Unione Europea: arriva la proposta di legge per il caricabatteria universale

Ogni anno si accumulano 11 mila tonnellate di rifiuti elettronici costituiti da caricabatteria, una mole enorme anche considerando che nella maggior parte dei casi sono funzionanti, ma semplicemente vengono sostituiti perché nella confezione del nuovo smartphone, cuffie, altoparlanti, è compreso il caricabatterie e perché in alcuni casi il vecchio non è compatibile. Basterebbe davvero poco per ridurre questo enorme quantitativo di rifiuti elettronici, che è anche uno spreco di denaro e produce inquinamento, basterebbe il caricabatteria universale e l’Unione Europea finalmente lancia la sua proposta.

Dal Parlamento Europeo arriva la richiesta di applicazione del caricabatteria universale

Anna Cavazzini, presidentessa della Commissione per il mercato interno e la protezione dei consumatori, ha sottolineato che è arrivato il momento di dare seguito alle numerose richieste provenienti dal Parlamento Europeo che più volte ha invitato la Commissione Europea ad affrontare il problema dei rifiuti elettronici e quindi ad adottare finalmente il caricabatteria universale. Si tratta di un dispositivo che consente di ricaricare diversi modelli di smartphone, tablet e altri dispositivi con un unico caricabatteria.

Tale scelta è auspicabile perché c’è un costante incremento dei rifiuti elettronici in tutta l’Unione Europea. Molti ritengono che il provvedimento sia una sorta di punizione per Apple che ha differenza del sistema Android produce cavi e caricabatterie dedicati, in realtà l’Unione Europea ci tiene a precisare che il provvedimento non vuole punire nessuno e mira solo a una maggiore tutela ambientale, anche considerando che ogni anno nel solo continente europeo sono venduti 420 milioni di telefoni cellulari e altri dispositivi.

Le prime richieste sul caricabatterie universale risalgono al 2014 e da allora fino al 2021 c’è stato un costante interesse per questo argomento, ma formalmente solo il 23 settembre 2021 la Commissione Europea ha proposto tale fondamentale novità con l’obiettivo di ridurre i rifiuti elettronici. La proposta per ora non si estende ai PC e ai sistemi di ricarica wireless. Dal punto di vista pratico la Commissione Europea chiede ai produttori di smartphone e dispositivi elettronici di utilizzare un sistema di alimentazione unico con cavo “USB-C” e di rendere i protocolli software interoperabili tra i diversi marchi.

Il risparmio prevedibile per i cittadini dell’Unione Europea

Per ogni dispositivo il produttore potrà proporre due versioni, di cui una obbligatoriamente senza caricabatteria incluso, la seconda confezione è facoltativa e prevede il caricabatteria incluso nel prezzo.  Naturalmente a ciò consegue una sensibile riduzione dei prezzi. Il costo di un caricabatteria originale solitamente è di circa 35 euro, quando acquistato separatamente, ma è probabile che la differenza di prezzo tra le due versioni sarà minore. Ogni persona dovrebbe poi comprare il caricabatteria universale quando ne ha effettivamente bisogno, ad esempio perché il vecchio è logoro. Secondo Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato unico, se l’utilizzo di una sola tipologia di caricabatterie dovesse trasformarsi in legge, il risparmio per gli europei dovrebbe essere di circa 250 milioni di euro l’anno e la riduzione di rifiuti trovrebbe essere di circa mille tonnellate l’anno.

La reazione di Apple all’introduzione del caricabatteria universale

Non sono però mancate critiche e levate di scudi, soprattutto da parte del colosso Apple che ha criticato tale proposta sottolineando che in realtà in questo modo potrebbero aumentare i costi. Il problema per Apple è dover rinunciare al proprio protocollo con sistema di cavo Lightning per adattarsi a quello universale “USB-C”, ciò porterebbe a un aggravio dei costi e contemporaneamente, secondo il colosso, ciò potrebbe anche soffocare l’evoluzione tecnologica e tale rallentamento potrebbe apportare danni all’economia e alle persone.

Per la Apple potrebbe anche voler dire adattare il caricabatterie al Paese di destinazione del prodotto finale, infatti fuori dall’Unione Europea sarebbe ammessa la vendita con il sistema di cavo lightning e di conseguenza è probabile l’impegno a sviluppare nuovi dispositivi di ricarica che però non potrebbe vendere nell’Unione Europea. Apple inoltre sottolinea come in realtà la sua società sia già impegnata sul fronte della tutela ambientale e infatti i caricabatteria del noto marchio sono realizzati prevalentemente con materiali riciclati.

