Il 2012 è stato… Speciale. Il 2013 lo sarà ancora di più (speriamo…)

di Davide PASSONI

Carissimi lettori di Infoiva, anche questo 2012 è arrivato alla fine. Lo so, ci avete seguito assiduamente durante tutto l’anno e in molti di voi lo hanno fatto fin da quando siamo nati, quasi tre anni fa. Ragion per cui, forse per molti di voi quello che abbiamo pensato per chiudere l’anno e aprire il 2013 con nuovo slancio è qualcosa di già visto… Ma noi parliamo a tutti, anche a chi in questo 2012 si è perso qualcosa delle nostre news. Ecco dunque qui sotto tutti i nostri speciali da luglio in poi. Buona lettura e buon anno.

LUGLIO 

Saldi estivi

Sicilia a rischio default

Le imprese turistiche si preparano all’estate

 

SETTEMBRE

Imprese turistiche, come’è andata l’estate

Filiera italiana dell’auto

Filiera italiana del tessile

Srl semplificata

 

OTTOBRE

Imprenditori suicidi

Filiera italiana della ceramica

Smau 2012

Buoni pasto

 

NOVEMBRE

Imprese funebri

Mediazione obbligatoria

Apprendistato

Franchising

 

DICEMBRE

Natale, previsioni sui consumi

Professioni non regolamentate

Filiera italiana dell’edilizia

Distretto di Sassuolo, il cuore della ceramica

Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo, cantava Gino Paoli. Ed è proprio dall’intraprendenza e dalla voglia di fare della gente comune che sono nate alcune delle realtà industriali più importanti del nostro Paese: il distretto della ceramica di Sassuolo, situato nella fascia pedemontana tra le province di Modena e Reggio Emilia, è senza dubbio un esempio di “quell’imprenditorialità tipicamente italiana che nasce dalla gente comune”.

In un fazzoletto di terra compreso fra Sassuolo, Fiorano, Maranello e Formigine c’è la più alta concentrazione di industrie ceramiche al mondo: un esempio virtuoso di eccellenza del made in Italy che ha consegnato all’Italia il titolo di leader nella produzione di ceramica per pavimenti e rivestimenti nel mondo.

Infoiva ha intervistato Luca Caselli, Sindaco del Comune di Sassuolo e Primo Presidente dell’Unione dei Comuni del Distretto ceramico.

Il distretto ceramico di Sassuolo rappresenta un caso emblematico di industria di filiera in Italia. Qual è il suo segreto? Quale il suo valore aggiunto?
Senza dubbio le persone. Negli anni ’50 Sassuolo era definita zona agricola depressa. L’intraprendenza, la genialità, l’inventiva delle persone hanno trasformato colline “brulle”, perché cariche di argilla rossa, nella capitale mondiale della produzione ceramica.

Il vostro distretto vanta anche attività legate a design e decorazione della ceramica. Come convivono e si relazionano l’anima più produttivo-meccanica e quella creativa?
L’una è complementare all’altra, la prima non esisterebbe, non in maniera tanto importante, senza la seconda; e viceversa. L’estro creativo applicato alla piastrella è frutto di quel miracolo economico e sociale chiamato “Distretto Ceramico”: un gruppo di amici che si sono sempre spartiti i compiti e scambiate le informazioni. Sassuolo è conosciuta nel mondo come sinonimo di produttività e professionalità: le nostre piastrelle sono sicuramente le più resistenti, qui è nato il gres porcellanato, qui sono nate le lastre sottili applicabili anche ma non solo alla pavimentazione e al rivestimento: oggi con le piastrelle puoi ricoprire gallerie, creare edifici autosufficienti da un punto di vista energetico. Abbiamo al piastrella che respira, quella che si pulisce da sola, quella che accumula energia, quella che aiuta i non vendenti nell’aggirarsi per casa o in strada. Ma le nostre piastrelle sono anche, e soprattutto, le più belle: quel made in Italy applicato alla ceramica che tutto il mondo ci invidia e che è disposto a pagare un po’ di più per averlo, passa anche e soprattutto dall’estro creativo e grafico di veri e propri artisti della serigrafia.

