Liberi professionisti felici? Ecco come

Samsung ha presentato il 13 settembre scorso, in occasione della giornata di coworking dedicata ai liberi professionisti che si è tenuta alla Smart Arena del Samsung District di Milano, un manifesto con strumenti e consigli per vivere al meglio la propria vita professionale da freelance.

In Italia la maggior parte delle imprese unipersonali o sotto i 5 dipendenti è composta da liberi professionisti; il manifesto, stilato dall’head hunter e coach Roberto D’Incau che ha presenziato all’evento, nasce come guida contenente le regole d’oro per queste figure professionali e per consentire loro di svolgere al meglio il proprio lavoro.

Troppo spesso infatti i liberi professionisti hanno la convinzione di essere in grado di organizzare il loro tempo e l’ambiente di lavoro autonomamente, senza considerare alcuni aspetti che possono sembrare poco rilevanti ma che rivestono in realtà un ruolo fondamentale.

Uno di questi è l’importanza di dotarsi della giusta tecnologia, come ha ricordato durante l’evento Daniele Patisso, Visual Display Business Unit Manager di Samsung Electronics Italia.

Durante la conferenza, lo stesso Patisso, Roberto D’Incau e Silvia Ghirardi, insegnante di yoga e fondatrice di Casa Yoga, hanno approfondito, ognuno per il proprio campo di interesse, alcune regole del manifesto con l’obiettivo di dare ai liberi professionisti una guida da tenere sempre con sé, soprattutto in questo periodo di ripresa del lavoro dopo la pausa estiva.

Per scaricare il manifesto di regole d’oro da seguire per essere dei perfetti liberi professionisti, stilato da Roberto D’Incau, cliccare qui.

Banche e imprese si comprendono con una app

Che ormai esista una app quasi per ogni cosa, si sa. Non stupisce quindi che si stia definendo in via sperimentale anche una app che aiuti a migliorare il rapporto tra imprese e banche.

Non è certo un compito facile, ma ci stanno provando da una parte l’Associazione bancaria italiana (Abi), dall’altra le principali associazioni di rappresentanza delle imprese, che lavorano per mettere a punto la Bussola della Qualità, una app che ha come obiettivo proprio il miglioramento di questo rapporto.

Si tratta di uno strumento ancora in fase di sperimentazione che dovrebbe valorizzare, secondo criteri strettamente qualitativi, le informazioni messe a disposizione delle banche da parte delle imprese.

Entro alcune settimane dovrebbero svolgersi alcuni test a livello locale, sfruttando la collaborazione tra le sedi territoriali delle associazioni d’impresa che hanno firmato l’accordo e gli istituti bancari che aderiranno all’iniziativa sul territorio.

La sperimentazione della app è una delle forme nelle quali viene declinato l’Accordo per il Credito 2015, sottoscritto da Abi e associazioni di rappresentanza del mondo imprenditoriale. Basterà per far dialogare due mondi che da anni parlano lingue diverse o sarà solo aria fritta?

Notariato, nuovo sportello d’informazione a Siracusa

La vicinanza territoriale del notariato ai cittadini si declina anche e soprattutto con le iniziative locali come gli sportelli d’informazione gratuita per i cittadini. Da ottobre aprirà il terzo sportello in Sicilia, a Siracusa, dopo quelli già aperti dal notariato a Trapani e Catania.

Lo sportello di Siracusa sarà aperto senza prenotazione ogni secondo martedì del mese, dalle 10 alle 12:30, nella sede del Consiglio Notarile di Siracusa, in viale Teracati 31. I rappresentanti del notariato forniranno gratuitamente, ai cittadini che ne faranno richiesta, informazioni in materia di diritto di famiglia, diritto successorio, mutui e acquisti immobiliari.

Lo sportello di primo orientamento di Siracusa si aggiunge ai 94 già attivi in tutta Italia, specializzati nel fornire consulenza su acquisto casa, mutui, donazioni, testamenti e successioni, amministrazione di sostegno e altro.

Per maggiori informazioni sull’operatività dello sportello di Trapani è possibile collegarsi alla home page del sito del Consiglio Nazionale del Notariato e accedere alla sezione “Trova consulenza”. In alternativa, è possibile contattare il Consiglio Notarile Distrettuale cui fa riferimento ogni singolo sportello.