Le associazioni dei consumatori

La posizione della Apple, a sorpresa, è sostenuta anche dall’associazione dei consumatori Consumerismo che sottolinea come questa decisione potrebbe sembrare anche poco tempestiva infatti nel 2009 c’erano in circolo circa 30 tipologie differenti di caricabatterie, mentre oggi le tipologie sono solo 3 quindi i sistemi sono abbastanza uniformi. Attraverso il presidente Luigi Gabriele sottolinea che effettivamente la scelta di rendere obbligatorio in caricabatteria universale potrebbe ridurre i rifiuti elettronici, ad oggi ogni cittadino dell’Unione Europea produce circa 16 kg di rifiuti elettronici annualmente e gli stessi non sempre sono smaltiti seguendo le normative, ma di fatto vi è il rischio che i produttori aumentino i prezzi dei dispositivi.

Diversa è invece la reazione dell’Associazione Europea dei Consumatori Indipendenti (AECI) che invece apprezza la proposta e sottolinea il minore impatto ambientale che si avrebbe con tale riforma e la possibilità e la tutela dei consumatori che non si ritroveranno costantemente con cassetti pieni di cavi obsoleti.

Cresce il BYOD nel mondo

Il BYOD – Bring Your Own Device, ovvero l’utilizzo dei propri mobili per accedere alle informazioni messe a disposizione dall’azienda – è sempre più diffuso nel mondo e le aziende dovranno attrezzarsi di conseguenza.

Secondo i dati contenuti nel quarto rapporto annuale di Ovum sulla cosiddetta “enterprise mobility”, elaborato alla fine del 2015, il BYOD è così diffuso che il 60,5% degli impiegati utilizza almeno uno dei propri device mobili per lavorare.

Nello specifico, il 47,2% di loro usa il proprio smartphone, il 25,1% il proprio tablet e il 7,8% i cosiddetti wearable devices, come gli smartwatch. Il pc portatile personale è utilizzato in BYOD a fini lavorativi dal 4,1% degli impiegati.

Il commento sui dati dell’analisi su BYOD è affidato all’Enterprise mobility & IT service management research analyst di Ovum, Adam Holtby. “I risultati sono il frutto delle risposte di lavoratori, con mansioni differenti, provenienti da una grande varietà di regioni e di aziende, con l’obiettivo di capire meglio le loro abitudini di lavoro, e come i nuovi hardware e applicazioni stiano supportando i loro obiettivi di produttività”.

E ancora: “Come dimostrano i dati, le persone sono decisamente orientate ad affrontare il proprio lavoro utilizzando numerosi device, e non accettano di buon grado limitazioni che non consentano loro di raggiungere questo obiettivo. Si avverte dunque il bisogno di servizi di desk e IT per riconoscere le nuove opportunità che potranno derivare da questi nuovi comportamenti del lavoratori, e come rendere possibile e supportare il modello di spazio di lavoro digitale verso il quale si sta muovendo il mondo del lavoro”.

Mobile Enterprise tra luci e ombre

In una società in cui il lavoro in mobilità si sta diffondendo con sempre maggiore convinzione, è ormai un dato di fatto che, in azienda, il mobile è diventato sempre più non solo un valore strategico ma anche e soprattutto un valore economico.

Le aziende stanno pian piano prendendo consapevolezza di questo e della necessità di adottare sempre più, nel loro modello di business, strategie improntate alla cosiddetta Mobile Enterprise, come confermano i dati elaborati dall’Osservatorio Mobile Enterprise della School of Management del Politecnico di Milano.

Secondo questi dati, infatti, la dotazione di dispositivi mobili a supporto dei dipendenti si tradurrà, nel 2015, in un recupero di produttività pari a circa 10 miliardi di euro, proprio come conseguenza della diffusione della Mobile Enterprise.

Un processo che, nelle imprese italiane, è iniziato già lo scorso anno quando, per dotare i propri dipendenti di soluzioni di Mobile Enterprise, hanno speso circa 2,2 miliardi di euro (+18% rispetto al 2013). Secondo le stime del Politecnico, in questo 2015 il valore degli investimenti arriverà a 2,5 miliardi (+15%).