Il comparto ceramica è un valore commerciale per l’economia del nostro Paese, soprattutto grazie al settore dell’export, che nei primi 6 mesi del 2012 si è attestato a quasi 1 miliardo e 900 milioni. Quanto conta per voi il mercato dell’export?
L’export, oggi, è ciò che permette alle nostre aziende di essere ancora tali e non semplici capannoni dismessi. Anche questo, vede, è figlio di una genialità e di una lungimiranza tipicamente sassolese. A metà degli anni ’90 i principali competitors delle nostre aziende erano gli spagnoli che approfittavano di finanziamenti a fondo perduto provenienti dall’Unione Europea per costruire palazzi su palazzi, porti, infrastrutture, intere città. A Valencia, ogni anno, si tiene Cevisama: c’è stato un periodo in cui visitando quella città, per la fiera, una volta all’anno ti trovavi, ogni volta, in una città nuova: cambiavano addirittura i punti di riferimento. Sorgevano palazzi, strade, ponti, nuovi quartieri. La Spagna ha puntato, quindi, esclusivamente sul mercato interno ed oggi fatica più che mai. A Sassuolo, invece, ci fu l’intuito di guardare oltre l’orto di casa, puntando a nuovi mercati, cambiando da pasta rossa a pasta bianca, piastrelle dorate per la Russia, simili a lastre di marmo per gli Stati Uniti. Se non è lungimiranza questa…

Quali sono i maggiori Paesi dove esportate le vostre produzioni? Come sono cambiati con l’avvento della crisi?
I mercati principali per l’export restano quello russo e quello statunitense, anche se stanno prendendo sempre più piede realtà nuove, che fino a qualche decennio gli insegnanti di geografia addirittura tralasciavano di raccontare ai propri studenti. Paesi come gli Emirati Arabi, paesi opulenti ed in grado di apprezzare la qualità a discapito del prezzo.

Perchè la ceramica italiana è così amata e apprezzata all’estero?
Perché è senza dubbio la migliore. La più resistente, adatta ad ogni ambiente, sia residenziale che commerciale, la più versatile e al tempo stesso la più bella. L’Italia, la sua storia, la sua arte e la sua cultura sono apprezzate in tutto il Mondo: la ceramiche ha fatto proprio questo background mettendolo sulle pareti e sotto i piedi di tutti. Mi ripeto: il gres porcellanato, la vera grande rivoluzione degli anni ’80 che ha sostituito mono e bicottura, è nata a Sassuolo. Le lastre sottili da tre millimetri sono nate qui: non è un caso ed è apprezzato in tutto il mondo.

Il successo del Salone Cersaie conferma che l’industria della ceramica in Italia non teme la crisi. Il vostro distretto conferma questa proiezione?
Credo di poter affermare, senza tema di smentita, che il distretto ceramico sassolese sia stato per anni, e resti tutt’ora, uno straordinario esempio di quell’imprenditorialità tipicamente italiana che nasce dalla gente comune. Non è un caso che alcune delle aziende ceramiche più prestigiose siano nate in bar, con quattro amici che preferivano parlare di futuro anziché giocare a briscola. Il fatto che, nel periodo del cosiddetto boom economico, la gente “comune” abbia potuto realizzare il proprio sogno inventandosi un’azienda che produceva frutti e posti di lavoro, ha fatto sì che nel nostro distretto sia sempre regnata una sorta di “pace sociale” invidiata da più parti in Italia. Il patrimonio economico delle nostre aziende, negli anni, è sempre cresciuto di pari passo con il tenore di vita della cosiddetta “classe operaia”. Purtroppo, però, questa crisi mondiale ha cambiato le carte in tavola: il mercato italiano è fermo, la burocrazia ed i costi energetici, oltre che di trasporto e materie prime che ancora oggi fanno parte del nostro sistema Paese rendono la concorrenza internazionale sempre più dura per le nostre aziende che, d’altro canto, hanno dovuto sempre più puntare a mercati stranieri, spesso cosiddetti “emergenti” per mantenere inalterati produzione e fatturato a discapito di un mercato interno deficitario. Questo ha fatto sì che la crisi, dal punto di vista sociale, forse per la prima volta nella storia del nostro distretto, non sia andata di pari passo con la crisi economica. Cersaie ha confermato l’alto valore, il ruolo leader nel mondo delle nostre aziende ceramiche, che oggi, però, sono sempre più internazionali e sempre meno locali: tutto un mondo chiamato “indotto”, che nei decenni passati è fiorito assieme alle ziende ceramiche, è in forte difficoltà e con esso tantissimi posti di lavoro e tantissime famiglie.

