Niente tagli alla spesa pubblica? 10 miliardi di tasse in più

La scorsa settimana, con la sua informativa, il ministro dell’Economia Padoan aveva lanciato l’allarme sulla necessità assoluta del taglio della spesa pubblica improduttiva per evitare ulteriori impennate delle tasse. Una presa di posizione che è stata subito fatta propria dalla Cgia, che per bocca del segretario Giuseppe Bortolussi ha dichiarato: “Dobbiamo sperare nel taglio della spesa pubblica improduttiva, altrimenti nel prossimo biennio pagheremo 10 miliardi di euro di nuove tasse: 3 nel 2015 e altri 7 nel 2016”.

Secondo il Def approvato nella primavera scorsa, nel triennio 2014-2016 il Governo si impegna a tagliare a regime laspesa pubblica per un importo di 32 miliardi. Per l’anno in corso, dice la Cgia, l’obiettivo è di raggiungere una riduzione delle uscite di 4,5 miliardi.

La situazione diventa ancor più impegnativa per gli anni a venire. Nel 2015 il Governo ha infatti deciso di tagliare la spesa pubblica di17 miliardi , con un impegno minimo da raggiungere che non potrà essere inferiore ai 4,4 miliardi .

Nel caso il Governo non sia in grado di centrare questo obiettivo minimo, scatterà la cosiddetta “clausola di salvaguardia”: a fronte del mancato taglio della spesa pubblica, i contribuenti saranno chiamati a sopportare un aggravio fiscale di 3 miliardi, a seguito della riduzione delle agevolazioni/detrazioni fiscali e all’aumento delle aliquote. I ministeri , dal canto loro, dovranno razionalizzare la spesa per un importo di 1,44 miliardi.

Nel 2016 l’impegno sarà ancora più gravoso. A fronte di una contrazione delle uscite che dovrà salire a 32 miliardi, l’obbiettivo minimo sarà di 7 miliardi di tagli alla spesa pubblica, altrimenti scatterà la clausola di salvaguardia per tutti i cittadini, mentre i ministeri dovranno tagliare le uscite per 1,98 miliardi.

Nel 2017 e 2018 le risorse già impegnate dal taglio della spesa pubblica ammontano rispettivamente a11,9 e 11,3 miliardi. Il raggiungimento di questo risparmio di spesa è garantito da apposite clausole di salvaguardia, che consistono nel taglio delle risorse a disposizione dei Ministeri, e da un aumento della tassazione per i cittadini di 10 miliardi nel 2017 e di altri 10 miliardi  nel 2018.

Imposte patrimoniali, croce degli italiani

Quanti italiani, privati cittadini o imprenditori, hanno avuto a che fare nella vita con il salasso delle imposte patrimoniali? Moltissimi, pensiamo, per la gioia soprattutto dello Stato. Secondo una ricerca condotta dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, nel 2013 le imposte patrimoniali che pesano sui contribuenti italiani hanno portato nelle casse dell’erario la bellezza di 41,5 miliardi di euro. Secondo l’Ufficio studi, la situazione per l’anno in corso è destinata a peggiorare ulteriormente.

L’Ufficio Studi della Cgia di Mestre ha considerato nella sua ricerca le seguenti imposte patrimoniali: imposta di registro e sostitutiva; imposte di bollo; imposta ipotecaria; diritti catastali; ICI/IMU; bollo auto; canoni su telecomunicazioni e RAI; imposta sulle transazioni finanziarie; imposta sul patrimonio netto delle imprese; imposta su secretazione dei capitali scudati; imposte sulle successioni e donazioni; imposta straordinaria sugli immobili; imposta straordinaria sui depositi; imposta sui beni di lusso.

Dopo un’attenta analisi, l’Ufficio Studi ha rilevato che nel 2012 il gettito delle imposte patrimoniali è cresciuto, rispetto al 2011, di 13.950 milioni di euro (+46%) e che nel 2013 si è registrata una temporanea flessione dovuta principalmente all’abolizione dell’Imu sulle abitazioni principali.