Investimenti sì, ma quali? Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Mobile Enterprise, la maggior parte degli investimenti che le aziende destinano al potenziamento della Mobile Enterprise va ai dispositivi: il 68% per l’acquisto di tablet, smartphone, notebook e device, il 25% per le applicazioni software, il 7% per le soluzioni di Enterprise Mobility Management.

Il lato meno brillante della situazione è però legato al divario di investimenti e di consapevolezza verso la Mobile Enterprise che c’è tra aziende medio-grandi e Pmi. Secondo quanto rileva l’Osservatorio, poco del 25% delle Pmi italiane assegna per il 2016 una priorità alta agli investimenti in progetti a supporto della Mobile Enterprise, quasi una Pmi su 4 non ha introdotto in azienda alcun dispositivo mobile- dato più preoccupante – e il 60% di loro afferma di non aver interesse all’introduzione di App a supporto del business.

BYOD e Pmi, quali i rischi?

Di BYOD, su Infoiva, abbiamo parlato in abbondanza in questa settimana e nei mesi scorsi. Ai più distratti ricordiamo ancora una volta che BYOD è un acronimo inglese dall’espressione “Bring Your Own Device”, ossia utilizza il tuo dispositivo personale (tipicamente tablet e smartphone) per lavoro, sul posto di lavoro, con la benedizione della tua azienda.

Abbiamo più volte ricordato i vantaggi dell’utilizzo del BYOD per le piccole e medie imprese, ma anche le cautele che è necessario prendere, soprattutto in termini di sicurezza informatica e di protezione dei dati, quando si utilizza un dispositivo di proprietà in azienda.

Ebbene, su questo filone arriva uno studio di Kaspersky Lab, società che produce e commercializza soluzioni di sicurezza per gli endpoint, dal quale emerge che molti piccoli imprenditori sono convinti che il BYOD non rappresenti una minaccia per l’azienda e, di conseguenza, non si dimostrano interessati a investire in soluzioni di sicurezza per i dispositivi mobile.

Dall’indagine è emerso che i due terzi (62%) degli imprenditori e dei dipendenti intervistati, utilizzano dispositivi mobile personali per lavoro. Un dato che evidenzi come il BYOD non sia più un trend in crescita, quanto piuttosto una pratica diffusa e presente nelle aziende di ogni dimensione, da quelle molto grandi (con più di 5000 dipendenti) a quelle piccole (con meno di 25 dipendenti).

Nonostante ciò, proteggere la sicurezza dei dati in ambito BYOD è spesso un aspetto trascurato. Secondo la ricerca Consumer Security Risks 2014 di Kaspersky Lab, il 92% degli intervistati ha dichiarato di archiviare dati aziendali sensibili su smartphone e tablet utilizzati sia per lavoro sia per motivi personali. Sei intervistati su dieci (60%) si sono dimostrati preoccupati delle minacce legate alla privacy e al furto di informazioni attraverso i dispositivi mobile, ma nonostante questo non hanno attivato alcun tipo di protezione perché attribuiscono questa responsabilità all’azienda, nonostante il dispositivo sia il proprio.

Il 32% dei dipendenti e piccoli imprenditori, infatti, non riconosce alcun pericolo per la propria attività nel fatto che i dispositivi mobile personali siano utilizzati per lavoro. I piccoli imprenditori non prestano molta attenzione al fatto che le informazioni presenti sui dispositivi dei dipendenti che utilizzano il BYOD, possano essere rubate e si dimostrano poco preoccupati di questa eventualità. Al contrario, le aziende di grandi dimensioni, dimostrano una maggiore preoccupazione: il 58% teme che l’azienda possa venire danneggiata dal furto o dalla perdita del dispositivo da parte dei dipendenti.

Le piccole imprese ritengono che gli strumenti di sicurezza gratuiti possano essere sufficienti e non vedono alcun valore aggiunto ad investire in soluzioni supplementari a tutela del BYOD. Più dell’80% degli intervistati ha dichiarato di non essere interessato ad avere informazioni sulla gestione della sicurezza delle informazioni dei dispositivi mobili.

E per cercare di modificare la percezione generale, secondo la quale la perdita di un dispositivo mobile utilizzato per il BYOD non può essere causa di danni all’azienda, un’altra ricerca di Kaspersky Lab ha rilevato come, nel 2014, un utente Android su 5 abbia subito una minaccia mobile e come il 53% di questi attacchi siano stati causati da trojan di tipo SMS o bancario.

