Prelievo dal conto corrente del defunto: è ammesso?

Quando un congiunto viene meno è necessario regolare i vari rapporti patrimoniali dello stesso. Di fatto nell’immediato può essere necessario avere delle somme disponibili per far fronte a spese immediate, ad esempio quelle funebri che sono rilevanti. In questi casi la prima cosa che fanno il coniuge/convivente e i figli o altri parenti stretti, è tentare un prelievo dal conto del defunto per far fronte a tali oneri, ma il prelievo dal conto corrente del defunto è ammesso?

Prelievo dal conto del defunto: non si può fare

Alla domanda:  il prelievo dal conto corrente del defunto è ammesso? La risposta più semplice è no, ma di fatto, la banca non è tenuta a informarsi sulle condizioni di salute del suo correntista e, fino a quando non riceve la comunicazione di decesso del correntista, non interviene sul blocco del conto.

D’altronde, la comunicazione deve essere effettuata dagli eredi anche tramite PEC, attraverso una raccomandata con ricevuta di ritorno o di persona, ma di certo non è il primo pensiero degli stessi, tranne nel caso in cui sospettino delle attività di prelievo poco consone e quindi si premurino di comunicare alla banca il decesso.

In caso di morte di un congiunto non si possono fare operazioni al bancomat dal suo conto

In caso di morte di un correntista si possono verificare diverse ipotesi, cercheremo di delineare le più comuni. Certamente può essere difficile fare dei prelievi dal conto corrente del defunto direttamente in banca, tranne nel caso in cui si tratti di un soggetto cointestatario del conto oppure con delega, ma di fatto per chi conosce il PIN fare dei prelievi all’esterno tramite bancomat è un’operazione davvero facile e può invece essere difficile risalire in seguito a chi in effetti ha operato sul conto, in questo caso si è però di fronte a un reato. D’altronde è abitudine comune condividere il PIN con il coniuge e in molti casi anche con i figli.

La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza 20678/2017 ha sottolineato che per un figlio non cointestatario del conto del genitore, effettuare prelievi al bancomat con la carta del genitore è reato, ma c’è un esimente nel caso in cui si dimostri che in realtà era stato il genitore a fornire la carta e i codici per il prelievo e per questa ragione il soggetto riteneva di poter operare in tal senso.

In caso di morte questo comportamento deve essere considerato scorretto infatti la pratica consona è avvisare la banca, che blocca il conto tranne i pagamenti costanti, ad esempio nel caso in cui sul conto ci sia la domiciliazione delle utenze. Il conto deve essere bloccato anche nei confronti del cointestatario e di chi ha delega di firma. Si aprono quindi le pratiche successorie, mentre generalmente la banca autorizza il pagamento esclusivamente delle spese funebri.

Cosa succede se dopo la morte e prima della comunicazione alla banca vengono prelevate delle somme?

La prima cosa da sottolineare è che eventuali prelievi non espongono la banca al rischio di dover restituire le somme, anche perché qualunque erede poteva comunicare il decesso alla banca (Corte di Cassazione ordinanza n. 7682/21 del 19.03.2021). Si può però agire nei confronti di chi ha prelevato le somme e fare quindi in modo che le stesse ricadano nell’eredità. Le azioni possono essere esercitate anche nei confronti del cointestatario che abbia svuotato il conto. Su questo punto occorre precisare che se il soggetto che preleva ha anche la qualità di erede, l’aver prelevato esclude la possibilità che in seguito possa rinunciare all’eredità e quindi dovrà anche pagare i debiti del defunto.

Se vuoi saperne di più sulla rinuncia all’eredità leggi l’articolo: rinuncia all’eredità: caratteristiche limiti e procedura

In tutti questi casi è possibile agire in sede civile per far imputare le somme prelevate all’eredità e quindi procedere alla divisione della stessa. Inoltre nel caso in cui si ritenga che il conto sia stato svuotato con dolo e quindi con il preciso intento di danneggiare gli altri coeredi, è possibile presentare anche querela e quindi far aprire un procedimento penale per appropriazione indebita, la querela deve essere presentata entro 3 mesi dalla conoscenza dei fatti.

Conto cointestato: cosa succede?

Nel caso in cui il conto sia a firma congiunta, il cointestatario non potrà operare su esso. Il conto cointestato con firma disgiunta sicuramente crea qualche imbarazzo al momento del decesso, la prima cosa da sottolineare è che in questi casi si ritiene che ogni soggetto intestatario del conto sia proprietario di una quota di uguale misura, quindi in caso di due intestatari ciascuno è proprietario al 50%, ma la firma disgiunta consente a ciascuno dei due di operare anche sull’intero conto, ecco perché il cointestatario potrebbe svuotare il conto prima di comunicare il decesso. Il conto può comunque essere bloccato, basta la comunicazione alla banca della morte di uno dei cointestatari effettuata da parte di uno dei coeredi, in seguito possono essere compiute operazioni sul conto solo se autorizzate da tutti i coeredi.