Proprio l’Imu è, in termini di gettito, l’imposta più onerosa per le gli italiani: lo scorso anno ha garantito alle casse dello Stato e dei Comuni la bellezza di 20,2 miliardi di euro. Molto a distanza seguono l’imposta di bollo (6,6 miliardi), il bollo auto (5,9) e l’imposta di registro (4,3). Una classifica poco invidiabile, questa delle imposte patrimoniali riscosse dallo Stato italiano, che l’Imu si aggiudica a mani basse

Secondo il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, “con l’introduzione della Tasi nel 2014ritorneremo a pagare quanto abbiamo versato nel 2012: attorno ai 44 miliardi di euro. Si pensi che dal 1990 il gettito è addirittura quintuplicato. Le più onerose sono l’Imu, l’imposta di bollo, il bollo auto e l’imposta di registro: i versamenti di queste quattro imposte incidono sul gettito totale per oltre l’89%”.

Debiti Pa, segnali positivi

Il presidente del Consiglio Renzi si dimostra ottimista (lo è per natura, pare…) sulla situazione del saldo dei debiti Pa: entro il 21 settembre sarà pagato tutto, dice. Ma qual è la situazione attuale dei debiti Pa? Come va l’andamento del saldo?

In realtà non così male. Secondo Cerved Group, nei primi tre mesi del 2014 ci sono i segnali positivi sul fronte dei pagamenti dei debiti Pa, delle partecipate pubbliche e dei fornitori della Pa stessa: cala il numero delle fatture non saldate e si accorciano i tempi di pagamento.

Secondo le ultime stime di Bankitalia, nel 2013 i debiti Pa sono scesi a 75 miliardi dai 90 stimati per il 2012 (ma qualcuno parlava di 120). Un’analisi sui dati in payline dai fornitori della Pa su un numero importante di fatture ha rilevato che nel trimestre gennaio-marzo 2014 è rimasto non stato saldato il 53,9% delle fatture, pari al 60,1% in termini di importi; si tratta, rispettivamente di -5,2% e -5,5% rispetto alla quota dello stesso trimestre del 2013. Sono miglioramenti più contenuti rispetto a quelli registrate nei due trimestri precedenti: la quota di debiti Pa scaduti si era infatti ridotta di oltre il 10% su base annua.

Si registra anche un miglioramento nei pagamenti da parte delle partecipate dalla Pa: nel primo trimestre 2014 risulta non pagato il 39,1% delle fatture (36,5% come importi), con un calo rispettivamente dell’1,3% e del 4% rispetto al dato dato di gennaio-marzo 2013. Le partecipate da regioni e autonomie locali restano le peggiori pagatrici per i debiti Pa, nonostante la percentuale di scaduto scenda dal 71,8% a un sostanziale 57,7%. Cala la quota di fatture inevase nelle partecipate comunali (-5,5%), mentre aumenta sensibilmente in quelle provinciali (dal 9,1% al 30,2%).

Rispetto ai primi tre mesi del 2013, scende il numero di fatture non pagate ai fornitori (dal 36,5% al 32,3%), così come quello degli importi inevasi (dal 31,2% al 27,6%) da parte dei partner commerciali della Pa. Lo scaduto relativo ai debiti Pa si riduce sia tra i fornitori di grandi dimensioni sia tra quelli più piccoli: calo sensibile tra le microimprese (-4,6%) e tra le grandi società (-4,4%), meno marcato per le Pmi (-2%).

Per una volta, poi il miglioramento dello stato dei debiti Pa unisce l’Italia, o quasi. Cala la percentuale di scaduto tra i fornitori del Sud (dal 43,9% del primo trimestre 2013 al 23,7%), del Nord Ovest (dal 27,4% al 19%) e del Centro (-1,2%). Nell’operoso Nord Est, invece, cresce, dal 32,2% del primo trimestre 2013 al 38,7%.

Fatturazione elettronica, chi la deve fare

Indicata da molti come una delle strade possibili per fare chiarezza nei rapporti tra Pubblica Amministrazione e imprese fornitrici, la fatturazione elettronica è ora una realtà. In questo modo, come detto, dovrebbero diventare più chiari i flussi di fornitura verso la Pa e, forse, potrebbero trarre beneficio anche i tempi di pagamento nei confronti delle imprese private, che nello Stato hanno oggi il loro maggior creditore.

La decorrenza per le nuove modalità di fatturazione elettronica nei confronti della Pubblica Amministrazione era il 6 giugno scorso per ministeri, agenzie fiscali ed enti previdenziali e assistenziali. Per gli altri Enti della Pa l’obbligo sarebbe dovuto decorrere un anno dopo, dal 6 giugno 2015, ma l’art. 25 del D.L. 24 aprile 2014 n. 66 ne ha anticipato l’adempimento di 3 mesi, al 31 marzo 2015.