Mobile economy, numeri da paura

Si chiama mobile economy, è l’economia generata dai dispositivi wireless collegati tra loro e, in Italia, è in decisa rampa. Merito soprattutto dell’enorme quantità di device circolanti nel nostro Paese che costituiscono un terreno fertilissimo per lo sviluppo della mobile economy: alla fine del 2014, infatti, in Italia erano attivi 35 milioni di smartphone (le previsioni per fine 2015 parlano di 40 milioni di pezzi) e 9,5 milioni di tablet (oltre 10 entro fine anno).

Non siamo noi a snocciolare queste cifre, bensì l’Osservatorio Mobile Economy del Politecnico di Milano, che le ha presentate nei giorni scorsi durante il convegno “Mobile Economy: la via per la digitalizzazione del Paese”.

Secondo l’Osservatorio, la mobile economy vale 25,7 miliardi di euro, cifra pari all’1,65% del Pil italiano, e le previsioni di crescita parlano di 37 miliardi (2,3% del Pil) al 2017. E, se i servizi tradizionali di telefonia mobile fanno segnare una frenata a due cifre (-16%), la mobile economy cresce invece a doppia cifra (+23%), spinta dal mobile commerce (+55%) e dagli investimenti effettuati dagli operatori sulle reti 3G e 4G (+39%).

E la mobile economy fa bene anche ad aziende e Pubblica amministrazione che, stando ai dati dell’Osservatorio aumentano i propri fondi destinati allo sviluppo di app a supporto dei processi aziendali (+24%) e dei servizi di marketing e comunicazione mobile (+41%).

Da sottolineare la crescita significativa del cosiddetto mobile commerce (+55%), che da solo costituisce il 10% dei consumi della mobile economy e il 18% dell’intero e-commerce in Italia. Tanto che gli estensori del rapporto dell’Osservatorio commentano: “Nello scenario macro-economico italiano che continua a essere negativo, la mobile economy è uno dei pochi comparti che cresce, generando valore economico e posti di lavoro. Coerentemente con lo scenario internazionale, infatti, anche in Italia, una componente via via più significativa dei consumi di famiglie, imprese e pubblica amministrazione e degli investimenti del settore pubblico e privato viene orientata verso il mondo mobile”.

Oltre alla diffusione dei device mobili e al miglioramento e allo sviluppo di infrastrutture e reti, alla base della crescita della mobile economy in Italia c’è anche un altro importante fattore: la concorrenza tra gli operatori che, nel tempo, ha fatto abbassare le tariffe per accedere ai servizi mobile.

Le tariffe di accesso al Mobile Internet sono oggi alla portata di tutti – commenta infatti l’Osservatorioe l’offerta di App ha superato i 3 milioni di unità dall’apertura degli store. Questo ha portato ad avere in un giorno medio quasi 18 milioni di utenti unici che navigano in Internet dai propri Smartphone e Tablet, contro meno di 13 milioni che navigano dal Pc”.

Wearable device, questi… conosciuti

La tecnologia è e sarà sempre più indossabile, anche in azienda. Lo testimonia una ricerca della società Trend Micro intitolata “Walking into Wearable Threats”, che fa il punto sulla diffusione e sull’utilizzo in azienda dei cosiddetti wearable device, ossia i dispositivi elettronici indossabili come, per esempio, gli smart watch, che dialogano con pc, tablet e smartphone.

Secondo la ricerca, il 79% delle aziende europee rileva una crescita del numero dei loro dipendenti che utilizzano i wearable device al lavoro e il 77% di queste aziende ne incoraggia l’uso. Il rovescio della medaglia è dato dalle possibili minacce alla sicurezza dei dati che i wearable device porterebbero con sé. Una minaccia reale, secondo il 95% dei decision maker che ha partecipato alla ricerca di Trend Micro.

La ricerca rileva anche che il 19% delle aziende europee sta implementando in maniera deciso l’utilizzo dei wearable device al proprio interno, con un altro 34% che, pur non avendo ancora cominciato, si dice comunque interessato a provare. A testimonianza che il 2015 potrebbe essere davvero l’anno della consacrazione dei wearable device.