Un’industria che non si arrende. Il sisma dello scorso maggio ha colpito profondamente le aziende del distretto. Come hanno reagito nell’immediato le aziende del distretto? Come si ricomincia?
Come sempre è stato. Il sisma dello scorso maggio ha dato ancora una volta prova, se mai ce ne fosse stato bisogno, di che pasta è fatta l’Emilia. Le aziende sono ripartite immediatamente, tristi, danneggiate, ma con la stessa intraprendenza che le ha sempre contraddistinte e con la consapevolezza che non si poteva perdere tempo per salvaguardare la posizione di mercato ed i posti di lavoro. Conosco realtà ceramiche, molto importanti e conosciute, che la mattina del 29 maggio si sono trovate con le linee produttive fuori asse, i forni spenti, le mura dei capannoni crepate. Nessuno lo ha mai saputo, la notizia non è nemmeno uscita: immediatamente ci si è rimboccati le maniche ed in venti giorni la produzione è ripartita.

Nei giorni scorsi, i principali quotidiani nazionali hanno riportato la notizia di una mancata erogazione dei fondi raccolti dopo il sisma e destinati a ridare ossigeno alla zona. Avete riscontrato ritardi negli aiuti? Quali le maggiori difficoltà che avete incontrato?
Sinceramente ci ho sempre sperato poco: anche all’Aquila era successo qualcosa di simile. Credo che, come me, ci abbiano sempre creduto poco anche quelle persone che dal terremoto hanno perso tutto.  Con la nostra Amministrazione abbiamo preferito un’altra strada: agli sms abbiamo sostituito gli abbracci, ai 2 euro le cucine da campo, le casse con generi alimentari, i Tir carichi di beni di prima necessità o giocattoli per bambini.
C’è stata una grande attenzione mediatica sul sisma dell’Area nord della Provincia di Modena, temo, però, che a questa non sia seguita quell’attenzione da parte di chi avevano il potere di sburocratizzare, snellire le procedure, aiutare concretamente chi aveva solamente bisogno di non vedersi mettere il bastone tra le ruote dallo Stato. Al resto hanno sempre dimostrato di riuscire a far fronti da soli. La nostra scelta, quella di puntate su aiuti semplici e concreti anziché su grandi ma fumose promesse , è stata apprezzata: tanto dalle persone che hanno ricevuto gli aiuti quanto dagli altri. Abbiamo ricevuto interi Tir carichi di ogni genere e Sassuolo è divenuto in breve, con il lavoro di centinaia di giovani volontari che invece di uscire ed andare a divertirsi passavano giornate, serate e la notte a smistare pacchi e svuotare tir o bauli di auto, un vero e proprio centro di smistamento.

Alessia CASIRAGHI

La ceramica che non si arrende

 

C’è una regione in Italia, che più di tutte è protagonista della creazione e della produzione di ceramica: l’Emilia Romagna, sede del più grande distretto industriale dove viene prodotto circa l’80% delle ceramiche, terra di tradizione dove l’industria è soprattutto realtà di filiera, dalla materia prima al prodotto finito. Una terra ferita però nel profondo dai recenti eventi sismici che lo scorso maggio hanno colpito la zona, mettendo in ginocchio imprese e intere realtà industriali.

Infoiva quest’oggi vuole raccontare la storia di un’eccellenza del made in Italy, attraverso la voce di Filippo Manuzzi, brand manager di Ceramica Sant’Agostino, una delle realtà imprenditoriali più grandi e competitive dell’Emilia. Un’azienda che ha fatto della costante spinta alla ricerca e all’innovazione il cuore della sua filiera produttiva, e che ha saputo rinascere, rimboccandosi le maniche e guardando sempre al domani, dopo il terremoto che l’ha piegata il 20 maggio 2012.

