Bonus trasporti settembre, sempre più vicino il Click day

Bonus trasporti settembre mancano pochi giorni per l’avvio alla richiesta del credito da 60 euro. Ecco la data tanto attesa e tutte lo novità per richiederlo.

Bonus trasporti settembre, mancano poche ore

C’è grande attesa per quello che sarà il click day legato al bonus trasporti. Per il momentaneo esaurimento della dotazione finanziaria prevista del Decreto Legge n. 5 del 14 gennaio 2023 le domande erano state bloccate. Tuttavia arriva un click day che permetterà di prenotare il proprio bonus trasporti. Infatti possibile effettuare un nuovo tentativo di richiesta a partire dalle ore 8.00 del 1° settembre 2023 per usufruire degli eventuali residui generati dal mancato utilizzo di bonus richiesti nel mese di agosto 2023.

Chi può usufruire del bonus trasporti settembre?

Possono usufruire del decreto trasporti 2023, tutti coloro che hanno un reddito complessivo inferiore a 20 mila euro. La domanda dovrà essere presentata entro il 31 dicembre 2023, sul portale dedicato sul sito del Ministero dei trasporti. Il bonus si può chiedere per sé stessi o per un beneficiario minorenne a carico. Ad esempio può richiederlo un genitore per il figlio minorenne. Inoltre il richiedente deve accedere con SPID o Carta d’Identità Elettronica (CIE) e indica il codice fiscale del beneficiario.

Fino ad agosto 2023, i contributi di 60 euro per l’acquisto di abbonamenti del trasporto pubblico locale, regionale, interregionale e nazionale hanno raggiunto quota 1.875.600 per un totale di 95 milioni di euro. In particolare per il trasporto ferroviario il bonus è valido per l’acquisto di abbonamenti mensili, pluri mensili o annuali (comprese le Carte Tutto Treno e integrati, a eccezione di quelli a serie fissa), per i treni del trasporto nazionale, regionale e interregionale. Tuttavia è spendibile anche per mezzi di trasporto pubblico come gli autobus e i tram di linea.

Quante volte si può richiedere  il contributo?

E’ possibile effettuare una richiesta al mese del Bonus utilizzando la piattaforma del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Pertanto nei mesi successivi, fino a dicembre 2023 e comunque fino ad esaurimento fondi, è possibile effettuare ulteriori richieste. L’importo massimo è di 60,00 euro. Quindi tutti pronti mancano ancora poche ore poi sarà click day nella speranza che i fondi bastino per tutti i richiedenti.

Supporto Formazione e Lavoro, istruzioni per l’iscrizione in piattaforma

L’Inps con la circolare 77 del 29 agosto ha reso noto che dal 1° settembre 2023 sarà attiva la piattaforma per l’iscrizione al sistema Supporto Formazione e Lavoro. Nella circolare indica anche i requisiti per potersi iscrivere e le modalità per farlo.

Chi può iscriversi al sistema Supporto Formazione e lavoro? Requisiti

Possono iscriversi alla piattaforma Supporto Formazione e lavoro i cittadini di età compresa tra 18 e 59 anni di età che abbiano un Isee inferiore a 6.000 euro e risultino occupabili al momento della presentazione della domanda.

Si tratta di persone che non possono percepire il reddito di inclusione, ricordiamo che questo è riservato ai nuclei familiari in cui siano presenti minori, persone con invalidità riconosciuta o con un sessantenne.

La domanda può essere presentata autonomamente utilizzando la piattaforma Inps oppure attraverso i patronati.

Coloro che si iscrivono devono essere indirizzati dall’Inps verso percorsi di formazione della durata massima di 12 mesi. Per la durata del corso ricevono un supporto economico di 350 euro mensili. Questa misura sostituisce il reddito di cittadinanza.

Cosa prevede il Supporto Formazione e Lavoro?

Il Supporto alla Formazione e Lavoro prevede la partecipazione ad attività di formazione, qualificazione e riqualificazione professionale, orientamento e accompagnamento al lavoro, da svolgere tramite l’apposita piattaforma SIISL (Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa).

La circolare sottolinea che dopo aver presentato istanza per partecipare ai percorsi previsti dal sistema di Supporto Formazione e Lavoro, deve essere compilato il PAD ( Patto di Attivazione Digitale) nella compilazione devono essere fornite informazioni necessarie per la presa in carico e devono essere individuate 3 agenzie per il lavoro o altri enti autorizzati all’attività di intermediazione per l’attivazione al lavoro e per la sottoscrizione del patto di servizio personalizzato.

