Le pmi agroalimentari nel mirino degli acquirenti esteri

Finora, le aziende italiane oggetto di acquisizione da parte di gruppi esteri erano avvenute nei comparti maggiormente significativi per il Made in Italy, primo fra tutti la moda.

Ma ora le attenzioni da parte degli stranieri sembrano rivolgersi anche al settore dell’agroalimentare, e non solo per le imprese di medio-grande dimensione, ma anche, e soprattutto, per le pmi legate a prodotti di eccellenza.

Motivo di questa inversione di tendenza è la notorietà che il cibo italiano ha raggiunto ne mercati emergenti come Cina, Russia e Arabia.
Ma questo trend non è propriamente una buona notizia, poiché chi intraprende un’acquisizione fuori dai confini nazionali lo fa anche per sfruttare economie di scala che solo una dimensione d’azienda significativa riesce a generare.
Altro motivo riguarda la gestione delle aziende di questa natura, che non sempre è compatibile con le dinamiche finanziarie dei fondi. Infatti la peculiarità del territorio, e i metodi di produzione risultano quasi sempre il fattore vincente. Replicare modelli gestionali e produttivi sulle regole del capitale, non è pensabile in questo tipologie di imprese dove a fare la differenza sono altre cose, come i fattori individuali della passione e della competenza, che il produttore riversa nell’attività di impresa e che costituisce quasi sempre il fattore di eccellenza che attrae potenziali investitori.

Nell’agroalimentare, il successo di un’impresa legata in modo molto stretto alle capacità gestionali e alla presenza fisica dell’imprenditore, rischia di affievolirsi notevolmente se a costui si sostituisce un soggetto che non ne padroneggia anche i contenuti intangibili.

La crisi economica ha reso vulnerabili gli imprenditori italiani, per questo alla ricerca sempre più frequente di capitali esteri.
Ovviamente, a pagarne le peggiori spese sono state proprio le pmi, prive delle risorse necessarie ad intraprendere efficaci politiche di espansione internazionale che possano risultare particolarmente colpite da una contrazione della domanda interna che mette a dura prova la tenuta dell’intero comparto.

Il rischio principale è snaturare il profilo tradizionale di un settore nel quale, spesso, i volumi di produzione sono legati a caratteristiche della terra e dei territori e non possono soddisfare la domanda di mercati giganteschi stravolgendo una scala basata su uno sviluppo sostenibile.

L’apertura indiscriminata a investitori esteri può essere un rischio per il sistema Paese, e la vulnerabilità alla crisi rischia di consegnare aziende con un importante patrimonio di competenze a investitori internazionali che non sempre possiedono la capacità (fatte salve le risorse finanziarie) per valorizzarle. In altri casi, ancora peggiori, esiste il rischio che capitali di provenienza illecita, possano trovare facile impiego e inquinare un settore che continua a rappresentare un biglietto da visita dell’Italia all’estero.

Vera MORETTI

La crisi fa bene al mercato delle auto usate

La crisi del mercato dell’auto non accenna a calare, soprattutto per quanto riguarda le nuove immatricolazioni.

Il Centro Studi Promotor, infatti, ha confermato che, dal 2007 ad oggi, il numero di vetture nuove acquistate nel Belpaese è sceso del 47,7%.

La buona notizia arriva dal mercato dell’usato e del Km0, che, nonostante abbia dovuto fare i conto con una diminuzione delle richieste, ha saputo reggere la crisi con una perdita “solo” del 19%, ma che ora sta risalendo la china in maniera probabilmente definitiva.

La conferma di questo andamento arriva anche dal Centro Studi Continental di Reggio Emilia, secondo il quale il rapporto tra le vendite di auto usate e Km 0 e di veicoli nuovi è quasi del 2 a 1: 184 vetture usate vendute per ogni 100 automobili nuove.

