Leonardo-Finmeccanica, accordo con le Poste russe

Le Poste russe parleranno un po’ italiano. Leonardo-Finmeccanica ha infatti stretto un accordo con Russian Post per realizzare un nuovo hub logistico multi-funzionale nell’aeroporto internazionale Tolmachevo, a Novosibirsk.

La firma dell’accordo tra Leonardo-Finmeccanica e le Poste russe è avvenuta durante il Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo e costituisce un arricchimento della partnership tra le due aziende, già attiva da tempo su diversi fronti.

Leonardo fornirà alle Poste di Putin una soluzione per automatizzare le lavorazioni e gestire l’intera offerta di prodotti postali, sia a livello nazionale, sia internazionale, oltre all’attività di assistenza e formazione del personale che opererà nell’impianto. Il tutto gestito da sistemi di smistamento controllati da una piattaforma software sviluppata in-house da Finmeccanica.

Del resto, l’esperienza di Finmeccanica in ambito postale ha radici che affondano nei lontani Anni ’60, da quando cioè è partner di Poste Italiane nella modernizzazione del servizio postale nazionale.

Cassa Nazionale Notariato, Mistretta riconfermato Presidente

Mario Mistretta è stato riconfermato alla Presidenza della Cassa Nazionale del Notariato per il triennio 2016-2019. Ad affiancarlo, con la carica di Vice Presidente, il notaio Francesco Maria Attaguile, mentre il notaio Grazia Buta ricoprirà la carica di Segretario del Consiglio.

Notaio dal 1982, Mistretta è stato già Presidente della Cassa Nazionale del Notariato per il triennio 2013-2016. È stato, inoltre, Presidente del Consiglio Notarile di Brescia e, dal 2010 al 2013, Revisore dei Conti presso il Consiglio Nazionale del Notariato.

E’ stato docente di diritto commerciale presso l’Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo e docente di diritto di famiglia presso l’Università di Brescia.

Gli altri componenti del Consiglio di Amministrazione della Cassa Nazionale del Notariato sono i notai: Roberto Barone (Piemonte e Valle d’Aosta); Carlo Bolognini (Sardegna); Giulio Capocasale (Calabria); Lauretta Casadei (Lazio); Paola Clarich (Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia); Alessandro Corsi (Liguria); Giulia Fabbrocini (Puglia); Tommaso Gaeta (Campania); Roberto Montali (Marche ed Umbria); Giuseppe Montalti (Emilia Romagna); Francesco Giambattista Nardone (Toscana); Beatrice Simone (Basilicata). In rappresentanza dei notai in pensione: Bruno Barzellotti; Germano De Cinque; Prospero Mobilio.

Il comitato esecutivo della Cassa Nazionale del Notariato è composto dai notai: Giulia Fabbrocini (Puglia); Roberto Montali (Marche ed Umbria); Giambattista Nardone (Toscana); Beatrice Simone (Basilicata).

Brexit, i rischi per l’export

È inevitabile, dopo la Brexit, fare i conti in tasca alle aziende italiane e capire quanto la decisione della Gran Bretagna di uscire dalla Ue possa incidere sull’export. Questi conti ha provato a farli la Cgia, secondo la quale però è “difficile prevedere cosa potrà accadere” all’indomani della Brexit.

Si parte però da un dato certo: l’export italiano nel Regno Unito, nel 2015 ha toccato un valore complessivo di 22,4 miliardi di euro con automobili, abbigliamento, medicinali, vino, legno arredo, forni e calzature come principali beni esportati. Lo scorso anno, le importazioni hanno toccato quota 10,5 miliardi, con un saldo commerciale, quindi positivo per 11,9 miliardi. Come inciderà su tutto questo la Brexit?

Di sicuro non positivamente. Secondo i calcoli della Cgia, infatti, se si spacchetta per macro aree l’export italiano verso il Regno Unito, si scopre che il Nordest si dovrà guardare le spalle dalla Brexit: con 7,9 miliardi di euro, è infatti la macro area che esporta di più in Uk. Seguono il Nordovest (7,8 miliardi), il Centro (3,6 miliardi) e il Sud (2,7 miliardi).

