Riforma fiscale: vanno in pensione i modelli ISA

Molto presto circa due milioni di contribuenti potranno dire addio alla compilazione dei questionari del Modelli ISA ( Indici Sintetici di Affidabilità). La novità è prevista nella bozza della riforma fiscale che nei prossimi mesi occuperà il Governo Meloni.

Cosa sono gli ISA e chi è favorito dal superamento?

L’acronimo ISA vuol dire Indici Sintetici di Affidabilità. Si tratta di un questionario, parte integrante della dichiarazione dei redditi per gli esercenti attività di impresa e lavoratori autonomi. Per tali soggetti i modelli ISA (sono diversi in base al settore di attività) hanno sostituito, a partire dal 2018, i parametri e gli studi di settore. L’obiettivo dell’introduzione di tali indici era favorire l’adempimento spontaneo da parte dei contribuenti andando quindi a ridurre l’evasione fiscale.

Ciò anche grazie a un meccanismo di premialità fiscale per i contribuenti che ricevono un punteggio pari o superiore a 8. Tale risultato indica che vi è coerenza tra le dichiarazioni presentate e il risultato del modello ISA, quindi il contribuente è affidabile.  In caso di punteggio basso il contribuente può invece correggere le proprie dichiarazioni adeguandole rispetto al risultato del modello ISA.

Riforma fiscale: addio ai modelli ISA

Sulla loro funzionalità sono sempre stati espressi molti dubbi, infatti in base al punteggio ricavato, il Fisco stabilisce se le dichiarazioni di un soggetto sono o meno affidabili. Proprio per il fatto che molti esprimono dubbi sulla funzionalità ed efficienza dei modelli ISA, la bozza della Riforma Ffiscale prevede il graduale superamento dell’uso di questo strumento. L’obiettivo è valorizzare i dati contenuti nel database dell’Agenzia delle Entrate che sono il frutto di molte novità del sistema fiscale, tra cui la fatturazione elettronica e le comunicazioni periodiche Iva. Si evita così di stressare il contribuente con un eccesso di burocrazia che non sempre è in grado di far realmente emergere l’evasione fiscale.

Il superamento dei modelli ISA si pone nell’ottica della semplificazione dei rapporti con il Fisco e quindi con il tentativo di rendere meno pesanti gli oneri a carico dei contribuenti. In realtà già nel corso dei precedenti anni vi era stata una riduzione della platea dei soggetti tenuti alla compilazione del modello Isa e di conseguenza, la riforma fiscale continua verso la stessa direzione, cercando una ulteriore semplificazione.

Leggi anche: Come si compila il modello ISA

Rimborsi fiscali Agenzia delle Entrate, attenzione all’ennesima truffa

Il 14 marzo 2023 l’Agenzia delle Entrate ha reso noto un nuovo tentativo di truffa ai danni dei contribuenti attraverso e-mail. Nell’avviso si sottolinea il diritto a un rimborso Agenzia delle Entrate per “compensi” inerenti “operosità fiscali”. Si tratta di un’ennesima operazione phishing a cui prestare attenzione.

Agenzia delle Entrate: non seguire i link in comunicazioni sospette di rimborsi fiscali

L’email oggetto di attenzione da parte dell’Agenzia delle Entrate indica che il contribuente ha diritto ad un rimborso fiscale. Per poter ricevere lo stesso viene fornito un link sul quale cliccare per avere maggiori informazioni e compilare il modulo di richiesta di rimborso. Inserendo i dati i malviventi potranno accedere ai dati bancari e di conseguenza perpetrare la loro truffa.

L’Agenzia delle Entrate sottolinea di essere completamente estranea a tali comunicazioni e ricorda di prestare sempre attenzione alle comunicazioni che apparentemente arrivano dal Fisco e che sono caratterizzate da:

-mittente completamente estraneo all’Agenzia delle Entrate

-uffici inesistenti

-testo generico

-errori di sintassi e di ortografia

In ogni caso, l’Agenzia sottolinea che nel caso in cui si ricevano comunicazione simili e vi sia il dubbio che possano effettivamente essere state recapitate dall’Agenzia delle Entrate, è consigliato rivolgersi agli uffici territoriali per chiedere delucidazioni o attivare i servizi online di assistenza anche tramite chatbot.