Si tratta sicuramente di un dato sorprendente, che riguarda in particolare le regioni del Sud e delle isole, dove tradizionalmente i redditi sono più bassi rispetto a quelli delle regioni del Nord.
A rafforzare questa tesi, arrivano i dati del Molise, dove sono state vendute ben 462 auto usate per ogni cento vetture nuove.
A seguire, invece, compaiono la Campania, con 428 vetture usate vendute per ogni 100 nuove, la Puglia con 414, la Sicilia con 396, la Basilicata con 373, la Calabria con 352 e la Sardegna con 335.

A conferma di quanto appena sostenuto c’è anche il dato relativo alla Valle D’Aosta, una delle regioni più ricche d’Italia, dove c’è un rapporto di appena 114 auto usate per ogni 100 nuove.

Ma questa situazione ha anche un rovescio della medaglia, che riguarda l’eccesso di domanda. Il fermento che sta caratterizzando il mercato dell’usato non era previsto, o comunque non così tanto, ed ora diventa sempre più difficile accontentare le richieste, spesso relative ai veicoli di successo con chilometraggio compreso tra i 30.000 ed i 70.000 km.

Secondo il Centro Studi Promotor, negli ultimi anni si è assistito ad un generoso aumento delle quotazioni di mercato delle auto usate dotate di alimentazione a gas; infatti, secondo il 54% dei concessionari intervistati, al giorno d’oggi un’auto a metano o a gpl ha un valore di mercato superiore rispetto al corrispondente modello dotato di alimentazione a benzina o a gasolio, mentre il 23% dei rivenditori attribuisce alle auto a gas lo stesso valore di mercato dei medesimi modelli a gasolio e una quotazione leggermente più alta di quelli a benzina. In ultimo, solo il restante 23% dei salonisti ritiene che le auto alimentate a gas abbiano un valore di mercato inferiore rispetto a quelle a gasolio o a benzina.

Vera MORETTI

L’export Made in Italy parte anche dal Nord Est

Il Made in Italy è così apprezzato all’estero anche grazie alle imprese del Nord Est, capaci di cogliere tutte le occasioni buone per farsi conoscere dai mercati emergenti, quelli che in questi anni hanno contribuito a tenere alte le cifre dell’export dei prodotti italiani.

Per il solo 2013, è stato fatturata la cifra record di 70 miliardi di euro, dato confermato dal
report REthink presentato da Sace, un resoconto contenente le previsioni sui trend dell’export italiano per il 2014-2017.

Tra i settori trainanti che riguardano l’esportazione del Made in Italy dal Triveneto ci sono quelli delle tecnologie industriali e dei beni di consumo, seguiti dalla filiera agroalimentare, dal ramo dei gioielli e dei mobili, oltre, ovviamente, al settore moda.

Per quanto riguarda le stime per il futuro prossimo, Sace ha stilato una classifica dei comparti per i quali si prevede una crescita maggiore: al primo posto l’agroalimentare, seguito dalla meccanica strumentale, il tessile e l’abbigliamento.

A offrire le migliori opportunità sono non solo i Brics, ma anche alcune destinazioni come l’Arabia Saudita, Angola, Cile, Filippine e Thailandia.

Vera MORETTI

Partite Iva e Fisco, si paga il 7 luglio

E’ finalmente ufficiale lo slittamento del versamento delle imposte per i titolari di partita Iva: sarà possibile pagare il modello Unico 2014 fino al prossimo 7 luglio. Secondo il calendario elaborato dalle istituzioni del Fisco, il 16 giugno sarebbe dovuto ricorrere il termine per il pagamento dell’acconto riguardo Unico 2014, il modello richiesto a tutti i titolari di partita Iva, dunque con regime contributivo diverso dai dipendenti o pensionati, i quali sono tenuti a consegnare al sostituto d’imposta il Modello 730. Nessun rischio, quindi, per chi non abbia effettuato gli adempimenti entro la prima scadenza: il pagamento di Unico slitta infatti senza ulteriori maggiorazioni o interessi di mora. Ecco, dunque, il nuovo calendario di Unico: Il 7 luglio prossimo sarà il termine ultimo per il pagamento senza more a saldo di Unico 2013 e primo contributo per Unico 2014 per chi è sottoposto a studi di settore, incluso chi versa imposta forfettaria del 5%. Il 16 luglio sarà la scadenza conclusiva per i contribuenti che devono presentare il modello senza essere sottoposti a studi di settore. Di seguito un breve promemoria:

7 luglio 2014. Termine ultimo per il pagamento senza more a saldo di Unico 2013 e primo contributo per Unico 2014 per chi è sottoposto a studi di settore, incluso chi versa imposta fortait del 5%.

