Startup innovative e modello UNICO SC 2016

Che le startup innovative siano una risorsa per la nostra economia è un fatto che, oltre che dalle chiacchiere e dalle belle parole, deve essere supportato da politiche che possano favorirne lo sviluppo e il business.

Per fortuna il fisco se n’è accordo e nel nuovo modello UNICO SC 2016 per le società di capitali, che ha subito parecchie modifiche nel quadro RS rispetto alla versione 2015 è interessante segnalare quanto riportato nel prospetto degli “Investimenti in Startup innovative”, nel quale è stata prevista la nuova casella “Pmi innovativa” (nei righi da RS160 a RS162).

Con questa aggiunta è dunque stato applicato quanto disposto dal D.L. n. 3/2015 con l’applicazione delle disposizioni sulle agevolazioni per la deduzione dell’investimento in startup innovative contenute nel D.L. n. 179/2012 e previste per Pmi e startup innovative che operano sul mercato da meno di 7 anni dalla loro prima vendita commerciale.

Le agevolazioni a queste startup innovative si applicano nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dall’articolo 21 del regolamento (Ue) 651/2014 della Commissione del 17 giugno 2014. Ricordiamo quindi che la nuova casella inserita nel modello UNICO SC 2016 va barrata esclusivamente se l’investimento è stato effettuato in Pmi.

Start-up innovative, al via il bando a Milano

Aspiranti imprenditori e start-up, pronti a partire di slancio? È stato presentato nei giorni scorsi il bando per Speed MI Up, l’incubatore di Università Bocconi, Camera di Commercio e Comune di Milano

Il bando, che si chiuderà il 14 aprile, dà il via alla settima edizione dell’iniziativa, che mira a favorire la nascita e lo sviluppo di start-up, soprattutto innovative, e rafforzare l’integrazione tra il mondo delle imprese e dei professionisti attraverso l’offerta di un programma formativo, di un servizio di tutoraggio individuale, di supporto continuativo di tutoring, di supporto nell’accesso a risorse finanziarie e servizi in materia di innovazione, ricerca scientifica e internazionalizzazione.

Sono inoltre messi a disposizione delle start-up, spazi attrezzati di lavoro con postazioni open space, aree di incontro informale e spazi di rappresentanza.

Speed MI Up ospita attualmente 25 start-up in fasi diverse di sviluppo, selezionate grazie ai sei bandi che si sono susseguiti a partire dal 2013, alle quali si devono aggiungere una decina di imprese che hanno concluso il periodo di incubazione.

Sono 779 le start-up innovative a Milano, che rappresentano il 68% del totale lombardo e circa il 15% italiano. La maggior parte opera nel settore dei servizi avanzati (82,6%), seguita dall’industria (11,2%) e dal commercio (5,8%). In particolare sono attive nel settore dell’informazione e comunicazione (52,1%) e nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (21,8%).

La maggior parte delle start-up innovative conta meno di quattro addetti, seguite dalle imprese che hanno da cinque a nove addetti. Inoltre, 162 sono giovanili e 91 femminili. Secondo un rapporto del Servizio Studi e Statistica della Camera di Commercio di Milano su dati Registro Imprese 2015 e 2014, Milano è prima in Italia per numero di start-up innovative (15%), seguita da Roma (9%), Torino (5%), Napoli e Bologna (3%).

Questo progetto è una infrastruttura ormai consolidata per la città, a disposizione delle imprese, a partire dalle start up e dai giovani professionisti – ha dichiarato Alberto Meomartini, presidente del consorzio Speed MI Up e vice presidente della Camera di commercio di Milano -. Abbiamo creato un luogo di dialogo tra istituzioni e università per aiutare la crescita delle idee d’impresa innovative, in particolare dei giovani”.

Ora è più facile aprire una start up innovativa

Ogni tanto arrivano buone notizie sul fronte della semplificazione per chi vuole fare impresa. E quando per impresa si intende la start up, la semplificazione diventa quasi un atto dovuto. Come quello che il ministero dello Sviluppo Economico ha annunciato nei giorni scorsi con un comunicato stampa.