Chi chiede l’accesso al supporto Formazione e lavoro deve impegnarsi anche a sottoscrivere la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (DID) e recarsi presso il centro per l’impiego per la stipula del patto di servizio personalizzato. Nel caso in cui un patto di servizio sia stato già sottoscritto in passato, lo stesso viene semplicemente aggiornato o integrato.

Completata questa procedura il “lavoratore” può essere contattato per offerte di lavoro, servizi di accompagnamento al lavoro o essere inseriti in piani di formazione. Attraverso la piattaforma l’utente può anche selezionare autonomamente dei percorsi di formazione ai quali vuole partecipare.

A cosa prestare attenzione

Occorre prestare molta attenzione alle procedure previste, infatti l’Inps nella circolare 77 del 29 agosto 2023 sottolinea che l’adesione alle misure di formazione e di attivazione lavorativa indicate nel patto deve essere confermata ai servizi competenti, almeno ogni 90 giorni in caso di mancato adempimento vi è la sospensione del beneficio.

Chi riceve le prestazioni previste dal percorso di Supporto Formazione e lavoro è tenuto ad accettare la prima offerta di lavoro congrua.

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INPS, arriva il Supporto Formazione e Lavoro per 12 mesi

Vacanze rovinate, è possibile richiedere rimborso e danni morali

Le vacanze rovinate sono un incubo per molte persone. Ma è possibile richiedere i rimborsi e i danni morali, ecco come fare per ottenerli.

Vacanze rovinate, ecco in quali casi

Si lavora tutto l’anno e si comincia a fantasticare sulle vacanze spesso molto tempo prima. Tra le mete da raggiungere, i modi per farlo, costi e tour operator c’è l’imbarazzo della scelta. Certo stare attenti al caro vacanze è importante. Poi arriva il momento del giorno della partenza e nella valigia, oltre che i vestiti, va anche tanta fiducia nel divertirsi. Ma la vacanza può in poco tempo essere rovinata e trasformarsi in una forte delusione. E’ quello che succede a tanti vacanzieri, che si trovano a fare i conti con diversi problemi.

Possono senza dubbio rovinare le vacanze dei ritardi di aerei o altri mezzi. Ma anche dei resort che sembrano paradisi, ma non lo sono per nulla. Pacchetti all inclusive, che invece non prevedono le bevande e tanto altro ancora. Da oggi i tour operator devono fare molta attenzione a quello che offrono, promettono e vendono. Infatti la Cassazione ha stabilito che chi ha ferie rovinate non soltanto ha diritto al rimborso, ma piò anche chiedere il risarcimento per danni morali e biologici subiti.

La sentenza della Cassazione per un caso esaminato

Tutto nasce da un sentenza della Cassazione che ha condannato, dopo 10 anni, un tour operator al risarcimento di una vacanza rovinata ad una coppia. Secondo il caso riportato, una coppia nel 2012, aveva acquistato una vacanza da favola a Cuba, all inclusive e piena di aspettative. Ma in realtà, più che una vacanza, il tutto si è trasformato in incubo. Infatti nessuna corrispondenza tra la realtà ed il depliant dato dal tour operator. Carenza di igiene, sporcizia e ritardo dell’aereo di ben tre ore avevano rovinato la vacanza, che si è rivolta al giudice per il rimborso.

Il giudice di pace aveva accolto il ricorso. Ma la sentenza era stata impugnata e, in secondo grado, il Tribunale di Napoli aveva ribaltato la decisione: rigettando le richieste della coppia per intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento. La coppia non si è data per vinta ed ha vinto in Cassazione. I danni da vacanza rovinata rientrino tra violazione dei diritti della persona, garantiti dall’articolo 2 della Costituzione.

Vacanze rovinate, cosa  fare per richiedere il rimborso?

Il diritto al rimborso è valido per tre anni dalla conclusione della vacanza. Tuttavia un consiglio è quello di documentare il più possibile quanto accaduto, con foto e video, che serviranno come prova documentata. Il risarcimento del danno da vacanza rovinata deve essere richiesto direttamente all’agenzia o al tour operator che ha venduto il pacchetto. Non va richiesto al gestore dell’albergo, della struttura o degli impianti nei quali si è verificato il disservizio, né alla compagnia di trasporti.