Il successo del Salone Cersaie conferma che l’industria della ceramica in Italia non teme la crisi. Confermate questa proiezione?
Si, anche se vanno sottolineate le differenze sostanziali tra la domanda del mercato italiano e la richiesta che viene dall’estero.

E a proposito del settore dell’export di ceramica, nei primi 6 mesi del 2012 i dati dicono si sia attestato a quasi 1 miliardo e 900 milioni di euro. Quanto conta per la vostra azienda il mercato dell’export?
Il mercato dell’export riguarda circa il 60% del prodotto annuo. I compratori stranieri scelgono le ceramiche italiane perché trovano nel prodotto italiano caratteristiche superiori in termini di design, ricerca estetica e tecnologica, innovazione, ovvero tutto ciò che fa del prodotto made in Italy un prodotto di qualità. Fino a qualche anno fa il nostro mercato era quasi esclusivamente interno, che resta per noi un mercato molto importante, va detto però che l’Italia sta attraversando un periodo di stagnazione e di calo della domanda nazionale. L’apertura verso i mercati esteri e la richiesta che viene da Paesi lontani ci ha permesso in questa sfortunata congiuntura economica di mantenere volumi e quantità: è stata una scelta strategica.

Quali sono i maggiori Paesi dove esportate le vostre produzioni?
Esportiamo soprattutto in Europa, nel Nord America, in Russia e alcuni Paesi del Medio Oriente, Emirati Arabi, Libano e Arabia Saudita in primis, e poi naturalmente una fetta importante dell’export è indirizzata all’Estremo Oriente: Hong Kong, Thailandia e Cina.

Temete la concorrenza dei Paesi produttori di ceramica esteri, Cina in particolare?
E’ talmente ampio il divario tra i livelli produttivi italiani, sia in termini di materiali che di tecnologia e design, rispetto alla media dei produttori dell’estremo Oriente, che onestamente non vedo pericoli reali e concreti.

Ceramica Sant’Agostino, un’azienda e una storia interamente made in Italy. Come è iniziata? Qual è il suo valore aggiunto guadagnato nel tempo?
L’azienda è stata fondata da mio nonno nel 1964 a Ferrara, un distretto produttivo extra-ceramico: una scelta in controtendenza per l’epoca che si è rivelata vincente perché ha consentito all’azienda di sviluppare negli anni una forte autonomia progettuale e una visione originale e innovativa in termini di ricerca e di prodotto. Io appartengo alla terza generazione dell’azienda, assieme a mio fratello e mio cugino, mentre la seconda generazione è rappresentata da mio padre e mio zio rispettivamente presidente e vicepresidente di Ceramica Sant’Agostino, e gestiscono la parte strategica dell’azienda. Ceramica Sant’Agostino è un’azienda estremamente trasversale la cui produzione è mutata adattandosi alle esigenze di un mondo che è fortemente cambiato da qui a 50 anni fa: da un’impresa piccola e fortemente centralizzata sul mercato italiano, l’azienda ha esteso la sua rete di contatti, aprendosi ad un network più strategico, con uno sguardo maggiormente rivolto ai mercati internazionali. Non solo, da una produzione più tipicamente ‘classica’, l’azienda ha intrapreso anche altri percorsi aprendosi a collaborazione con designer e creativi: l’ultimo esempio è la partnership presentata all’ultimo Cersaie con Philippe Starck, che testimonia la volontà di orientarci maggiormente al design e alla ricerca, puntando su prodotti di alta gamma. La capacità di innovare in termini di ricerca tecnologica e estetica è l’unica cosa che può dare continuità alle aziende che oggi producono in Italia e vogliono esportare nel mondo.

Un’industria che non si arrende. Il sisma dello scorso maggio ha colpito profondamente le aziende del distretto. Quale è stata la vostra reazione immediata? Come si ricomincia?
Siamo stati l’azienda più colpita dalla prima scossa del 20 maggio scorso, con un bilancio tragico di 2 vittime e numerosi crolli. Il distretto ceramico è stato colpito in misura minore e ha interessato solo alcune aziende di Finale Emilia e della bassa modenese. Abbiamo reagito nell’unico modo possibile, ovvero rimboccandoci le maniche, con tempi e la velocità che il mercato richiede, tenendo contatti e rapporti con la nostra clientela, e facendo ripartire la produzione, anche se solo al 25%, già da metà luglio, ovvero due mesi dopo il sisma.

