WeWard: l’app che ti paga per camminare fa guadagnare davvero?

E’ arrivata WeWard, l’app che ti paga per camminare e sono già tantissimi gli utenti che hanno deciso di scaricarla, ma ciò che molti si chiedono è: ma è tutto vero e fa guadagnare davvero o si tratta di una truffa? Cerchiamo di capire come funziona.

Cos’è WeWard?

WeWard è l’app che paga per camminare, in Italia è arrivata da pochi giorni e ha fatto registrare subito un successo inaspettato, infatti, in poco tempo è stata scaricata da oltre 700.000 persone. In realtà in altri Paesi, come la Francia, Spagna e Belgio è arrivata molto tempo fa, infatti in questi Paesi è disponibile dal 2019. Il traguardo da raggiungere per mantenere la forma fisica, avere una muscolatura tonica, una silhouette invidiabile, godere di tutti i benefici per la salute, tra cui una circolazione migliore e cuore in salute, è di 10.000 passi al giorno, ma spesso la maggior parte delle persone non riesce a raggiungerlo, si arrende prima.

WeWard potrebbe essere un incentivo in più per mantenere questo ambizioso obiettivo, infatti dai dati emerge che le persone che hanno scaricato l’app hanno in media un aumento di attività motoria del 24%. Chissà per quanto tempo funzionarà come stimolo? E’ difficile da prevedere, ma molto dipende da quanto riesce ad essere economicamente attraente, infatti per ora è stato stimato che il guadagno massimo è di 40 euro l’anno, circa 4 euro al mese.

Come funziona l’app che ti paga per camminare?

In primo luogo si tratta di un’app che può essere scaricata su telefoni Android e I-Phone. Una volta scaricata l’app e creato il proprio profilo, lo smartphone diventerà un contapassi, in realtà ogni smartphone ha un contapassi che monitora le attività, ma in questo caso i passi non sono solo contati, ma anche remunerati.

In base alle distanze coperte si ricevono dei premi:

  • 1.500 passi 1 ward;
  • 3.000 passi 3 ward;
  • 20.000 passi 25 ward.

Per rendersi conto di qual è il valore del ward basti considerare che 100 ward sono l’equivalente di 0,50 cent, quindi i guadagni sono davvero irrisori, a meno che non si cammini ogni giorno per diverse ore. Ulteriori introiti si possono ottenere nel caso in cui si presentino degli amici facendo così crescere la comunità. I ward possono essere riscattati in diversi modi, ad esempio è possibile richiedere dei buoni sconto, carte regalo oppure caricare il proprio conto, ma le somme sono davvero molto piccole.

Qual è l’obiettivo di WeWard?

L’obiettivo di WeWard è stimolare le persone a camminare di più e di conseguenza utilizzare meno l’auto o altri mezzi inquinanti. Questo si traduce in minore inquinamento, vantaggi per la salute della persona e alla fine in guadagno, diretto attraverso la remunerazione dei ward e indiretto perché si risparmia carburante.

Occorre però prestare attenzione perché, per ottenere le ricompense, ogni sera si devono convalidare i passi percorsi durante la giornata e ciò deve essere fatto prima della mezzanotte, in caso contrario i passi si perdono. Farlo è molto semplice, infatti basta accedere alla app e cliccare sul pulsante arancione denominato “convalida i miei passi”. Non si tratta di una procedura complicata, ma sicuramente è facile dimenticare di farlo.

Ti stai ancora chiedendo se fa guadagnare davvero? La risposta è sì, ma se ti stai chiedendo cosa devi dare un cambio, la risposta è che l’app che ti paga per camminare in compenso riceve tantissimi dati personali (ad esempio in quali negozi si fanno delle soste, dove si va, quali luoghi si visitano) che possono essere ceduti, ecco perché prima di procedere è bene capire se il gioco vale la candela. Certamente se non siamo tracciati da WeWard siamo tracciati da tantissime altre app a cui abbiamo dato il consenso, a volte anche per pigrizia, ma il consiglio è di provare a capire quali dati sono realmente carpiti e riutilizzati. Naturalmente si riceve anche tanta pubblicità, la stessa è comunque determinata in base a ciò che emerge dall’uso del cellulare quindi è una sorta di pubblicità personalizzata.