16 luglio 2014. Scadenza conclusiva per i contribuenti che devono presentare il modello senza essere sottoposti a studi di settore. Versamento relativo al saldo 2013 e alla prima rata 2014, con maggiorazione dello 0,40%.

30 luglio 2014. Chi non riesca a rispettare la data del 16 luglio, potrà procedere al reintegro della propria posizione potranno versare il dovuto con maggiorazione dello 0,40% più lo 0,25 per ogni giorni in più.

20 agosto 2014. Scadenza per i contribuenti sottoposti a studi di settore, che potranno procedere al saldo 2013 e alla prima rata 2014 con la maggiorazione dello 0,40% in caso non abbiano rispettato la data del 7 luglio.

Jacopo MARCHESANO

La nuova tassazione delle rendite finanziarie – L’affrancamento

Dall’Enciclopedia Treccani: affrancamento In botanica, l’emissione di radici dalla parte basale del nesto, che si ha quando una pianta innestata al colletto (vite ecc.) resta troppo interrata; il nesto tende così a vivere indipendentemente dal soggetto e la pianta si dice allora affrancata.

Ora, non chiedetemi perché si è deciso di chiamarlo “affrancamento”, ma si chiama così la procedura che sarà possibile fare entro il 30 settembre per chi è in regime di risparmio amministrato: consente di evitare al contribuente la penalizzazione derivante dall’introduzione di nuove norme fiscali meno favorevoli, in particolare nella fase di transizione fra due regimi.

Come già saprete, dal 1 Luglio, la tassazione sui guadagni aumenterà dal 20% al 26%, su:

conti correnti e conti postali;

azioni;

obbligazioni;

conti deposito;

fondi di investimento.

Saranno invece esclusi:

titoli di Stato (Bot e Btp), che manterranno l’aliquota del 12,5%;

fondi pensione (11%)

I risparmiatori in regime di risparmio amministrato o dichiarativo, probabilmente si chiedono che fare sulle posizioni detenute in azioni, obbligazioni, fondi o Etf, per ottimizzare la posizione fiscale.

Con l’affrancamento è possibile assoggettare alla vecchia aliquota (il 20%) tutte le plusvalenze maturate fino al 30 giugno e poi vedersi applicata la nuova aliquota (il 26%) dal 1° luglio in poi. E per fare questa operazione, c’è tempo fino al 30 settembre. Quindi non bisogna correre ma è comunque necessario sbrigarsi a capire e decidere.

Quali sono le controindicazioni dell’affrancamento?

Le alternative sono: non fare nulla o vendere entro il 30 giugno.

Rispetto all’affrancamento, queste scelte possono essere fatte anche solo parzialmente, ad esempio vendere solo i titoli in utile.

L’affrancamento, invece, vale per tutta la posizione del deposito titoli, quindi utili ma anche perdite. Si ottiene una “cessione figurativa”, cioè è come se si vendessero tutti i titoli al 30 giugno, pagando il 20% di imposta in via anticipata, perché i titoli non sono realmente venduti.

Quale rischio si corre è evidente: se le perdite sono maggiori degli utili, si ottiene un danno e non un vantaggio, e badate che i prezzi calcolati saranno quelli medi di carico.