Guardando invece alla singole regioni, guida la Lombardia (5,3 miliardi di euro), seguita da Veneto e l’Emilia Romagna (ciascuna con 3,4 miliardi di euro), Piemonte (2,3 miliardi) e Toscana (1,8 miliardi). Insieme, queste regioni esportano oltre il 70% del totale italiano.

Inoltre, la Cgia sottolinea come, nel 2015, l’export verso Londra sia stato pari al 5,4% del totale italiano e come le vendite in Uk siano cresciute del 7,4%. L’auspicio è che la Brexit non vanifichi queste performance.

Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, ricorda che “nei prossimi 2 anni, tra Londra e Bruxelles dovranno essere ratificati 54 accordi commerciali e, salvo sorprese, le transazioni ritorneranno a essere soggette ai dazi doganali e al pagamento dell’Iva. Non è da escludere, inoltre, la possibilità che vengano introdotte alla dogana barriere non tariffarie che potrebbero ostacolare l’attività commerciale”.

Architetti italiani e opportunità in Cina

Che la Cina sia una frontiera ricca di opportunità per l’Italia è una verità che vale non solo per le imprese, ma anche per i professionisti. In particolare per gli architetti. Il Consiglio Nazionale degli Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, tramite il suo dipartimento Esteri, ha infatti attivato diverse iniziative a Chongqing, la terza città della Cina dopo Shanghai e Pechino, a favore degli architetti italiani che decideranno di operare in quella regione.

L’iniziativa degli architetti italiani è pensata in particolar modo per quanti si muoveranno nei settori che, al momento, sono i più promettenti in quella regione della Cina: interior design (per il quale siamo eccellenze mondiali), edilizia residenziale sostenibile e restauro.

In questo senso la presenza dei nostri professionisti si rafforzerà nella regione grazie all’attivazione di un ufficio del Consiglio Nazionale degli Architetti nella sede della Chongqing Association of Real Estate Development, ente che ha espresso l’intenzione di avvalersi di progettisti italiani per alcune interventi immobiliari di pregio.

Chongqing diventerà, col tempo, una sorta di laboratorio sperimentale dell’architettura e del design italiani, grazie alla realizzazione prevista di un intero quartiere italiano ispirato alla cultura architettonica del nostro Paese.

Già ora si sta preparando il terreno per questa entrata in grande stile degli architetti italiani nella regione, con una mostra di opere tratte da una selezione delle edizioni 2013 e successive del premio Architetto italiano e Giovane Talento dell’architettura italiana, organizzata nel New Campus del Sichuan Institute of Fine Arts di Chongqing.

Brexit e imprese italiane, le ricadute sul territorio

Ci sono realtà territoriali che, in Italia, guardano con preoccupazione alla Brexit, per quanto la sua effettività si potrà avere non prima di due anni. Una di queste è la Lombardia, le cui imprese sono molto esposte sul mercato del Regno Unito e dove operano molte aziende inglesi.

Sono infatti 500 le imprese a partecipazione o controllo britannico che valgono 13 miliardi e 50mila posti di lavoro in Lombardia. Per il 41% la Brexit non avrà effetti sul loro business ma per il 35% sì. La Camera di commercio di Milano ne ha sentite circa 20 tra quelle milanesi il 24 giugno, all’indomani del referendum che ha sancito la cosiddetta Brexit, l’uscita del Regno Unito dalla Ue.

Che tipo di effetti si aspettano queste imprese? Se per il 23% non ci sarà alcuna conseguenza, per il 35% ci sarà su parte del business e per il 18% ci saranno costi più elevati, ma anche conseguenze su import e export. Per il 10% arriverà un calo di fatturato. Per il 60% il mercato italiano ed europeo manterranno la stessa rilevanza, ma per il 24% ci sarà un calo di business. Per tutti l’Italia, nel contesto europeo, resta un Paese interessante. Comunque restano ottimisti sull’Unione Europea (65%).