L’export della moda donna nel primo semestre 2016

Secondo i dati Istat ad oggi disponibili, relativi al periodo gennaio-giugno 2016, l’interscambio con l’estero di moda donna conferma il trend favorevole sul fronte export, mentre registra una battuta d’arresto nel caso dell’import. In particolare, le vendite estere di womenswear hanno evidenziato un aumento pari al +2,8%: pur decelerando sensibilmente rispetto alla ben più rotonda crescita del primo semestre 2015 (pari al +7% circa), l’export settoriale sale, quindi, a 3,9 miliardi di euro.

Al contempo, l’import frena al -0,1%, assestandosi sui 2,3 miliardi di euro così come nel gennaio-giugno 2015. Il settore, pertanto, mantiene un ampio surplus commerciale con l’estero per un totale di oltre 1,6 miliardi di euro nel periodo in esame.

Analizzando le performance per macro-aree geografiche, nel caso delle esportazioni la Ue si rivela ancora una volta più dinamica e mette a segno un incremento del +4,9%, assorbendo così il 52,5% dell’export totale dall’Italia; le aree extra-Ue, invece, non vanno oltre un +0,6%. Contestualmente, l’import fa registrare una dinamica del +9% dal mercato comunitario, a fronte, invece, di una flessione del 6,9% sperimentata dall’extra-Ue, pur cresciuta di quasi il +20% nel medesimo periodo dello scorso anno.

Tra i mercati Ue, Francia e Germania, rispettivamente primo e secondo mercato di sbocco della moda donna made in Italy, segnano rispettivamente una crescita del 6% e dell’8%. Le vendite dirette nel Regno Unito, pur su valori più contenuti rispetto alle prime due destinazioni, registrano un incremento del 6,6%, mentre quelle in Spagna del 6,3%. Questi quatto Paesi concorrono complessivamente al 34,5% dell’export settoriale totale.

Mentre Belgio e Paesi Bassi sono interessati da variazioni negative (-1,2% e -6,5% rispettivamente), cresce anche l’export diretto in Austria (+6%) e Polonia (+26,6%).

Relativamente ai mercati extra-europei, gli Usa, terza destinazione e prima non-Ue della moda donna italiana, fanno registrare un lieve calo pari al -1,4%, rispetto ad un controvalore del primo semestre 2015 molto significativo, raggiunto grazie ad un incremento del 30,3%.

Hong Kong e Cina risultano caratterizzate da dinamiche ancora positive, rispettivamente pari al +3,3% e al +2,9%, assorbendo così il 10,6% della moda donna italiana al pari della Germania.

La Russia, che nei primi sei mesi dello scorso anno aveva ceduto oltre il 30%, recupera terreno, contenendo il calo al -4,6%. Proprio il mese di giugno 2016 assiste ad un’inversione di tendenza dell’export, che, rispetto al dato del giugno 2015, segna un incremento pari al +3,2%

I discreti risultati ottenuti dalla moda donna made in Italy sono previsti proseguire anche nella seconda parte dell’anno, nonostante il permanere di un quadro economico e politico estremamente complesso in ambito internazionale.

Immatricolazioni auto? Occhio ai numeri…

Quando vengono pubblicati i dati sulle immatricolazioni di veicoli, bisogna andarci sempre cauti. Secondo i dati Acea, l’associazione dei costruttori europei, a luglio si è registrato un calo dell’1,8% delle immatricolazioni nell’Ue a 28 (più Efta), parentesi negativa dopo 34 mesi consecutivi di crescita.

Ad agosto, invece, è stato registrato un nuovo balzo in avanti delle immatricolazioni, +9,5%. Complessivamente, da gennaio 2016 sono stati immatricolati in Europa 10,1 milioni di veicoli il 7,8% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Tra i Paesi più dinamici in termini di immatricolazioni c’è l’Italia, che ha chiuso in doppia cifra sia il mese di agosto (+20,1%), sia i primi 8 mesi dell’anno: +17,4%.