Il Mise ha infatti comunicato di aver firmato un decreto con il quale introduce la possibilità di costituire una start up innovativa utilizzando un modello standard tipizzato con firma digitale, senza dover ricorrere a un notaio come normalmente accade alla fondazione di una nuova società.

Questa possibilità non esclude il ricorso al classico atto pubblico per costituire la start innovativa, ma semplicemente si affianca alla classica via notarile. Nel comunicato diffuso, il ministero sottolinea che sarà emesso un successivo decreto direttoriale per approvare il modello informatico e la modulistica necessari alla trasmissione e all’iscrizione della start up al Registro imprese, compilabile direttamente online.

Gli atti costitutivi potranno essere redatti dai soci della start up in prima persona, oppure questi potranno avvalersi dell’Ufficio del Registro imprese: sarà in capo a quest’ultimo l’onere dell’autenticazione delle sottoscrizioni e dell’iscrizione in tempo reale della start up al Registro, consentendone così la nascita contestualmente all’apposizione dell’ultima firma in calce all’atto di costituzione

Buono il trend dei finanziamenti alle startup innovative

Lo scorso anno il Fondo di Garanzia per le Pmi ha avuto più di un occhio di riguardo per le startup innovative. Secondo il quinto rapporto bimestrale sull’accesso al Fondo di Garanzia di startup e incubatori redatto dal Mise, nel 2015 ben 711 startup innovative hanno beneficiato di finanziamenti bancari facilitati dall’intervento del Fondo di Garanzia.

Il meccanismo ha consentito di erogare finanziamenti alle startup innovative per un totale di oltre 289 milioni (con un importo garantito pari a 225 milioni) che, spalmati su 1054 operazioni, hanno costituito in media un finanziamento di quasi 275mila euro a prestito (274.369, per la precisione).

I dati di dicembre seguono quelli di ottobre 2015, rispetto ai quali, rileva il rapporto, è stato registrato “un cospicuo incremento” sia nel numero di startup innovative che hanno utilizzato il Fondo (85 in più), sia nel totale erogato (+34,16 milioni), sia nell’importo garantito (+25,70 milioni), sia nelle operazioni effettuate (+136). Si è registrato un calo solo relativamente all’entità del prestito medio, che è calata di 3.440 euro.

Crowdfunding e impresa in Italia

Quando in Italia prende piede una nuova tendenza, specialmente se legata al web e specialmente se con un nome inglese, in molti si fanno prendere dalla smania della novità e cominciano a cavalcare la moda. Con il fenomeno del crowdfunding, per esempio, succede così.

Ricordiamo che con crowdfunding si indica una formula che, attraverso il web, consente di raccogliere piccoli finanziamenti da parte di soggetti potenzialmente sterminati, il cui totale consente poi a chi ne beneficia di realizzare progetti di varia natura (imprenditoriale, politica, sociale…), ricompensando i donatori con riconoscimenti vari, i più significativi dei quali sono parte dei profitti o azioni della società finanziata, qualora si tratti di progetti del cosiddetto equity crowdfunding.

La raccolta dei fondi sul web avviene attraverso apposite piattaforme cui aderiscono i soggetti che hanno progetti da finanziare in crowdfunding. Per fortuna, in Italia non è possibile svegliarsi al mattino e implementare una piattaforma a questo scopo; quelle che ci sono, e quelle che vorranno esserci, sono sottoposte a normativa Consob, la società che vigila sulle operazioni di Borsa.

C’è infatti in Consob un apposito registro nel quale, tra le altre cose, i soggetti che vogliono attivare piattaforme di crowdfunding devono certificare la propria affidabilità e la qualità del servizio da loro reso. Fanno parte di questo registro i soggetti che ne fanno richiesta (accettata…), le banche e le società di investimento (Sim).

Come si diceva, quindi, anche l’Italia sta scoprendo il fenomeno del crowdfunding anche se i numeri in gioco sono per forza di cose minori che in altre realtà mondiali. Un po’ per il fatto di essere arrivati dopo, un po’ per le dimensioni non esagerate dei progetti finanziati nel nostro Paese. Stando alle cifre attuali, negli ultimi 12 mesi le piattaforme nostrane hanno raccolto circa 11 milioni di euro su un totale di 23, a fronte degli 1,6 miliardi di dollari del Nord America.