Venendo alla situazione delle aziende italiane, che è quella che più ci interessa, dalla ricerca Trend Micro emerge che il 71% di esser è interessato a sostenere al proprio interno l’uso dei wearable device, in particolare degli smart watch, e il 27% di esse crede di avere già almeno 50-100 dipendenti che li utilizzano. Sono pari al 62% del campione le aziende italiane che si aspetta un incremento importante nell’uso dei wearable device entro l’anno. Purché si investa parallelamente in sicurezza: ben il 92% delle aziende italiane coinvolte nella ricerca crede infatti che sia da sostenere con decisione l’introduzione di adeguate policy di sicurezza indirizzate ai wearable device.

Italiani popolo hi-tech

Qualche dubbio già ce l’avevamo: gli italiani sono sempre più propensi ad utilizzare dispositivi digitali o, più generalmente, hi-tech.
E, a guardare cosa accade nelle strade delle nostre città, dove la maggior parte dei passanti ha in mano, o in tasca, o in borsa, smartphone e tablet, non si stenta a crederci.

Ora è stato presentato anche uno studio che attesta questa tendenza.
L’indagine, Accenture Digital Consumer Tech Survey 2014, ha coinvolto 23.000 persone in 23 Paesi, Italia inclusa.

Concentrando l’attenzione sul consumatore italiano, emerge un profilo attirato dai dispositivi digitali, anche più di uno a seconda dell’uso.
Qualche esempio? In media, gli italiani possiedono, oltre all’immancabile smartphone, almeno un televisore, una console per giochi e un GPS in auto.

La percentuale maggiore, il 77%, riguarda proprio lo smartphone, mentre il 58% possiede un televisore ad alta definizione. Si tratta, in entrambi i casi, di percentuali maggiori rispetto alla media mondiale, del 5 e del 6%.
Il 47% dichiara di possedere una game console che consente l’accesso ad Internet (e il 57% di loro la usa appunto per connettersi) ed il 45% di avere a bordo della propria auto un dispositivo GPS.

Il tablet sta diventando sempre più diffuso, tanto che è il 39% della popolazione a possederne uno e un ulteriore 14% ha intenzione di acquistarne uno a breve.
Il pubblico maggiormente interessato in questo caso è quello più giovane, appartenente, per il 46% dei casi, alla fascia di età 14-34 anni. La percentuale scende a 41% per i 34-54enni e al 13% gli over 55.

Il 31% possiede un dispositivo di gioco portatile e il 19% ha un lettore eBook.
Fanalino di coda (12%) si attestano i dispositivi di intrattenimento a bordo delle automobili.

Uno dei dati che certamente colpisce di più è che i consumatori italiani, per il 60% dei casi, usa più dispositivi contemporaneamente, contro il 49% della media globale ed ovviamente questa tendenza appartiene di più ai giovani.
Secondo Massimo Morielli, Responsabile Media & Entertainment di Accenture, “Every consumer is a digital consumer. Ogni persona è oggi naturalmente un consumatore digitale e questo è particolarmente vero per gli italiani: il nostro mercato mostra infatti un forte interesse nei confronti delle tecnologie più innovative e dei servizi di intrattenimento digitali. La tempestività con cui le aziende del settore media rendono disponibili contenuti e servizi di qualità sui vari device è sempre più un fattore critico di successo”.

Inoltre gli italiani sembrano essere più tech savvy rispetto alla media mondiale: il 43% si considera “innovatore” o early adopter, con una spiccata propensione a provare prodotti e servizi di ultima generazione, contro solo il 34% degli intervistati a livello globale.
Fra gli innovatori le differenze di genere sono sempre meno evidenti: si percepiscono tali il 56% degli uomini ed il 44% delle donne.
Una correlazione più diretta si può stabilire fra la propensione all’adozione di nuovi dispositivi tecnologici e il reddito disponibile: il 30% degli innovatori si colloca nella fascia di reddito più elevata (più di 35.000€ all’anno).
La stessa correlazione si ritrova nella fascia di età dei più giovani (14-34 anni).

Circa le motivazioni alla base dell’utilizzo di servizi e device digitali: il 90% ritiene che diano la possibilità di fare le cose più velocemente, il 87% che rendano la vita più piacevole, il 83% che contribuiscano a mantenere i contatti con il proprio giro di amici e parenti, il 72% che offrano nuove opportunità per esprimere la propria creatività, mentre è relativamente bassa la percentuale di coloro che percepiscono un rischio per la privacy, il 56%.
Per quanto riguarda le motivazioni, non ci sono differenze sostanziali a seconda delle diverse fasce di età.

