Permessi ROL in busta paga: cosa sono e come funzionano

Innanzitutto, cosa sono i ROL (Riduzione di Orario di Lavoro)? Si tratti di permessi di lavoro che vengono maturati ogni mese e retribuiti, ovvero, caricati in busta paga. Essi sono riconosciuti dalla contrattazione collettiva ai dipendenti che hanno l’esigenza di assentarsi per qualche ora dall’attività lavorativa per motivi personali.

I permessi ROL in busta paga

I permessi ROL presenti in busta paga vengono maturati mensilmente dal lavoratore e sono previsti per consentirgli di poter dedicarsi ad alcuni propri interessi o per fronteggiare esigenze personali e familiari. I ROL rappresentano un’alternativa alla richiesta di giorni ferie e permettono di non perdere la retribuzione e di conservare il proprio posto di lavoro.

A differenza di altre tipologie di permessi di lavoro che richiedono l’indicazione delle ragioni per le quali vengono richiesti, i permessi ROL non devono essere motivati o comunque non hanno bisogno di particolari giustificazioni.

I ROL sono permessi retribuiti ben distinti da quelli ex festività e da tutti gli altri permessi che sono specifici. Ci riferiamo ai permessi per lutto o grave infermità, a quelli per studio o per la donazione del sangue e del midollo osseo, o ancora dai permessi richiesti per cariche pubbliche elettive, per impegni presso i seggi elettorali, per matrimonio o permessi richiesti per l’assistenza di familiari disabili del dipendente.

Permessi ROL: a chi spettano e se possono essere negati

I permessi ROL spettano ai lavoratori subordinati con contratto a tempo indeterminato ma anche determinato, inclusi i soci lavoratori nelle cooperative di produzione e lavoro.

Come tutti i permessi di lavoro richiesti per motivi personali o familiari, anche la concessione dei ROL può essere rifiutata dal datore di lavoro se ritiene che vada in contrasto con le esigenze lavorative e organizzative dell’azienda.

Può essere anche il datore di lavoro su propria iniziativa a far fruire dei permessi ROL il dipendente.

A scanso di equivoci, non hanno diritto ai permessi ROL i lavoratori autonomi e parasubordinati, così come gli stagisti e i tirocinanti.

Quanti permessi ROL spettano ai dipendenti?

Il monte ore ROL che spetta ai lavoratori dipende da quanto viene previsto da ciascun contratto collettivo. Con riferimento a quello del Commercio e Terziario – Confcommercio al lavoratore spettano 56 ore all’anno per le aziende fino a 15 dipendenti, che diventano 72 ore in caso di più di 15 dipendenti.

Il Contratto collettivo nazionale di lavoro Edilizia – Industria, ma anche quello Centri elaborazioni dati, prevede un monte ore LOL pari a 88 all’anno. Più basso il monte ore LOL nel CCNL Lapidei Industria pari a 64 all’anno. Il CCNL Pubblici esercizi, ristorazione e turismo riconosce 72 ore annue a titolo di permessi ROL, mentre quello Pulizia solo 40 ore.

Nel contratto Sanità ai dipendenti spettano 8,5 giorni di permessi ROL, che diventano 68 ore per i lavoratori con un’anzianità di servizio superiore ai dieci anni. Nel settore metalmeccanico le ore sono 72 all’anno, che aumentano fino a 92 ore ma solo per i lavoratori impiegati nell’ambito della siderurgia. Nel comparto Alimentari – industria le ore ROL sono 76.

E’ da tener presente, che il datore di lavoro può anche decidere di optare per un monte ore superiore a quello previsto dai vari contratti collettivi tramite accordo aziendale, al fine di soddisfare maggiormente il dipendente.

Permessi ROL goduti e non goduti

Ogni CCNL può stabilire un termine entro il quale i permessi ROL devono essere goduti dai lavoratori a cui spettano. In caso di ore ROL non godute alla scadenza del termine, solitamente il datore di lavoro le liquida in busta paga, quindi, il lavoratore non può più goderne.

E’ nella facoltà del dipendente richiedere la conversione in denaro da inserire in busta paga dei permessi ROL, possibilmente tramite richiesta scritta.

Retribuzione dei permessi ROL

Le ore di assenza dal lavoro in luogo di permessi ROL vengono retribuite allo stesso modo delle ore regolarmente lavorate. Poiché sono presenti in busta come retribuzione, i permessi ROL concorrono alla determinazione del reddito imponibili, sia ai fini fiscali che contributivi.

Ogni volta che vengono utilizzati o convertiti in denaro, i permessi ROL devono essere evidenziati in busta paga e sul Libro Unico del Lavoro.

Ti potrebbe interessare quali sono gli altri permessi di lavoro retribuiti: scoprilo QUI.

Diseredare i legittimari: si può fare? Scopri come agire

Si è visto nei precedenti articoli che la legge prevede diverse forme di successione: la successione legittima (applicata in assenza di un testamento, o quando il testamento viene considerato nullo o invalido), e la successione testamentaria. La base di una successione testamentaria è appunto un testamento in cui si stabilisce a chi vanno i propri beni in seguito alla morte. La legge però ha previsto delle categorie di persone che non possono essere danneggiate: gli eredi legittimari che hanno diritto alla quota di legittima. L’identificazione degli stessi nel caso concreto dipende dalla situazione personale del defunto, in linea generale gli eredi legittimari sono il coniuge e i figli, in alcuni casi, cioè in assenza di figli, sono legittimari anche i genitori o i nonni. La domanda che molti si pongono è: i legittimari possono essere diseredati?

Diseredare i legittimari

La risposta alla domanda se i legittimari possono essere diseredati non è così scontata come potrebbe sembrare, infatti la legge prevede la possibilità di diseredare i legittimari, ad esempio un figlio, sono nel caso di indegnità a succedere. I casi di indegnità però sono determinati in modo molto meticoloso dalla stessa legge, cioè l’indegnità non è misurata in base al punto di vista del soggetto che stila il testamento, ma in base a precise casistiche previste dalla legge e questo perché spesso la percezione di quelli che possono essere considerati comportamenti amorali è piuttosto soggettiva e si creerebbe un’incertezza ampia sul diritto successorio.