I 10 migliori regali di Natale hi tech

Quali sono i migliori 10 regali che si possono fare per il prossimo Natale nell’ambito dei prodotti hi tech? Ce se sono per tutti i gusti, dagli smartphone ai visori, dalle luci led agli orologi. Vediamo nel dettaglio i prodotti hi tech che vanno più di moda a fine 2021 con un occhio alle caratteristiche e alle possibilità di fare affari.

I visori: Oculus Quest 2 il migliore per la realtà virtuale

Tra i visori per vedere la realtà virtuale sicuramente Oculus Quest 2 è senz’altro quello che va per la maggiore con un prezzo non eccessivo. In rete si riesce a trovare a partire da 350 euro. Il prodotto ha un hardware di nuova generazione, può essere utilizzato per il gaming all in one e nell’intrattenimento immersivo per i film. Sono aumentati i pixel rispetto alla versione precedente. Tra i prodotti simili si segnalano il Bresser 1877495 Visore notturno Digital NV 1X con supporto da testa con prezzi di circa 150 euro e il binocolo Tkwser Visione notturna a infrarossi con Lcd.

A basso costo, i videogiochi in abbonamento

Uno dei regali più gradito e a baso costo può essere l’abbonamento ai videogiochi. Xbox Game Pass Ultimate offre la possibilità di poter giocare scegliendo tra oltre 100 giochi. Il prezzo mensile è di 12,99 euro. Si può giocare su personal computer, console e dispositivi Android.

Luce led: il gioco di colori da sincronizzare

Tra i regali hi tech per la casa, le strisce di luce sicuramente rappresentano un regalo originale. Ce ne sono di tutti i tipi e per tutte le tasche. Philips ha lanciato il suo prodotto Hue Lighting White and Color, una striscia luminosa che può essere estesa fino a 10 metri. Nella sua lunghezza si possono osservare contemporaneamente più colori, creando un effetto gradevole alla vista. La luce si può sincronizzare anche con Spotify. Il prezzo è di circa 170 euro, ma si può trovare la striscia da 200 centimetri a circa 90 euro.

Cellulari indistruttibili Rudget phone: cosa sono?

Tra gli smartphone, un’idea regalo potrebbe essere quella del Rudget phone. Si tratta di cellulari indistruttibili. Un’idea delle caratteristiche dello smartphone, è quella offerta dal Doogee S88 Plus, con batteria da 10 mila mAh, fotocamera da 48 megapixel, sistema operativo Octa core Android 10 e schermo da 6,3 pollici full Hd. Il prezzo è di circa 330 euro, ma sulla rete si trovano modelli per tutte le esigenze a prezzi per tutte le tasche. Il modello rudget Oukitel Wp 12 è impermeabile e può essere utilizzato anche sott’acqua. Il prezzo è di circa 140 euro.

Smartphone Fold: i migliori cellulari pieghevoli

Probabilmente è arrivato il momento di valutare l’acquisto di uno smartphone pieghevole, dato che i prezzi si stanno abbassando. Il Samsung Galaxy Z Flip 3 5G rimane uno dei più gettonati, con due varianti di memoria e il peso contenuto. Il prezzo è di circa 980 euro per il modello base, ma si può arrivare anche a superare i 1.500 euro. È sceso di molto, invece, il prezzo del Motorola Razr 5G, il pieghevole con la Ram da 8 GB e la memoria interna da 256 Gb. Si parte da 850 euro, ma nelle scorse settimane si poteva trovare anche a meno.

Modem Wifi, il Netgear Orbi 6 arriva a coprire fino a 350 metri quadrati

Tra i modem Wifi, si segnala il Netgear Orbi Wifi 6 che arriva a coprire fino a 350 metri quadrati. Si compone di un router e un dispositivo satellite. Il prezzo, non proibitivo, è di 449 euro. In alternativa, la gamma Netgear propone anche il modello Nighthawk Router WiFi 6 AX 5400 da 350 euro.

Auricolari Sony da 250 euro

Tra i regali, gli auricolari rappresentano, senza ombra di dubbio, uno dei migliori compromessi. Gli auricolari Sony WF 1000 Xm3 permettono di ascoltare musica di qualità e una tecnologia che consente di eliminare il rumore in maniera ottimale. Il prezzo è di circa 250 euro. In alternativa si può valutare gli auricolari Huawei Freebuds 4 con ricarica wireless e prezzi a partire da circa 100 euro e i Bose Quiet Comfort, con un prezzo simile a quello dei Sony.