Secondo quanto riporta la Circolare 1/DF diffusa il 31 marzo 2014 dal ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, pur esistendo uno specifico divieto di pagamento dei fornitori in assenza di fatturazione elettronica, è tuttavia previsto un periodo transitorio in cui la Pa potrà accettare fatture cartacee. Amministrazioni ed Enti pubblici nei tre mesi successivi alla data di entrata in vigore del nuovo adempimento potranno accettare fatture cartacee emesse antecedentemente a tale data.

Nel documento di prassi è anche spiegato il perché si è scelto di concedere un periodo transitorio alla fatturazione elettronica. Infatti, la trasmissione della fattura in formato cartaceo non può essere istantanea, ragion per cui dal momento della spedizione al momento della ricezione passano spesso diversi giorni. In ogni caso, terminato il trimestre di transizione, le vecchie fatture non saranno più accettate e i fornitori non potranno più essere pagati.

Delega fiscale, i punti salienti

Sono in molti coloro tra gli operatori in ambito fiscale e tributario che sono a dir poco scettici di fronte alla delega fiscale licenziata la scorsa settimana dalla Camera. Apparentemente un percorso senza ostacoli: 309 sì, 99 astenuti, nessun voto contrario. Eppure se ne sono viste talmente tante negli ultimi anni che un minimo di cautela è d’obbligo.

Sia come sia, vediamo per punti quali sono i contenuti più qualificanti della delega fiscale approvata dalla Camera e diventata legge.

OBIETTIVI. Riduzione della pressione tributaria sui contribuenti, nel rispetto del principio di equità – compatibilmente con il rispetto dell’art.81 della Costituzione – nonché degli obiettivi di equilibrio di bilancio e di riduzione del rapporto tra debito e Pil stabiliti in sede europea.

PROCESSO TRIBUTARIO. Vengono recepiti i principi indicati dal Cnel per la riforma dei procedimenti e del processo in materia tributaria. Coordinamento e semplificazione delle norme sugli obblighi dei contribuenti; vengono potenziate le forme di contraddittorio tra amministrazione e contribuenti; leale e reciproca collaborazione tra amministrazione e cittadini; rafforzamento della conciliazione nel processo tributario.

LOTTA ALL’EVASIONE FISCALE. Le maggiori entrate derivanti dal contrasto all’evasione e all’erosione fiscale devono essere esclusivamente attribuite al Fondo per la riduzione della pressione fiscale. Favorire quindi l’emersione di base imponibile anche attraverso misure finalizzate al contrasto di interessi. Potenziamento della fatturazione elettronica e riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili a carico dei contribuenti.

CATASTO. Nuovo metodo di conteggio del valore basato non sul numero dei vani ma sui metri quadrati e su una formula che lo avvicina alle reali stime di mercato. Massima pubblicità e trasparenza delle funzioni statistiche e monitoraggio semestrale (con relazione del Governo al Parlamento) sugli effetti della revisione, articolati a livello comunale, per verificare l’invarianza di gettito. Valori e rendite non potranno andare al di sopra del valore di mercato.

RESPONSABILIZZAZIONE. Deve essere individuabile, per ciascun tributo, il livello di governo che beneficia delle relative entrate. Va suddiviso per soggetti istituzionali (Stato, Regioni, enti locali), il quadro dei beneficiari e/o dei cobeneficiari delle singole imposizioni. Stop alla deregulation sulle addizionali.

COMPENSAZIONE. Generalizzazione del meccanismo della compensazione tra crediti d’imposta vantati dal contribuente e debiti tributari a suo carico.

GIOCHI. I Comuni parteciperanno alla pianificazione della dislocazione di sale da gioco e punti vendita; maggiori controlli anti-riciclaggio e rafforzamento delle norme sulla trasparenza e sui requisiti soggettivi.

INCENTIVI E CONTRIBUTI. I risparmi di spesa derivanti da riduzione di contributi o incentivi alle imprese devono essere destinati alla riduzione dell’imposizione fiscale sulle imprese. Mantenimento del regime penale per i comportamenti più gravi; revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo per correlare le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti, con possibilità per le fattispecie meno gravi di applicare sanzioni amministrative anziché penali.

DICHIARAZIONE PRECOMPILATA E SEMPLIFICAZIONE. Per la predisposizione delle dichiarazioni e per il calcolo delle imposte, va prevista la possibilità di invio ai contribuenti e di restituzione da parte di questi ultimi di modelli precompilati.

