Concorso Guardia di Finanza: non si possono escludere candidati per tatuaggi

La notizia è di quelle che molti giovani attendono. Il giudice ha infatti annullato un bando di concorso per la Guardia di Finanza in quanto prevede l’esclusione di candidati per la presenza di tatuaggi.

Il caso

La vicenda prende il via dalla Sicilia, un candidato infatti propone ricorso avverso la sua esclusione a causa di due tatuaggi sulla gamba, in zona sovramalleolare, che hanno portato alla esclusione al momento degli accertamenti psico-fisici. La difesa del ragazzo parte dal presupposto che la divisa militare maschile in nessun caso prevede l’esposizione di tale zona e di conseguenza i tatuaggi resterebbero sempre coperti.

Tar Lazio: il tatuaggio non può portare all’esclusione dal concorso in Guardia di Finanza

Il Tar del Lazio riconosce le sue ragioni infatti, sottolinea il Tar, la normativa primaria “si limita a imporre un aspetto esteriore del militare decoroso – tale da consentire il corretto uso dei capi di equipaggiamento previsti“.

Il Tar del Lazio ha quindi inteso favorire il massimo accesso ai concorsi pubblici senza discriminazioni limitative che non trovino riscontro in cause di esclusione espressamente previste.

C’è discriminazione di genere?

A questo punto potrebbe però aprirsi un altro varco alla discriminazione e in questo caso sarebbe di genere. Infatti i legali hanno sottolineato che il ricorso è stato presentato perché “la divisa maschile copre sempre il polpaccio“, questo però non capita con le donne che tra le divise hanno anche il tailleur con gonna. Questo potrebbe indurre a pensare che, siccome la zona sovramalleolare per le donne può essere in vista, per le candidate di sesso femminile continua a trovare applicazione l’esclusione dal concorso. Si creerebbe così una vera e propria discriminazione di genere perché persone che si trovano nella stessa condizione potrebbero essere escluse dal concorso solo perché la divisa per loro prevista comprende anche la gonna.

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Concorso centri per l’impiego laureati 295 posti. Scadenza 30 settembre

Concorso centri per l’impiego diplomati (249 posti). Domanda entro il 30 settembre

Iva sul prezzo del pellet: a breve potrebbe essere ridotta. Ultime novità

Presentato l’emendamento al decreto Aiuti Bis per la riduzione dell’Iva al 10% sul prezzo del pellet. Ecco quanto potrebbero risparmiare gli italiani se venisse approvato.

Presentato l’emendamento per ridurre l’Iva sul prezzo pellet

È ormai noto che il prezzo del pellet è ormai arrivato alle stelle, è raddoppiato in vendita pre-stagionale e si attendono ulteriori rincari dovuti alla scarsità del materiale e all’aumento della domanda visto che ad oggi è ancora più conveniente rispetto al metano il cui prezzo tende ancora al rialzo e soprattutto vi è un elevato rischio di razionamento.

Quando però noi acquistiamo il pellet il prezzo non è determinato solo dal materiale in sé, ma c’è l’aliquota Iva che in questo caso è del 22%. Naturalmente all’aumento del costo del pellet corrisponde un aumento dell’esborso dell’Iva a carico del consumatore e di conseguenza anche le entrate dello Stato ne beneficiano. Come nel caso dei carburanti si crea un extra-gettito fiscale.

Proprio per questo motivo, insieme al desiderio di aiutare gli italiani ad affrontare il prossimo inverno, Elvira Lucia Evangelista, vice presidente della Commissione Lavori Pubblici e oggi candidata al listino proporzionale al Senato per il Terzo Polo e senatrice di Italia Viva, ha presentato un emendamento al decreto Aiuti Bis che dovrebbe essere convertito all’inizio di ottobre in cui il taglio dell’Iva sul prezzo del pellet del 10%. Questa misura non andrebbe a incidere sulle entrate correnti dello Stato perché l’aumento del prezzo ha comunque determinato maggiori entrate.