L’indegnità a succedere

L’indegnità a succedere è disciplinata dall’articolo 463 del codice civile che disciplina sei casi di indegnità a succedere:

  • Il numero 1 riguarda il legittimario che abbia ucciso o attentato alla vita del soggetto da cui si vuole ereditare, oppure del coniuge, di un ascendente o discendente di questo, ad esempio la moglie che ha cercato di uccidere il marito, oppure di uccidere il suocero o il figlio del marito, non può ereditare;
  • Il numero due dell’articolo prevede l’indegnità per il soggetto che nei confronti delle persone viste al numero 1 ha commesso un reato per i quale la legge penale dichiara applicabili le leggi sull’omicidio (istigazione al suicidio);
  • Il terzo punto dell’articolo prevede che sia indegno a succedere chi abbia testimoniato oppure abbia denunciato il soggetto da cui si vuole ereditare, il suo coniuge, gli ascendenti o i discendenti di costui per un reato punibile con l’ergastolo o con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a 3 anni. Per la dichiarazione di indegnità occorre che  la denuncia o la testimonianza sia  ritenuta calunniosa, quindi si tratterebbe comunque di una denuncia o di una falsa testimonianza;
  • Il numero 3 bis prevede l’indegnità a succedere per colui che sia decaduto dalla responsabilità genitoriale (questa si perde per gravi comportamenti in danno dei figli) e che nel momento della apertura della successione non sia stato reintegrato nella responsabilità stessa. Nel caso concreto il genitore perde la responsabilità genitoriale sul figlio, ad esempio per averlo lasciato in stato di abbandono, il figlio muore, in questo caso il genitore non può ereditare eventuali beni del figlio.

Altre cause di indegnità a succedere

L’articolo 463 procede con l’indicazione di ulteriori cause di indegnità:

  • Non può avere la legittima colui che con dolo o violenza ha indotto il de cuius a modificare o revocare un precedente testamento;
  • è indegno a succedere chi ha nascosto, distrutto o alterato un testamento. Ad esempio il figlio scopre che il padre ha redatto un ulteriore testamento in cui le sue quote di beni sono ridotte o in cui il padre riconosce un figlio nato fuori dal matrimonio e per invalidarlo, lo distrugge facendo valere il testamento precedente oppure facendo valere la successione legittima;
  • Infine, non può succedere chi ha redatto un testamento falso e lo ha utilizzato.

Occorre citare a questo punto anche l’articolo 463 bis del codice civile che stabilisce la sospensione dalla successionedel coniuge, anche legalmente separato, nonché la parte dell’unione civile indagati per l’omicidio volontario o tentato nei confronti dell’altro coniuge o dell’altra parte dell’unione civile, fino al decreto di archiviazione o alla sentenza definitiva di proscioglimento”.

Diseredare i legittimari: casi concreti

Tra le cause di indegnità che sono state viste, alcune erano conoscibili dal testatore già prima della morte e di redigere il testamento, mentre altre di fatto non potevano essere conosciute, ecco perché occorre fare delle distinzioni e capire in modo pratico come si può diseredare i legittimari.

Andando con ordine, può succedere che il figlio Caio abbia attentato alla vita del padre Sempronio e che questo, nel fare testamento, indichi in modo esplicito di escludere dall’eredità Caio in quanto indegno. Per farlo è necessario che però vi sia una sentenza passata in giudicato in cui sia appunto stabilito che Caio ha attentato alla vita del padre Sempronio. In questo caso se anche Caio impugnasse il testamento per lesione di legittima, avrebbe poche speranze, se non nel caso in cui riesca a capovolgere la sentenza ( in linea di massima potrebbe accadere).

Il secondo caso invece riguarda il coniuge X che abbia ucciso Y, in questo caso il testamento di Y non può contenere una disposizione con cui disereda X per indegnità perché evidentemente non poteva prevedere quello che sarebbe successo. In questo caso l’indegnità può essere richiesta dagli altri eredi o da chi avrebbe ereditato in assenza di X.  In tal caso, se una sentenza definitiva dichiara l’indegnità a succedere colui che comunque era entrato in possesso dell’eredità deve restituirla e restituire anche i frutti percepiti dal momento dell’apertura della successione al momento della dichiarazione di indegnità.

Diseredare in assenza di indignità prevista da legge

Il terzo possibile caso è quello il cui Tizio decida di diseredare il figlio Sempronio, ad esempio perché ha abbandonato l’azienda di famiglia dedicandosi ad altro o magari dissipando i beni di famiglia e quindi il padre decida di favorire i figli che hanno contribuito a far accrescere l’azienda diseredando il figlio andato via. In questo caso non c’è indegnità a succedere, il figlio Sempronio potrebbe reclamare la sua quota di legittima, oppure potrebbe decidere di non agire e quindi di rispettare le volontà del genitore che lo ha diseredato.

Infine, alcuni ritengono che attraverso le donazioni fatte in vita si possano aggirare le norme sulla quota dei legittimari, in realtà non è così, perché le donazioni fatte in vita possono essere oggetto di collazione o riunione fittizia nell’asse ereditario.

 

Tax credit vacanze ad agenzie e tour operator fino al 31 dicembre 2021

Il decreto Sostegni bis ha aperto ad agenzie di viaggio e a tour operato per la tax credit sulle vacanze. In particolare, si tratta dei pacchetti con destinazione delle vacanze in Italia. Il maggior numero dei beneficiari della tax credit è assicurato dal comma 3, dell’articolo 7, del decreto legge numero 73 del 2021. Il decreto Sostegni bis va dunque a modificare il comma 1 dell’articolo 176 del decreto legge numero 34 del 2020.

Agenzie di viaggi e tour operator si aggiungono alle strutture per l’utilizzo del bonus vacanze

Con la variazione introdotta dal decreto Sostegni bis, il governo ha inteso dare un “maggiore contributo all’obiettivo di rivitalizzare la domanda dei viaggi“. Infatti, le misure limitative introdotte per l’emergenza Covid hanno determinato un impatto al ribasso su tutto il turismo. Il settore comprende, da quanto si legge nella Relazione illustrative, oltre alle strutture ricettive, agli agriturismi e ai bed and breakfast, anche i tour operator e le agenzie di viaggio. Queste ultime due categorie hanno registrato riduzioni di oltre l’80% dei ricavi dall’inizio dell’emergenza Covid.