Eppure, specialmente per le start-up innovative, le realtà maggiormente inclini a ricorrere al crowdfunding per il proprio finanziamento, l’occasione è di quelle ghiotte. A maggior ragione se si sceglie di utilizzare la formula dell’equity crowdfunding (di cui abbiamo detto sopra) anziché quelle più classiche del crowdfunding per prestito o per donazione.

Anche perché la normativa Consob che regola la prassi dell’equity crowfunding è decisamente all’avanguardia in Europa e nel mondo, essendo stata varata in anticipo persino rispetto a quella americana.

Inoltre, i margini di sviluppo dell’equity crowdfunding sono decisamente più ampi delle formule in prestito o donazione: basti pensare che, a livello globale, questo tipo di formula cuba circa 116 milioni di dollari (30% annuo), contro i 1,2 miliardi di dollari del crowdfunding su prestito (+111% annuo) e degli 1,4 miliardi di quello su donazione (+85%).

Il crowdfunding che spinge l’economia

Quanto abbiamo scritto nei giorni scorsi in merito all’equity crowdfunding, al peer-to-peer lending e al crescente interesse che riscuotono tra gli investitori istituzionali e i semplici “prestatori” di denaro non è un fatto isolato né casuale.

Si tratta infatti di tendenze che sono emerse anche il 29 e il 30 ottobre scorso durante la quarta conferenza annuale della Equity Crowdfunding Network Association (Ecn) tenutasi a Parigi.

All’appuntamento hanno partecipato decine di esperti di diversi Paesi Ue, membri della Commissione Ue e rappresentati di alcune delle più importanti authority europee di vigilanza sui mercati finanziare, tra cui l’italiana Consob. Al centro della due giorni, il futuro e gli sviluppi del mercato europeo del crowdfunding, con un particolare focus sulle normative e sulle leggi che disciplinano la materia, che sono in costante evoluzione.

Ciò che per noi è l’evidenza più interessante emersa dall’assemblea di Parigi è proprio l’interesse crescente e condiviso che suscitano l’equity crowdfunding e il peer-to-peer lending specialmente tra gli investitori professionali, tipicamente i venture capitalist, e gli investitori istituzionali come i grandi fondi privati e le banche.

Si tratta di realtà ampiamente strutturate per aderire a questo tipo di investimenti in crowdfunding, poiché hanno gli strumenti per valutare il bilanciamento tra rischio e opportunità di guadagno. Proprio per questo, dunque, se il loro applicarsi a questa nuova tipologia di investimento diventasse una costante per diversificare il loro portafoglio di business, è facile che l’imprenditoria innovativa e l’economia tutta ne avrebbero giovamento.

Proprio in questo senso vanno gli accordi già in essere tra alcune banche e le piattaforme di lending crowdfunding, in virtù dei quali gli istituti di credito che coinvestono nel crowd completano con un proprio intervento i finanziamenti versati alle Pmi o alle start-up. E spesso non si tratta di somme risibili, dato che la copertura data dalle banche può arrivare anche al 50% della somma totale.

Allo stesso modo, i player dell’equity crowdfunding possono contare su gruppi di venture capitalist e di investitori non istituzionali che, come nel caso delle banche, co-investono insieme agli investitori individuali.

Si tratta di sinergie importanti, che possono davvero aiutare le realtà operanti nel peer-to-peer lending e nel crowdfunding a dare un impulso significativo all’imprenditorialità che, sempre più spesso, è ricchissima di idee ma povera di mezzi.

Crowdfunding e peer-to-peer lending

All’interno dell’articolato mondo del crowdfunding c’è una realtà tutta particolare che, come è d’obbligo in questi casi, ha anch’essa un nome inglese. Si tratta del cosiddetto peer-to-peer lending che, a differenza del crowdfunding classico, è un’offerta di credito online diretta e senza intermediari.