Certamente questo può creare dei problemi al cointestatario, facciamo il caso di due coniugi con conto cointestato e firma disgiunta su cui viene si accredita la pensione. Sulle somme giacenti entrambi i contestatari sono proprietari al 50%, quindi solo il 50% deve essere diviso tra i coeredi e tra questi vi è proprio il coniuge, ma di fatto la banca in seguito alla comunicazione del decesso in via cautelativa può bloccare il conto e il cointestatario potrebbe avere difficoltà anche a riscuotere la propria pensione.

Coeredi possono rivalersi su chi ha effettuato i prelievi anche se cointestatario?

I coeredi possono comunque recuperare le somme riscosse dopo la morte, ma solo la quota inerente il defunto, quindi il 50% se sono due intestatari, mentre non possono recuperare le somme prelevate nell’imminenza della morte, tranne nel caso in cui riescano a dimostrare che in realtà il soggetto era privo di capacità di intendere e di volere oppure se le somme sono confluite su un altro conto. In questo secondo caso è possibile dimostrare che vi sia un intento fraudolento.

Nel caso in cui gli eredi vogliano ricostruire i movimenti effettuati sul conto del defunto, devono semplicemente farne richiesta alla banca che non può rifiutare.Per ottenere il rendiconto è necessario presentare un atto notorio da cui emerge la qualità di erede e il certificato di morte.

Quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi? Ecco i termini

Chi chiede un prestito e riceve un rifiuto giustificato da un’esposizione o da un debito in sofferenza segnalato alla Centrale Rischi si chiede sempre se tale segnalazione sia legittima e quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi. Ecco una piccola guida per muoversi senza incappare in eccessiva burocrazia.

Quando si viene segnalati e quando si viene cancellati dalla Centrale Rischi

La Centrale Rischi, come abbiamo già visto, è una banca dati detenuta dalla Banca d’Italia, in essa sono segnalati i finanziamenti/prestiti eccedenti i 30.000 euro e le “esposizioni” o “sofferenze” di valore superiore ai 250 euro. Si è già detto che non c’è un criterio univoco per stabilire quando un’esposizione debba essere segnalata, la Corte di Cassazione ha stabilito che non può essere segnalato un semplice ritardo o uno scoperto in conto corrente. Le segnalazioni sono aggiornate mensilmente. L’ente creditore deve però smettere di segnalare un credito dal mese successivo rispetto a quando scende sotto la soglia dei 30.000 euro e quando il debitore sana la sua posizione. Questo però non vuol dire essere cancellati dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia, infatti i dati saranno ancora forniti a coloro che ne facciano richiesta al fine di valutare il merito creditizio.

I dati restano disponibili per 36 mesi dall’ultima segnalazione, solo successivamente si viene cancellati dalla Centrale Rischi. Non tutti possono accedere a tali dati, ma solo i soggetti che in base alla normativa possono effettuare le segnalazioni, possono accedere ma non in modo indiscriminato, ma soltanto se hanno ricevuto una richiesta di prestito/ finanziamento. Trascorso il periodo dei 36 mesi la cancellazione dalla Centrale Rischi avviene in modo automatico, ma come cancellarsi dalla Centrale Rischi se trascorso tale termine i dati continuano a essere disponibili, oppure nel caso in cui si ritenga che la segnalazione non sia legittima? E’ bene sottolineare che le banche spesso rifiutano prestiti a coloro che sono segnalati.

Come cancellarsi dalla Centrale Rischi: contatta la banca che ha segnalato il debito

Se non si viene cancellati automaticamente dalla Centrale Rischi la soluzione più semplice e veloce è rivolgersi alla banca, o altro soggetto, che ha effettuato la segnalazione, basta recarsi semplicemente in filiale, naturalmente tale richiesta deve essere motivata. Se la banca contesta tale richiesta e quindi ritiene di non dover effettuare la cancellazione, il secondo passo è formalizzare tale istanza attraverso l’invio di un modulo per la richiesta di cancellazione dalla Centrale Rischi da inviare alla banca tramite raccomandata con ricevuta di ritorno oppure PEC.