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Emendamenti sono arrivati anche dal M5S, attraverso la deputata Elisa Tripodi, in questo caso due. Il primo volto a ridurre l’Iva al 10% e il secondo volto addirittura a ridurre l’Iva sul prezzo del pellet al 5%. In questo caso si tratterebbe di una misura eccezionale e temporanea.

Quanto si risparmierebbe con l’Iva al 10% sul prezzo del pellet?

Attualmente un sacco di pellet da 15 kg di buona qualità costa intorno a 10 euro, con oscillazioni verso l’alto. Su questo prezzo gli italiani purtroppo versano 2,20 euro di Iva, una quota di certo non trascurabile. Riducendo l’Iva al 10% gli italiani dovrebbero pagare circa 1 euro sullo stesso sacco di pellet e di conseguenza potrebbero acquistare il pellet a 8,80 euro al sacco. Considerando un consumo medio di almeno 160 sacchi in un anno, il risparmio di circa 192 euro. Di certo visti, tutti i rincari, non sarebbe male un aiuto simile.

Nel frattempo ricordiamo che fino al 5 ottobre vi è stata la proroga del taglio delle accise sui carburanti.

Stufa a pellet, si può istallare in casa se si è in affitto?

La stufa a pellet è un’ottima alternativa al tradizionale riscaldamento a gas. Ma quando si è in locazione, è possibile istallarla?

Stufa a pellet, l’istallazione nel caso della locazione

La stufa a pellet si può istallare all’interno delle abitazioni senza alcun problema, purché si messa in un ambiente areato per la combustione. Tuttavia per cominciare la stufa a pellet ha bisogno di un collegamento alla rete elettrica. Quindi occorre una presa libera per la corrente. Ma è consigliabile collocarla a ridosso di un muro perimetrale nel quale deve essere possibile aprire un foro per l’uscita dei fumi.

Ecco chiaro che l’istallazione della stufa a pellet prevede dei lavori da dover fare in casa, quindi come fare se si ha un contratto di locazione? Se una casa non ha riscaldamento, l’istallazione di una stufa a pellet può essere di aiuto, ma il proprietario di casa non è obbligato a fornirla. A maggior ragione se già in casa c’è un sistema di riscaldamento con i classici termosifoni. Ecco comunque alcuni consigli se ci si trova in locazione.

Autorizzazione prima o dopo il contratto di locazione

In linea di massima è poco probabile che un proprietario di casa non autorizzi delle migliorie nella propria casa. Una cosa importante è l’autorizzazione del proprietario. Questa deve essere fatta rigorosamente per iscritto secondo la legge n.392 del 1978. Ma è opportuno distinguere i due momenti in cui questa deve essere concessa.

Se si è all’inizio del contratto di locazione, e il futuro inquilino fa questa richiesta, le parti possono accordarsi su come realizzare l’opera. L’autorizzazione può essere inserita tra le varie clausole contrattuali, in modo che quando le parti firmeranno il contratto tutto viene convalidato. Mentre se si ha già un contratto di locazione da tempo, e l’inquilino vuole comprare una stufa a pellet, deve richiedere autorizzazione per iscritto al proprietario. Quindi anche in questo caso occorre l’autorizzazione per iscritto, anche se successiva al firma del contratto di locazione.

Stufa a pellet, chi deve pagare le spese?

Una volta ottenuta l’autorizzazione per l’istallazione di una stufa le parti si chiedono chi deve pagare le spese. Di solito è una miglioria che vuole fare il conduttore che vive nell’immobile. Pertanto spetterà a lui pagare tutte le spese. Tuttavia nessuno vieta al proprietario di poter partecipare ai costi per la realizzazione. Ma in ogni caso nell’autorizzazione deve essere specificato il modo in cui verranno affrontate questi costi. Mentre in merito alla manutenzione è a carico del reale utilizzatore. Quindi sarà il conduttore a gestire la manutenzione della stufa a pellet.

 

 

 

Cartelle esattoriali non pagate dal defunto: ricadono su vedova ed eredi?

