Pensioni per tutti con uscita flessibile a 64 anni, la quiescenza del futuro

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Apertura piena da parte del governo a mettere finalmente mano alle pensioni. Il superamento della riforma Fornero vede il governo, forse per la prima volta aprire ad una revisione completa del sistema. Ma non sono certo buone notizie, o meglio, non sono le notizie che tanti attendevano. Infatti si parte con un secco no alla quota 41 per tutti, misura caldeggiata dai sindacati da molto tempo, ed una volta caldeggiata anche dalla Lega di Matteo Salvini salvo poi fare dietrofront o quasi come su quasi tutta la linea politica del Carroccio di questi tempi.
E poi, pensione flessibile dai 62 anni e senza penalità, altro cavallo di battaglia dei sindacati, cestinata e non ammissibile per il governo. Ma allora di cosa si tratta e su cosa avrebbe aperto il governo? La riforma delle pensioni secondo l’esecutivo prevede una pensione flessibile dai 64 anni di età. La stessa medesima età con cui si concede oggi l’uscita con la nuova quota 102, tanto per intenderci.

Cosa si sta preparando per le pensioni, l’uscita a 64 anni per tutti, ma con penalità

Nessuna intesa e non poteva essere altrimenti tra sindacati e governo alla luce dell’ultimo summit di ieri 15 marzo. Posizioni sempre distanti e governo che apre alla riforma, ma partendo da una età che ai sindacati non piace. Uscita come per la quota 102 di oggi, cioè pensione per tutti a 64 anni. Una nuova misura flessibile.
Pochi fanno rilevare cosa significa flessibile quando si parla di pensioni. Flessibilità significa opzione, cioè lasciare la scelta al lavoratore se continuare a lavorare o andare in pensione. La parola flessibilità collegata alle pensioni significa penalità. Così come non può esistere sistema pensionistico contributivo senza flessibilità, così non può esistere sistema flessibile senza penalizzazioni di assegno.
In un sistema basato sul calcolo contributivo della pensione, cioè su un calcolo che prevede una pensione in base al montante contributivo, è naturale che una pensione sarà più ricca per chi più versa. Prima si esce dal lavoro, meno contributi si versano, meno si prende di pensione. E questo è alla base della flessibilità, che lascia la scelta al lavoratore se uscire prima prendendo una pensione più bassa di quella che gli spetterebbe l’anno successivo per esempio, restando in servizio.
Ma flessibilità significa porre delle nette differenze tra l’importo dell’assegno in base all’età prescelta per uscire. E qui che entra in gioco la penalizzazione di assegno che resta alla base della proposta del governo di una pensione flessibile dai 64 anni di età.

Si litiga anche sul taglio dell’assegno

Per il governo ogni anno di anticipo rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria a 67 anni dovrebbe prevedere il 3% di taglio dell’assegno. Conti semplicistici parlano quindi di un taglio del 9% massimo considerando in 3 anni il numero massimo di anni di anticipo tra i 64 anni della pensione flessibile ed i 67 della quiescenza ordinaria. Se così fosse, un lavoratore che a 67 anni percepirebbe un assegno da 1.500 euro al mese uscendo a 67 anni, uscendo a 64 anni percepirebbe 1.365 euro al mese.
Per i sindacati invece questo taglio non è quello che effettivamente subirebbero i pensionati. Secondo le parti sociali infatti il taglio sarebbe ben maggiore. Soprattutto per chi rientra nel sistema misto si rischia di perdere il 30% di pensione.
Più elevati sono gli anni di contributi prima del 1996, più è forte la perdita di assegno. Infatti il governo avrebbe in mente di applicare il ricalcolo contributivo a questa pensione a 64 anni per tutti. Infatti verrebbe estesa la pensione anticipata contributiva a tutti. La misura oggi vigente è destinata ai lavoratori privi di contribuzione al 31 dicembre 1995.

La pensione anticipata contributiva per tutti, e sempre a 64 anni

Si esce dal lavoro infatti a 64 anni con almeno 20 anni di contributi, a condizione che il primo contributi a qualsiasi titolo versato è a partire dal primo gennaio 1996 e che la pensione liquidata sia pari ad poco più di 1.300 euro al mese, cioè pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale.
Il contributivo puro però non ha alternative al ricalcolo contributivo della prestazione, quello del misto invece si. E per chi ha maturato già 18 anni di contribuzione prima del 1996, il diritto al favorevole calcolo retributivo arriva fino al 2012.
Il sacrifico che il governo imporrebbe ai pensionandi che opteranno per l’uscita a 64 anni è importante. Oltre al taglio lineare di assegno, anche il ricalcolo contributivo della pensione. Ed inoltre, va considerato il meno favorevole coefficiente di trasformazione dei contributi in pensione, che è tanto più penalizzante quanto prima si lascia il lavoro. E non va sottovalutata la perdita in termini di assegno, per via dei 3 anni teorici di contributi in meno versati se il lavoratore esce a 64 anni e non a 67.

La solita misura con poco appeal per le pensioni future

Siamo di fronte quindi ad una misura di pensione anticipata che nasce come le ultime varate negli ultimi anni. Misure che nascono con vincoli e paletti adatti a renderle quanto meno appetibili possibile, in modo tale da dotare il sistema di una misura di pensionamento anticipato che pochi vorranno sfruttare. L’esempio di opzione donna è lapalissiano, visto il netto anticipo che consente (Già a 58/59 anni di età) e visto il netto taglio di assegno che impone.

Informazioni su B. A. 335 Articoli
Sindacalista, operatore di Caf e Patronato, esperto in materia previdenziale, assistenziale, lavorativa e assicurativa. Da 25 anni nel campo, appassionato di scrittura e collaboratore con diversi siti e organi di informazione.