Numeri interessanti, sui quali però il presidente di Federauto, Filippo Pavan Bernacchi, invita a fare una riflessione: “Ad agosto e nei primi 8 mesi del 2016 le immatricolazioni italiane hanno in pratica raddoppiato quelle della media europea. Le promozioni messe in campo da case e concessionarie hanno fatto la differenza ma, a nostro avviso, il mercato italiano è anche caratterizzato dal ricorso alle chilometri zero, che aumentano i volumi ma non certo la redditività”.

Negli altri Paesi europei – conclude Pavan Bernacchiil fenomeno delle chilometri zero non esiste o comunque ha un utilizzo molto contenuto. E ad ogni modo, purtroppo, molte chilometri zero estere tornano in Italia per creare concorrenza sleale ai concessionari che hanno in piedi investimenti massicci per gli standard dei costruttori”.

Il Tavolo unitario della filiera edile

Dopo eventi tragici come il terremoto di agosto nel Centro Italia, l’urgenza di una filiera edile che si occupi a 360 gradi degli aspetti legati al sistema edilizia nel Paese è sentita da molti professionisti.

Del resto, un sistema delle costruzioni unito è in grado di offrire risposte concrete ai problemi che affiggono il settore e che impediscono alla filiera edile, che per decenni è stato il principale motore economico del mercato interno del nostro Paese, di ripartire.

Va quindi visto con favore il recente insediamento, a Roma, del Tavolo unitario della filiera edile, al quale siedono gli attori della catena produttiva: dalle professioni tecniche, alle realtà imprenditoriali, dal mondo dell’artigianato a quello delle società di ingegneria, chiamati tutti a coordinare con spirito unitario le istanze della filiera.

Il Tavolo unitario della filiera edile si troverà a gestire tanti e diversificati aspetti del settore: dalle questioni aperte sui lavori pubblici al fronte del mercato interno, che ha nella rigenerazione urbana il proprio punto di arrivo.

Al centro del lavoro del Tavolo unitario della filiera edile c’è l’esigenza di un sistema di qualificazione dell’intero sistema, che deve saper innovare ogni fase del processo produttivo, partendo dalla centralità del progetto per arrivare alla realizzazione del manufatto finale.

Quest’ultimo punto è alla base del lavoro di elaborazione di proposte che il Tavolo permanente svolgerà per il progetto “Casa Italia”, lanciato dal Governo per un progetto globale di prevenzione, educazione e investimenti capace di ridisegnare il Paese nei prossimi decenni.

Moda femminile ancora in crescita nel 2015

Mantenendosi su ritmi analoghi a quelli sperimentati nel 2014, la moda femminile italiana anche nel 2015 mostra una dinamica di crescita, +2,5%. In un anno, il settore guadagna poco più di 300 milioni di euro, sfiorando così i 12,8 miliardi.

Tale performance risulta, dunque, lievemente inferiore alle stime rilasciate lo scorso febbraio, quando, in sede di bilancio pre-consuntivo, si era previsto di archiviare l’anno in aumento del 2,8%. Come previsto sempre in tale occasione, la moda femminile si rivela più tonica rispetto alla moda maschile, il cui incremento si è arrestato al +1,4%, conseguenza di un minor dinamismo incontrato oltreconfine.

Nell’ambito della filiera Tessile-Moda nazionale, il womenswear continua a rivestire un ruolo di primo piano, assicurando il 24,4% del fatturato complessivamente generato lo scorso anno.

I singoli comparti della moda donna si sono mossi tutti in area positiva, ad eccezione della pelle, che archivia il 2015 in flessione. Il vestiario e la camiceria, peraltro, hanno chiuso l’anno in accelerazione rispetto al bilancio 2014, mentre la maglieria ha perso velocità. Per il secondo anno consecutivo, inoltre, la camiceria mostra una crescita del fatturato a due cifre.

Con riferimento al valore della produzione effettuata in Italia, il bilancio settoriale mostra un miglioramento del trend, che porta a contabilizzare un -0,5%. A conferma delle più recenti linee evolutive, per la moda femminile italiana il mercato interno è rimasto riflessivo, mentre la domanda estera si è rivelata ancora una volta favorevole: al di là del cedimento accusato nel 2009, a partire dal 2010 l’export settoriale ha sperimentato una crescita ininterrotta.