Leggi anche: Mail truffa Agenzia delle Entrate: nuovo tentativo

Concorso Polizia Penitenziaria: disponibili 1713 posti

Dal 16 marzo 2023 e fino al 14 aprile dello stesso anno è possibile presentare la domanda di partecipazione per il concorso 1713 posti allievo agente Polizia Penitenziaria. Ecco tutte le informazioni.

Concorso Polizia Penitenziaria: requisiti per partecipare

I posti disponibili sono così suddivisi:

n. 1028 posti (771 uomini; 257 donne):

  • ai volontari in ferma prefissata di un anno (VFP1) che sono in servizio da almeno sei mesi alla data di scadenza della domanda di partecipazione al concorso ovvero VFP1 collocati in congedo al termine della ferma annuale;
  • ai volontari in ferma prefissata quadriennale (VFP4) in servizio o in congedo;
  • n. 685 posti (514 uomini; 171 donne), aperto ai cittadini italiani.

Come per tutti i concorsi pubblici, anche in questo caso sono richiesti i requisiti morali, quindi il godimento dei diritti civili e politici ed essere in possesso delle qualità morali e di condotta.

Nel concorso allievo agente Polizia Penitenziaria è previsto il limite anagrafico, lo stesso è di 18 anni come età minima e 28 anni età massima. Per i candidati con riserva di posti, il limite è aumentato del numero di mesi in cui è stato prestato effettivamente servizio militare fino a un massimo di 3 anni.

Infine, tra i requisiti è richiesta l’efficienza fisica e idoneità fisica, psichica e attitudinale al servizio di polizia penitenziaria.

Come presentare la domanda per il concorso Polizia Penitenziaria?

La domanda deve essere presentata esclusivamente per via telematica attraverso il portale del reclutamento www.inpa.gov.it, lo stesso può essere raggiunto anche con il link di reindirizzamento presente sul sito www.giustizia.it . Per poter accedere al sito è necessario avere a disposizione  “esclusivamente il Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID)” questo implica che altre modalità di accesso non sono previste. Al momento di iscrizione al concorso deve essere indicato anche un indirizzo di posta elettronica certificata.

Prove del concorso

Il concorso prevede diverse fasi così riassumibili:

  • prova scritta d’esame, comprende una serie di domande a risposta sintetica o scelta multipla su argomenti di cultura generale e materie rientranti nei programmi delle scuole dell’obbligo;
  • prove di efficienza fisica;
  • accertamenti psico-fisici: sono convocati solo i candidati che hanno superato le prove di efficienza fisica. In questa sede è necessario portare con sé gli accertamenti medici prescritti nel bando. Si invita quindi alla lettura completa dello stesso BANDO;
  • accertamenti attitudinali.

Il calendario delle prove sarà pubblicato a far data dal 14 giugno 2023 sul sito www.inpa.gov.it e www.giustizia.it.

Ai punteggi cumulati con le prove sono sommati quelli dei titoli. Si procederà quindi alla definizione della graduatoria. Nel caso in cui i posti riservati non dovessero essere coperti totalmente si procederà allo scorrimento della graduatoria riservata ai civili.

Per ulteriori possibilità di lavoro con concorsi, leggi: Concorso infermieri: nuove posizioni aperte. Scadenza il 3 aprile 2023

 

Prezzo in calo per il pellet: conviene fare scorte per il prossimo inverno?

Nelle settimane scorse è iniziata una vera discesa del prezzo del pellet e sono in molti in questi giorni a chiedersi se sia il caso di fare scorta anche per il prossimo inverno approfittando dei ribassi. Ecco i possibili scenari futuri.

Pellet quanto costa? Conviene fare scorte per il prossimo inverno?