In caso di mancato o inesatto adempimento delle obbligazioni assunte con la vendita del pacchetto turistico, l’organizzatore (tour operator) ed il venditore sono tenuti al risarcimento del danno, secondo le rispettive responsabilità (articolo 43 del Codice del Turismo). E la cassazione non ha fatto altro che confermare quanto già indicato nel Codice del turismo, aggiungendo anche la possibilità di richiedere il rimborso per danni morali. Quindi si consiglia ai tour operator di stare attenti al pacchetto proposto, prima di metterlo a disposizione dei clienti.

Bonifici istantanei, stop alle commissioni dall’UE. Chi risparmia?

La Commissione Affari economici e monetari del Parlamento Europeo con 49 voti favorevoli, 2 contrari e 2 astenuti, ha approvato il provvedimento che prevede per i bonifici istantanei l’eliminazione di costi aggiuntivi rispetto alle normali commissioni.

Bonifici istantanei, eliminati i costi accessori

In linea con una precedente decisione della Commissione Europea, la Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo ha provveduto ad approvare la norma che permette di parificare i costi dei bonifici istantanei a quelli ordinari. In questo modo l’utente può scegliere in ogni momento quale tipologia di bonifico scegliere senza limiti dovuti alle differenze di costo dei bonifici stessi.

L’obiettivo finale è rendere i trasferimenti di denaro più veloci.

I bonifici istantanei sono particolarmente comodi perché consentono di trasferire somme di denaro in tempo reale grazie all’uso di una piattaforma specifica che consente i trasferimenti in 10 secondi. Sono apprezzati perché consentono di completare la transizione come se si stesse usando del denaro contante e chi deve ricevere il denaro sa immediatamente se il pagamento è andato a buon fine.

Quali sono i vantaggi dei bonifici istantanei?

Attualmente i costi dei bonifici istantanei dipendono dalle scelte degli istituti bancari e dalle somme da movimentare, ma proprio questi costi portano molte persone a scegliere il bonifico ordinario che impiega dei giorni prima che il trasferimento di denaro sia completato tra il conto ordinante e il conto ricevente. Generalmente il costo varia dai 2 ai 25 euro.

Deve anche essere sottolineato che non tutte le banche offrono il servizio di bonifici istantanei. Fino al 1° luglio 2019 era possibile utilizzarli con importi massimi di 15.000 euro, il tetto è stato successivamente innalzato fino a 100 mila euro.

La decisione dell’Unione Europea di eliminare i costi aggiuntivi dai bonifici istantanei non trova particolare consenso tra le banche soprattutto in seguito all’applicazione anche della tassa sugli extra-profitti, infatti va ulteriormente a ridurre i margini di guadagno per le banche.

Leggi anche: Prelievo forzoso extraprofitti, via libera dal governo. Cosa significa e chi è a rischio?

Bonus benzina, potrebbe arriva solo per i più poveri

Il bonus benzina è una delle proposte che sta vagliando il Governo. Ma non sarà per tutti, probabilmente per coloro che hanno redditi bassi.

Bonus benzina, una soluzione possibile

Il costo del carburante è sempre molto elevato. Sia al self e che al servito, in autostrada o meno, la spesa per la benzina ha un suo peso sul portafoglio delle famiglie. A maggior ragione a settembre in cui ricominciano le scuole, gli spostamenti e le attività lavorative riprendono a pieno. Il governo ha dichiarato di non voler intervenire sulle accise. Ma di andare verso una soluzione possibile, cioè quella di attivare un bonus benzina.

La scelta sarebbe dettata dal fatto che a conti fatti, il bonus potrebbe pesare meno sulle tasche dello stato rispetto alla riduzione delle accise. Non solo, ma si andrebbe ad aiutare davvero chi ha bisogno, i redditi bassi, e non tutti in maniera indistinta. Una scelta ponderata che però trovo il parere negativo delle opposizioni. Questi ultimi sono sempre più convinti che il taglio delle accise sia la soluzione migliore. Ma la premier è stata chiara in conferenza stampa, ribadendo il concetto che non ci sono molti euro a disposizione della manovra, pertanto vanno destinati a chi ne ha davvero bisogno.