Un esempio per chiarire: le plusvalenze nette (plusvalenze meno minusvalenze) sono pari a 5.000 euro? Pagate 1.000 euro di imposta al 30 giugno. Se, dopo, i prezzi dei titoli scendono e addirittura diventano inferiori ai prezzi medi di carico, e voi vendete il titolo, alla perdite di valore dovrete sommare il 20% già pagato e che lo Stato non vi restituirà (chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato…vi ricorda qualcosa?). Se salgono oltre il prezzo medio, quando vendete il titolo pagherete il 26% solo sulla differenza (prezzo di vendita- prezzo medio)

Se invece non ci si avvale dell’affrancamento, il rischio è che si paghi una tassa retroattiva sui guadagni (il 26% si paga anche se l’utile che è maturato precedentemente), non essendo previsti meccanismi correttivi, ad esempio, dell’inflazione. Morale, la tassa potrebbe annullare l’utile realizzato.

Come vedete, si tratta di un paradosso, non se ne esce.

E’ necessario fare calcoli precisi, ma non è possibile sapere il prezzo futuro dei titoli, in qualità di consulente e analista indipendente posso solo fare delle previsioni.

Se decidete di procedere con l’affrancamento dovete rivolgervi alla vostra banca o intermediario dove avete depositato il dossier titoli. Le banche stanno predisponendo la documentazione e le procedure per aderire, entro il 30 settembre. Forse però sarebbe meglio, prima, aver consultato un consulente realmente indipendente, che sia in grado di darvi la soluzione ad hoc.

Dott. Marco Degiorgis – Life Planner / Consulente indipendente per la gestione dei patrimoni familiari, Studio Degiorgis

Imaginarium, il franchising dei bambini

Una delle catene più conosciute al mondo specializzate nel settore dell’infanzia e delle famiglie è senz’altro Imaginarium, brand spagnolo che, ormai, è conosciutissimo anche in Italia.
Su territorio nazionale, infatti, è presente con 19 punti vendita diretti e 14 in franchising.

Per diventare franchisee Imaginarium, è necessario disporre di un negozio che abbia almeno 120 mq di superficie, e che si trovi possibilmente in zone e strade centrali, altrimenti in centri commerciali.

L’investimento iniziale richiesto è sicuramente oneroso, poiché si tratta di 110.000 euro, oltre ad un diritto di entrata di 10.000 e un canone periodico pari al 2% del fatturato.

Non viene richiesta alcuna esperienza precedente, poiché ai nuovi affiliati viene fornita una formazione iniziale di 10 giorni.

Per ricevere ulteriori informazioni, è possibile collegarsi al sito Imaginarium.

Partite le selezioni per H – Camp Fall 2014

E’ iniziata la selezione dei progetti che hanno deciso di partecipare alla quarta edizione di H – Camp Fall 2014, programma di accelerazione per startup nato in H – Farm, l‘incubatore di startup fondato nel 2005 a Roncade, in provincia di Treviso, da Roberto Donadon.

Obiettivo principale di questa iniziativa è quello di accompagnare giovani imprenditori in possesso di un’idea geniale ed innovativa, attraverso il percorso che possa permettere loro di sviluppare il proprio progetto.

H – Camp cerca 10 team con un’idea imprenditoriale focalizzata sul tema delle Eccellenze nel Made in Italy: fashion, design, food & wine, tourism, home automation & wellness, ma per questa edizione la partecipazione è stata estesa anche a progetti che fanno parte di altri ambiti.
Unico requisito è che siano basati sullo sfruttamento dei vantaggi delle tecnologie digitali.

Il programma H – Camp Fall inizierà a settembre e avrà una durata di 3 mesi, durante i quali i 10 team avranno diritto ad attività di mentoring e networking, vitto e alloggio, spazi di lavoro.
E’ possibile ottenere un primo investimento fino a 15.000 euro cash. Per candidarsi c’è tempo fino al 15 luglio 2014.

Vera MORETTI

Automotive in crescita in Campania

Il 2013 per la regione Campania è stato contraddistinto da un calo del pil ma anche da un brusco rallentamento degli investimenti e dei consumi delle famiglie.