Nei giorni scorsi, i principali quotidiani nazionali hanno riportato la notizia di una mancata erogazione dei fondi raccolti dopo il sisma e destinati a ridare ossigeno alla zona. Avete riscontrato ritardi negli aiuti? Quali difficoltà avete incontrato?
La ricostruzione è stata fatta interamente in autofinanziamento, sono usciti dei bandi della Regione e vedremo in futuro come accedervi.

Come vedete il vostro futuro?
Noi crediamo che se i mercati continueranno a tenere nei prossimi mesi e la nostra azienda riuscirà a mantenere delle buone quote di mercato e a ripartire  con la parte restante della produzione, raggiungendo la quota del 75% della capacità produttiva pre sisma entro fine anno, ce la faremo a superare questa burrasca.

Alessia CASIRAGHI

Il bello della ceramica, l’arte di Caltagirone

Ceramica in Italia è anche sinonimo di arte: una tradizione che risale alla preistoria e all’antica maestria dei ceramisti arabi giunti in Sicilia dopo la conquista musulmana dell’isola. Caltagirone è un esempio eccellente di come l’attenzione per il bello e la tradizione artigianale abbiano dato vita a un’area produttiva basata quasi unicamente su piccole imprese, se non microimprese a conduzione familiare, che producono ceramiche e pezzi d’artigianato conosciuti e apprezzati in tutto il mondo.

Infoiva ha deciso di andare alla scoperta di questa antica tradizione per conoscere da vicino una realtà, che pur non potendosi fregiare del titolo di distretto industriale, raggruppa moltissime aziende artigiane che danno voce al made in Italy in tutto il mondo.

A raccontarcele è Marcello Romano, Presidente dell’Associazione Ceramisti Calatini.

Quante imprese conta l’associazione delle ceramiche di Caltagirone?
Siamo circa una quarantina di imprese produttrici di ceramiche artistiche. Si tratta per la quasi esclusività di piccole imprese artigiane a conduzione perlopiù familiare, con una media di 4-5 adetti ai lavori.

Qual è l’indotto generato dalle imprese produttrici di ceramiche nell’area di Caltagirone?
In media, soprattutto a causa della crisi che ha fortemente inciso sul nostro territorio, le imprese fatturano tra i 40 e 50 mila euro l’anno.

Quanto la crisi ha inciso sulle imprese produttrici di ceramica?
Le imprese che hanno chiuso dallo scorso anno ad oggi sono circa il 20%, mentre se facciamo il confronto con il 2010 la quota sale al 30%.

Le vostre ceramiche artistiche sono conosciute e apprezzate in tutto il mondo. Quali sono i vostri maggiori mercati di export?
Una grossa fetta della nostra produzione è destinata al mercato nazionale, per quanto riguarda l’export i mercati più interessanti attualmente riguardano l’area mediorientale: Kuwait, Bahrain, Dubai. Gli Emirati Arabi sono interessati soprattutto alla produzione di maioliche e piastrelle artistiche destinate alla decorazione di hotel e ristoranti, riceviamo discrete richieste anche alcuni Paesi del Nord. In Europa la domanda è invece nettamente inferiore.

Come contrastate la concorrenza che arriva dall’estero e dall’Asia in particolare?
Le nostre ceramiche sono belle, fatte a mano e dotate di una costante ricerca della giusta armonia cromatica. Pensi che la produzione della ceramica a Caltagirone risale a un’epoca antichissima, è una tradizione che risale a prima della nascita di Cristo, grazie alla presenza nella zona di numerose cave d’argilla. La nostra è una ceramica difficilmente imitabile sia nella forma che nei decori, prodotta attraverso la pasta rossa che dà origine alla maiolica. Le ceramiche che arrivano dall’estremo oriente sono invece prodotte con pasta bianca, di minor qualità, anche se è innegabile che da 10 anni a questa parte l’avvento sul mercato di produzioni a basso costo provenienti dalla Cina ha impoverito le nostre casse. La concorrenza si combatte a mio avviso con la qualità, la ricercatezza delle materie prime e la maestria artigiana che è nelle nostre vene.