In Lombardia la Gran Bretagna è il quarto investitore per numero di imprese e il quinto per fatturato generato (oltre 13 miliardi di euro), imprese che danno lavoro a 50mila dipendenti. È tra i primi investitori, poiché in media le imprese sono insediate dal 1998. Milano è prima con 392 imprese, 11 miliardi di fatturato e 43mila addetti, seguita da Monza, Brescia e Bergamo con circa 20 imprese ciascuna e oltre 1000 addetti.

Negli ultimi 3 anni 40, aziende inglesi hanno attivato progetti di investimento sul territorio lombardo. Il 30% di questi progetti sono investimenti ad alto contenuto tecnologico, come emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano e la sua azienda speciale Promos per l’internazionalizzazione sui dati dell’Osservatorio di Invest in Lombardy, il servizio per l’attrazione di investimenti esteri in Lombardia promosso da Regione Lombardia, Unioncamere Lombardia, dal Sistema Camerale lombardo, con il supporto di Promos.

Secondo quanto emerge da un’elaborazione Camera di commercio di Milano su dati Istat relativi al I trimestre 2016 e al 2015, l’Inghilterra, al netto della Brexit, vale un interscambio da 9 miliardi all’anno per le imprese lombarde, 5 di export e 4 di import, su un totale italiano di 33 miliardi. Milano è prima con tre miliardi di scambi, con Bergamo, Varese e Brescia, con circa 1 miliardo e Monza con oltre 600 milioni. Cresce il business, +1,8% in un anno.

Saldi col freno a mano

Nessuna corsa all’acquisto per i saldi estivi 2016. Secondo il Codacons, le vendite saranno stabili rispetto ai saldi dello scorso anno: la spesa media degli italiani sarà in linea con quella del 2015, con uno scontrino medio che si attesterà attorno ai 67 euro pro capite.

Prestazioni gratuite dei professionisti, Alemanno scrive alle Entrate

Il presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi (INT), Riccardo Alemanno, ha scritto al dott. Aldo Polito, direttore centrale accertamento dell’Agenzia delle Entrate, per avere chiarimenti circa l’accertamento delle prestazioni gratuite del professionista, in particolare dell’intermediario fiscale, che, come pubblicato sulla stampa specializzata, rischia ricostruzioni di reddito tramite applicazione di compensi tariffari che, ovviamente, sono molto distanti dalla media dei compensi reali, soprattutto in tema di modelli dichiarativi inviati telematicamente.

Si legge nella nota del presidente Alemanno: “Il mio timore e la mia preoccupazione non sono dati dalla presunzione di evasione relativamente alle prestazioni gratuite, cosa che da sempre è oggetto di accertamento se non riconducibile a giustificazioni reali, ma dall’applicazione di parametri, nel caso in esame (accertamento su ricostruzione reddito collegato ai modelli Unici inviati telematicamente, ndr) dai prezzi delle dichiarazioni dei redditi desunti dal tariffario dei dottori commercialisti”.

A parte il fatto – prosegue Alemannoche i valori indicati sono ben lontani dai valori medi applicati dagli intermediari fiscali, soprattutto negli ultimi anni dove si fa sempre più fatica a incassare i normali compensi, i tariffari, non più obbligatori ma solo indicativi, se applicati causerebbero una fuoriuscita dagli studi degli assistiti”.

Nell’ambito proprio dell’attività degli intermediari fiscali (tributaristi, commercialisti, consulenti del lavoro, revisori, ecc.) – sottolinea ancora Alemannosi utilizza la forfetizzazione dei compensi, poiché nella maggior parte dei casi si tratta di prestazioni continuative. Se ad un singolo soggetto applicassimo, solo per la dichiarazione dei redditi, i valori indicati dall’ADE e sommassimo poi quelli della contabilità e consulenza, applicheremmo prezzi che ci manderebbero fuori mercato. Le chiedo pertanto se tali parametri vengono applicati effettivamente ed in caso affermativo allora si dovrebbero rivedere, in virtù della realtà operativa degli studi”.