Bonus benzina, a chi potrebbe andare?

Il bonus benzina potrebbe andare solo a chi ne ha davvero bisogno, quindi redditi bassi. Ma ancora, essendo solo un’idea, non è stato stabilito alcun margine. Forse il tetto potrebbe essere quello identico alla social card. Un aiuto che potrebbe permettere di muoversi e andare a lavoro anche per i percettori del nuovo assegno di inclusione. Occorre in ogni caso fare i conti con le risorse finanziarie messe a disposizione. In ogni caso, sarà il valore ISEE a definire i nuclei familiari a cui sarà concesso, come avviene per tutti gli aiuti di Stato.

Il Governo punta principalmente al rafforzamento di stipendi e pensioni. Altro punto importante è quello del sostegno alla natalità, in quanto si registrano sempre meno nuove nascite in Italia. Si sta studiando, oltre all’assegno unico, altre misure di sostegno per le coppi che vogliono mettere su famiglia. Non si escludono nuovi sgravi fiscali anche per chi assume le mamme con tre figli.

Poche risorse finanziarie per una manovra corposa

Uno dei problemi principali è dove recuperare le risorse finanziarie necessarie. Gli introiti dovrebbero arriva dagli extra profitti degli istituti di credito che hanno guadagnato a causa dell’aumento dei tassi di interesse. Altre risorse potrebbero arrivare dal maggiore gettito fiscale, dovuto ai rincari dei carburanti, per i quali non è previsto alcun taglio delle accise. Sul tavolo dei consiglio dei ministri c’è anche il memorandum per Tim e la salvaguardia della rete distributiva italiana.

 

Rimborso credito Irpef, fino a quando si può avere?

Quando si presenta la dichiarazione dei redditi senza avere un sostituto di imposta, è direttamente l’Agenzia delle Entrate a rimborsare il credito Irpef con accredito in conto corrente o bonifico domiciliato. Cosa succede però se il rimborso non viene erogato? Fino a quando è possibile richiedere il rimborso credito Irpef?

Rimborso credito Irpef, chi deve chiederlo?

Chi ha il sostituto di imposta, ad esempio il datore di lavoro oppure l’ente che eroga la pensione, riceve automaticamente con lo stipendio o con la pensione l’eventuale rimborso Irpef generato da detrazioni, deduzioni o semplicemente in seguito al versamento di maggiori imposte rispetto a quanto dovuto.

Chi invece non ha il sostituto di imposta, generalmente presenta il modello redditi Persone Fisiche, riceve il conguaglio dall’Agenzia delle entrate. Per chi ha inserito il proprio codice Iban nel cassetto fiscale, a cui si accede con le proprie credenziali ( codice Spid, Cie o Cns) generalmente non vi sono problemi e si riceve il pagamento con accredito. Problemi possono invece sorgere per chi non ha indicato il codice Iban. Ciò che molti non sanno è che il rimborso Irpef va in prescrizione, cioè a un certo punto non è più possibile richiedere il rimborso delle somme, quando capita ciò?

Entro quanto tempo è possibile richiedere il rimborso credito Iperf?

Generalmente chi presenta la dichiarazione senza sostituto di imposta ( disoccupati, partite Iva, lavoratori autonomi) riceve il rimborso entro sei mesi dal termine per la trasmissione della dichiarazione (quindi entro il marzo successivo). In particolare per somme fino a 1.000 euro l’erogazione avviene tra il 15 dicembre ed entro il 22 dicembre, mentre per somme superiori il rimborso avviene successivamente ed entro il mese di marzo.

Il rimborso dei crediti Irpef, in seguito a presentazione della dichiarazione dei redditi, deve essere richiesto entro 48 mesi. Una volta richiesto il rimborso, la prescrizione di tale richiesta si ha entro 10 anni. Nel caso in cui effettuata la richiesta di rimborso dei crediti Irpef e lo stesso non sia erogato dall’Agenzia delle Entrate, è possibile presentare ricorso per ottenere le somme.

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Rimborso Irpef oltre 4.000 euro, come funziona?

Bonus ristrutturazione, qual è il limite se immobile diviso in due unità?

Quando si parla di agevolazioni fiscali vi sono sempre dei dubbi, oggi vedremo il limite delle detrazioni fiscali per la ristrutturazione di un immobile nel caso in cui l’immobile debba essere diviso in due unità immobiliari.