STATUTO DEL CONTRIBUENTE. Ultimo ma fondamentale passo, i decreti devono rispettare i principi costituzionali, quelli dell’ordinamento dell’Ue, e quelli dello Statuto del contribuente, con particolare riferimento al vincolo di irretroattività delle norme tributarie di sfavore.

Buone Feste un po’ speciali. I nostri auguri per tutti

di Davide PASSONI

Le festività natalizie sono il tempo degli auguri. Nemmeno INFOIVA si sottrae alla tradizione, ma preferisce, come sempre, declinarla a modo proprio. E allora ecco i nostri personali auguri.

Auguri, naturalmente, agli imprenditori e ai professionisti; a quelli che ancora hanno un’impresa o uno studio e a quelli che ormai non l’anno più: possano ricordarsi sempre che il loro, prima che un lavoro, è una missione, dimenticandosi che ci fu un tempo in cui i missionari venivano ammazzati.

Auguri al fisco italiano e a Equitalia: si ricordino che una cosa è il rigore, un’altra è l’accanimento. Si ricordino che chi evade lo fa più spesso per sopravvivere che per fregare gli altri.

Auguri alla burocrazia italiana. Si ricordi di essere un mostro che ingoia imprese e cittadini: con l’anno nuovo non chiediamo che sia più buona, ci basterebbe fosse meno paradossale.

Auguri ai nostri stimati politici, di destra, di sinistra, di centro, di dove diavolo vogliono mettersi. Si ricordino che la disistima e l’accanimento dei cittadini nei loro confronti se lo portano in eredità da chi li ha preceduti e che stanno facendo assai poco per marcare la differenza con loro. E che sono, ahinoi, lo specchio di chi li ha votati.

Auguri al governo italiano. Che sappia essere meno prudente, meno vago, più incisivo e che, soprattutto, ci liberei dalla più insopportabile delle maledizioni: l’incertezza fiscale che grava su imprese e cittadini.

Auguri all’Italia e agli italiani. Si ricordino che, pur con tutti i limiti e i difetti si portano con sé come popolo e come Paese perché “ce li hanno nel sangue”, hanno una capacità di fantasia, di ripresa e una volontà di ripartire sempre e comunque, anche da zero, che pochi al mondo hanno. Usino tutto questo per uscire dal pantano.

E, infine, auguri a voi, nostri lettori. Speriamo ci vogliate seguire ancora nel 2014 e perdonateci se, ogni tanto, siamo venuti meno alla nostra volontà di ottimismo e positività. Con quello che stiamo vivendo da 5 anni, possiamo essere perdonati per qualche scivolone, non credete?

Imu, rischio collasso per i Caf

L’incertezza sulle modalità di pagamento della seconda rata dell’Imu è come una valanga che lungo la sua corsa trascina con sé tutto quello che trova e che si ingrandisce sempre di più, mano a mano che prosegue sul suo cammino. Un esempio? L’allarme arrivato da Unimpresa.

Secondo l’associazione che costituisce il sistema di rappresentanza delle micro, piccole e medie imprese così come individuate dalle norme dell’Unione Europea, è allarme nei Caf (i centri di assistenza fiscale) per il calcolo della seconda rata Imu. L’approvazione del decreto legge che cancella, solo parzialmente, il versamento di dicembre sulle abitazioni principali, è arrivata infatti troppo a ridosso delle scadenze.

Ma soprattutto la confusione generata dalla norma che consente ai comuni di far pagare la quota di imposta relativa all’eventuale aumento stabilito nel 2012 e nel 2013 rispetto all’aliquota ordinaria (4 per mille) rende molto probabili errori nella determinazione degli importi da pagare entro il 16 gennaio. Con l’elevatissimo rischio di dare il via a un contenzioso di grandi proporzioni tra contribuenti e amministrazioni locali. Sono 900 Centri di assistenza fiscale, distribuiti in 60 province in tutta Italia, che aderiscono a Unimpresa.