L’inverno 2022-2023 è stato particolarmente duro, infatti i prezzi del metano e di altri combustibili per il riscaldamento, tra cui il pellet, sono volati alle stelle. Rispetto all’anno precedente (inverno 2021-2022) il prezzo del pellet è praticamente molto più che raddoppiato, è arrivato a 12 euro al sacco. Molti hanno lamentato la speculazione di grossisti e venditori al dettaglio. Altri semplicemente hanno concordato sul fatto che una serie di eventi ha portato il prezzo alle stelle. A inizio 2023 c’è invece l’inversione di tendenza, complice una notevole riduzione della domanda dovuta a temperature miti, difficoltà economiche degli italiani, decisione di molti di convertire la stufa a pellet al fine di utilizzare combustibili più economici. Arriva poi la decisione del Governo di ridurre l’Iva sul pellet per l’intero anno dal 22% al 10%. Tutto questo ha riportato i prezzi del pellet a circa 6,50 -7 euro per un sacco da 15 kg.

Leggi anche: Iva sul pellet: ridotta al 10% dal 1° gennaio, ma fino a quando?

Prezzo del pellet: quali sono le prospettive per la prossima campagna?

Si tratta di prezzi che sono ancora leggermente alti rispetto alla campagna 2021-2022, ma sono in tanti a temere che con il sopraggiungere della prossima campagna di vendita, i prezzi possano nuovamente lievitare e di conseguenza stanno pensando, se lo spazio a disposizione lo consente, di fare scorte. È la decisione giusta? Purtroppo è molto difficile fare previsioni, ad esempio chi nella scorsa estate per timore di aumenti sconsiderati durante i mesi invernali ha acquistato pellet a 10 euro al sacco per tutto l’inverno, ha avuto delle perdite, infatti dopo aver raggiunto i 12 euro c’è stato il ribasso e di conseguenza ha speso di più rispetto a quanto avrebbe speso comprando il pellet poco alla volta.

Allo stesso tempo non possiamo prevedere ora come sarà il prossimo inverno ( freddo o mite?). Possiamo dire che difficilmente sarà prorogata la riduzione dell’Iva, infatti si è trattata di una situazione eccezionale determinata esclusivamente dal fatto che i prezzi erano alle stelle e gli italiani in grande sofferenza.

La soluzione a questo punto potrebbe essere quella di fare solo una piccola scorta, giusto per affrontare i primi freddi e decidere poi la strategia quando sarà più chiaro l’andamento della prossima campagna che, ricordiamo, inizia generalmente nei mesi estivi (luglio-agosto). Chi ha problemi di spazio purtroppo non ha grandi spazi di manovra.

Bonus 200 euro, ecco chi lo riceverà nel mese di marzo

Bonus 200 euro non lo hanno ricevuto ancora tutti. Ma entro il mese di marzo sono molti i contribuenti che lo riceveranno, ecco chi sono.

Bonus 200 euro, da quando si aspetta?

Il bonus 200 euro è un contributo che spetta a molti cittadini. In particolare, molte persone lo hanno già avuto, ma alcuni ancora no, ed ecco le categorie. La prossima data prevista per il pagamento del bonus 200 euro è il 17 marzo 2023. E spetterà ai pensionati e non solo. Si ricorda che il bonus 200 euro è stato introdotto con il decreto Aiuti, durante il Governo Draghi. Un aiuto economico che è stato introdotto durante la pandemia per cercare di dare un contributo durante il periodo della pandemia da Covid-19.

Per fortuna le 200 euro saranno accreditate direttamente sul conto corrente. Inoltre sono esenti da tassazione Irpef, contributi previdenziali o di qualsiasi altra tassazione e non concorrono ad aumentare il reddito. Infine non è cedibile, non pignorabile e per ottenerlo non occorre presentare alcuna domanda.

Bonus 200 euro, a chi spetta il contributo?

Il bonus sarà accreditato direttamente dall’Inps. In particolare lo riceveranno i lavoratori subordinati che devono aver percepito una mensilità di contribuzione, nei primi 4 mesi del 2022. Lo riceveranno anche i pensionati residenti in Italia con un reddito inferiore a 35 mila euro.

Tra gli alti beneficiari ci sono i disoccupati percettori di Naspi e Dis-coll e disoccupazione agricola che hanno percepito l’ultima indennità a giungo 2022. Ed ancora i lavoratori domestici e i lavoratori con contratto co.co.co. con impiego almeno fino al 18 maggio 2022. Infine riceveranno l’accredito anche i percettori di reddito di cittadinanza, che non lo hanno avuto nel mese di luglio 2022. Ed infine anche chi ha richiesto il riesame, ed accordato, riceveranno la somma di 200 euro sul proprio conto corrente.