Cosa accade se un congiunto viene a mancare senza aver saldato i suoi debiti? L’obbligo di pagamento delle cartelle esattoriali ricade anche sull’eventuale vedovo o vedova e sugli eredi?

Quando una persona cara viene a mancare gli eredi, oltre ad elaborare il lutto, devono anche fare i conti con l’accettazione o meno dell’eredità. E con l’eredità devono accettare o rifiutare anche eventuali debiti. Ma in essi rientrano anche eventuali cartelle esattoriali non pagate?

Cartelle esattoriali del defunto

Il nostro ordinamento prevede che i debiti tributari non vengono meno con il decesso di chi li ha contratti.  Gli eredi, quindi, devono rispondere anche del pagamento di eventuali cartelle esattoriali non pagate dal defunto prima del decesso.

Ovviamente possono non accollarsi il debito rifiutando l’eredità entro 10 anni dall’apertura della successione. In questo modo non ereditano l’obbligo di saldare gli eventuali debiti tributari.

Ogni erede, tra l’altro, risponde dei debiti in questione in percentuale sulla base della quota ereditaria. L’erede, quindi, accettando l’eredità diventa a sua volta debitore dovendo rispondere in prima persona e con il proprio patrimonio delle pendenze del de cuius.

Ma in questo ambito occorre una precisazione. Agli eredi può essere richiesto dall’Agenzia delle Entrate Riscossioni il pagamento del debito contratto ma non somme a titolo di sanzioni visto che quest’ultima non si trasmette agli eredi.

Bonus trasporti 2022, da oggi è possibile presentare domanda

Il bonus trasporti 2022 da oggi è possibile richiederlo. Ecco tutti i dettagli di questo click day che coinvolgere tanti  italiani.

Bonus trasporti 2022, ad oggi il via

Da oggi uno settembre 2022 è possibile richiedere il bonus trasporti 2022, così come previsto dal Decreto aiuti per l’acquisto di un abbonamento per il trasporto sui mezzi pubblici. Il bonus può essere speso per acquistare un abbonamento o mensile al trasporto pubblico. Sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è possibile consultare tutta la lista degli operatori dei trasporti che hanno aderito all’iniziativa.

Il bonus copre il pagamento dell’intero costo, il 100%, purché comunque non superi l’importo di 60 euro. Inoltre il bonus deve essere utilizzato, acquistando un abbonamento, entro il mese solari di emissione. Infine l’abbonamento può iniziare la sua validità anche in un periodo successivo.

Bonus trasporti 2022, ecco come richiederlo

Da oggi primo settembre è il click day per l’acquisto del bonus trasporti 2022. Per richiederlo basta collegarsi al sito del Ministero e cliccare su “Richiedi il bonus“. Per entrare occorre accedere con SPID o Carta d’Identità Elettronica (CIE) e indicare il codice fiscale del beneficiario. Infatti il bonus si può richiedere per se stessi o per un beneficiario minorenne a carico. Ad esempio il genitore può richiedere il bonus per il figlio.

Una volta effettuato l’accesso si passa alla compilazione di alcuni campi come la residenza, la città e dare autorizzazione per i termini e le condizioni. In seguito il sito reindirizza l’utente ad un’altra schermata, da cui è possibile scaricare il bonus sottoforma di QR code. Questo va scaricato sul cellulare o stampato e presentato nelle biglietterie per essere speso entro un mese solare dalla data di emissione.

Chi può presentare la domanda?

Il contributo è valido per gli abbonamenti per i servizi di trasporto pubblico regionale, locale, interregionale o anche per i servizi di trasporto ferroviario nazionale. Inoltre il contributo può esser richiesto solo da persone fisiche, ecco perché occorre inserire il codice fiscale. Altro elemento essenziale è quello di avere un reddito inferiore a 35 mila euro. Tuttavia in ogni caso non è cedibile e non può incidere sul calcolo dell’Isee.