Lo scorso anno le vendite sui mercati internazionali, grazie ad un aumento su base annua del 5%, sono salite a oltre 7,7 miliardi di euro, concorrendo così al 60,4% del turnover settoriale. Parallelamente, l’import è cresciuto del 7,3%, portandosi a 4,3 miliardi di euro.

A fronte del suddetto andamento degli scambi con l’estero in entrata e in uscita dall’Italia, l’avanzo commerciale del settore ha superato i 3,4 miliardi di euro.

Dopo il calo senza precedenti archiviato nel 2013 (-7,1%), il sell-out in Italia di moda femminile ha iniziato la risalita, vedendo dimezzare il tasso di caduta nell’anno solare 2014 (-3,7%), per decelerare ulteriormente al -2,3% nel corso dei dodici mesi del 2015. Pur negativa, tale dinamica risulta essere la migliore dell’ultimo quinquennio.

Sotto il profilo temporale, il bimestre maggio-giugno, secondo le rilevazioni statistiche effettuate da Sita Ricerca per conto di Sistema Moda Italia, ha assistito a una variazione positiva pari al +0,5%, mentre il bimestre settembre-ottobre ha frenato al -0,1%.

Se si considera il periodo compreso tra la Primavera/Estate 2015 e l’Autunno/Inverno 2015-2016, il sell-out di moda femminile presenta una flessione contenuta al -1,9% in termini di spesa corrente rispetto alle corrispondenti stagioni del 2014-2015. In detto arco temporale, sia la camiceria sia la confezione in pelle hanno evidenziato incrementi del sell-out in Italia: la prima registra un +5,7%, la seconda un +13,3%. Il comparto preponderante, ovvero il vestiario esterno archivia, invece, un -3,0%, non troppo lontano quindi dalla maglieria, che cede il 2,5%.

Il medico paga l’ Irap anche se non ha dipendenti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione in tema di Irap ha messo sul chi va là i medici di base titolari di studi propri convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale.

I giudici della Suprema Corte hanno infatti sentenziato che il professionista è tenuto al pagamento dell’ Irap anche se non ha dipendenti, qualora però abbia e utilizzi dei beni strumentali costosi.

Nello specifico, secondo la Cassazione, il medico deve pagare l’ Irap qualora, con riferimento al requisito dell’autonoma organizzazione previsto del D.Lgs. 446/97, art. 2:

  • sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;
  • impieghi beni strumentali eccedenti , secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive“.

Nel caso che ha indotto la Cassazione alla precisazione, anche se il medico non ha personale dipendente deve pagare l’ Irap poiché utilizza quattro studi e beni strumentali di valore rilevante nello svolgere la propria professione. Il valore in oggetto supera lo standard e i parametri previsti dalla convenzione con il SSN.

La Cassazione ricorda anche che il medico può far valere le proprie ragioni qualora ritenga che il pagamento in oggetto non sia dovuto: “Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell’assenza delle condizioni sopraelencate“, segnalano gli ermellini.

Durc, la proposta dei commercialisti

I commercialisti italiani intervengono sul tema Durc e lo fanno con una proposta interessante: utilizzare il Durc on line nelle procedure di allerta previste dalla legge delega di riforma del diritto fallimentare.

Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha avanzato la propria proposta durante un convegno della categoria sulle tematiche del lavoro, nel quale è stato toccato l’argomento Durc, il Documento Unico di Regolarità Contributiva.

Come ha motivato il presidente dei commercialisti, Gerardo Longobardi, parlando del Durc, “uno dei cardini della riforma fallimentare sarà rappresentato dalle procedure di allerta, finalizzate a prevenire il più possibile le crisi delle nostre imprese. Il disegno di legge delega prevede che con la cosiddetta ‘allerta esterna’ andranno segnalati agli Organismi di composizione della crisi (Occ), dai creditori qualificati casi di ‘inadempimento di importo rilevante”.