Accordo Poste Italiane-Confesercenti per favorire l’e-commerce

E’ stato siglato, a Firenze, un accordo tra Poste italiane e Confesercenti, che permette agli associati di poter usufruire, a condizioni agevolate, di soluzioni innovative, e-commerce in primis.

A presentare l’avvenuta intesa è stata Tiziana Morandi, responsabile AreaCentro1: “In Provincia di Firenze puntiamo sulla rete degli uffici Poste Impresa esclusivamente dedicata ai servizi per le piccole e medie imprese, ben otto nella nostra provincia, che rappresentano un punto di riferimento per le aziende del territorio. Con il valore aggiunto del presidio fisico degli uffici postali, dei servizi di telefonia mobile e dell’utilizzo integrato degli asset di pagamento on line, riusciamo ad offrire soluzioni modulari vantaggiose rispondenti alle esigenze del mercato ed adatte ad ogni tipologia di azienda”.

A queste parole hanno fatto seguito quelle di Nico Gronchi, presidente provinciale Confesercenti: “L’accordo con Poste Italiane consente alla nostra associazione di svolgere pienamente il proprio compito: offrire cioè ai nostri associati condizioni particolarmente vantaggiose per sviluppare un settore, quello dell’innovazione ed in particolar modo quello dell’e-commerce, oggi davvero strategico per tenere il passo coi tempi che corrono e che impongono un adeguamento veloce alle nuove tecnologie”.

L’offerta di Poste e-Commerce è aperta a tutte le pmi della provincia di Firenze, che possono attraverso questa iniziativa aprire un sito di commercio elettronico, semplicemente contattando i quattro Uffici PosteImpresa di Firenze e gli Uffici PosteImpresa di Empoli, Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino e Scandicci. Le imprese possono anche rivolgersi ai i Referenti Supporti Imprese, contattabili anche tramite i normali uffici postali.

Le piccole e medie imprese che aderiscono possono gestire i propri affari interagendo con un unico interlocutore e un set completo di servizi. Il venditore, infatti, si avvale di una sola interfaccia, tecnica e commerciale, per gestire il suo shop virtuale, la piattaforma per i pagamenti on line, la logistica di magazzino e la spedizione in Italia e all’estero.

Il call center di Poste Italiane è a disposizione anche dei clienti finali, che possono, tramite questa via, ricevere assistenza durante i propri acquisti. La sicurezza è garantita non solo da Poste italiane ma anche dai protocolli Visa e Mastercard. Con Poste e-Commerce si può accedere a servizi evoluti di pagamento come il Virtual POS BancoPosta e usufruire così del Conto Corrente InProprioPOS e di tutti i suoi vantaggi. E’ quindi possibile verificare gli incassi, gestire storni e autorizzazioni e accedere ad un sistema di reportistica completo.

Completa l’offerta la possibilità di utilizzare smartphone e tablet, nonché creare campagne marketing con sconti e promozioni, come nei negozi veri e propri.

Vera MORETTI

Olipad Graphos, il tablet per aziende

Olivetti ha presentato il suo nuovo tablet, l’Olipad Graphos completo di tutto, anche della possibilità di compilare documenti che richiedono una firma autografa, senza più il bisogno di utilizzare fogli e perdere tempo in noiose attese burocratiche.

Ciò è possibile con qualsiasi tipo di documento, grazie ad una speciale penna che non necessita di alimentazione, e che permette di acquisire sia l’immagine della firma che i suoi parametri grafometrici (pressione, ritmo, movimento, velocità, accelerazione) specifici di ogni utilizzatore.

E’ sicuramente un prodotto studiato per le aziende, non solo per questa innovativa possibilità, ma anche per la facilità e la velocità di utilizzo, sia che si adoperi la penna in dotazione, sia che si ricorra alla tastiera virtuale.

Utilizzando Olipad Graphos si è sempre connessi, dovunque ci si trovi, grazie al supporto Bluetooth, alla connessione 3G integrata con servizi voce e SMS e, in casa o in ufficio, alla connessione Wi-Fi b/g/n.
La porta USB 2.0 permette di collegare dispositivi esterni, in primis chiavette USB senza alcun adattatore speciale. Inoltre è dotata di una slot per schede di memoria microSD che conferisce maggiore flessibilità e capacità di archiviazione.