Qual è il limite del beneficio fiscale in caso di ristrutturazione?

Come sappiamo l’Agenzia delle Entrate attraverso la rubrica FiscoOggi risponde a dubbi e quesiti dei contribuenti. Tra le questioni poste molte si riferiscono alle agevolazioni fiscali come il bonus ristrutturazione. Ricordiamo che il bonus ristrutturazioni consente di avere il 50% della spesa sostenuta nel limite di 96.000 euro. Un contribuente si chiede però se il limite resta tale anche nel caso in seguito alla ristrutturazione l’immobile sarà diviso in due unità immobiliari distinte.

Il contribuente nello specifico chiede: Desideravo avere una conferma sulla spesa massima detraibile per l’effettuazione di interventi di ristrutturazione edilizia al termine dei quali un immobile verrà suddiviso in due unità immobiliari.

Il limite massimo di spesa beneficiabile si riferisce all’immobile prima della ristrutturazione

L’Agenzia delle Entrate nella sua risposta è altrettanto chiara, infatti, sottolinea che per calcolare il limite massimo di spesa che può ottenere l’agevolazione fiscale si fa riferimento alla situazione iniziale dell’immobile e di conseguenza anche se in seguito agli interventi di ristrutturazione l’immobile consisterà in due unità immobiliari, il limite massimo di spesa resta di 96.000 euro. Sottolinea l’Agenzia che: per individuare il limite di spesa devono essere considerate le unità immobiliari censite in Catasto all’inizio dei lavori edilizi e non quelle risultanti alla fine dei lavori (circolare 121 del 1998).

L’Agenzia inoltre ricorda che il limite di spesa che può ottenere il beneficio fiscale è fissata in 96.000 euro per il 2023 e il 2024, dal 2025, il limite sarà ridotto a 48.000 euro.

Naturalmente potrebbero esservi delle novità e nei prossimi mesi potrebbe essere prorogata la quota, ma non vi sono certezze. Ricordiamo che limiti diversi sono previsti per il Superbonus, bonus barriere architettoniche e bonus sisma e quindi è bene scegliere la soluzione che si ritiene più opportuna.

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Prezzo del pellet inverno 2023-2024, cosa attendersi?

La maggior parte degli italiani è alle prese con i rientri dopo le vacanze estive e di fatto già preoccupata per l’imminente cambio di stagione che porta con sé anche nuove spese, tra queste la spesa del riscaldamento che l’anno scorso ha portato ad esborsi davvero importanti. Molti si chiedono quale sarà il prezzo del pellet, ecco i listini che abbiamo trovato presso vari rivenditori.

Il prezzo del pellet pre-stagionale 2023-2024

Partita la vendita pre-stagionale del pellet, quest’anno, rispetto all’anno appena trascorso potrebbe portare dei vantaggi. L’inverno 2022-2023 è stato caratterizzato da una partenza con Iva al 22% e prezzi altissimi, in pre-stagionale in media 10 euro, per poi salire nei mesi successivi. A un certo punto, complice la riduzione dell’Iva al 10%, misura straordinaria, il prezzo inizia a scendere, ecco perché chi ha comprato il pellet in pieno inverno, anche gennaio e febbraio, ha potuto beneficiare di prezzi ridotti. Quest’anno parlando con i venditori sappiamo che temono un rientro dell’Iva al 22% già a partire da gennaio, quindi consigliano di approfittare di questi ultimi mesi per evitare il rialzo della tassazione.

Quanto costa ora il pellet?

Quanto costa il pellet? Questa la domanda che in molti si stanno facendo. Attualmente i prezzi oscillano tra 5,50 euro al sacco (15 kg) e 6,90 euro al sacco, questo il prezzo più alto che abbiamo trovato. Il prezzo più basso, 5,50 euro, si riferisce a pellet non certificato o con certificazione A2. Al prezzo di 6,50 euro abbiamo trovato pellet di abete, la sua principale caratteristica è raggiungere in breve tempo la temperatura ideale, di conseguenza per chi ha stufa con modulazione, inizia a bruciare meno in poco tempo.

A 6,70 euro abbiamo trovato pellet di faggio oppure faggio misto ad abete. Il faggio brucia lentamente, quindi un sacco ha una durata maggiore, uno degli inconvenienti è dato dal fatto che raggiunge più lentamente la temperatura ideale e di conseguenza chi ha una stufa a modulazione potrebbe comunque bruciare una quantità notevole di prodotto.