La novità Apple, l’AirTag per chi dimentica dove ha messo gli oggetti

Tra le novità si segnala l’Apple AirTag. Si tratta di un ciondolo che si può agganciare ovunque per ricordarsi sempre dove si sono lasciati degli oggetti. Ad esempio, le chiavi di casa o quelle dell’auto. Si può agganciare anche al collare del cane oppure nella borsa. Nel momento in cui si attiva, l’AirTag permette una rapida localizzazione dell’oggetto dai dispositivi Apple. Il prezzo non è proibitivo: si parte dai 35 euro.

Orologio per il fitness, Fitbit Charge 5

Molto ambiti sono anche gli orologi per il fitness. Fitbit Charge 5 rappresenta una soluzione ideale a prezzo contenuto (si parte dai 179 euro con sconto a 164 euro). L’orologio si può utilizzare per il fitness e per il benessere, anche con l’applicazione Ecg per tenere sempre sotto controllo il cuore e lo stress. In rete si possono trovare orologi con prezzi al di sotto di 50 euro.

Nest Hub, il dispositivo che controlla il sonno

A meno di 50 euro si può trovare anche il dispositivo di seconda generazione per musica, video, smart home e controllo del sonno. Si chiama Nest Hub e si può appoggiare al comodino o in qualunque parte della casa. Il controllo del sonno è assicurato da come si muove la persona durante la notte e la respirazione. Segnala anche quando e quanto si russa.

Unione Europea: arriva la proposta di legge per il caricabatteria universale

Ogni anno si accumulano 11 mila tonnellate di rifiuti elettronici costituiti da caricabatteria, una mole enorme anche considerando che nella maggior parte dei casi sono funzionanti, ma semplicemente vengono sostituiti perché nella confezione del nuovo smartphone, cuffie, altoparlanti, è compreso il caricabatterie e perché in alcuni casi il vecchio non è compatibile. Basterebbe davvero poco per ridurre questo enorme quantitativo di rifiuti elettronici, che è anche uno spreco di denaro e produce inquinamento, basterebbe il caricabatteria universale e l’Unione Europea finalmente lancia la sua proposta.

Dal Parlamento Europeo arriva la richiesta di applicazione del caricabatteria universale

Anna Cavazzini, presidentessa della Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, ha sottolineato che è arrivato il momento di dare seguito alle numerose richieste provenienti dal Parlamento Europeo che più volte ha invitato la Commissione Europea ad affrontare il problema dei rifiuti elettronici e quindi ad adottare finalmente il caricabatteria universale. Si tratta di un dispositivo che consente di ricaricare diversi modelli di smartphone, tablet e altri dispositivi con un unico caricabatteria.

Tale scelta è auspicabile perché c’è un costante incremento dei rifiuti elettronici in tutta l’Unione Europea. Molti ritengono che il provvedimento sia una sorta di punizione per Apple che ha differenza del sistema Android produce cavi e caricabatterie dedicati, in realtà l’Unione Europea ci tiene a precisare che il provvedimento non vuole punire nessuno e mira solo a una maggiore tutela ambientale, anche considerando che ogni anno nel solo continente europeo sono venduti 420 milioni di telefoni cellulari e altri dispositivi.

Le prime richieste sul caricabatterie universale risalgono al 2014 e da allora fino al 2021 c’è stato un costante interesse per questo argomento, ma formalmente solo il 23 settembre 2021 la Commissione Europea ha proposto tale fondamentale novità con l’obiettivo di ridurre i rifiuti elettronici. La proposta per ora non si estende ai PC e ai sistemi di ricarica wireless. Dal punto di vista pratico la Commissione Europea chiede ai produttori di smartphone e dispositivi elettronici di utilizzare un sistema di alimentazione unico con cavo “USB-C” e di rendere i protocolli software interoperabili tra i diversi marchi.

Il risparmio prevedibile per i cittadini dell’Unione Europea

Per ogni dispositivo il produttore potrà proporre due versioni, di cui una obbligatoriamente senza caricabatteria incluso, la seconda confezione è facoltativa e prevede il caricabatteria incluso nel prezzo.  Naturalmente a ciò consegue una sensibile riduzione dei prezzi. Il costo di un caricabatteria originale solitamente è di circa 35 euro, quando acquistato separatamente, ma è probabile che la differenza di prezzo tra le due versioni sarà minore. Ogni persona dovrebbe poi comprare il caricabatteria universale quando ne ha effettivamente bisogno, ad esempio perché il vecchio è logoro. Secondo Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato unico, se l’utilizzo di una sola tipologia di caricabatterie dovesse trasformarsi in legge, il risparmio per gli europei dovrebbe essere di circa 250 milioni di euro l’anno e la riduzione di rifiuti trovrebbe essere di circa mille tonnellate l’anno.