Bonus vacanze: da chi è stato richiesto dall’introduzione del Dl 34 del 2020

Nei numeri, alla fine del 2020 sono state 1.886.000 le famiglie che hanno prenotato il bonus vacanze per un impiego complessivo delle risorse pari a 820 milioni di euro. Ma meno della metà lo hanno effettivamente usato, per un numero di famiglie pari a 788mila.

Risorse del bonus vacanze nel 2020 e 2021: ancora 500 milioni da utilizzare

Le famiglie che non hanno ancora utilizzato il bonus vacanze (pari a circa 1,1 milioni) sono attese per l’utilizzo delle risorse pari a circa 500 milioni di euro. Potranno farlo entro il 31 dicembre 2021. In totale, i fondi stanziati dal decreto legge numero 34 del 2020 sono pari a 2,5 miliardi di euro, dei quali 1,67 miliardi per il 2020 e 733,8 per l’anno in corso. L’estensione della tax credit ai tour operator e alle agenzie di viaggi mira, pertanto, ad agevolare l’utilizzo delle risorse stanziate.

Chi può richiedere il bonus vacanze e con quali requisiti?

La domanda per l’utilizzo del bonus vacanze doveva essere presentata entro il 31 dicembre 2020. Il bonus, invece, può essere utilizzabile fino al 31 dicembre prossimo. L’inizio dell’utilizzo del bonus da parte di chi ha presentato domanda era fissato al  1° luglio del 2020. È necessario, per usufruire dello sconto, che almeno un giorno delle vacanze rientri tra il 1° luglio 2020 e il 31 dicembre 2021: ciò in vista delle vacanze natalizie con le quali si concluderà la possibilità di utilizzare il bonus. Il credito,  utilizzabile da uno solo dei componenti di un nucleo familiare, è determinato in:

  • 500 euro per ogni famiglia con un figlio a carico;
  • 300 euro per le famiglie composte da 2 persone;
  • 150 euro per le famiglie di una sola persona.

Chi paga deve essere lo stesso soggetto che utilizza il bonus vacanze?

È importante sottolineare che il componente del nucleo familiare Isee che paga può anche non coincidere con chi intende utilizzare il bonus vacanze. Il codice fiscale dell’utilizzatore, in ogni modo, deve essere riportato sulla fattura, sul documento commerciale, sullo scontrino o sulla ricevuta fiscale. Per la presentazione della domanda del bonus vacanze, scaduta a fine 2020 il valore dell’Isee non doveva superare i 40mila euro. La domanda si presentava in modalità telematica, utilizzando le credenziali Spid o Cie (Carta d’identità elettronica).

Detrazione del bonus vacanze nella dichiarazione dei redditi

La tax credit del bonus vacanze va utilizzato nella misura dell’80% come sconto e, per il restante 20%, come detrazione d’imposta nella dichiarazione dei redditi. La detrazione vale per il periodo d’imposta 2020 o 2021 a seconda dell’anno di utilizzo del bonus. Ciò significa che, per la detrazione da indicare nella dichiarazione dei redditi da parte della persona fisica che ha utilizzato il bonus vacanze (pari al 20% del bonus massimo), è necessario far riferimento alla data del pagamento. Se questa non supera il 31 dicembre 2020, la detrazione va effettuata nella dichiarazione dei redditi da presentare nel 2021 per l’anno di imposta 2020. Per i soggiorni pagati a partire dal 1° gennaio 2021, la detrazione d’imposta dovrà essere indicata nella dichiarazione dei redditi del 2022 per l’anno di imposta 2021.

Utilizzo del bonus vacanze: cosa c’è da sapere

Il bonus è utilizzabile dalle sole persone fisiche per il pagamento dei servizi di turistici usufruiti in Italia. I servizi devono essere resi da imprese del turismo e ricettive, da agriturismi, da bed and breakfast e, da ultimo, da tour operator e agenzie di viaggio.

Bonus vacanze, cosa deve fare l’esercente

Il fornitore del servizio turistico, che può essere la struttura ricettiva, l’agenzia di viaggio o il tour operator, per applicare lo sconto al momento dell’incasso, deve accedere all’area riservata del sito dell’Agenzia delle entrate con le credenziali di Fisconline o Entratel, oppure con lo Spid, Carta di identità elettronica o la Carta nazionale dei servizi. Il fornitore dovrà inserire:

  • il Qr Code o il codice univoco associato al bonus vacanze che viene fornito dal cliente;
  • il codice fiscale del beneficiario (cliente) che deve essere indicato anche nella fattura, nel documento commerciale, nello scontrino o nella ricevuta fiscale;
  • l’importo totale del corrispettivo dovuto al lordo dello sconto da applicare.

Modello F24 elide: quando si usa e come si compila

Il modello F24 elide viene utilizzato per tutti quei pagamenti che non sono fattibili con il modello F24 ordinario. Tuttavia ecco per cosa si usa.

Modello F24 elide: cosa si può versare?

Il modello F24 “elide” si chiama così perché è l’abbreviazione di “Elementi identificativi”. Tramite il modello F24 elide il contribuente può pagare una serie di versamenti. Pertanto possiamo così riassumerli:

  • il contributo unificato per il processo amministrativo;
  • imposta di registro, i tributi speciali e compensi, l’imposta di bollo, le sanzioni e gli interessi relativi alla registrazione di contratti di locazione e affitto di bene immobili;
  • addizionali erariale alla tassa automobilistica
  • imposte e tasse ipotecarie, tributi speciali catastali e relativi accessori, interessi e sanzioni amministrative, e di ogni altro corrispettivo dovuto agli Uffici Provinciali- Territorio connesso al rilascio di certificati. Ma anche imposte dovute per copie e attestazioni, estrazione dati e riproduzioni cartografiche, nonché alla presentazione di atti di aggiornamento catastali presso gli Uffici medesimi;
  • l’Iva per estrazione di beni dal deposito IVA;
  • i diritti di brevetto e tasse sui marchi;
  • l’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali dovuta dai soggetti che svolgono attività di raccolta di prodotti selvatici e legnosi e delle piante officinali spontanee;
  • l’Iva per l’immatricolazione dei veicoli acquistati nel mercato intracomunitario;
  • le sanzioni irrogate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
  • l’imposta di acquisto e l’immatricolazione in Italia di veicoli di categoria M1 con emissione eccedenti la soglia di 160 co2 g(km), di cui all’articolo 1, comma 1042, della legge n.145 del 2018;
  • l’iva per l’immissione in consumo dei prodotti dal deposito fiscale o per l’estrazione dal deposito di un destinatario registrato, di cui all’art. 1, comma 937, della legge n.205 del 2017.