La Regione Sicilia offre forme di aiuto o sostentamento alla piccola imprenditoria della zona di Caltagirone, per salvaguardare questo tassello importante del made in Italy?
No, purtroppo no. Non esistono politiche della Regione che offrano aiuti concreti per non far morire un comparto, tutto è demandato alla capacità individuale dei singoli artigiani, che hanno tentato negli scorsi anni di unirsi in forme associative, sono stati fatti dei tentativi di dare vita a consorzi sul territorio, ma purtroppo le aziende sono troppo piccole e differenziate per poter avere una reale incisività sul mercato. Noi come Associazione Ceramisti Calatini abbiamo deciso di organizzarci con un punto vendita in cui espongono e vendono circa 40 artigiani della zona e con un sito internet, per far conoscere le nostre produzioni in Italia e nel mondo.

Qualche mese fa la Sicilia è balzata agli onori delle cronache per il rischio default dei conti della Regione. Come vanno oggi le cose? Quali sono le maggiori criticità per il vostro settore?
Lei ha presente Caporetto? La situazione attuale è tragica e soprattutto non si può modificare con nessun tipo di azione. Per il nostro settore la Regione non fa nulla: in passato venivano offerte alle piccole imprese del settore della ceramica sovvenzioni finalizzate alla partecipazione delle aziende alle fiere di settore in tutta Italia, prima fra tutte il Macef di Milano, anche se poi a conti fatti i soldi erano sempre pochi e alla meglio si finiva nell’ultimo padiglione in fondo alla fiera. La Regione non si è mai curata di dare una buona visibilità ai suoi prodotti, alle particolarità industriale che la caratterizzano, come la ceramica artistica per esempio, che viene prodotta non solo a Caltagirone ma anche a Santo Stefano e Sciacca. Si poteva, si doveva fare molto di più.

Alessia CASIRAGHI

Le ceramiche italiane puntano sull’export

Oltre 2 miliardi di euro di fatturato nel primo semestre del 2012, grazie soprattutto al giro d’affari dell’export. L’industria della ceramica made in Italy reagisce con grinta alla crisi, segnando solo una leggera flessione (-0,56%) rispetto allo stesso periodo del 2011. Il risultato nasconde però luci e ombre su un comparto dell’industria nazionale che resta il principale player del settore ceramiche a livello internazionale (36,8%):  se la domanda del mercato interno, e in parte di quello Ue, ha subito un forte ridimensionamento, a farla da padrone sono i Paesi extra Ue che registrano aumenti a due cifre.

In Italia si produce, guardando ai metri quadrati, il 20,8% della quota mondiale di ceramica,  superata solo dalla Cina che ne produce il 29,5%. Le posizioni si invertono però se si guarda alla quota export: l’Italia è il principale esportatore internazionale con oltre il 36%, seguito dalla Cina, con il 20,1%, e dalla Spagna che si ferma al 14,9%.

Ma come si sono suddivise le fette di mercato interno ed export nella prima parte di 2012? Le vendite domestiche, riferite al territorio nazionale che ricoprono una fetta pari al 21,2% delle vendite totali, si sono fermate nel 2012 a 501 milioni, con una diminuzione del 16,2% rispetto al 2011. Estendendo lo sguardo al mercato Ue, che vale per il 42,4% delle vendite totali del comparto,  la flessione si arresta invece al -1,4%.

Nel dettaglio, il mercato che maggiormente ha risentito della crisi è stato quello greco (-40,9%), ma va specificato che l’export ellenico riguarda una fetta esigua del fatturato totale (1%). Maglia nera anche a Portogallo, Irlanda e Spagna, con flessioni stimate tra il -25 e il -16%. Il rigore imposto dal governo tedesco ha garantito un +9% nelle vendite del comparto ceramica in Germania che, un mercato che rappresenta una quota pari 10,5% delle vendite totali, performance positiva doppiata solo in Europa dall’Austria, che ha segnato +13,6%, ma che dispone di una fetta più esigua nella quota export (2,7%).