L’accesso alla piattaforma consente di richieder un solo buono, per se stesso o per un figlio minore fiscalmente a carico. Eventuali ulteriori richieste, magari perché si hanno più figli, comporta un nuovo accesso. Quindi va inserito il codice fiscale dell’altro figlio e del gestore che si occuperà del servizio di trasporto, che quindi può essere anche diverso dal primo voucher.

 

 

 

Bonus Ristoranti: è arrivato il decreto attuativo. Tutte le novità

È pronto al via il Bonus Ristoranti, con agevolazioni fino a 30.000 euro in favore delle aziende del settore, tra cui anche gelaterie e pasticcerie, per investimenti in beni strumentali. Ecco codici Ateco interessati e requisiti.

Cos’è il bonus ristoranti

Il bonus ristoranti è stato introdotto con la legge di bilancio 2022, mancava però fino ad ora il decreto attuativo del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (MIPAAF). Lo stesso è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 agosto 2022. Il Bonus ristoranti prevede in favore delle imprese del settore (ristoranti, pasticcerie e gelaterie) un bonus a copertura fino al 70% delle spese sostenute per l’acquisto di beni strumentali durevoli, per un importo massimo di spese ammissibili di 30.000 euro. Il fondo stanziato è di 56 milioni di euro.

Chi può chiedere il bonus ristorazione?

Abbiamo anticipato che il Bonus Ristoranti è rivolto a ristoranti, pasticcerie e gelaterie, sono però previsti ulteriori requisiti specifici. Ecco di quali si tratta.

Le attività ammesse hanno codice Ateco 56.10.11 cioè ristoranti con somministrazione di cibo e bevande, 56.10.30 (pasticceria, gelateria), 10.71.20 (produzione di pasticceria fresca) e potranno accedere se regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle Imprese da almeno 10 anni.

In alternativa:

  • per i ristoranti è possibile godere dei contributi a fondo perduto nel caso in cui l’attività abbia provveduto all’acquisto prodotti certificati DOP, IGP, SQNPI, SQNZ e prodotti biologici per almeno il 25% degli acquisti totali degli ultimi 12 mesi;
  • Per pasticcerie e gelaterie nel caso in cui negli ultimi 12 mesi siano stati acquistati prodotti DOP, IGP, SQNPI e prodotti biologici per almeno il 5% del totale.

Inoltre per poterne fruire è necessario:

  • essere nel pieno esercizio dell’attività;
  • non essere sottoposti a procedure concorsuali o liquidazione volontaria;
  • essere in regola con il versamento dei contributi (Durc);
  • in regola con gli adempimenti fiscali;
  • che abbiano restituito somme dovute in caso di revoca delle agevolazioni;
  • non abbiano ricevuto aiuti poi valutati dalla Commissione Europea come illegali o incompatibili.

Si può già chiedere il Bonus Ristoranti?

Il Bonus Ristoranti attualmente non è richiedibile, infatti manca ancora un decreto che dovrà essere emanato nell’arco di 30 giorni. Già ora è però noto che la richiesta dovrà essere effettuata tramite la piattaforma Invitalia che sarà il soggetto gestore della misura.

Si tratta di un contributo a fondo perduto, quindi nessun credito di imposta da far valere con le detrazioni, ma un versamento in conto.

Il Bonus Ristoranti è sottoposto alla disciplina degli aiuti de minimis e quindi è necessario rispettare i limiti previsti per questa tipologia di aiuto.

Leggi anche: Aiuti de minimis: cosa sono, limiti, ammontare e come ottenerli

Riscaldamento smart: come funziona ridurre la bolletta del gas

Considerando l’imminente rischio del caro bollette, andiamo a vedere alcuni rapidi consigli per un riscaldamento smart, in modo da ridurre la bolletta del gas, in un periodo storico decisamente delicato per l’energia e i suoi costi.

Riscaldamento smart, alcuni pratici consigli

Oggi, alla luce dell’attuale crisi energetica e del lievitare dei costi del gas, è necessario utilizzare un riscaldamento smart, ovvero intelligente. Vediamo come fare per rendere calda ed economica la pratica di riscaldamento delle nostre case.