Bonus 150 euro qualcuno non l’ha ancora ricevuto

Oltre al bonus 200 euro c’è ancora chi non ha ricevuto il contributo da 150 euro.  Il bonus 150 euro spetta a tutti i lavoratori dipendenti, sia nel privato che nel pubblico, direttamente in busta paga. Tuttavia a questi si aggiungono i pensionati, i titolari di assegni sociali, gli invalidi civili, sordomuti e ciechi, oltre a chi è titolare di trattamenti di accompagnamento alla pensione. La data di scadenza prevista è il 31 gennaio 2023.

Ma a dire il vero ci sono persone che non l’hanno ricevuto. Tra queste persone ci sono le seguenti categorie:

  • lavoratori con contratto di co.co.co;
  • dottorandi e assegnatisti di ricerca;
  • lavoratori stagionali, a tempo determinato ed intermittenti;
  • lavoratori autonomi e indipendenti iscritti al Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo.

Queste categoria hanno presentato un’apposita domanda entro il 31 gennaio 2023. Nella speranza che sia questa data l’ultima prevista e che tutti i possano ricevere il loro aiuto economico.

Allarme superbonus, case con lavori iniziati potrebbero essere pignorate

Allarme superbonus e i suoi effetti che potrebbero portare al pignoramento degli immobili su cui sono iniziati i lavori di ristrutturazione non ultimati.

Allarme superbonus, la decisione del Governo

L’idea dell’introduzione del Superbonus è sempre piaciuta a molti. Ma da circa un anno si stanno verificando degli effetti molto negativi per le imprese operanti nel settore edile. Ad un mese dall’emanazione del Decreto blocca cessioni, deciso dal Governo Meloni, si tirano le somme sugli effetti della decisione. E quello che potrebbe accadere è una situazione catastrofica. Guardando con una lente di ingrandimento la situazione si rischia il pignoramento di molte case, ecco spiegato il perché.

Molti cantieri legati al Superbonus sono partiti, dopo la fase di progettazione ed aver compilato tutta la documentazione necessaria. Dunque le aziende edili hanno iniziato a fare dei lavori per la ristrutturazione negli immobili. Quindi in prima battuta hanno sostenuto dei costi, che si dovevano trasformare in crediti vendibili e quindi in rientro economico. Ma il blocca ferma questo sistema, ma del resto il Governo non aveva i fondi necessari per comprare tutti i crediti.

Allarme superbonus, sempre più vicino il pignoramento

A questo punto le imprese si trovano incagliate in una situazione difficile. Da una parte i cassetti fiscali pieni di crediti non ceduti e dall’altra aver già sostenuto dei costi. Eppure le aziende come possono coprire questi costi? Beh se la situazione rimane questa, le aziende non potranno far altro che richiedere i soldi ai proprietari immobiliari. Eppure non si parla di piccole cifre, ma di importi che possono oscillare anche tra i 20 mila o 40 mila euro. Ma al di là dell’importo, cosa succede se un proprietario di casa non ha tale disponibilità?

Il rischio che il proprietario dovrà richiedere ad un finanziamento per cercare di coprire e pagare alle imprese quanto dovuto. Anche se non è quello che sperava, anzi rifare gli immobili con dei contributi statali che ad oggi non arriveranno mai. Ma se per caso il proprietario non dovesse essere nelle condizioni di poter accedere al finanziamento potrebbe esserci un peggioramento della situazione.

Dal pignoramento alla vendita all’asta

A questo punto sarebbe difficile non pagare e se non lo si può fare, i creditori vanteranno i propri crediti sugli immobili. Si rischia che milioni di case rischiano il pignoramento e poi il rischio della vendita all’asta. E quindi la gente potrebbe perdere la propria casa, per l’introduzione del Superbonus. Un’ipotesi quanto mai reale, ma che deve essere scongiurata. Perché se una parte le imprese edili avrebbero i loro soldi, dall’altra si andrebbe totalmente a scapito dei proprietari di casa, che avevano voglia di ristrutturare casa, e certo non vedersela portata via.

 

 

Rottamazione quater, se non posso pagare le rate conviene evitarla?