Come si compila il modello?

Il modello F24 elide è diviso in sezioni. La parte superiore a destra viene compilata dall’agenzia bancaria o postale che si sta occupando di far effettuare, al contribuente, il pagamento per l’accredito alla tesoreria competente. Mentre nella sezione contribuente si inseriscono i dati di chi sta effettuando il pagamento:

  • codice fiscale, dati anagrafici, domicilio fiscale;
  • codice fiscale del coobligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare, quando rischiesti.

La sezione erario richiede alcuni dati importanti:

  • il codice dell’ufficio destinatario del pagamento o che ha emesso l’atto. Inoltre il codice ufficio è formata da tre lettere, ad esempio per la città di Catania è TXN.
  • il codice atto a cui si riferisce il pagamento. Se il contribuente effettua il pagamento per più atti, devono essere compilati tanti modelli quando sono gli atti. Ad esempio in un contratto di locazione, nel caso di rinnovo, alla voce “codice atto”, si compila con il numero di registrazione del contratto.
  • la tipologia di versamento per la quale è prevista l’indicazione di particolari elementi identificativi. Tutti i tipi sono indicati nella seguente tabella dell’Agenzia delle entrate.

Inoltre non dimenticare l’ann o di riferimento del pagamento e l’importo a debito. Il modello nella parte finale va firmato con una firma chiara.

Casi particolari di compilazione

A questo punto è giusto fare delle precisazioni. Nel caso di versamento dell””IVA immatricolazione auto UE” , nelle specifiche colonne devono essere riportati nel “tipo” veicolo(A=autoveicolo, M=monoveicolo, R=rimorchio), il numero di telaio, il codice tributo, l’anno a cui fa riferimento il versamento indicato con quattro cifre: ad esempio 2021. Mentre se si tratta di tributi per i servizi di aggiornamento dei registri immobiliari, o modifiche a contratti di locazione commerciale o ordinari, devono essere riportati:

  • nella sezione “Contribuente”, il codice fiscale e i dati anagrafici del soggetto che effettua il versamento
  • nella sezione “Erario e altro”:
    • “codice ufficio”: il codice dell’Ufficio provinciale- Territorio presso cui è effettuata l’operazione per la quale è dovuto il pagamento
    • “tipo” la lettera “R”
    • “elementi identificativi” l’identificativo numerico del titolo (obbligatorio solo per imposte e tasse ipotecarie)
    • “codice” il codice tributo
    • “anno di riferimento” l’anno di formazione del titolo,
    • “importi a debito versati” gli importi da versare.

Completa il modulo la firma del contribuente. In ogni caso l’ultimo riquadro in basso sugli “Estremi del versamento” è una sezione a carico della posta o della banca, quindi  non va compilata dal contribuente.

Come di paga il modello F24 elide?

I soggetti possesso di partita IVA devono pagare telematicamente il modello. Anche i soggetti privati possono utilizzare la stessa metodologia. Inoltre i versamenti possono essere fatti, presso gli sportelli di qualunque agente della riscossione, banca o posta. Il pagamento può essere effettuato:

  • in contanti;
  • assegni bancari o postali tratti dal contribuente a favore di se stesso o con assegni circolari o vaglia postali o assegni postali vidimati, emessi dallo stesso contribuente, e girati per l’incasso alla banca o alla Posta;
  • addebito su conto corrente;
  • parte PagoBancomat, presso gli sportelli abilitati;
  • assegni circolari e vaglia cambiari presso gli agenti di riscossione;
  • carta Postamat, Postepay.

 

Quando si può chiedere il congedo straordinario

I lavoratori che assistono un familiare disabile hanno diritto alla fruizione di un congedo straordinario retribuito, ma solo a determinate condizioni.

Per congedo straordinario s’intende un lungo periodo di assenza dal lavoro di cui usufruisce il lavoratore per assistere un disabile e durante il quale ha diritto di ricevere un’indennità, solitamente erogata dall’INPS ma anticipata dal datore di lavoro.

Tale aspettativa può essere richiesta se il familiare assistito è affetto da grave disabilità per una durata massima di due anni, per ogni lavoratore e per ogni portatore di grave handicap.

E’ considerato disabile grave la persona con una minorazione psichica, fisica o sensoriale che ne ha ridotto l’autonomia personale tanto da rendere indispensabile un assistenza totale, permanente e continuativa.

Congedo straordinario: a chi spetta

Possono fruire del congedo straordinario i lavoratori dipendenti familiari del disabile grave, secondo un ben definito ordine prioritario;

  • Il coniuge o la parte dell’unione civile convivente;
  • uno dei genitori (anche adottivi o affidatari) in caso di decesso o presenza di patologie invalidanti del coniuge;
  • uno dei figli conviventi, in caso di assenza o decesso dei genitori e se questi sono affetti da patologie invalidanti;
  • uno dei fratelli o sorelle conviventi, dovuti da assenza o decesso o ancora da presenza di patologie invalidanti dei figli;
  • un parente o affine entro il terzo grado convivente, se fratelli e sorelle mancano o sono deceduti o sono affetti da patologie invalidanti.

Il requisito della convivenza (verificata) è indispensabile se il congedo straordinario è richiesto dal coniuge o dalla parte dell’unione civile, dai figli, fratelli e sorelle, parenti e affini entro il terzo grado del disabile grave.

I lavoratori esclusi dal congedo straordinario

Non possono fruire del congedo straordinario per l’assistenza dei disabili i lavoratori autonomi, parasubordinati, domestici e familiari o che assistono un disabile ricoverato a tempo pieno (fatte salve alcune eccezioni previste dalla legge). I dipendenti a domicilio o a contratto a tempo parziale verticale durante le pause di sospensione contrattuale e gli agricoli giornalieri.

Congedo straordinario: durata

Come già anticipato, la durata massima del congedo straordinario per ogni lavoratore e con riferimento a ogni disabile è pari a due anni (anche non continuativi e frazionabili in giorni ma non in ore).