Ormai le materie prime toccano tariffe che sono lievitate eccessivamente, ed una casa di 100 metri quadrati non troppo efficiente dal punto di vista energetico può anche costare 300 euro al mese di riscaldamento se si ha una caldaia a gas.

Quindi, in tempo primaverile è già il caso di iniziare a pensare come risparmiare per il prossimo inverno, ottimizzando i costi in modo intelligente.

L’idea di sostituire la caldaia deve essere attuata in maniera preventiva, magari con un modello a condensazione, usufruendo degli incentivi. E farlo sarà più facile farlo quando il riscaldamento è spento ed occorre solo acqua calda.

Inoltre, qualora si dovessero cambiare le valvole dei termosifoni per mettere valvole smart, fondamentali per risparmiare, è necessario svuotare l’impianto.

Quali metodi adottare per un riscaldamento smart

Veniamo, dunque ai “miti consigli”, per mettere in atto dei modi efficienti per un riscaldamento smart ed economico.

Se ci troviamo ad avere a che fare con una caldaia centralizzata abbiamo diverse soluzioni.

Vi sono casi in cui ogni abitazione ha un termostato che controlla una singola valvola, e quindi il termostato accende e spegne il riscaldamento per l’intera abitazione, ed altri  casi in cui troviamo le valvole solo ed esclusivamente sui termosifoni, solitamente dette testine termostatiche, e non esiste un termostato.

Come è ben noto, la caldaia condominiale ha orari di accensione e spegnimento prestabiliti, su ogni termosifone esiste un contatore di calore che verifica quante ore resta acceso e dopodiché, costi e consumi, vengono gestiti a livello condominiale.

In questo caso, è consigliabile installare valvole termostatiche “smart”, permettendo così di accendere solo le zone che servono in determinati orari all’interno della propria abitazione.

Riscaldamento centralizzato, quali soluzioni scegliere

In caso di riscaldamento centralizzato, con un termostato, ogni abitazione ha una valvola che controlla ogni singolo appartamento.

La cosa principale da fare è sostituire il termostato con un modello smart, quindi che si controlla a distanza. La cosa necessaria alla scelta del modello sarà capire se e come esso si integra anche con le soluzioni di automazione di Amazon, Google e Apple, se non altro per poter gestire una serie di routine come l’uscita di casa e l’ingresso in casa. Uno dei più noti, in tal senso sono i modelli Nest, il cui prezzo gravita attorno ai 250 euro, ma in linea più economica c’è anche BTicino dal costo di 180 euro. Tado è un giusto intermedio, col prezzo a partire da 219 euro per il modello cablato.

Il primo passo è quindi installare il termostato, ma non è sufficiente al massimo risparmio. Infatti, la facilità di controllo permette di spegnere il termostato se si sta fuori casa per pochi giorni, o per gestire meglio gli orari di ingresso e uscita di casa, ottimizzando meglio il riscaldamento.

Ma, con una gestione multizona, per ogni ambiente si ottimizza il risparmio.

Riscaldamento autonomo, consigli pratici

Qui, l’utilizzo del riscaldamento è più semplice e gestibile, ma ci sono cose da tenere comunque in conto da considerare per risparmiare.

La valutazione principale da fare è quella inerente alla caldaia.

In tal senso, oggi grazie ad incentivi e allo sconto in fattura si riesce a cambiare la caldaia con una spesa minore di 1000 euro. Pur essendo una cifra corposa, vanno fatte due considerazioni: la prima è che comprando insieme alla caldaia anche dei termostati smart e delle valvole termostatiche si ottiene tutto in detrazione fiscale del 65%, quindi con spesa poco superiore ai 200 euro si cambiano tutte le valvole e i termostati di casa, la seconda considerazione è che non solo la caldaia a condensazione di nuova generazione permette di suo un risparmio, ma grazie al controllo digitale è possibile modulare l’erogazione riducendo ulteriormente il consumo.