In attesa di avere chiarimenti da parte dell’Agenzia alle domande di Alemanno, si può trovare conforto nella giurisprudenza, come la sentenza del 28 ottobre 2015, n. 21972 della Corte di Cassazione, sezione V, in merito alla lecita gratuità dell’operato di un professionista (consulente intermediario fiscale) nei confronti di soggetti con i quali oltre a ricorrere, in alcuni casi, un rapporto di lavoro, vi è altresì un rapporto di parentela o di amicizia.

Brexit e mercato immobiliare

Sono molti gli ambiti di mercato nei quali gli effetti della Brexit sono scarsamente prevedibili. Uno di questi è il mercato immobiliare della Gran Bretagna, che può diventare un rischio ma anche una opportunità per quanti vorranno investire nel mattone britannico dopo la Brexit.

Per capire che cosa potrà succedere nei prossimi anni, quando la Brexit sarà in essere a tutti gli effetti, Alessandro Ghisolfi, responsabile del Centro Studi di Casa.it, tra i primi portali immobiliari d’Italia, ha provato a prospettare gli scenari nel quale inserire nuovi rischi e opportunità per il mercato immobiliare britannico.

L’uscita della Gran Bretagna dalla Ue – sostiene Ghisolfiavrà sicuramente un impatto, negativo o positivo a seconda dei punti di vista, sul mercato immobiliare. Da oltre 30 anni Londra è considerata il punto di riferimento per gli investimenti nel mattone, sia da parte dei top spender privati, sia dei principali fondi di equity (privati e pubblici) mondiali. Il valore degli investimenti immobiliari è ovviamente legato all’economia del Paese e ora, soprattutto, al tasso di cambio della sterlina”.

Sarà opportuno guardare alle possibili reazioni, una volta passato lo shock dell’esito del referendum – prosegue Ghisolfi -. Tuttavia è facile intuire che se la sterlina perderà molto terreno nei confronti di dollaro ed euro, per chi ha investito in questi anni si presenterà uno scenario poco attraente, mentre per chi avrà voglia di rischiare, le occasioni per fare shopping immobiliare non mancheranno. Se i danni all’economia reale si avverassero come hanno sempre sostenuto i contrari alla Brexit, allora il mercato del mattone ne subirebbe le conseguenze peggiori”.

Intanto – ritiene Ghisolfi -, già oggi non pochi potenziali acquirenti di case si sono fermati e hanno rinviato la loro decisione, in attesa di capire meglio cosa succederà. Il fatto è che il percorso di uscita di un Paese membro dall’Ue va negoziato. Si tratta di un processo che durerà, nella migliore delle ipotesi, almeno due anni. Due anni di incertezza, quindi non il meglio per i mercati, durante i quali, peraltro, il Regno Unito continuerà a essere contributore netto dell’Ue”.

Ma c’è anche un’altra riflessione da fare: come influirà la Brexit sui britannici che vorranno acquistare case all’estero, anche in Italia, considerando l’amore che molti di essi hanno per il nostro Paese? O sugli italiani che vorranno comprare in Uk? “Sul fronte delle case vacanza – conclude Ghisolfi -, gli impatti peggiori li potremo subire sul nostro territorio nell’ipotesi che la sterlina si svaluti fortemente. Il flusso di inglesi alla ricerca della casa da comprare in Italia si ridurrebbe notevolmente così come di chi viene in affitto. Per noi che decidiamo di passare le vacanze in Inghilterra le cose potrebbero invece migliorare dal punto di vista sia dei canoni di locazione sia del costo della vita”.

Brexit e imprese. Parola d’ordine: prudenza

Il Regno Unito è uscito dall’Ue, evviva la Brexit! Dopo che i mass media e gli esperti di tutta Italia ed Europa ci hanno massacrato per settimane cercando di spiegare gli effetti della Brexit sull’economia e sulla vita di tutti i giorni qualora in Gran Bretagna avesse vinto il leave, ci siamo presi qualche giorno per disintossicarci e per provare a guardare al risultato di giovedì scorso a mente più fredda e, soprattutto, da un punto di vista delle imprese.