Non è possibile raddoppiare questa aspettativa per lo stesso lavoratore. Tuttavia, se ci sono due figli disabili gravi all’interno nel nucleo familiare, può succedere che uno dei genitori fruisca dei due anni di congedo per uno dei figli e l’altro genitore di due anni per l’altro figlio.

I sabato e le domeniche, così come i giorni festivi sono conteggiati nel congedo (salvo la ripresa del lavoro). Sono esclusi dal computo i giorni di ferie, di malattia, le festività. L’assenza per congedo straordinario e l’indennità decorrono dalla data della domanda.

Fruizione del congedo straordinario: requisiti

Per beneficiare del congedo bisogna essere dipendenti, pubblici o privati che siano (cambiano solo alcune regole). La persona assistita deve essere riconosciuta disabile grave ai sensi della legge 104 e certificata dall’apposita Commissione Medica ASL / INPS.

Il disabile che beneficia dell’assistenza non deve essere ricoverato 24h in strutture ospedaliere pubbliche o private che forniscono assistenza sanitaria continuativa. Tuttavia, esistono dei casi di esclusione dalla predetta regola, ossia:

  • il ricovero a tempo pieno risulti sospeso in quanto il paziente ha l’esigenza di recarsi all’esterno della struttura ospitante per effettuare visite e cure certificate;
  • il disabile sia ricoverato in stato vegetativo persistente o con prognosi infausta a breve termine;
  • il disabile necessiti di assistenza da parte di un genitore o di un familiare.

Come richiedere il congedo straordinario?

La richiesta di congedo straordinario deve essere inoltrata al sito INPS, tramite il servizio “Invio online di domande di prestazioni a sostegno del reddito”. Oppure attraverso i patronati o telefonando al call center INPS (803.164 gratuito da fisso e 06.164164 da mobile).

L’indennità del congedo straordinario

L’indennità per congedo straordinario, su cui sono accreditati anche i contributi figurativi INPS, è pari alla retribuzione percepita nel mese di lavoro antecedente l’aspettativa, esclusi gli elementi variabili ed entro un limite massimo di reddito annuo rivalutato secondo gli indici Istat.

I periodi di congedo straordinario non sono validi per la maturazione delle ferie, della tredicesima, quattordicesima e TFR. Invece, sono validi per il calcolo dell’anzianità assicurativa.

Nel caso in cui il lavoratore benefici di un’integrazione dello stipendio antecedentemente al congedo, l’indennità va calcolata sempre in riferimento all’ultima retribuzione percepita scomputata dal trattamento integrativo.

Ti potrebbe interessare, leggere anche:

Aspettativa non retribuita: quando si può chiedere

Il dipendente pubblico o privato può chiedere al suo datore di astenersi dalle sue mansioni lavorative per un determinato periodo di tempo, nel caso sussistano le motivazioni previste dalla legge o dai contratti collettivi nazionali di lavoro.

In alcuni casi il congedo, che prevede la sospensione temporanea del rapporto di lavoro, ma anche la conservazione dell’impiego, viene comunque retribuita. In altri casi, di cui parleremo in questo articolo, l’aspettativa non è retribuita.

A prescindere dal trattamento economico, l’aspettativa non retribuita (o congedo) ha una sua durata massima, terminata la quale, il lavoratore subordinato può rientrare al lavoro, riprendendo lo svolgimento regolare della sua attività, quindi, con le stesse condizioni contrattuali.

Quando si può chiedere l’aspettativa non retribuita?

Il periodo di congedo non retribuito si può chiedere nei casi previsti dalla legge o dai Ccnl. Le fattispecie sono tante e per ciascun dipendente dovrebbe leggere le disposizioni previste dal contratto collettivo di categoria. Qui di seguito, andremo ad elencare le situazioni principali che il nostro ordinamento contempla come presupposto indispensabile per fare richiesta al datore di lavoro di aspettativa.

Aspettativa non retribuita per gravi motivi familiari

Nel caso ricorrano gravi motivi familiari, il lavoratore impiegato nel settore pubblico o privato può chiedere un periodo di aspettativa non retribuita. Diamo uno sguardo ai soggetti interessati da tale fattispecie prevista dalla legge, che non richiede il requisito della convivenza:

  • coniuge o parte dell’unione civile;
  • genitori (se assenti gli ascendenti);
  • suoceri;
  • figli, anche adottivi o affidatari (se assenti i discendenti);
  • nuore e generi;
  • fratelli e sorelle;
  • parenti o affini entro il terzo grado in caso siano portatori di grave handicap.

Il Ministero del Lavoro stabilisce che rientrano nella richiesta di congedo per gravi motivi familiari, anche la morte di un familiare o situazioni che comportano l’assistenza e la cura di familiari da parte del dipendente e della sua famiglia. Inoltre, vi rientrano anche le condizioni di disagio personale del lavoratore (malattia esclusa).

La richiesta di congedo per un determinato lasso temporale dovuta a gravi motivi familiari è prevista anche per gravi patologie dei parenti, eccezion fatta per la malattia del richiedente.

La durata massima della suddetta aspettativa è pari a due anni all’interno di tutta la vita lavorativa del dipendente. La fruizione del periodo può essere continuativa o frazionata.

Aspettativa non retribuita per cariche sindacali e pubbliche elettive

Gli impiegati pubblici o privati eletti in cariche elettive possono richiedere un periodo di congedo non retribuito di durata pari a quella del mandato. Il medesimo criterio viene applicato anche nel caso di nomina a dirigenti sindacali.

A tal proposito, puoi leggere anche il seguente articolo che, invece, prevede dei permessi retribuiti anche per cariche pubbliche o elettive e non solo:

Permessi di lavoro retribuiti: quali sono

Aspettativa non retribuita per formazione

I lavoratori impiegati nel settore pubblico o privato possono inoltrare al datore di lavoro una richiesta di aspettativa non retribuita per esigenze di formazione. Tuttavia, tale fattispecie è prevista solo per coloro che vantano un’anzianità minima di servizio pari a 5 anni e con per una durata che non può superare gli undici mesi nell’arco dell’intera vita lavorativa.

Il congedo non retribuito per formazione può includere la partecipazione ad attività formative diverse da quelle erogate dall’azienda o la conclusione del corso di scuola dell’obbligo o ancora il conseguimento del diploma di laurea o di un altro titolo di studio.