C’è tempo fino al 30 aprile 2023 per decidere se aderire alla rottamazione quater o meno e sono numerosi i contribuenti che si chiedono se tale scelta sia conveniente o se magari è meglio lasciar correre e attendere l’ eventuale prescrizione. I pareri in materia non sono unanimi nemmeno tra gli esperti della materia, ecco però qualche spunto.

Rottamazione quater in sintesi

La rottamazione quater permette di definire in modo agevolato e quindi senza il pagamento di sanzioni, interessi di mora e aggio, ma pagando esclusivamente il capitale, le spese di notifica e istruttorie. Il pagamento degli importi può avvenire anche a rate. Possono essere oggetto della rottamazione quater le cartelle esattoriali affidate all’agente di riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 30 giugno 2022.

Il dubbio che assale molti riguarda le conseguenze che possono derivare dal mancato pagamento degli importi rateali, in particolare nel caso in cui si tratti di somme elevate.

La normativa infatti prevede la possibilità di rateizzare gli importi in 18 rate distribuite in 5 anni. Aderendo al pagamento rateale almeno il 10% delle somme devono essere versate nelle prime due rate in scadenza al 31 luglio 2023 e al 30 novembre 2023. In caso di mancata ottemperanza si decade dal beneficio della rottamazione quater. Proprio per questo chi ha difficoltà economiche esprime dubbi sulla convenienza dell’adesione.

Presentare più istanze di rottamazione quater per ridurre il rischio di decadenza

La prima cosa da ricordare è che la rottamazione quater consente di presentare più istanze per carichi pendenti diversi, in questo modo è possibile ridurre il rischio di decadenza, infatti gli importi delle singole rate sarà minore e si potrà decidere di portare avanti solo i piani di rientro che effettivamente si possono sostenere, lasciandone decadere solo una parte.

Decadenza non preclude l’ulteriore richiesta di rateizzazione

A parte questo suggerimento, occorre ricordare che nella rottamazione quater vi è una differenza rispetto alla rottamazione ter. Nel precedente intervento di pace fiscale era previsto che in caso di mancato pagamento di una rata o ritardo nel versamento si verificava la decadenza dal beneficio e le somme restanti dovevano essere pagate in unica soluzione. Il comma 14 dell’articolo 3 del DL 119/2018 stabiliva infatti che in caso di decadenza “b) il pagamento non può essere rateizzato e sensi dell’articolo 19 del DPR 29 settembre 1973 n. 602.

La norma attuale, comma 244 dell’art. 1 della legge di bilancio 2023, prevede invece che in caso di mancato, insufficiente, ritardato pagamento delle rate, le somme già incassate sono detratte dal debito intero, mentre le somme rimanenti possono essere nuovamente oggetto di accordo di rateizzo ex articolo 19 D.P.R. 602/1973 in quanto la norma espressamente non lo vieta.

Ricordiamo che nella rottamazione quater possono essere fatte rientrare anche le rate della rottamazione ter da cui i contribuenti erano decaduti.

Leggi anche: Rottamazione quater: cosa succede a multe stradali e bollo auto?

Riforma del Fisco: tregua fiscale in arrivo per i mesi di agosto e dicembre

Riforma fiscale, Irpef a 3 scaglioni, Iva a zero e Ires: le novità

La riforma fiscale prevede tutta una serie di novità che passano dagli scaglioni Irpef all’addio di piccole imposte, passando dall’Iva zero, tutti i dettagli.

Riforma fiscale, gli scaglioni Irpef e Ires

Giovedì dovrebbe arrivare la riforma fiscale direttamente sul tavolo del Consiglio dei Ministri. Tra le più importanti novità c’è quella delle aliquote Irpef ed Ires. Fin dalla campagna elettorale portata avanti dal Centro destra, si è sempre puntato alla flat tax per tutti. Attualmente si ricorda che è applicata a tutti i lavoratori autonomi. Ma l’idea è quella di estenderla anche ai lavoratori dipendenti. Questo sembra essere l’obiettivo finale, sempre e verranno rispettate le promesse fatte dal Governo Meloni.