Per tutte queste qualità, Olipad Graphos si candida quale strumento indispensabile per chi visita abitualmente clienti e, presso la loro sede, deve predisporre un documento interfacciandosi in tempo reale con i propri sistemi informativi aziendali, raccogliere rapidamente dati e annotazioni, anche in un ambiente fortemente operativo, ed acquisire sul documento una o più firme autografe.

La sicurezza è garantita da un lettore di impronte digitali che garantisce l’accesso sicuro e controllato al dispositivo da parte del legittimo proprietario. Il lettore, inoltre, può essere utilizzato dagli applicativi per acquisire e confrontare le impronte digitali dei clienti, abilitando così l’implementazione di sistemi molto sofisticati di garanzia dell’identità e minimizzare il rischio di frodi.

Tra le “chicche” di Olipad Graphos c’è la possibilità di firmare con uno stilo a punta rigida e sottile, che riproduce quasi fedelmente l’abituale firma su foglio di carta.

Inutile dire che il tablet supporta perfettamente la visualizzazione di contenuti multimediali, come video ed immagini, utili per introdurre e presentare soluzioni tecnico-commerciali e/o scientifiche.
Grazie all’uscita HDMI, i contenuti possono essere agevolmente riprodotti su di un monitor esterno, proiettore o comune televisore, rendendo ancora più efficace la presentazione.

Olipad Graphos è dotato di una camera da 5 Megapixel con la quale si possono acquisire foto, registrare video e, specificamente, acquisire immagini di allegati da associare ad un documento che deve essere sottoscritto.

Infine, il sistema operativo supportato è Android 4.0 (Ice Cream Sandwich), il più recente Sistema Operativo sviluppato da Google specificamente per i tablet PC. Grazie a questo e al processore nVIDIA Tegra da 1 Ghz, Olipad Graphos è uno dei tablet Touch Screen più tecnologicamente avanzati disponibili sul mercato.

Vera MORETTI

Il bello della Cloud Economy

Quali sono i vantaggi della Cloud Economy?

La School of Management del Politecnico di Milano ha pubblicato a proposito il rapporto “Cloud economy, ultima chiamata”, nel quale fotografa i possibili sviluppi sul mercato di un settore che, solo in Italia, vale 443 milioni di euro, inglobando il 2,5% di investimenti in IT e con tassi di crescita annua del 25%.

Il vantaggio maggiore del cloud computing è sicuramente la possibilità, da parte delle aziende, di utilizzare server remoti accessibili anche da smartphone e tablet, con tutta una serie di vantaggi ulteriori, ovvero scalabilità dei servizi che permette di pagare solo ciò di cui si usufruisce; riduzione degli investimenti a parità di offerta; maggiore adattabilità rispetto alle richieste dei clienti; sicurezza affidabilità e costante aggiornamento dei sistemi.
Una delle novità riguarda il cloud ibrido, che permette alle aziende di distinguere cosa gestire in proprio e cosa affidare al fornitore: grazie a questa flessibilità promette di soddisfare le esigenze anche di microimprese e pmi, abbinando a data center interno i vantaggi dalla Nuvola pubblica.

Un esempio di ciò è rappresentato da CloudItalia, azienda da poco acquisita da Eutelia e con data center a Roma e Arezzo, in grado di sfruttare 14 mila kilometri di fibra ottica su tutto il territorio italiano, così da garantire spostamento e salvataggio di dati e programmi alla velocità di 40 GB al secondo.

Ma non è tutto oro quello che luccica, perché lo studio Osterman Research “The cloud advantage: increased security and lower costs for SMB” realizzato per Trendmicro, dimostra che alla diffusione del cloud corrisponde un aumento delle violazioni attraverso Internet (+35% rispetto al 2007) e posta elettronica (+12%) e dispositivi mobili (sul 4,3% dei terminali secondo una media mensile) dei quali il 52,1% nel corso dell’anno.

Da questa indagine traspare anche come sia Android il sistema operativo più in crescita presso le piccole e medie imprese (+7,1% rispetto al 2011) seguito da iOS su iPhone (+3,1%) e iPad (+1,9%).

Vera MORETTI