Il decreto legge approvato mercoledì, ricorda Unimpresa, prevede il pagamento per la quota di Imu superiore alla aliquota base fissata al 4 per mille; i proprietari di abitazioni principali dovranno corrispondere ai comuni il 40% di questa eccedenza mentre il restante 60% è a carico dello Stato. Su 8.000 comuni complessivi, finora sono stati approvati circa 4.000 regolamenti Imu: c’è tempo fino al 5 dicembre ed è molto probabile che si assisterà ad aumenti selvaggi. I bilanci delle amministrazioni locali sono in rosso e l’opportunità offerta dal Governo col decreto approvato mercoledì consente di fare cassa rapidamente. Il decreto, infatti, fa scattare il prelievo extra sia per i comuni che hanno deliberato l’aumento dell’aliquota nel 2013 o devono ancora farlo, sia per i comuni che hanno confermato una aliquota superiore a quella base approvata lo scorso anno.

L’altro grave problema ricordato da Unimpresa, è la determinazione degli importi, considerato che il decreto Imu prevede che solo una parte (il 40%) dell’imposta si effettivamente pagata. “Il decreto – osserva il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardiè una barzelletta. In un colpo solo sono stati spostati due termini, quello per le delibere comunali e quello per il versamento, ed è stata portata dal 16 dicembre al 16 gennaio la scadenza per i versamenti. E poi c’è l’aspetto politico. Il Governo di Enrico Letta si è rimangiato la promessa e alla fine, anche se per cifre non rilevanti, obbliga le famiglie a una ministangata”.

Imurtacci vostri! L’imposta sugli immobili è sempre più un caos

di Davide PASSONI

Siamo veramente il Paese di Pulcinella. Neanche sulla tanto contestata Imu il governo è riuscito a dare una risposta chiara e definitiva. Va bene che in Italia ammazza quasi di più l’incertezza fiscale che il fisco stesso, ma con l’imposta sulla prima casa il governo ha sfiorato ancora di più il ridicolo.

Dopo la pubblicazione dei decreti sulla Gazzetta Ufficiale è infatti ancora più chiaro il caos che regna in materia. Prima la parte della seconda rata a carico dei cittadini, adesso la clausola di salvaguardia posta a garanzia dell’incasso, per cancellare la prima rata. Una mossa che prevedeva che il gettito in sarebbe arrivato dalla sanatoria sui giochi on line (600 milioni) e dalla maggiore Iva incassata dopo l’accelerazione dei pagamenti dei debiti della PA. (925 milioni). Ma, almeno per i giochi, non sarebbe andata come il ministro Saccomanni sperava, avendo incassato poco più della metà di quanto previsto; in sostanza, mancano i soldi: scattano quindi gli aumenti degli acconti Ires-Irap (per le aziende) e delle accise (gas, energia, alcolici ma non benzina, almeno per ora…).

Insomma, buio totale. Ecco perché questa settimana noi di INFOIVA cercheremo di capirne di più. Perché se, come detto all’inizio, l’incertezza fiscale è, sia per le imprese sia per i cittadini, quasi più dannosa della marea di tasse stessa, non possiamo arrenderci al fatto di essere trattati come sudditi. Il nostro compito è quello di mantenere alta l’attenzione: sudditi sì (purtroppo), scemi no.

Artigianato, il rilancio passa dai giovani

Quale sia la strada per valorizzare le manifatture artigiane in Italia lo ha mostrato all’inizio di novembre CNA Giovani Imprenditori della due giorni di dibattito “Manifatture, IV Festival dell’Intelligenza Collettiva”, che si è tenuta nella capitale italiana del bello e della creatività, Firenze.

Un incontro con protagonisti di vari settori, non solo di quello economico, per fare il punto sul Made in Italy e gli asset per il rilancio del sistema Paese: manifattura di qualità, cultura, bellezza, export. Due giorni di dibattito con al centro una domanda e, per fortuna, un sacco di risposte: come valorizzare il potenziale manifatturiero italiano per trasformarlo in opportunità di sviluppo ed esportazione?

Magari cominciando a investire sui giovani. In Italia ci sono 1.438,601 imprese artigiane (il 23,6% del totale delle imprese del Paese) che generano un fatturato di 150 miliardi di euro, il 12% del valore aggiunto italiano. Sul totale delle imprese italiane, quelle giovanili sono 675.053, ma solo il 3.2% (195.842) sono artigianali e solo il 7,6% delle nuove imprese create appartiene al settore manifatturiero. Perché non investire in questo settore dove si intravedono ampi spazi di crescita ed occupazione per i giovani?