Come cancellarsi dalla Centrale Rischi: rivolgiti all’Arbitro Bancario Finanziario

Naturalmente la banca anche in questo caso può continuare a ritenere la propria segnalazione sia conforme alla normativa e quindi non provvede a cancellare la segnalazione. A questo punto la soluzione è rivolgersi all’Arbitro Bancario Finanziario il cui compito è mediare tra clienti e banche al fine di risolvere in via stragiudiziale la questione. Deve essere sottolineato che negli ultimi anni l’attività dell’Arbitro Bancario Finanziario è stata davvero importante e risolutiva e in media i tempi di risoluzione delle controversie sono molto bassi, cioè solo 105 giorni. Infine, se neanche tale soluzione appare essere risolutiva, è possibile rivolgersi al tribunale ordinario per risolvere la questione in via giudiziale.

Deve essere sottolineato che solitamente non si arriva alle vie legali quando è necessario cancellarsi dalla Centrale Rischi per il decorso dei 36 mesi: la mancata cancellazione in questi casi è spesso un mero errore materiale. mentre è frequente il ricorso all’arbitro o al tribunale quando si ritiene che in realtà la sofferenza non dovesse essere segnalata, ad esempio perché si è trattato solo di un mancato pagamento, oppure perché il debitore non ha ricevuto il preavviso di segnalazione del proprio debito alla Centrale Rischi.

Segnalazione CRIF e alla Centrale Rischi della Banca d’Italia: differenze

Abbiamo visto nei precedenti articoli che coloro che hanno in corso dei finanziamenti possono essere segnalati alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e abbiamo visto le condizioni in cui ciò si verifica e le conseguenza, ora vediamo la segnalazione al CRIF.

Cos’è il CRIF e differenze con la Centrale Rischi

CRIF è acronimo di Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria è una società che gestisce il SIC (Sistema di Informazioni Creditizie) e svolge un ruolo del tutto simile a quello della Centrale Rischi della Banca d’Italia, ma ha una gestione di tipo privato. Le informazioni contenute in CRIF sono fornite direttamente dalle banche ma su base volontaria e sono sempre le banche e gli altri soggetti di intermediazione a poter consultare il dati al fine di valutare la solvibilità di un potenziale cliente. La prima differenza quindi è data dal fatto che non vi è per le banche l’obbligo di trasmettere i dati, cosa che invece succede con  la Centrale Rischi, questo però non vuol dire che questo sistema sia meno affidabile perché ad oggi la CRIF riceve molto credito da parte delle banche e hanno aderito a questo sistema praticamente tutte.

La segnalazione al CRIF

Essere segnalati al CRIF non vuol dire essere cattivi pagatori, infatti vengono inseriti i dati anche relativi alle richieste in corso e alle erogazioni, in questo caso si potrà valutare la serietà del debitore tenendo in considerazione il suo comportamento durante il periodo del piano di ammortamento. Un’altra differenza riguarda le segnalazioni, anche in questo caso sono inserite le informazioni inerenti prestiti e mutui, fidi, carte di credito e leasing erogati a persone fisiche e giuridiche.

Si è visto in precedenza che la segnalazione alla Centrale Rischi avviene al superamento della soglia di censimento di 30.000 euro, in questo caso non vi è soglia,  ma occorre sottolineare un ulteriore aspetto. La segnalazione dei prestiti/mutui avviene esclusivamente con il consenso informato del contraente/debitore, consenso che invece non è necessario per la Banca d’Italia. Il consenso non è necessario nel caso in cui la segnalazione al CRIF non riguardi l’esistenza del prestito, ma la segnalazione per ritardi.

Quali ritardi sono oggetto di segnalazione CRIF

Abbiamo visto che per la Centrale Rischi della banca d’Italia non sono ben determinati i criteri per la segnalazione dei ritardi e quindi come “cattivi pagatori”, questo non succede con la segnalazione CRIF, infatti qui tutto è ben determinato, in particolare:

  • Primo ritardo nel pagamento relativo a un rapporto di credito: viene segnalato quando vi è il mancato pagamento per due mesi consecutivi. Viene inviato al debitore un preavviso di 15 giorni in modo che possa sanare la sua posizione ed evitare la segnalazione CRIF;
  • Ritardi successivi al primo: sono segnalati nella comunicazione mensile, quindi in questo caso non occorre che ci sia il mancato pagamento di due successive rate, la segnalazione è immediata.