La soluzione ideale potrebbe essere utilizzare pellet di abete per avviare la stufa e farla arrivare alla temperatura impostata e in seguito utilizzare pellet di faggio per mantenere la temperatura costante. Certamente tale scelta richiede molta attenzione e pazienza.

Previsioni prezzo del pellet nei prossimi mesi

Non sappiamo se nei prossimi mesi i prezzi aumenteranno, almeno fino al 31 dicembre. Questo è dovuto alla domanda che attualmente, dicono i venditori ancora non è prevedibile perché l’arrivo dell’estate piuttosto tardivo e le temperatura ancora molto elevate stanno portando molti a posticipare gli acquisti. A ciò si aggiunge che l’anno scorso molti hanno apportato modifiche alle stufe a pellet e quindi la domanda potrebbe essere bassa anche quest’anno. C’è un’elevata probabilità che i prezzi restino costanti almeno fino a dicembre.

Leggi anche: Iva sul pellet: ridotta al 10% dal 1° gennaio, ma fino a quando?

Partite Iva “apri e chiudi”, i controlli dell’Agenzia delle entrate

Le partite Iva “apri e chiudi” sono da tempo sotto la lente di ingrandimento del Fisco. Sono già state chiuse 1.221 partite iva, ecco cosa sta succedendo.

Partite Iva “apri e chiudi”, cosa sta succedendo?

I controlli del fisco sono sempre più incentrati su partite iva e contribuenti. Secondo l’ultimo comunicato dell’Agenzia delle entrate sono state chiuse 1221 partite iva “apri e chiudi”. Sono chiamate Partite Iva “apri e chiudi” quelle partite Iva aperte per avviare un’attività ma poi chiuse prima di essere tracciate dal Fisco e dover quindi pagare le tasse. Il soggetto fraudolento fa perdere le proprie tracce e ripete poi più volte l’operazione per continuare a non pagare le imposte.

Ebbene il 31 luglio 2023 l’Agenzia delle entrate ha emanato 1.221 provvedimenti di cessazione d’ufficio della Partita Iva, in applicazione della nuova normativa diretta a scongiurare il fenomeno evasivo di questo tipo di “imprenditori“. A discapito magari di imprenditori onesti che invece aprono le loro aziende. E anche mantengono famiglie e dipendenti, pagando le tasse anche in momenti difficili come gli ultimi tre anni.

Partite Iva “apri e chiudi”, una distinzione per Regione

Sulle 1221 partite Iva è presente anche uno studio approfondito per regione. Infatti di queste, 359 sono intercettate e chiuse in Lombardia (29%), 254 nel Lazio (21%) e 166 in Campania (14%). A seguire Toscana e Veneto con 105 chiusure. In tutte le restanti regioni i provvedimenti hanno interessato complessivamente 232 soggetti. I criteri di rischio per l’individuazione delle Partite Iva da sottoporre a controllo e i presupposti per la chiusura d’ufficio sono individuati in un Provvedimento delle Entrate. La firma è quella del Direttore, Ernesto Maria Ruffini, il 16 maggio 2023.

Grazie alle analisi svolte dalle strutture antifrode dell’Agenzia sulla base delle nuove norme e con l’ausilio di un nuovo e specifico applicativo informatico è elaborata un’ulteriore lista selettiva di oltre 500 Partite Iva aperte fra il 1° gennaio 2021 e il 31 dicembre 2022. E sono caratterizzate da anomalie sotto il profilo soggettivo e caratterizzate da consistenti operazioni economiche, pari nel complesso ad oltre 2 miliardi di euro, sui quali sono in corso approfondimenti.

Le nuove norme  introdotte dalla legge di bilancio

La Legge di bilancio per il 2023 ha introdotto due commi all’articolo 35 del DPR 633/1972 che prevedono nuove misure di prevenzione e contrasto ai fenomeni di evasione connesse al rilascio delle Partite Iva. In particolare, il comma 15-bis.1 prevede la cessazione d’ufficio della Partita Iva per quegli operatori economici caratterizzati da profili di grave e/o sistematica evasione. Ma anche in caso di inadempimento degli obblighi fiscali nell’esercizio di attività che si esauriscono dopo un breve ciclo di vita (cd. “Partite Iva apri e chiudi”).