Aspettativa non retribuita per dottorato

Il lavoratore dipendente vincitore di un concorso di dottorato di ricerca può ottenere un periodo di congedo per una durata pari a quella del corso di relativo dottorato. Tuttavia, se il lavoratore impiegato nel settore pubblico beneficia di un’aspettativa retribuita, il dipendente privato non fruisce di alcuna retribuzione, ma ha diritto alla borsa di dottorato concessa al vincitore del relativo concorso.

Aspettativa non retribuita per tossicodipendenti

L’aspettativa non retribuita può essere chiesta anche dai dipendenti tossicodipendenti e loro familiari. La durata massima prevista è pari a tre anni, periodo utile alla partecipazione personale o all’assistenza di un familiare nei percorsi di disintossicazione svolti dalle autorità sanitarie. La richiesta per tale congedo deve essere accompagnata dall’attestazione della tossicodipendenza rilasciata solitamente dal SERT.

Aspettativa non retribuita per avvio attività

I lavoratori dipendenti, ma solo quelli impiegati nel pubblico, possono richiedere un periodo di congedo non retribuito della durata massima di dodici mesi, per l’avvio di un’attività imprenditoriale o professionale. E’ nella facoltà del datore di lavoro, tenere conto nella concessione di tale aspettativa delle proprie esigenze organizzative e all’esame della documentazione allegata alla richiesta da parte del dipendente.

Aspettativa non retribuita, non prevista dalle legge o dai contratti collettivi

Il datore di lavoro ha la possibilità di concedere ai propri dipendenti un periodo di congedo non retribuito per ragioni non contemplate dai CCNL o dalla legge. Nel caso in cui avvenga la concessione, le due parti procedono alla sottoscrizione di un accordo che indica le motivazioni alla base dell’aspettativa, le indicazioni relativi alla sua durata e alla mancata retribuzione.

Puoi leggere anche: Come funziona l’aspettativa per motivi personali

Auto aziendale per collaboratori con partita IVA, tutto quello che c’è da sapere

Per molte aziende l’assegnazione e la concessione di vetture di servizio a dipendenti e collaboratori è una prassi comune e consolidata. Così come lo è in Italia anche ai fini dell’inquadramento ai fini fiscali. L’impresa, nel concedere l’auto aziendale ai dipendenti, agli amministratori ed ai collaboratori, anche con partita Iva, deve infatti sempre fare una scelta.

Ovverosia, fissare la modalità di assegnazione della vettura di servizio. Una scelta che è obbligatoria da fare a monte in quanto la tassazione, e le eventuali agevolazioni fiscali, dipenderanno proprio dalle modalità di assegnazione dell‘auto aziendale al collaboratore con la partita IVA.

Auto aziendale per i collaboratori con la partita IVA, come si assegna?

Nel dettaglio, l’auto aziendale assegnata dall’impresa al collaboratore con partita Iva può essere ad uso esclusivamente aziendale, ad uso sia aziendale che privato, oppure ad uso esclusivamente privato. La formula più utilizzata è in genere quella ad uso sia aziendale che privato.

Ed in tal caso si dirà che l’impresa ha assegnato l’auto aziendale, al collaboratore con la partita IVA, ad uso promiscuo. Una formula che, tra l’altro, copre ai sensi di legge pure il tragitto casa-lavoro e ritorno così come è riportato e spiegato in questo articolo.

Auto aziendale per i collaboratori con la partita IVA, quando è un compenso in natura?

Dal punto di vista prettamente fiscale, per l’Agenzia delle Entrate l’assegnazione di un’auto aziendale ai dipendenti, agli amministratori ed ai collaboratori, anche con la partita IVA, equivale in tutto e per tutto all’erogazione di un compenso in natura.

E, come sopra accennato, è soggetto a tassazione e, nello stesso tempo, pure ad agevolazioni fiscali in ragione della destinazione d’uso. Ovverosia, auto aziendale, auto personale oppure auto ad uso promiscuo. Inoltre, se l’auto concessa non è solo a scopo aziendale, allora per la tassazione si rientra nell’istituto del cosiddetto fringe benefit. Il calcolo dell’importo delle ritenute fiscali, legate al fringe benefit, spetterà al datore di lavoro che, al riguardo, agirà in qualità di sostituto di imposta.

Nel dettaglio, l’auto aziendale per collaboratori con la partita IVA è un compenso in natura quando è un bene ad uso personale o promiscuo. Mentre per l’auto ad uso esclusivamente aziendale non c’è imposizione a livello previdenziale e fiscale. In quanto in tal caso, ai sensi di legge, il mezzo di trasporto non potrà essere utilizzato al di fuori del lavoro.

Come si concede la vettura di servizio ad un collaboratore con la partita IVA?

Per l’assegnazione di una vettura di servizio ad un collaboratore con la partita IVA, come auto personale o come auto ad uso promiscuo, è necessaria una lettera. Ovverosia, la lettera di assegnazione del fringe benefit con tanto di data di decorrenza e di termine di assegnazione del mezzo di trasporto.

In più, nella lettera di assegnazione del fringe benefit occorre esplicitamente indicare, tra l’altro, la finalità d’uso dell’auto aziendale e gli estremi del veicolo, ai fini della sua identificazione. Inoltre, ed in genere, nella lettera di assegnazione sono elencate pure tutte le cause di revoca unilaterale del fringe benefit.

Nuovo calendario fiscale per la Rottamazione Ter e il Saldo e Stralcio

L’emergenza Covid ha sicuramente portato molti problemi economici agli italiani e in particolare alle aziende la cui liquidità è messa a dura prova dai cali di fatturato che in alcuni settori sono stati davvero importanti. Per aiutare coloro che sono in difficoltà con i pagamenti, il decreto Sostegni Bis ha indicato nuove date di scadenza per le rate della Rottamazione Ter e del Saldo e Stralcio e che erano tutte in scadenza il 31 luglio 2021. Vedremo in sintesi le nuove date per provvedere ai pagamenti.