Ciò è emerso dal rapporto della Banca d’Italia sull’economia della regione presentato a Napoli, che ha mostrato come gli investimenti siano scesi l’anno scorso del 5,6% rispetto al 2012, toccando quota 12 miliardi e 290 milioni; se si guarda al periodo 2007-2013 il calo degli investimenti arriva al -44,7%.
Calano anche i consumi delle famiglie che si attestano a 55 miliardi di euro scendendo del 3,1% rispetto al 2012 e toccando il -14,2% dal 2007.

Dati positivi arrivano dall’export, soprattutto dal settore automotive, che è salito, nel 2013, del 4,9% e, nel primo trimestre 2014, del 50,7%.
Si tratta di una ripresa che, però, viene livellata dal crollo dell’80,2% registrato nel periodo compreso tra il 2007 e il 2013,

Giovani Iuzzolino, analista della Banca d’Italia, ha dichiarato: “C’e’ un ripresa del settore che però era stato praticamente azzerato negli anni precedenti della crisi, e quindi si riparte da livelli molto bassi”.
Migliora anche il settore degli aeromobili, con l’export della Campania che e’ salito del 21,11% nel 2013, anche se in avvio del 2014 c’e’ un lieve calo del 2,9%.

Dati positivi arrivano anche dal settore moda, che nel 2013 ha rilevato un aumento del 7,1%, con una tendenza nel primo trimestre del 2014 che registra un +3,5%.
Bene anche il settore agroalimentare, che ha registrato un confortante +4,8%.

A questo proposito, ha aggiunto Iuzzolino: “Nel complesso l’agricoltura cala fortemente in volume di produzione nel 2013 con un -5,1%, un dato che penalizza la Campania rispetto ad altre zone d’Italia come il nordest che segnala una crescita del 4,7%. Vanno meglio le imprese che vendono all’estero, visto che l’export della filiera agroalimentare cresce, raggiungendo il 28% di tutto l’export regionale, mentre la domanda interna cala”.

Vera MORETTI

Da Casa.it un’indagine sul mercato immobiliare nel 2014

Si è concluso ieri EIRE, la rassegna dedicata alla community del Real Estate che si è svolta a Milano dal 24 al 26 giugno negli spazi di Fieramilanocity.
Durante l’evento, Casa.it ha presentato la nuova edizione del suo Osservatorio Immobiliare aggiornata al primo semestre 2014.

I dati emersi da questo dettagliato studio si muovono in due direzioni: da una parte sono stati esaminati i dati sulla domanda e l’offerta e, dall’altra, le sensazioni dominanti di chi vorrebbe, nel prossimo futuro, vendere o acquistare casa.

Per quanto riguarda quest’ultimo punto, l’indagine ha evidenziato che ben l’80% degli italiani ritiene che nei primi 6 mesi dell’anno il valore degli immobili nella zona in cui risiede sia diminuito.

Emerge, inoltre, che per il 54% degli utenti questo è un momento favorevole per l’acquisto di un immobile, poiché si pensa che, anche per i prossimi 6 mesi, i prezzi continueranno a scendere e quindi che le contrattazioni saranno ancora possibili.
Se però si guarda alla propensione alla vendita, il 71.6% del campione non intende mettere in vendita il proprio immobile nel timore di svenderlo.

Gli intervistati da Casa.it si sono mostrati ottimisti circa un possibile sblocco del mercato immobiliare residenziale e questo grazie ad un incremento sia delle richieste di mutui da gennaio 2014 sia delle domande di case.
E in aumento sono anche le abitazioni messe sul mercato.

Le sensazioni degli italiani sono confermate dall’Osservatorio Immobiliare, secondo cui i prezzi rappresentativi degli immobili in vendita sono diminuiti del 5,2% rispetto a giugno 2013.

Per quanto riguarda le tipologie di abitazioni, il mercato immobiliare dispone di molte disponibilità di tagli ampi, con 4, 5 o più locali che, insieme, pesano per una quota che va dal 53,4% del Sud e Isole al 59,3% del Centro Italia.
Ma non mancano offerte relative a bilocali e trilocali, specialmente nelle regioni del Sud e nelle Isole dove costituiscono il 43,4% degli immobili in vendita.