Il comma 15-bis.2 stabilisce che il soggetto destinatario di un provvedimento di cessazione della Partita Iva possa richiedere l’attribuzione di una nuova Partita Iva solo previa presentazione di una polizza fideiussoria o di una fideiussione bancaria della durata di tre anni e dell’importo minimo di euro 50.000 (o, comunque, parametrato alle violazioni fiscali commesse, se di importo superiore). Vita più difficile per i furbetti che utilizzano le Partita Iva in modo fraudolento. Speriamo invece in un pò più di clemenza verso gli intestatari di partita iva che invece pagano regolarmente le tasse, per un Fisco più amico e meno inquisitorio, almeno per questi soggetti.

Single italiani, la vita costa il 90% in più, ecco i motivi

Single italiani hanno una vita che costano di più, circa il 90%, rispetto alle famiglie tradizionali. Ecco perché si lasciano meno le famiglie d’origine.

Single italiani, non conviene vivere da soli

I giovani italiana hanno sempre più difficoltà a lasciare le proprie famiglie d’origine per andare a vivere da soli. Il caro vita, inflazione, tasse, costi di bollette e tanto altro bloccano queste scelte. Un problema che non si riversa solo sui giovani, ma anche gli anziani che vivono da soli devono fare i conti gli aumenti. Insomma vivere da soli costa di più, ma in questi tempi lo è più del solito, perché tutte le spese impattano nel reddito di una sola persona. Mentre le buste paghe o i redditi da libero professionista non sono aumentati in base all’inflazione, che è l’aumento generale del livello dei prezzi.

Ma quanto costa vivere da soli? La spesa media mensile è di 1.796 euro. Con un minimo di 1.666 euro per gli over 65, che tentano di risparmiare proprio su tutto e che spesso la vita è meno frenetica. Ma con un massimo di 1.957 euro per la fascia che va dai 35 ai 64 anni. La rilevazione è in questo periodo, ma da settembre è possibile che ci sia un’altra stangata sui prezzi.

Single italiani, quanto si spende in più

Una persona che vive da sola spende mediamente il 140% in più rispetto alla nostra famigliola di tre persone. Stiamo parlando di più del doppio. Sembra assurdo, ma è così nella realtà. Ciò non significa però che non siano previsti aiuti, per chi sceglie di staccarsi dai genitori o che resta solo, ma forse sono insufficienti. Difficoltà ci sono anche per le famiglie numerose. Anche se il Governo è più propenso ad aiutare maggiormente le famiglie che hanno figli, attraverso anche l’assegno unico per i figli a carico.

Anche quando si va al supermercato, a conti fatti, i single spendono più soldi. Le ragioni sono due: i single comprano meno, anche per evitare di far scadere la roba, ma alla fine spendono di più perché non possono approfittare di offerte come il 2×1 o il 3×2. Sembra che l’Italia sia un paese per chi vive in coppia. Infatti la tendenza è quella di lasciare la propria casa d’0rigine solo per convivere o sposarsi e quindi dividere le spese in qualche modo.

Alcuni consigli per chi vive da solo

Se un single vive da solo, soprattutto nella grandi città, vuole o non vuole si trova a fare dei conti che sono davvero salati. Così ci sono alcune soluzioni disponibili. Ad esempio, una soluzione è quella di trovarsi un inquilino per dividere le spese fisse. Se si vive in un monolocale è impossibile, ma per i bivani la storia potrebbe essere diversa. Infatti in questo caso con due camere da letto è possibile dividere i costi del canone di locazione, energia elettrica, acqua e gas.

Altro consiglio è quello di spostarsi in luoghi meno costosi, ma ben serviti. Magari vivere al centro di Milano è davvero proibitivo. Nell’insieme vivere a Milano può costare indicativamente 3.300 euro al mese per una famiglia tipo, una cifra ben più alta rispetto alla media italiana. Quindi per chi è da solo, si tratta davvero di una cifra difficile da sostenere. Il consiglio è cercare di trovare una soluzione magari nelle periferie vicine. Il prezzo delle affitti è più basso, ma l’importante è che siano ben collegati con il centro. Questo potrebbe permette di risparmiare sia sul costo della casa dei trasporti, sfruttando gli abbonamenti mensili.