Intanto ricordiamo che, con la vittoria della Brexit, il governo britannico dovrà rinegoziare i trattati per uscire dalla Ue. Non è una cosa che avviene in pochi giorni, ci vorranno almeno due anni, periodo durante il quale nell’economia reale non si avvertirebbero grandi scossoni (a parte sotto il profilo della valuta) ma nel quale finanza, speculazione e mercati impazziti potrebbero fare danni pesanti.

Possiamo cominciare con il dire che le imprese che avevano in essere ipotesi di accordo per scambi commerciali con altre imprese che pagano in sterline, saranno state avvantaggiate qualora avessero deciso di chiudere o meno questi accordi dopo l’esito del referendum sulla Brexit. Visto il crollo della sterlina successivo al leave, chiudere o meno gli accordi a determinate condizioni potrebbe essere vincente.

A proposito di sterlina, questo potrà essere il problema più serio per le imprese. All’indomani del sì alla Brexit la divisa britannica ha perso oltre il 10% rispetto al dollaro, toccando i minimi da 30 anni a questa parte. Se, come prospettano alcuni analisti, la sterlina potrà deprezzarsi fino al 20% sull’euro, le imprese che hanno transazioni commerciali con i clienti i che pagano in sterline potranno trovarsi in difficoltà.

Intelligente chi, per cautelarsi, ha deciso di rimandare a dopo il referendum la definizione dei prezzi di listino in sterline. Non sempre, però, si tratta di una mossa possibile: bene ha fatto chi ha previsto e inserito negli accordi commerciali delle clausole specifiche per rinegoziare gli stessi qualora avesse vinto la Brexit.

Quello che è certo è che, come vedremo nei prossimi giorni, sono molte le imprese italiane che ora hanno paura. Paura giustificata o solo suggestione? Lo vedremo.

Italia a tutto franchising

Si è tenuta sul finire della scorsa settimana, a BolognaFiere, Franchising&Retail Expo, la fiera del franchising e retail realizzata in collaborazione con Assofranchising. La fiera è stata l’occasione per fare il punto sul settore del franchising in Italia e per dare una spinta ulteriore all’incrocio tra domanda e offerta di franchisee e franchisor.

I numeri del settore snocciolati durante la tre giorni bolognese sono più che incoraggianti e hanno confermato che quello del franchising è uno dei pochi ambiti tuttora in crescita e uno dei pochi che tra i dati pre-crisi (2008) e quelli di oggi ha fatto registrare un segno più, sia per volume d’affari (+ 4,2%), sia per crescita costante delle reti attive (+14,5%), sia per numero di occupati (+4,1%).

L’aspetto vincente che ha fatto considerare il franchising sempre più come un “settore rifugio” è stato ed è soprattutto il vantaggio di avere la protezione di una rete, più o meno grande, unito a quello di poter fare impresa in proprio.

L’edizione di quest’anno di Franchising&Retail Expo è stata all’insegna del digitale, una rivoluzione che contamina sempre di più il settore. Merito soprattutto di Web Franchising Expo, una piattaforma web per mettere in contatto i visitatori e gli espositori prima e durante la manifestazione.

Grazie a Web Franchising Expo, il potenziale franchisee ha potuto valutare la propria compatibilità con quella dei vari espositori della fiera, in modo da orientarsi verso il brand giusto al quale affiliarsi durante la manifestazione.

Una digitalizzazione la cui importanza è stata sancita dal workshop “Il digitale per il franchising e il retail: la prima esperienza italiana”, organizzato da Google e Seat PG, che hanno illustrato le soluzioni a sostegno della presenza digitale dei franchisee e delle reti vendita.

Oltre a quello della digitalizzazione, nei convegni e workshop che si sono succeduti a Franchising&Retail Expo sono stati affrontati altri diversi temi: dall’evoluzione del sistema franchising al successo della moderna distribuzione, dall’andamento del settore in Italia e nel mondo, all’internazionalizzazione delle imprese in franchising nei Paesi extra Ue.

Ciò che è emerso dall’appuntamento bolognese è stata ancora una volta la vitalità del settore, un patrimonio da non disperdere per chi vuole fare impresa in un’Italia che stenta ancora a uscire dalle secche della crisi.