La reazione di Apple all’introduzione del caricabatteria universale

Non sono però mancate critiche e levate di scudi, soprattutto da parte del colosso Apple che ha criticato tale proposta sottolineando che in realtà in questo modo potrebbero aumentare i costi. Il problema per Apple è dover rinunciare al proprio protocollo con sistema di cavo Lightning per adattarsi a quello universale “USB-C”, ciò porterebbe a un aggravio dei costi e contemporaneamente, secondo il colosso, ciò potrebbe anche soffocare l’evoluzione tecnologica e tale rallentamento potrebbe apportare danni all’economia e alle persone.

Per la Apple potrebbe anche voler dire adattare il caricabatterie al Paese di destinazione del prodotto finale, infatti fuori dall’Unione Europea sarebbe ammessa la vendita con il sistema di cavo lightning e di conseguenza è probabile l’impegno a sviluppare nuovi dispositivi di ricarica che però non potrebbe vendere nell’Unione Europea. Apple inoltre sottolinea come in realtà la sua società sia già impegnata sul fronte della tutela ambientale e infatti i caricabatteria del noto marchio sono realizzati prevalentemente con materiali riciclati.

Le associazioni dei consumatori

La posizione della Apple, a sorpresa, è sostenuta anche dall’associazione dei consumatori Consumerismo che sottolinea come questa decisione potrebbe sembrare anche poco tempestiva infatti nel 2009 c’erano in circolo circa 30 tipologie differenti di caricabatterie, mentre oggi le tipologie sono solo 3 quindi i sistemi sono abbastanza uniformi. Attraverso il presidente Luigi Gabriele sottolinea che effettivamente la scelta di rendere obbligatorio in caricabatteria universale potrebbe ridurre i rifiuti elettronici, ad oggi ogni cittadino dell’Unione Europea produce circa 16 kg di rifiuti elettronici annualmente e gli stessi non sempre sono smaltiti seguendo le normative, ma di fatto vi è il rischio che i produttori aumentino i prezzi dei dispositivi.

Diversa è invece la reazione dell’Associazione Europea dei Consumatori Indipendenti (AECI) che invece apprezza la proposta e sottolinea il minore impatto ambientale che si avrebbe con tale riforma e la possibilità e la tutela dei consumatori che non si ritroveranno costantemente con cassetti pieni di cavi obsoleti.

E io mi assicuro lo smartphone!

Gli appassionati di tecnologia sono più accorti rispetto al passato e, visti i costi importanti di smartphone, computer, tablet e macchine fotografiche, sempre più spesso decidono di unire all’acquisto del prodotto anche un’assicurazione.

Secondo un’analisi condotta da Facile.it su un campione di oltre 7mila domande presentate da gennaio a dicembre 2016, in un anno le richieste di questo tipo sono quasi triplicate.

A fare la parte del leone è la copertura assicurativa legata ai cellulari e smartphone, che rappresenta il 74,6% del totale delle richieste analizzate; a seguire si trovano quelle legate a computer (9,9%) e macchine fotografiche (4%).

Secondo Mauro Giacobbe, amministratore delegato di Facile.it, “i consumatori hanno compreso il vantaggio di tutelarsi con pochi euro da danni molto comuni e, purtroppo, molto costosi: bastano un display rotto, ad esempio, o un bicchiere d’acqua rovesciato su un computer per compromettere seriamente le funzionalità del nostro gioiello tecnologico.

Scorrendo i numeri dell’analisi di Facile.it, il rapporto fra costi e benefici appare notevole: per assicurare uno smartphone da 750 euro contro qualunque danno, anche causato da altri individui, bastano meno di 50 euro per un anno, che diventano appena 10 in più se si vuole unire alla copertura anche la tutela contro il furto.

Ad oggi i più inclini a scegliere di tutelare il proprio acquisto (smartphone e non solo) con un’assicurazione sono i consumatori con un’età compresa fra i 24 e i 34 anni (45% del totale richiedenti), seguiti da quelli nella fascia 35-44 anni (35%).