Estendendo lo sguardo fuori dal mercato Ue e verso i Paesi Emergenti, il dato che maggiormente colpisce riguarda l’area del Golfo Persico: il Medio Oriente segna un balzo in avanti del +43,7%, seguito a distanza solo dai mercati di Australia e Oceania, che hanno invece registrato nei primi 6 mesi del 2012 una crescita  pari al +20,3%. Ottime performance anche per il continente Africano che ha chiuso con un +16,5%, mentre al secondo posto fra i mercati più interessanti per l’export di ceramiche made in Italy si confermano il Sud America (+18,4%) e gli Usa (+17,8%).  A registrare la crescita più contenuta infine, come era facilmente prevedibile, il mercato del Far East (11,2%), principale produttore di ceramiche nel mondo.

Alessia CASIRAGHI

 

Ceramica, investire per crescere

di Davide PASSONI

Se c’è un campo, l’ennesimo, nel quale la nostra piccola e media impresa è leader nel mondo è quello della ceramica. Un po’ in tutta Italia, ma specialmente nel distretto ceramico del Modenese, centinaia di aziende, più o meno strutturate, realizzano uno dei prodotti che ci fa grandi nel mondo in termini di export, qualità e innovazione.

Distretto ceramico del quale, nonostante la sua eccellenza, ci si ricorda solo in occasione di eventi come il devastante terremoto del maggio scorso. Un settore che è stato dipinto come in ginocchio, al pari di altri come l’elettromedicale, ma che invece, pur tra mille difficoltà, si è da subito rimboccato le maniche e ha iniziato a fronteggiare l’emergenza nel migliore dei modi: provando a produrre.

Una vitalità che si è vista a Bologna nell’ultimo Cersaie, il Salone internazionale della ceramica per l’edilizia e l’arredobagno, dove abbiamo incontrato Franco Manfredini, presidente di Confindustria Ceramica.

Presidente, come reagisce il settore della ceramica agli effetti della crisi e del terremoto?
Sta reagendo come può reagire e deve reagire un settore che esporta l’80% della sua produzione, per metà nell’Unione Europea e per metà nel resto del mondo. Il nostro settore tiene in virtù di questa sua vocazione all’export, che fa in modo di compensare le aree di mercato deboli con aree di mercato nelle quali va meglio. Penso che questo sia l’aspetto più positivo del settore ceramico oggi, in Italia, perché ci permette di guardare il futuro e il presente con migliori prospettive.

Una delle frasi più ripetute al recente Cersaie è stata “qualità e innovazione come risposta alla crisi”: è davvero così?
Qualità e innovazione sono nel dna di ogni imprenditore, specialmente se opera nelle nostre condizioni di mercato. La crisi è una malattia curabile, bisogna che l’ammalato si curi da solo ma serve anche il contesto della “famiglia”, che aiuta a superare la crisi.

Ovvero?
Parlo del sistema economico italiano. Abbiamo bisogno del supporto del sistema Paese, abbiamo bisogno che non ci penalizzi. Non vogliamo aiuti e sovvenzioni di alcun tipo, chiediamo solo di non essere penalizzati dallo Stato in quanto produttori con una forte vocazione all’export. Ad esempio, quando lo Stato applica oneri fiscali sull’energia che noi usiamo per produrre, questa diventa un aspetto competitivo che ci spinge a essere meno performanti e commette un errore enorme, perché poi questo aggravio si paga due volte: se la fabbrica ha più oneri li deve trasferire sul prezzo finale del prodotto e se questo trasferimento significa meno competitività sul mercato, vuol dire che l’azienda a non cresce, non crea occupazione e non aumenta i salari di chi ci lavora.

C’è ottimismo tra i vostri associati?
L’ottimismo è quello che si è respirato al recente Cersaie: nei padiglioni si sono viste l’effervescenza del settore e le sue novità. L’ottimismo ce l’hanno i nostri imprenditori, l’ottimismo della volontà non manca. Si vedono gli investimenti, le innovazioni, i prodotti che ogni azienda continua a proporre per affrontare un mercato nel quale siamo l’eccellenza. Di fronte a tutto questo non posso che vedere positivo.