Intanto però il passaggio verrà fatto in maniera graduale. Si parte con il passare da 4 scaglioni Irpef a solo 3. Le ipotesi ad ora sono due: 23%, 27% e 43% o 23%, 33% e 43%. Le risorse arriveranno dalla revisione delle agevolazioni, con una forfetizzazione in base ai redditi che lascerà però intatte quelle sui mutui e sulle spese sanitarie. Mentre per quanto riguarda l’Ires, si scenderà a sole due quote e l’eliminazione degli attuali crediti d’imposta sugli investimenti.

Riforma fiscale, l’Iva, Irap e tributo unico

Tra le altre novità c’è quella dell‘Iva zero solo sui beni di prima necessità. Si ricorda che già questo Governo Meloni è intervenuto nell’abbassamento dell’Iva su alcuni prodotti come i pannolini, gli assorbenti femminili e i prodotti per la cura e l’igiene dei più piccoli. Inoltre una delle misure per le imprese sarà il graduale superamento dell’Irap, a partire dalle piccole imprese.

Inoltre è possibile anche l’introduzione di un tributo unico. L’obiettivo è quello di eliminare l’imposta di bollo, ipotecaria e catastale, ma anche i tributi speciali catastali e le tasse ipotecarie che sarnno inglobate in una tassa unica. Anche in questo caso è opportuno inserire l’obbligo del pagamento con mezzi elettronici per accelerare i sistemi di riscossione.

Tutte le altre misure previste in tema fisco

Le  novità non finiscono qui. Innanzitutto l’idea è quella di eliminare definitivamente il ruolo. E quindi possibile accedere in maniera più semplice alla rateizzazione a 120 rate. Diciamo che l’obiettivo è proprio facilitare la riscossione dei crediti da parte dell’Erario piuttosto che renderli più complicati. Inoltre la delega propone anche l’esclusione della decadenza da benefici fiscali in caso di inadempimenti formali o di minore gravità. Inoltre il concordato preventivo è uno altro strumento che può ancora una volta facilitare i rapporti tra debitore e fisco.

 

 

 

 

 

Tasso di interesse mutui: prospettive per i prossimi mesi

Dopo mesi di costanti aumenti dei tassi dei mutui, il mercato sembra essersi stabilizzato e, sebbene le condizioni non siano più le stesse di un anno fa, si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel. Resta ancora sconsigliata la stipula del mutuo a tasso variabile.

Aumento del costo del denaro: BCE potrebbe ripensarci

A determinare un deciso rialzo dei tassi di interesse per i mutui sono stati i costanti aumenti al costo del denaro determinati dalla BCE. Questi, a loro volta sono dovuti all’esigenza di tenere sotto controllo la domanda in modo da spingere l’inflazione verso il basso. Complici diversi fattori, tra cui il calo dei prezzi energetici, iniziano a vedersi i primi segnali di una discesa generalizzata dei prezzi. Ciò ha portato i mercati a stabilizzarsi e proprio per questo i tassi di interessi sui mutui sono in una fase di stallo. L’ultimo aumento del costo del denaro c’è stato il 2 febbraio ed è stato dello 0,5%, siamo quindi giunti a un costo del denaro al 3%.

Il prossimo rialzo annunciato è per la primavera e dovrebbe essere ancora dello 0.5%, proprio per questo può essere conveniente definire un contratto di mutuo in questo periodo. Deve però essere sottolineato che tale annuncio è stato fatto prima del crollo di Silicon Valley Bank, evento che sta avendo riflessi anche sulle Borse europee e che potrebbe determinare la BCE a non procedere oltre. Decisione già presa dalla FED, istituto che influenza molto le decisioni della BCE.

Tassi di interesse mutui attuali e prospettive

Attualmente è possibile stipulare un contratto di mutuo a tasso fisso con un TAEG, Tasso Annuale Effettivo Globale, circa 3,60% a 30 anni. Naturalmente i valori possono divergere tra i vari istituti bancari. Per quanto riguarda i mutui a tasso variabile, come sempre il tasso di interesse è leggermente più basso rispetto al tasso fisso, ma vi è il rischio che fluttuazioni del costo del denaro possano portare a un aumento e quindi la rata potrebbe subire delle ripercussioni.

