”, “saldo”, “numero immobili “ e “detrazione”) vanno compilate solo in caso di versamenti relativi all’Imu.
Con lo stesso provvedimento, inoltre, sono state estese le possibilità di utilizzo del modello “F24 EP” per consentire agli enti pubblici di impiegarlo anche per il versamento dell’Imu.

Vera MORETTI

Senato e Regioni uniti sulle fonti rinnovabili

Regioni e Senato chiedono a gran voce una modifica per quanto riguarda gli incentivi sulle fonti rinnovabili, fotovoltaico in primis.

Si sente la necessità, infatti, di “una forte spinta a sostegno del settore e all’ impegno delle Regioni sul fronte del miglioramento dei decreti”, perché come sono attualmente, secondo l’opinione dei senatori Francesco Ferrante e Roberto Della Setarischiano di minare la tenuta dell’ intero comparto”, a causa del problema dei fondi e dell’eccessiva burocratizzazione.
Sicuramente, il fatto che il Senato abbia dato il via libera alle mozioni sulle rinnovabili è un bel traguardo, soprattutto in chiave europea.

Insomma, potrebbe essere questa l’occasione per recuperare il gap che ci separa dalle potenze internazionali.
In concreto, se queste modifiche venissero attuate dal Governo, si andrebbe verso la realizzazione di una filiera industriale per quanto riguarda innovazione ed equilibrio del sistema degli incentivi, ma anche efficienza energetica, investimenti, occupazione, competitività, e reti intelligenti per la distribuzione.

Vera MORETTI