Gli attori sono gli stessi del crowdfunding – imprese, persone o enti che vorrebbero ricevere finanziamenti e investitori interessati a darne – che si muovono però per contatto diretto. Una modalità di raccolta fondi che, nel 2014, ha fatto registrare uno scambio di risorse per 11 miliardi di dollari a livello globale, pari dunque a oltre il 60% del totale del crowdfunding mondiale.

Una crescita importante, visto che nel mondo i volumi del peer-to-peer lending sono più che raddoppiati rispetto al 2013, con casi come quello americano ed europeo (+140%) o quello asiatico (+300%) che impressionano. Per il 2015 si prevede che il peer-to-peer lending possa arrivare a toccare i 34 miliardi di dollari

E nel nostro Paese? Sul fenomeno ha provato a fare luce la ricerca “Peer-to-peer lending: mito o realtà?”, commissionata da CRIF a SDA Bocconi, la quale ha rilevato che, anche se il crowdfunding in Italia sta conoscendo uno sviluppo importante, la componente del peer-to-peer lending è ancora un po’ indietro, con un valore complessivo dei progetti finanziati di poco superiore a 23 milioni di euro.

Nello studio si rileva che, tra il 2007 e il 2014, i volumi del peer-to-peer lending sono aumentati di oltre 40 volte rispetto alla situazione del 2007, così come è cresciuta la percentuale di accettazione delle richieste, dal 10% al 15%.

Ma qual è, in Italia, il profilo del possibile utilizzatore del peer-to-peer lending? Lo studio ha provato a capire anche questo. Intanto, l’assenza di una piattaforma di intermediazione per la raccolta dei fondi fa sì che il grado di fiducia – di trust, come si dice – tra chi offre un progetto e chi è disposto a finanziarlo deve essere molto più alto del consueto. L’identikit del possibile utilizzatore è uomo, con grado di istruzione, alta propensione al rischio e scarso livello di fiducia verso il sistema delle banche.

Invece, il possibile finanziatore di progetti tramite peer-to-peer lending è sempre maschio ma di età medio-bassa, inserito in nuclei famigliari medio-ampi e con una minore propensione a investire se la persona in questione costituisce la fonte principale di reddito familiare. In sostanza, i figli sono più propensi dei padri a finanziare questi progetti.

Quello che è certo è che, anche in Italia, chi usa frequentemente il web ha meno problemi, almeno potenzialmente, ad accostarsi al peer-to-peer lending, specialmente coloro i quali acquistano o vendono frequentemente attraverso siti di e-commerce.

Start-up innovative, scommessa di UniCredit

Il programma di accelerazione UniCredit Start Lab, promosso da UniCredit per favorire lo sviluppo delle start-up innovative italiane, ha erogato il suo quarto finanziamento in equity. Beneficiaria del finanziamento è WIB Machines, giovane start-up siciliana specializzata nello sviluppo di vending machine di nuova generazione.

La start-up WIB beneficerà di un finanziamento complessivo di 610mila euro per sviluppare ulteriormente il proprio business, finalizzato alla creazione di un nuovo canale di vendita automatico in grado di combinare i vantaggi dell’e-commerce con la comodità e sicurezza del negozio sotto casa.

WIB ha già realizzato delle installazioni pilota in partnership con Coop, fra cui una all’interno del Future Food District di Expo 2015 e l’interesse ricevuto dagli Stati Uniti, dove sono già state installate delle prime unità WIB, spingerà la start-up siciliana ad avviare una propria legal entity sull’area di New York entro l’anno.

Siamo felici di poter sostenere, con questo quarto investimento nell’equity, una delle quasi 100 start-up che hanno partecipato in questi primi 2 anni di attività al programma di accelerazione UniCredit Start Lab. Favorire l’innovazione e accompagnare giovani imprenditori che ne fanno un pilastro della propria attività vuole essere per noi un segno sempre più caratterizzante e distintivo”, è stato il commento di Gabriele Piccini, Country Chairman Italy di UniCredit.

La banca ricorda anche che, a partire dallo scorso 30 settembre, le start-up innovative si posso ufficialmente candidare per l’edizione 2016 di UniCredit Start Lab sul sito www.unicreditstartlab.eu, che annovera tra le principali novità la possibilità di accesso al programma per start-up operanti da meno di 5 anni (erano 3 anni sino alla scorsa edizione) e Pmi innovative.