Nel Centro e Nord Italia, le stesse tipologie occupano rispettivamente una quota del 37,8% e 34%.
I monolocali, invece, assorbono quote residuali, fatta eccezione per il Nord Italia (11%).

Chi vuole acquistare casa nelle regioni del Nord cerca in primo luogo trilocali (33%) e bilocali (22%), ma sono ben rappresentati sia i quattro locali (18%) che i monolocali (17%). Al Centro e Sud Italia la domanda è ripartita in modo omogeneo su tutte le tipologie, con una lieve prevalenza delle grandi superfici (5 locali e più), seguite da trilocali, quadrilocali, e bilocali.

Vediamo nel dettaglio la situazione delle quattro principali città italiane.
A Torino, il primo semestre del 2014 ha segnato la discesa dei prezzi delle abitazioni che fa segnare un brusco calo del -5,3%, mentre cresce, anche se solo di decimi di punto (0,5%), il prezzo che i potenziali acquirenti sono disposti a investire.
In media, un appartamento costa 2.300 al metro quadro, con una differenza del 9%.

A Torino, oltre il 50% dell’offerta riguarda bilocali e trilocali, mentre i monolocali sono appena il 7% del totale. Nel primo semestre 2014, inoltre, è cresciuta l’offerta di appartamenti di grandi dimensioni (dai 4 a 5 o più locali), che oggi rappresentano insieme oltre il 41% dell’offerta. La domanda di abitazioni, invece, si concentra per oltre il 60% dei casi sui bilocali e sui trilocali.
Le grandi metrature attirano solo il 30% del totale della domanda, mentre i monolocali sono richiesti dal 7% dei potenziali acquirenti.

A Milano, alla fine del primo semestre 2014 la discesa dei prezzi degli immobili in vendita a Milano ha fatto segnare un calo medio del -4,3%.
Dal lato della domanda, i valori stazionano sempre intorno ai 3.400 euro al mq. e il punto di incontro ideale per concludere l’acquisto è fissato lievemente al di sopra dei 3.500 euro al metro quadro.
A Milano oltre il 60% dell’offerta riguarda bilocali e trilocali, mentre i monolocali sono solo il 6% del totale. Nel primo semestre 2014 è cresciuta l’offerta di appartamenti di grandi dimensioni, dai 4 a 5 più locali, che oggi rappresentano insieme oltre il 30% dell’offerta.

Nelle zone centrali della città prevale l’offerta di appartamenti con taglio superiore ai 120 metri quadri, mentre in semicentro ed in periferia l’offerta di bilocali e monolocali è superiore a quella dei quadrilocali.

La domanda di abitazioni si concentra per oltre il 70% dei casi su bilocali e trilocali. Le grandi metrature interessano solo il 14% del totale della domanda, mentre i monolocali vengono cercati dal 9% dei potenziali acquirenti.

Dopo i cali superiori al 6% registrati a fine 2013, a Roma nei primi sei mesi dell’anno i prezzi offerti sul mercato immobiliare sono rimasti pressoché stabili (-1,8%).
Il valore medio resta fra i più alti di’Italia con quasi 4.000 euro al metro quadro.
Risulta in flessione (-2,1%) il prezzo che indica la disponibilità d’investimento da parte degli acquirenti e che si colloca vicino ai 3.600 euro al metro quadro. La forbice fra il prezzo offerto e quello domandato, tuttavia, rimane vicina all’8%, indicando che la strada per trovare un punto di equilibrio fra domanda e offerta è ancora lunga.

A Roma il 50% dell’offerta riguarda appartamenti da due o tre locali. Nel primo semestre 2014 è cresciuta la disponibilità di appartamenti nei tagli più abbondanti (quadrivani, pentavani o più), che oggi rappresentano insieme il 47% dell’offerta.

La domanda di abitazioni si concentra per oltre il 50% dei casi sui bilocali e trilocali. Non sono da meno le grandi metrature, che attirano il 40% del totale della domanda rispetto ai dati ricavati dall’offerta, si denota un buon equilibrio sia per i bilocali che per i trilocali.