Il nuovo calendario fiscale

Se avevi delle rate scadute per il piano Rottamazione Ter, che ha agevolato il pagamento di debiti iscritti al ruolo eliminando sanzioni e interessi maturati nel tempo, oppure delle rate del Saldo e Stralcio (questo prevede una riduzione degli importi dovuti dai contribuenti che si trovano in una situazione economica grave che naturalmente deve essere comprovata), il decreto Sostegni Bis ha buone novità per te. Ecco le nuove scadenze:

  • Rata scaduta il 28 febbraio 2020 della Rottamazione Ter: scade il 2 agosto 2021, ma è stata prevista una tolleranza di ulteriori 5 giorni;
  • rata scaduta 31 marzo del 2020 del Saldo e Stralcio scade il 2 agosto 2021, anche in questo caso con un’ulteriore tolleranza di 5 giorni;
  • Rottamazione Ter con scadenza 31 maggio 2020 deve essere pagata entro il 31 agosto 2021;
  • Rottamazione Ter scaduta il 31 luglio 2020 deve essere pagata entro il 30 settembre 2021;
  • Saldo e Stralcio scaduto il 31 luglio 2020 da pagare entro il 30 settembre 2021;
  • Rottamazione Ter scaduta il 30 novembre 2020 da pagare entro il 2 novembre 2021;
  • da pagare entro il 30 novembre 2021 tutte le rate scadute il 28 febbraio 2021, il 31 marzo 2021, il 31 maggio 2021 e il 31 luglio 2021 e non ancora versate.

I vantaggi del nuovo calendario fiscale

Con il nuovo calendario fiscale del decreto Sostegni Bis, convertito in Legge 23 luglio 2021, n. 106 recante misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali, si evita anche un vero e proprio ingolfamento del sistema dovuto alla concentrazione di tutte le scadenze delle vecchie rate al 31 luglio 2021.

Il decreto Sostegni Bis ha quindi previsto un’ulteriore agevolazione con dilazione dei pagamenti per le varie rate scadute nel 2020 e ancora non pagate, mentre ha convogliato tutte le rate scadute nel 2021 alla fine di novembre. Per tutte le date che sono state viste, è prevista un’ulteriore tolleranza di 5 giorni, quindi quelle in scadenza al 30 novembre devono essere versate entro le ore 00:00 del 6 dicembre.

Pace fiscale con annullamento cartelle esattoriali

A questa importante novità occorre aggiungere che, in base al decreto attuativo approvato dal MEF, entro il 31 ottobre del 2021 dovrebbe essere portata a compimento la pace fiscale con annullamento automatico delle cartelle iscritte a ruolo e comprese tra il 1°gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010.

Si tratta di un importante provvedimento che prevede la cancellazione delle cartelle esattoriali comprese tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2010 il cui ammontare è inferiore a 5.000. La cancellazione di questo debito fiscale è però riservata ai contribuenti che nel 2019 hanno dichiarato un reddito inferiore a 30.000 euro.

In questo caso il contribuente non ha adempimenti da compiere, infatti ci sarà un incrocio dei dati posseduti dall’Agenzia Entrate e Riscossioni che porterà alla creazione di una lista di contribuenti a cui si annullano le cartelle di pagamento che rientrano nelle caratteristiche viste.

Lo stralcio però non riguarderà tutti i debiti nei confronti dell’erario e in particolare sono esclusi:

  • i debiti derivanti dalla restituzione di aiuti di Stato;
  • debiti che derivano da pronunce della Corte dei Conti;
  • multe, ammende e sanzioni previste in sentenze penali;
  • iva riscossa all’importazione.

Come posso difendere il diritto di proprietà su un immobile

Generalmente quando si ha un titolo in cui rileva la proprietà di un immobile e lo stesso è iscritto nei pubblici registri dei beni immobili, o semplicemente catasto, si può stare tranquilli e non è necessario difendere diritto di proprietà su un bene immobile. Vi sono però delle situazioni che richiedono tutela, ecco come difendere il diritto di proprietà su un immobile.

Il diritto di proprietà

Nonostante l’articolo 832 del codice civile sia abbastanza chiaro nel definire il diritto di proprietà come “diritto reale che attribuisce al suo titolare il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”  possono esservi delle azioni di disturbo da parte di altri soggetti, spesso un vicino, oppure è necessario rivendicare il diritto di proprietà nei confronti di chi la possiede in modo illegittimo. Il diritto prevede diverse azioni giudiziarie per difendere il diritto di proprietà su un immobile, qui si proverà una sintesi, rimandando a ulteriori approfondimenti già presenti sul sito e ricordando che in ogni caso per difendere il diritto di proprietà è necessario avvalersi della collaborazione di un avvocato specializzato in diritto civile e rapporti di vicinato che possa effettivamente introdurre un giudizio.

Difendere il diritto di proprietà: l’azione negatoria

Le situazioni che possono verificarsi sono diverse e ognuna deve essere trattata in modo adeguato. La prima cosa che può capitare è che ci sia un soggetto che disturba il mio diritto di proprietà affermando che lui ha un valido titolo di acquisto per questa stessa proprietà e che quindi vuole ottenere il bene.

In questo caso per evitare di essere costantemente disturbati da questo soggetto, si può esercitare un’azione negatoria, disciplinata dall’articolo 949 del codice civileIl proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno”.

Tale azione giuridica è ammessa per far cessare il disturbo altrui, quindi non può essere una mera azione di accertamento generico, deve esserci il disturbo altrui costituito in minacce, tentativi di effrazione o azioni simili, in caso contrario la domanda viene rigettata per mancanza dell’interesse ad agire, senza entrare nel merito.

In giudizio chi esercita l’azione, cioè il soggetto che subisce le altrui rivendicazioni deve semplicemente provare di avere un valido titolo di acquisto del bene, ad esempio un atto di compravendita regolare, non viziato, un testamento, o una successione legittima. L’azione negatoria è importante anche ai fini dell’usucapione, infatti questa evita che un soggetto che magari per anni ha coltivato senza titolo un fondo possa usucapirlo.

Difendere il mio diritto di proprietà: Azione di regolamento confini e apposizione termini

Un altro caso comune riguarda i confini, capita purtroppo spesso che il vicino del proprio fondo tenti di appropriarsi di strisce di terreno confinanti, magari inizia a coltivarci un piccolo orto, pianta qualche albero o addirittura costruisce una recinzione, magari confidando nella scarsa attenzione del vicino. In questo caso per difendere il diritto di proprietà su un immobile c’è l’azione di regolamento di confini disciplinata dall’articolo 950 del codice civile.  L’azione di regolamento dei confini presuppone che i termini di confine siano contestati o non chiari e di conseguenza sia necessario accertare nuovamente gli stessi. Ciascuna delle parti può provare con ogni mezzo il limite del proprio fondo. Il giudice però può anche non tenere in considerazione gli elementi di prova portati dalle parti e avvalersi semplicemente delle mappe catastali laddove queste riescano comunque a dare certezza dei confini.