Analizzando i numeri in ottica regionale, sono la Lombardia, il Lazio e l’Emilia Romagna le regioni che ricorrono maggiormente alle assicurazioni sui prodotti tech; Basilicata, Valle d’Aosta, e Calabria quelle dove, di contro, i consumatori si assumono i rischi maggiori.

Timbrare il cartellino con la app? Sì, ma occhio alla privacy

Una delle principali questioni che le nuove tecnologie pongono nei rapporti tra aziende e lavoratori è quella della possibilità di “sorvegliare” il lavoro di questi ultimi con strumenti e app.

Specialmente il tema della geolocalizzazione assume risvolti delicati se questa tecnologia è utilizzata in maniera indebita per finalità che possono violare la privacy dei dipendenti.

Ecco dunque perché, di recente, il Garante della privacy è stato chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di chiarimenti di due aziende che chiedevano di poter installare sugli smartphone di alcuni dipendenti una app per timbrare il cartellino da remoto.

Il Garante della privacy ha stabilito che è lecito installare app sul telefono dei dipendenti che permettano di rilevare le loro presenze giornaliere, purché l’installazione e l’utilizzo prevedano particolari limitazioni.

Nel caso specifico, si trattava di società che operano nell’ambito HR nelle quali alcuni dipendenti lavorano fuori sede o in società afferenti, per i quali è necessario monitorare le ore lavorative.

Il Garante della privacy ha stabilito che la app può essere installata solo se il lavoratore è d’accordo e se, una volta installata, quest’ultimo ha la possibilità di capire se e quando è attiva la geolocalizzazione.

Inoltre, la app potrà conservare solo informazioni relative all’entrata e all’uscita del lavoratore dall’ufficio o alla sua presenza in azienda ma nient’altro che leda la privacy degli utilizzatori, a partire dai contenuti dello smartphone e dalla posizione del lavoratore una volta timbrata l’uscita.

Etichette speciali a tutela del made in Italy

La tutela dell’originalità del made in Italy è sempre più una priorità per le aziende che vogliono esportare le proprie eccellenze sui nuovi mercati. Per questo motivo, ogni iniziativa o strumento che possano aiutare in questa difesa, vanno sostenuti e promossi.

In questo senso, merita di essere segnalato il sistema Italcheck, ideato naturalmente in Italia con l’obiettivo di permettere alle aziende italiane e a chi compra italiano di tracciare la filiera del made in Italy di un prodotto, certificandone l’origine.

Italcheck si appoggia a una piattaforma digitale brevettata, raggiungibile e utilizzabile in tutto il mondo. Utilizzando una speciale etichetta applicata sui prodotti delle aziende che vogliono certificarsi attraverso la piattaforma, leggibile attraverso uno smartphone e decodificabile tramite una specifica app (gratuita e scaricabile dal sito), Italcheck segnala al consumatore dove quei prodotti sono stati creati, da chi e in che modo. Verificandone l’effettiva natura di made in Italy.

L’etichetta digitale a tutela del made in Italy è pensata per tutti i prodotti della nostra eccellenza artigiana: dal food all’abbigliamento, dall’ottica alla meccanica, dalla cosmesi alla farmaceutica. Naturalmente, riporta all’utente le informazioni nella sua lingua di riferimento (al momento: Arabo, Cinese, Francese, Giapponese, Inglese, Italiano, Portoghese, Russo, Spagnolo, Tedesco).

Naturalmente Italcheck recepisce e applica i criteri stabiliti dalla normativa in materia di anticontraffazione e made in Italy e quelli del Comitato Nazionale Anticontraffazione.

Il mercato mondiale degli smartwatch

Abbiamo visto nei giorni scorsi come sia sempre più diffuso nel mondo il fenomeno del BYOD, ossia l’utilizzo di dispositivi personali per accedere a documenti di lavoro. Uno dei dispositivi che si usano in alcuni di questi casi è lo smartwatch, anche se meno di frequente rispetto a smartphone e tablet. Ecco perché è interessante capire come è messo, oggi, il mercato degli smartwatch a livello mondiale.

A scattare una fotografia di questo mercato ci ha pensato la società di ricerche Strategy Analytics. Una fotografia che, riferita all’ultimo trimestre 2015, non è poi così inattesa: così come nel mercato degli smartphone, anche in quello degli smartwatch sono in testa Apple e Samsung.