Ad esempio, è stato già calcolato che con un futuro rialzo del costo del denaro da parte della BCE, dovrebbe esserci un aumento medio della rata del mutuo a tasso variabile di circa 35 euro. Naturalmente maggiori sono le somme da pagare, più elevato è l’aumento della singola rata. Proprio per questo motivo, visto che a breve non si attendono riduzioni dei tassi di interesse, ma ancora rialzi, può essere consigliato il mutuo a tasso fisso, ricordando che in un secondo momento se la stessa non dovesse più essere conveniente rispetto alle condizioni del mercato, sarà comunque possibile procedere alla rinegoziazione del mutuo o alla surroga.

Infine, se proprio si vuole procedere con la stipula di un contratto di mutuo a tasso variabile, il consiglio è scegliere la formula con CAP, cioè con tetto massimo al tasso di interesse.

Leggi anche: Detrazioni interessi di mutuo sulla prima casa, come si calcolano?

 

Patrimoniale, ora a chiederla è l’Unione Europea. Cosa succede?

L’Italia ha sempre avversato l’idea di introdurre una tassa patrimoniale, in particolare, la destra liberale ha sempre sostenuto che una patrimoniale sarebbe ingiusta e potrebbe determinare effetti negativi in quanto poco accettata. Ora l’ipotesi di una patrimoniale arriva dal Parlamento Europeo e, se approvata, troverebbe applicazione anche in Italia, mandando in frantumi anni di lotte e soprattutto andando a superare gli ostacoli ideologici che finora hanno ostacolato tale introduzione.

Patrimoniale: favorevoli e contrari alla tassa sul patrimonio

Come dice lo stesso nome, la patrimoniale è una tassa sul patrimonio, non colpisce quindi il reddito corrente, ma depositi, risparmi, proprietà. Di fatto visto che le entrate correnti sono già tassate, se le stesse sono accantonate in parte e poi tassate con la patrimoniale, è come se gli stessi redditi venissero tassati due volte. Chi è favorevole alla patrimoniale sostiene che sarebbe una misura di equità che potrebbe ridurre le fasce di povertà.

In Italia una sorta di patrimoniale ha trovato applicazione nel 1992 quando con il Governo Amato, di notte (10 luglio), si optò per il prelievo forzoso dello 0,6% dai conti correnti degli italiani. L’obiettivo in quel momento era sanare i conti pubblici, quella manovra sconvolse gli italiani soprattutto per le modalità e ha portato poi a fidarsi molto poco dello Stato.

Parlamento Europeo: chi chiede la patrimoniale?

Per quanto riguarda la situazione attuale, a chiedere la patrimoniale in Unione Europea è un gruppo di 130 parlamentari, l’obiettivo di questa imposizione da applicare a coloro che sono considerati “ultra-ricchi” è finanziare la transizione ecologica. A chiedere l’attuazione di una patrimoniale sono Socialisti e Democratici, Sinistra unitaria europea e Verdi, questi gruppi rappresentano circa il 20% del Parlamento Europeo, quindi non si tratta di una forza particolarmente rilevante, ma non è detto che non riescano a guadagnare ulteriori consensi verso questa proposta. Deve essere sottolineato che la stessa ha ricevuto il plauso di molti accademici e anche questo dato potrebbe avere una certa rilevanza.

La patrimoniale ipotizzata dovrebbe essere un prelievo diretto dell’1,5% sulle ricchezze di valore superiore a 50 milioni di euro.

Tassa sul patrimonio: chi è favorevole e chi contrario?

L’introduzione di una patrimoniale non è un’ipotesi che sfiora solo il legislatore europeo, infatti anche Joe Biden, Presidente degli Stati Uniti d’America ha ipotizzato un aumento di imposizione fiscale sui grandi patrimoni. La minimum tax sui miliardari dovrebbe arrivare al 25%, mentre la tassazione sulle plusvalenze ( capital gain) dovrebbe essere portata dal 20% al 39,6%. Infine, è previsto un aumento della tassazione sulle società miliardarie.

In Italia l’introduzione di una patrimoniale è sostenuta soprattutto dai partiti di sinistra e sembra che con la nuova guida del Pd affidata a Elly Schlein anche il Partito Democratico, che ha avuto sempre posizioni meno possibiliste su questa tassazione, si stia schierano a favore. C’è però un nodo da sciogliere, cioè l’obiettivo dichiarato dal Governo Meloni di ridurre la pressione fiscale.

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