Anche sulle grandi metrature, i quadrilocali in particolare, le percentuali tra venditori e acquirenti coincidono in linea generale. Il fatto che ci siano corrispondenze fra domanda e offerta in termini di distribuzione delle stesse non significa però che il mercato sia in equilibrio. Infatti spesso l’offerta non combacia con la domanda, oltre che nel prezzo, anche per la localizzazione.

A Napoli, infine, il primo semestre 2014 non ha modificato la tendenza del mercato, caratterizzata da un processo di repricing dell’offerta che vede i valori calare in media del 4,4%.

Purtroppo, anche la domanda non dà segnali di ripresa, anzi, segna un nuovo calo in termini di costo al mq. disposta a spendere (-4,6%). Lo scarto percentuale fra i due valori rimane intorno al 10% e non si prevedono gradi modifiche sui sei mesi restanti.
Il 50% dell’offerta nel capoluogo campano riguarda gli appartamenti di grandi dimensioni, ovverosia oltre i 120 metri quadri. Bilocali e trilocali, con il loro 45% complessivo, si spartiscono l’altra fetta dell’offerta. Nel primo semestre 2014 è cresciuta soprattutto l’offerta di appartamenti di grandi dimensioni che oggi, da soli, rappresentano il 30% dell’offerta sul mercato.

A Napoli la domanda di abitazioni si divide piuttosto equamente fra chi cerca i trilocali (30%) e gli appartamenti di grandi dimensioni (45%). Per quanto riguarda la ricerca di abitazioni dalle dimensioni ridotte (non superiori ai 50 mq.), questa concerne il 9% del totale dei potenziali acquirenti. Nei primi sei mesi del 2014 la domanda è tornata a crescere soprattutto nelle zone di migliore qualità abitativa della città a ridosso della costa.

Vera MORETTI

Confesercenti: “Semplificare non basta. Restituite soldi alle imprese”

Reimpostare il rapporto tra cittadini e Fisco, possibilmente semplificandolo, punendo finalmente l’evasione e ricavando nuova benzina da immettere nel motore della crescita, alla quale deve tendere tutta l’agenda del governo. E’ questa la ricetta del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, per accompagnare il Paese fuori dalla stagnazione economica. “L’idea del governo è duplice: semplificare drasticamente il sistema tributario, rendendo più facile la vita del contribuente onesto, spostare il carico fiscale, che purtroppo c’è, in modo che anche a parità di gettito ci sia più crescita e lavoro” ha dichiarato il titolare dei conti pubblici, proprio ora che si vedono i primi passi nell’ambito dell’enorme lavoro della delega fiscale.“Vogliamo semplificare al massimo il sistema di pagamento e puntare sulla trasparenza per risolvere alla radice i problemi legati al Fisco”.

Ma non basta. “Ci vuole un nuovo patto fiscale: nei prossimi cinque anni vogliamo un impegno solenne da parte del governo, ma anche da regioni ed enti locali, che preveda la restituzione di 10 miliardi l’anno a cittadini e imprese”, ha risposto a distanza il presidente di Confesercenti, Marco Venturi, aggiungendo che l’operazione può essere finanziata con tagli alla spesa pubblica e, nel frattempo, senza nuove tasse o aumenti.“La fine del 2013 e l’inizio del 2014 sono stati ancora segnati dalla crisi. Una crisi che sta diminuendo di intensità, ma che si sta trasformando in una fase di stagnazione. Siamo ancora nella palude, è vero. Qualcosa, però, sta cambiando”, ha dichiarato Venturi precisando di non riferirsi solo ai timidi segnali positivi provenienti dall’economia, ma anche dal fronte politico, sociale ed economico.

Il presidente dell’associazione per la tutela degli operatori del commercio e del turismo ha quindi lanciato “l’emergenza fisco”, osservando come a fine anno i contribuenti italiani dovranno far fronte ad addirittura tre d’imposte (Tasi, acconto Irpef, Tari, Imu) che rischiano di compromettere la ripresa.

Jacopo MARCHESANO