Siamo un Paese di startup

Italia, Paese di santi, poeti, navigatori e startupper. Secondo i dati contenuti nel report strutturale sulle startup innovative redatto da Infocamere e relativo al terzo trimestre 2015, nel nostro Paese sono nate quasi 500 nuove startup negli ultimi due mesi.

Nel dettaglio, al 30 settembre 2015 erano 4.704 le startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese, +11,8% rispetto alla fine di giugno (456 aziende in più), con 18.677 soci.

Per quanto riguarda i settori merceologici nei quali sono attive le startup innovative italiane il 72,3% di loro opera nel campo dei servizi alle imprese, il 18,8% nell’industria, il 4,2% delle startup nel commercio.

Dai dati emerge anche come startup faccia rima con giovani. Sono infatti 1.122 le startup under 35, il 23,9% del totale. Le società in cui almeno un giovane è presente nella compagine societaria sono quasi 2mila (1.890), il 40,2% del totale.

Purtroppo, però, la dimensione femminile delle startup italiane è ancora troppo debole: sono solo 611, pari al 13% del totale. Le società in cui almeno una donna è presente nella compagine societaria sono invece poco più di 2mila (2.099), il 44,6% del totale.

Per quanto riguarda la distribuzione geografica delle startup innovative italiane, la Lombardia è la regione che ne incuba il numero maggiore: 1.018, pari al 21,6% del totale. A seguire Emilia-Romagna con 541 (11,5%), Lazio 455 (9,7%), Veneto 360 (7,6%) e Piemonte 326 (6,9%), mentre il Trentino-Alto Adige è la regione con la più elevata incidenza di startup in rapporto alle società di capitali: 91 startup ogni 10mila società di capitali.

Se poi si considera che lo scorso anno il valore della produzione media, calcolato sulle 2.663 startup innovative che hanno reso noti i loro bilanci, è stato di 131mila euro, si capisce come in Italia vi sia terreno fertile per innovare, fare business e produrre ricchezza.

Al Global Startup Expo 60 nuove imprese italiane

Il mondo delle startup si dimostra ancora una volta pieno di aspettative per le banche, italiane e non, come dimostra il caso di UniCredit, unico istituto di credito italiano presente il prossimo 19 novembre al virtuale taglio del nastro del primo Global Startup Expo, la fiera digitale delle startup.

Grazie a una piattaforma internet sviluppata da Hyperfair, startup italiana che ha sede anche a San Francisco, investitori e aziende di tutto il mondo potranno incontrare nel padiglione digitale dell’istituto milanese, 60 nuove imprese che fanno dell’innovative Made in Italy il proprio business.

UniCredit sostiene infatti l’iniziativa con UniCredit Start Lab, il suo programma di accelerazione dedicato alle startup innovative, con l’obiettivo di offrire, attraverso questa prima fiera virtuale mondiale dedicata alle startup più rappresentative del Made in Italy, un canale privilegiato di contatti con visitatori potenziali provenienti da Stati Uniti, Bulgaria, Polonia e Turchia, oltre che dall’Italia.

Sono invitati a partecipare alla fiera virtuale imprenditori, manager, ricercatori, investitori, business angel, incubatori, venture capital, stakeholder e appassionati dell’innovazione, che potranno incontrare startup italiane che fanno del Made in Italy innovativo il proprio core business. La Global StartUp Expo by UniCredit promette di essere un’opportunità di visibilità e crescita per molte nuove aziende.

I visitatori di Global Startup Expo potranno organizzare video call o chat con gli interlocutori più interessanti per il loro business e trasformare l’incontro virtuale in reale. Gli startuppers potranno poi incontrare in orari dedicati i grandi investitori e incubatori mondiali, senza spostarsi fisicamente dalle loro sedi, per entrare in un ecosistema di innovazione globale.

Per incontrare le startup presenti nel padiglione UniCredit è sufficiente registrarsi sul sito www.globalstartupexpo.com.