Risparmi effettivi di almeno il 30%

Secondo gli studi statici, si possono ottenere risparmi di almeno il 30% in bolletta, seguendo i necessari accorgimenti.

Dunque, attraverso la sostituzione di un termostato vecchio con un modello smart e grazie all’uso di valvole smart e controllabili singolarmente si ottiene un risparmio del 30% circa, che può anche crescere se c’è una buona caldaia e se la casa è ben coibentata.

Ovviamente ci sono soluzioni più radicali per abbattere le bollette, e oggi si può anche diventare, in alcune zone d’Italia, “gas free” spostandosi su pompe di calore e induzione. Ma, in questo modo attraverso un piccolo cambiamento si ottengono validi risultati.

Questo, dunque, è quanto di più utile e necessario da sapere in merito all’economia in bolletta con un riscaldamento smart.

Pellet: perché il prezzo è così alto? Speculazione o aumento dei costi?

Il costo del pellet è ormai alle stelle, sono numerosi i movimenti che stanno proponendo scioperi degli acquisti per indurre produttori e venditori a ridurre i prezzi attraverso la riduzione della domanda, ma ad oggi non sembra esservi successo per questi. Vediamo però quali sono le cause dell’aumento dei prezzi del pellet e se i consumatori possono in qualche modo intervenire su essi.

La tempesta perfetta ha determinato il costo del pellet

Non c’è una sola causa che ha determinato l’aumento dei prezzi del pellet fino al 100% in pre-stagionale, diverse sono le concause e si cercherà di analizzarle tutte che in realtà sono spesso concatenate. Annalisa Paniz, direttrice generale AIEL, l’associazione italiana energie agroforestali, ha parlato della tempesta perfetta.

Diminuisce l’offerta e aumenta la domanda del pellet a causa della guerra in Ucraina

La prima causa è legata al fatto che in Italia si produce pochissimo pellet, il 15% del fabbisogno, 500.000 tonnellate. Questo implica la necessità di importarlo e già questo rappresenta un costo. A ciò si aggiunge che tra i maggiori produttori a cui l’Italia deve fare riferimento ci sono Paesi come Russia, Bielorussia e Ucraina. I primi due sono interessati da blocchi alle importazioni a causa delle sanzioni, mentre l’Ucraina è in ginocchio a causa della guerra.

A questo primo dato, che comporta comunque una riduzione dell’offerta del pellet, si aggiunge l’aumento della domanda, infatti ad oggi il pellet continua ad essere un combustibile di massa, molto ricercato quindi in Italia e siccome nonostante l’aumento del prezzi al 100% è ancora più conveniente del metano, ci sono molte famiglie che stanno convertendo gli impianti. Si ha quindi uno squilibrio tra la domanda che cresce e l’offerta che diminuisce ed ecco che si verifica la conseguenza più naturale sul mercato, cioè l’aumento del prezzo del pellet.

Costo del pellet determinato dal caro energia

A questo primo fattore scatenante dell’aumento dei prezzi del pellet, si aggiunge l’aumento delle spese per i carburanti. Qui si ritorna al primo problema, cioè l’Italia importa pellet per la maggior parte del suo fabbisogno e l’aumento del costo del carburante va naturalmente ad essere spalmato proprio sul prezzo del pellet.

Il caro energia però non va solo ad incidere sul costo del trasporto del pellet ma anche sul costo di produzione dello stesso, infatti gli impianti che producono pellet possono essere considerati energivori e naturalmente chi produce ha l’obiettivo di lucrare, quindi non può vendere il pellet ad un prezzo inferiore a quello di produzione, anche l’aumento della spesa energetica del produttore deve essere spalmato sul pellet.

Scopri anche quanto dura un sacco di pellet.

All’aumento del prezzo del pellet, consegue anche l’aumento naturale dell’Iva che ricordiamo è al 22%.

Leggi anche: Pellet: quanto costa? Conviene o è preferibile il metano?