Il colosso americano e quello coreano dominano, insieme, il 66% del mercato mondiale degli smartwatch e il 40% di quello degli smartphone. Il 66% è diviso nettamente pro Apple: 52% a 14%, che in termini di pezzi venduti fa 2,2 milioni contro 600mila. Rapporto di forze inverso rispetto agli smartphone, dove prevale Samsung.

Un dato che va depurato da risultati di dicembre 2015 quando, sotto Natale, la quota di mercato di Apple era schizzata al 63% e quella di Samsung era cresciuta solo di 2 punti, al 16%.

Per parte sua, Samsung sconta anche l’aumento della concorrenza nel mercato degli smartwatch da parte di altri player, i cui orologi “lavorano” con sistema operativo OS Android Wear, che Google distribuisce a quasi tutti i marchi non Apple. Se da un lato, dunque, Apple con il suo Apple Watch deve guardarsi da un aumento dei concorrenti, dall’altro Samsung rischia assai di più da questo aumento, con marchi che offrono prodotti tecnologicamente comparabili ai suoi, a volte a prezzi più bassi.

Ecco perché il mercato degli smartwatch va osservato sempre con estrema attenzione, non solo come un fenomeno di moda ma anche di straordinario impatto sull’economia e sulla vita di tutti i giorni.

Cresce il BYOD nel mondo

Il BYOD – Bring Your Own Device, ovvero l’utilizzo dei propri mobili per accedere alle informazioni messe a disposizione dall’azienda – è sempre più diffuso nel mondo e le aziende dovranno attrezzarsi di conseguenza.

Secondo i dati contenuti nel quarto rapporto annuale di Ovum sulla cosiddetta “enterprise mobility”, elaborato alla fine del 2015, il BYOD è così diffuso che il 60,5% degli impiegati utilizza almeno uno dei propri device mobili per lavorare.

Nello specifico, il 47,2% di loro usa il proprio smartphone, il 25,1% il proprio tablet e il 7,8% i cosiddetti wearable devices, come gli smartwatch. Il pc portatile personale è utilizzato in BYOD a fini lavorativi dal 4,1% degli impiegati.

Il commento sui dati dell’analisi su BYOD è affidato all’Enterprise mobility & IT service management research analyst di Ovum, Adam Holtby. “I risultati sono il frutto delle risposte di lavoratori, con mansioni differenti, provenienti da una grande varietà di regioni e di aziende, con l’obiettivo di capire meglio le loro abitudini di lavoro, e come i nuovi hardware e applicazioni stiano supportando i loro obiettivi di produttività”.

E ancora: “Come dimostrano i dati, le persone sono decisamente orientate ad affrontare il proprio lavoro utilizzando numerosi device, e non accettano di buon grado limitazioni che non consentano loro di raggiungere questo obiettivo. Si avverte dunque il bisogno di servizi di desk e IT per riconoscere le nuove opportunità che potranno derivare da questi nuovi comportamenti del lavoratori, e come rendere possibile e supportare il modello di spazio di lavoro digitale verso il quale si sta muovendo il mondo del lavoro”.

Acquisti online, che cosa vogliono i giovani

Che cosa si aspettano i cosiddetti Millennials (o Generazione Y, la generazione nata tra gli Anni ’80 e i primi anni Duemila) dagli acquisti online che effettueranno in occasione delle imminenti festività natalizie?

Una domanda, questa sugli acquisti online, alla quale ha provato a dare una risposta la società Dynatrace, che ha commissionato a Harris Poll un sondaggio su un campione composto da 5.110 adulti tra i 18 e i 34 anni, proprietari di smartphone o tablet, in 5 Paesi: Stati Uniti (2009 intervistati), Regno Unito (1.025), Francia (1090), Germania (1.071) e Australia (1.135).

Ebbene, da questa indagine è emerso che i Millennials stanno guidando una nuova richiesta di eccellenza nel campo delle prestazioni digitali, sono sempre più mobile, social e si aspettano una qualità superiore nell’esperienza web rispetto alle generazioni precedenti, specialmente in materia di acquisti online.