L’articolo 951 del codice civile va oltre, infatti descrive l’azione di apposizione dei termini e stabilisce che quando i termini non sono apposti, non sono più visibili o sono irriconoscibili, ciascun proprietario ha il diritto di chiedere che questi siano apposti e le spese sono sostenute da tutte le parti coinvolte.

Ulteriori azioni a tutela del diritto di proprietà

Per difendere il diritto di proprietà su un immobile è possibile esercitare anche l’azione di rivendicazione, la stessa è già stata ampiamente discussa nell’approfondimento.

Leggi l’approfondimento sull’azione di rivendicazione.

Il diritto di proprietà può essere difeso anche nel caso in cui un soggetto vanti un’usucapione sull’immobile.

Scopri i requisiti per maturare l’usucapione;

Come evitare l’usucapione;

Scopri come provare l’usucapione.

Bonus affitti, il quadro RU per indicare gli aiuti ricevuti nel 2020

Con l’emergenza sanitaria, il legislatore ha previsto delle agevolazioni per sostenere autonomi e imprese dai danni causati dalla crisi. Una delle varie misure è stata il credito di imposta per i canoni di locazione pagati nell’esercizio dell’attività. Anche per il bonus affitti, dunque, è necessario indicare gli aiuti ricevuti nel quadro RU del modello.

Affitti, il primo bonus del 2020 da dichiarare nel quadro RU: il credito d’imposta per botteghe e negozi

Un primo aiuto sugli affitti, all’inizio della pandemia, è stato previsto dall’articolo 65 del decreto legge numero 18 del 2020. Il credito d’imposta per i canoni di locazione delle botteghe e dei negozi, è stato utilizzato dalle attività a partire dal 25 marzo 2020. Ai beneficiari è stato garantito un credito d’imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione relativo al solo mese di marzo 2020. Da segnalare che il credito d’imposta era ammesso limitatamente agli immobili rientranti nella categoria catastale C/1.

Attività che hanno beneficiato del credito di imposta sugli affitti a marzo 2020

Più nel dettaglio, il credito d’imposta è stato riconosciuto alle imprese che hanno dovuto chiudere l’attività per l’aggravarsi della situazione sanitaria in Italia. Il bonus, dunque, collegato al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’11 marzo 2020, aveva sospeso le attività:

  • commerciali al dettaglio, a eccezione di quelle di generi alimentari;
  • ristorative;
  • dei servizi alla persona, come barbieri, parrucchieri, estetisti.

Il collegamento con il D.P.C.M. spiega anche l’esclusione di immobili di categoria catastale diversa dalla C/1, e dunque delle relative attività, al credito d’imposta sugli affitti.

Come si indica nel quadro RU il credito imposta affitti di marzo 2020

Chi ha percepito il credito d’imposta sugli affitti del mese di marzo 2020 adesso dovrà indicarlo nel quadro RU con il codice 11. L’importo da indicare nel rigo RU 5, alla colonna numero 3, è quello inerente alle spese sostenute nel corso del 2020. La compensazione si deve indicare nel rigo RU 6. Se è sopraggiunta la cessione del credito, va indicata nel rigo RU 9: in tal caso il cessionario non ha l’obbligo di compilare il quadro RU.

Bonus affitti 2020, il credito d’imposta istituito con il Dl 34 del 2020

I beneficiari del credito d’imposta istituito con il decreto legge numero 34 del 2020 sono stati sicuramente in numero più elevato. Il comma 1 dell’articolo 28 del provvedimento specifica che, al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza da Covid, ai soggetti che svolgono attività d’impresa, arte o professione, con volume di ricavi o di compensi non oltre i 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello di entrata in vigore del decreto, è previsto un credito d’imposta nella misura del 60% dell’ammontare mensile del canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili a uso non abitativo. L’immobile deve essere destinato allo svolgimento di attività industriali, commerciali, artigianali, agricole, turistiche oppure all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo.

Bonus affitti Dl 34, i periodi da considerare sono marzo, aprile e maggio 2020

Il credito d’imposta dell’articolo 28 del Dl 34/2020 spetta, altresì, alle strutture alberghiere e agrituristiche a prescindere dal volume di ricavi o compensi registrati nel periodo di imposta precedente. Ulteriori beneficiari del credito di imposta sono gli enti non commerciali e del terzo settore. Inoltre, rientrano anche gli enti religiosi civilmente riconosciuti. Il periodo di imposta previsto dal Dl 34 del 2020 deve essere considerato in riferimento ai mesi di marzo, aprile e maggio. Le strutture turistiche ricettive con attività stagionali devono far riferimento ai mesi di aprile, maggio e giugno 2020.

Come si registra il bonus affitti 2020 nel quadro RU

Attività e autonomi che hanno beneficiato del bonus affitti di marzo, aprile e maggio 2020 devono indicarlo nel quadro Ru. Il rigo di riferimento è Ru 5 alla colonna 3: qui si deve indicare l’ammontare del credito d’imposta spettante in riferimento ai canoni di locazione o di affitto relativi al periodo d’imposta oggetto della dichiarazione. In caso di cessione del credito d’imposta si deve indicare, invece, il rigo RU 9. In tale ipotesi, deve essere riportato nella colonna l’importo ceduto e comunicato all’Agenzia delle entrate tramite la procedura prevista. Non si deve compilare, in caso di cessione del credito d’imposta, la sezione VI B.

Credito di imposta nel rigo RU 5 per bonus affitti 2020: prospetto Aiuti di Stato

A differenza del primo bonus relativo a “botteghe e negozi”, il credito d’imposta previsto dal decreto legge 34 deve rispettare i limiti e le condizioni previste dal “Quadro temporaneo per le misure di aiuti di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza Covid”. Quindi, l’ammontare del credito indicato nel rigo RU 5 deve essere anche inserito nel prospetto “Aiuti di Stato” che si trova nel quadro RS. In questo caso, è necessario andare al rigo RS 401 e utilizzare il codice 60.