I consumatori possono intervenire sulle speculazioni sul prezzo del pellet?

Infine, non manca l’elemento speculativo, è ovvio che in un inverno che si palesa come molto complicato dal punto di vista dei prezzi, i produttori e i distributori sanno di poter agire sui prezzi e lucrare e quindi provano a calcare la mano sui rincari. Solo su questa porzione dell’aumento potranno effettivamente agire i consumatori, ma non di certo fino a riportare il sacco di pellet al costo di un anno fa, cosa attualmente molto improbabile, ma solo al fine di determinare una leggera flessione verso il basso. Fino a quando il consumatore può agire? Relativamente poco, perché il pellet di fatto è poco e a breve ci sarà la corsa all’acquisto per paura di restare al freddo.

I produttori sanno che potrebbe esserci una leggera flessione, dovuta al fatto che le persone dovranno per forza di cose rinunciare al comfort ottimale e fare qualche sacrificio, ma la stessa è anche voluta perché anche loro hanno difficoltà con le materie prime, cioè anche a reperire la legna da trasformare. Proprio per questo una riduzione della domanda, che potrebbe anche non esservi a fronte del costante aumento del costo del metano, per i produttori non appare essere un problema. In conclusione è molto probabile che vi siano ancora aumenti di prezzo del pellet.

Scadenze di settembre 2022, un amaro rientro dalle ferie

Arrivano le scadenze di settembre 2022 che prevedono circa 170 appuntamenti con il fisco, ecco il calendario completo degli adempimenti.

Scadenze di settembre 2022, si parte da metà mese

Si comincia il 15 settembre con gli adempimenti fiscali per i soggetti Iva. In particolare l’emissione e la registrazione delle fatture differite relative a beni consegnati o spediti nel mese di agosto. Le ASd, le Pro loco devono annotare, anche con unica registrazione l’ammontare dei corrispettivi di qualsiasi provento conseguito nell’esercizio di attività commerciali del mese di agosto.

Mentre il 16 settembre sono previsti ben 108 versamenti. Tra questi ci sono saldo e primo acconto delle imposte sui redditi, terza e quarta rata per le partite Iva. Ed ancora adempimenti periodici IRPEF, IVA e INPS. In particolare entro venerdì 16 sono chiamati al pagamenti i titolari di partita IVA  che hanno optato per la rateizzazione dell’ IRPEF, IRES, IRAP e imposte sostitutive dovute.

Scadenze di settembre 2022, gli altri adempimenti

Sempre nella stesa data c’è il versamento della 4° rata dell’addizionale regionale e comunale all’irpef risultante dalle dichiarazioni annuali, dovuta per l’anno d’imposta 2021, con applicazione degli interessi nella misura dello 0.84%. Anche per i titolari di celodare secca c’è il versamento del saldo 2021 e primo acconto 2022.

Mentre per i sostituti d’imposta occorre procedere, sempre entro il 16 settembre al versamento delle ritenute operate nel mese precedente. Anche gli istituti di credito devono procedere al versamento dell’imposta sostitutiva risultante dal “conto unico” relativo al mese precedente, sugli interessi, premi ed altri frutti delle obbligazioni e titoli similari, emessi da Banche, S.p.a. quotate ed Enti Pubblici.

Le date importanti di fine mese

Il 26 settembre è tempo di presentazione degli elenchi riepilogativi INTRASTAT delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi rese nel mese precedente nei confronti di soggetti dell’Unione Europea. Mentre il 30 settembre è il giorno di chiusura della stagione del modello 730.

Tra le scadenze fiscali c’è anche la trasmissione delle spese sanitarie relative alla dichiarazione dei redditi precompilata. Si tratta delle spese sostenute dalle persone fisiche nel primo semestre 2022. Inoltre la data è un’importanza scadenza per le lipe. E’ l’acronimo di comunicazioni IVA delle liquidazioni periodiche, il nuovo adempimento introdotto dal DL 193/2016 al fine di contrastare l’evasione fiscale dell’imposta sul valore aggiunto.