Nel dettaglio, la ricerca ha rivelato che:

  • Il 60% dei Millennials e il 42% di tutti gli utenti mobile hanno in programma di utilizzare il proprio smartphone o tablet per fare acquisti online in occasione del Natale 2015. Il sorpasso rispetto al negozio fisico tradizionale è vicino: globalmente il 50% dei giovani tra i 18 e 34 anni ha dichiarato che farà shopping più dal dispositivo mobile che fisicamente in negozio. In UK il dato raggiunge il 60%.
  • Più di un utente mobile su quattro (27%) e quasi 4 su 10 nel caso dei Millennials (37%) userà il proprio dispositivo per fare acquisti online quando si trova in un negozio in cerca di regali. Il 62% dei Millennials utilizzerà il dispositivo per confrontare i prezzi, leggere le recensioni sui prodotti e scaricare coupon. Negli Stati Uniti in trend è più forte e il 71% dei consumatori entrerà nei negozi con il proprio smartphone per questo motivo.
  • Il 75% degli intervistati e l’81% dei Millennials abbandoneranno l’acquisto e si rivolgeranno altrove se il sito o l’applicazione mobile di e-commerce presenteranno bug, saranno lenti o soggetti a crash. Gli utenti mobile in Germania perdoneranno ancora meno e l’abbandono degli acquisti online avverrà nell’87% dei casi. Il 49% degli utenti della Generazione Y e il 47% di tutti gli intervistati dichiarano che acquisteranno altrove se un sito mobile o un’applicazione non riuscirà a caricare la pagina/i dati in meno di tre secondi. Considerando che, in caso di malfunzionamento, solo il 68% proverà in futuro a riutilizzare ancora una volta il sito mobile o l’app, la perdita dei possibili acquirenti si rivela immediata e consistente: il 32% di essi.
  • Nel mondo digitale di oggi, le applicazioni sono il brand e se offrono esperienze deludenti, tutto il mondo ne può venire a conoscenza e la fedeltà dei clienti ne risentirà. Il 51% dei Millennials ha dichiarato che si lamenterà sui social network nel caso l’esperienza di acquisti online sia stata negativa. In Australia lo farà il 59% di essi.
  • Il 54% dei Millennials preferisce utilizzare le applicazioni specifiche dell’azienda scaricate da un app store per lo shopping online, piuttosto che i siti web aziendali. La motivazione indicata dal 62% di essi è che le applicazioni mobile specifiche dell’azienda garantiscono una migliore esperienza utente rispetto alle prestazioni di un sito web. In UK anche questa percentuale è più elevata, con il 71% dei Millennials che ha indicato le mobile app come preferenza.

Mobile Enterprise tra luci e ombre

In una società in cui il lavoro in mobilità si sta diffondendo con sempre maggiore convinzione, è ormai un dato di fatto che, in azienda, il mobile è diventato sempre più non solo un valore strategico ma anche e soprattutto un valore economico.

Le aziende stanno pian piano prendendo consapevolezza di questo e della necessità di adottare sempre più, nel loro modello di business, strategie improntate alla cosiddetta Mobile Enterprise, come confermano i dati elaborati dall’Osservatorio Mobile Enterprise della School of Management del Politecnico di Milano.

Secondo questi dati, infatti, la dotazione di dispositivi mobili a supporto dei dipendenti si tradurrà, nel 2015, in un recupero di produttività pari a circa 10 miliardi di euro, proprio come conseguenza della diffusione della Mobile Enterprise.

Un processo che, nelle imprese italiane, è iniziato già lo scorso anno quando, per dotare i propri dipendenti di soluzioni di Mobile Enterprise, hanno speso circa 2,2 miliardi di euro (+18% rispetto al 2013). Secondo le stime del Politecnico, in questo 2015 il valore degli investimenti arriverà a 2,5 miliardi (+15%).

Investimenti sì, ma quali? Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Mobile Enterprise, la maggior parte degli investimenti che le aziende destinano al potenziamento della Mobile Enterprise va ai dispositivi: il 68% per l’acquisto di tablet, smartphone, notebook e device, il 25% per le applicazioni software, il 7% per le soluzioni di Enterprise Mobility Management.

Il lato meno brillante della situazione è però legato al divario di investimenti e di consapevolezza verso la Mobile Enterprise che c’è tra aziende medio-grandi e Pmi. Secondo quanto rileva l’Osservatorio, poco del 25% delle Pmi italiane assegna per il 2016 una priorità alta agli investimenti in progetti a supporto della Mobile Enterprise, quasi una Pmi su 4 non ha introdotto in azienda alcun dispositivo mobile- dato più preoccupante – e il 60% di loro afferma di non aver interesse all’introduzione di App a supporto del business.