Se nel mondo, come emerso dal dibattito fiorentino, stiamo assistendo a una nuova rivoluzione industriale che passa dal taylorismo al tailor made e molti Paesi stanno già attuando importanti politiche di investimento a sostegno della nascita di nuove piccole imprese manifatturiere, in Italia il tessuto di Pmi è già florido e rappresenta il 99% del tessuto produttivo. I nostri simboli del made in Italy: moda, design e alimentare, continuano a crescere, ad esportare e generare fatturato, un motivo in più per tutelare, sostenere e promuovere il Made in Italy va tutelato, sostenuto e promosso.

Secondo Andrea Di Benedetto, Presidente dei Giovani Imprenditori CNA, “il nostro potenziale sta proprio nella capacità manifatturiera che accomuna oltre 100mila Pmi italiane. Imprenditori che devono avere come obiettivo la penetrazione dei mercati esteri trovando linfa nell’innovazione. L’attuale incertezza economica deve diventare quindi lo stimolo per affermarci quali produttori di qualità, riempiendo sapientemente le nicchie del mondo”.

Secondo Di Benedetto, “qualità del prodotto e digitale sono le leve per consentire alle nostre imprese di internazionalizzarsi ed essere competitive nei mercati globali. Il tempo delle lauree come strumento di emancipazione sociale è finito. Oggi è emancipato chi è realizzato. E’ tornato il tempo del fare, del produrre, del creare con le mani e vendere in tutto il mondo grazie ad una comunicazione efficace e all’utilizzo del web per promuoversi e costruire, raccontandola, una nuova epica dell’artigianato”.

Parole sante. Ora aspettiamo i fatti, dalle imprese e da chi, a livello politico e fiscale, avrebbe il compito di sostenerle, non quello di affossarle.

L’Italia è una repubblica fondata sugli artigiani. Aiutiamoli

di Davide PASSONI

L’Italia è un Paese che ama i luoghi comuni, in qualsiasi ambito della vita quotidiana: dallo sport alla religione, dalla cultura all’economia. Purtroppo. Specialmente in ambito economico, infatti, i luoghi comuni andrebbero lasciati da parte, perché non fanno bene a nessuno. Uno dei più celebri è quello che vuole l’Italia patria dell’artigianato, tanto di quello di qualità quanto di quello, diciamo così, di largo consumo.

Come in tutti i luoghi comuni, un fondo di verità c’è, è inutile negarlo. La capacità e la maestria che abbiamo noi italiani in ogni tipo di produzione artigianale sono riconosciute e incontestabili, ma non è tutto oro quello che luccica. Le imprese artigiane soffrono tanto se non di più rispetto alle altre, in qualsiasi campo o regione esse operino. Basta dare un’occhiata alle statistiche di questi ultimi mesi per rendersene conto: in Sicilia, Sardegna Abruzzo, persino in regioni che con artigianato fanno rima – come Toscana e Marche – i trend di fatturato sono negativi, quelli relativi alle chiusure delle aziende positivi. Se poi ci mettiamo anche la sfiga di eventi catastrofici come quelli accaduti in Sardegna negli ultimi giorni, allora il quadro è completo.

Come sempre, dunque, è meglio darsi da fare per cercare delle soluzioni anziché piangersi addosso. Una di queste potrebbe essere, per una volta, riuscire a fare sistema, come imprese artigiane globalmente e come singole specificità produttive: andare in ordine sparso sul mercato interno e, soprattutto, su quello estero è una strategia perdente. Poi, cominciare a riconoscere la specificità di questo tipo di imprese e sostenerne la crescita con misure ordinarie e straordinarie sia sul lato degli incentivi economici sia, soprattutto, sul lato delle agevolazioni fiscali. Poi, sostenere una politica seria di inserimento di giovani in questo complesso tessuto produttivo, fornendo loro supporti e strumenti per proseguire nella realizzazione di prodotti eccellenti e apprezzati in tutto il mondo.

Sono solo alcuni piccoli passi, altri e più utili e intelligenti ci saranno di sicuro. Quello che è certo è che in un momento di crisi come questo e in un periodo dell’anno, quello che precede le festività natalizie, la spesa degli italiani si orienta ancora di più su produzioni artigianali, non tanto per spendere meno, quanto per spendere meglio. Se le imprese artigiane potessero sfruttare questa onda lunga anche per restanti mesi dell’anno, forse qualche segno di vera ripresa potrà cominciare a vedersi davvero. Non solo sulla carta o nella sfera di cristallo di burocrati ed economisti.