Il sistema delle banche dati attualmente presenti in Italia – ha proseguito Longobardipuò rilevare immediatamente ed automaticamente gli inadempimenti di obblighi fiscali, contributivi o previdenziali. Per questo proponiamo una norma che imponga ai creditori istituzionali, tra cui, ovviamente, anche l’Inps, di segnalare quei fatti ad ‘automatica rilevabilità’, connessi a reiterati inadempimenti di importo rilevante da parte delle imprese di obblighi fiscali e previdenziali, come ad esempio l’omesso versamento dei contributi per un determinato periodo di tempo”.

In questa ottica – ha concluso Longobardi -, la previsione di un meccanismo automatico di segnalazione da parte dell’Inps agli Organismi di composizione della crisi di irregolarità rilevabili dalla banca dati utilizzata ai fini del rilascio del Durc potrebbe fornire con congruo anticipo informazioni determinanti su eventuali situazioni di difficoltà di un’azienda, evitando che la situazione precipiti con il passare del tempo sino a determinare il fallimento, con effetti negativi per i creditori e la collettività”.

L’indotto della moda in Italia

La moda, in Italia, non è solo un motore per l’economia del settore e del tessile in particolare, ma un volano per l’intera economia, a cominciare da quella legata all’ospitalità.

Secondo un’analisi della Camera di commercio di Milano sui dati RES STR Global, nel capoluogo lombardo, la settimana della moda femminile ha un impatto di 15 milioni di euro in ricavi per le imprese del settore alberghiero del territorio. I ricavi si concentrano nelle prime tre giornate di sfilate.

Una stima realizzata sulla base di una continuità con l’edizione di febbraio, quando si è superata un’occupazione delle camere superiore all’80% con punte del 90% nelle prime giornate, il 60% dei ricavi totali. Un dato cresciuto di circa il 15% tra 2015 e 2016.

Del resto, sono numeri che riflettono la potenza della moda in Italia, un settore da 239mila imprese, 849mila addetti e un business da 113 miliardi. Milano è prima per fatturato con 20 miliardi e 87 mila addetti. Per numero di imprese sono prime Napoli, con 21mila, e Roma con 16mila, davanti alle 14mila di Milano.

I principali settori della moda vedono circa 81mila imprese nel commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento e circa 47mila nella confezione di articoli di abbigliamento. Superano le 17mila le attività di design specializzate. Lieve calo per il settore in un anno, -0,6%, si perdono 1.333 imprese.

Per numero di imprese della moda è prima Napoli con 21mila attività (9% nazionale), circa 8mila nel commercio di abiti e quasi 3mila nella produzione di abbigliamento, oltre 1500 specializzate in pelletteria. A Roma sono 16mila le imprese (7%), con oltre 7mila nel commercio, quasi 2mila nella produzione e oltre 800 nel design. Terza Milano con circa 14mila imprese, di cui circa 3mila sia nel commercio sia nella produzione di vestiti e col primato di quasi 2mila stilisti.

A Firenze sono circa 10mila le imprese, di cui 4mila nella pelletteria e oltre 2mila nella fabbricazione di vestiti. Subito dopo Prato, con circa 8mila imprese, di cui 4mila nella produzione di abiti.

Per addetti è prima Milano con 87mila, poi Napoli con 50mila, Firenze con 44mila, Prato con 36mila, Vicenza con 34mila, nelle sue circa 4mila imprese e Roma con 26 mila.

Il settore della moda, in Italia ha un giro d’affari da 113 miliardi. Prima per fatturato nel settore moda è Milano con 20 miliardi, poi Vicenza con 8, Firenze con 7, Napoli con 5, Treviso e Prato con 4, Verona, Como, Padova e Roma con 3.

Buona la componente femminile nelle imprese italiane della moda. Tra le prime aree dove si lavora nel fashion guidati da titolari donne si piazzano Torino (48%) e Roma (40%), una su due, quasi la metà delle imprese. Più basse Milano e Napoli con una su tre, circa il 33%. La media italiana di donne titolari è del 42%.

La moda è invece guidata dai giovani nell’11% delle imprese. Più presenti a Napoli (16%) e Prato (14%), meno a Roma e Milano (circa 9%). Il titolare è straniero nel 18% delle imprese di moda, soprattutto a Prato (61%) e Firenze (39%), ma è alta la presenza anche a Milano e Roma, circa 25%, rispetto a Napoli dove gli stranieri a capo di imprese sono solo il 13%.