Tempi di conservazione dei dati

I tempi di conservazione dei dati cambiano rispetto alla segnalazione Centrale Rischi e sono stabiliti dal Codice di Condotta, la prima cosa da dire è che le segnalazioni al CRIF riguardano tutti gli atti anche propedeutici alla concessione del credito. I termini di conservazione dei dati sono:

  • per le richieste di credito, le informazioni sono detenute per 180 giorni dalla data della richiesta.
  • Nel caso di un prestito non concesso o rinuncia, le informazioni restano archiviate e disponibili per 90 giorni dalla rinuncia/rifiuto;
  • Finanziamenti estinti regolarmente senza ritardi, i dati sono conservati per 60 mesi (5 anni) dal pagamento dell’ultima rata;
  • 1 o 2 rate non pagate regolarmente, questa informazione si conserva per 12 mesi decorrenti dalla regolarizzazione del rapporto, però in questi 12 mesi non devono esservi altri ritardi;
  • Ritardi nel pagamento di 3 o più rate, in questo caso le informazioni sono conservate per 24 mesi successivi rispetto alla regolarizzazione del rapporto. Per ottenere la cancellazione di questa particolare informazione è necessario che nei 24 mesi non sia maturato alcun ritardo;
  • Finanziamenti non rimborsati,  i dati sono conservati per 36 mesi dalla scadenza contrattuale.

Occorre fare una precisazione, infatti i dati ora forniti si riferiscono al periodo in cui il CRIF può rendere disponibili i dati ai soggetti interessati, ad esempio banche a cui a cui il soggetto a cui i dati si riferiscono ha chiesto credito, ma il CRIF può detenere tali dati, senza fornirli a terzi, per 10 anni, ciò in base al Codice di Condotta.

Note finali

Si è detto in precedenza che il soggetto che chiede un prestito può negare il consenso alla trasmissione dei dati inerenti la sua linea di credito al CRIF, ma la banca è altrettanto libera di non concedere il prestito/mutuo, finanziamento, ciò avvalendosi delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 141 del 2010 che richiede agli istituti di credito di verificare il merito creditizio prima di concedere liquidità.

Da questa disamina si può notare che banche e istituti di credito prima di erogare prestiti, finanziamenti, mutui, carte di credito, per verificare la solidità del richiedente e la sua capacità di rimborso, e quindi se è un potenziale cattivo pagatore, possono chiedere informazioni alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, e se aderiscono al CRIF, possono accedere anche alle segnalazioni CRIF. Non è detto che se un soggetto non risulti segnalato alla Centrale Rischi, non risulti invece in quella del CRIF, anzi. Le banche possono inoltre trovare più informazioni attraverso il SIC perché, come visto, questa banca dati è più completa e permette di tracciare un profilo preciso del merito creditizio.

Si è visto che nel caso di errori nelle segnalazioni o mancata cancellazione (la cancellazione solitamente è automatica, non c’è bisogno di richieste) dalla banca dati della Centrale Rischi della Banca d’Italia, è necessario rivolgersi alla propria banca. Nel caso di segnalazione CRIF, invece è possibile procedere alla richiesta sia presso il CRIF, sia presso la banca che ha comunicato i dati. Il CRIF inizia una procedura per la verifica, che può anche essere lunga, ma fin da subito annota che in realtà quel determinato dato è oggetto di contestazione e questo può essere utile nella valutazione del merito creditizio.

Cancellazione dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia

Chi vuole ottenere liquidità solitamente si reca presso intermediari come banche e altri soggetti abilitati, questi, prima di concedere il denaro fanno un’indagine presso le centrali rischi e tra queste vi è quella della Banca d’Italia. Purtroppo se vi sono segnalazioni negative è difficile ottenere credito, ma cosa fare se in realtà la segnalazione è errata? Ecco come ottenere la cancellazione dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia.

La segnalazione: premessa

Abbiamo visto nel precedente articolo, che puoi visionare QUI, che persone fisiche e giuridiche che chiedono finanziamenti di importo superiore alla soglia di segnalazione, oppure che hanno uno scoperto superiore a 250 euro, vengono inseriti nel data base del Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia (segnalazione a sofferenza). I dati si aggiornano ogni mese, quindi nel momento in cui il finanziamento scende sotto la soglia, oppure il soggetto segnalato riprende pagamenti regolari, l’intermediario/creditore non deve più segnalare quel determinato credito.

Si è anticipato nel precedente articolo che i dati relativi a una determinata persona (fisica o giuridica) possono essere richiesti dagli stessi soggetti abilitati a segnalare, ma solo nel caso in cui abbiano ricevuto la richiesta di un finanziamento e quindi, in via precauzionale, effettuano la richiesta prima di concedere credito al fine di valutare la solvibilità del richiedente. I dati che possono essere mostrati sono relativi agli ultimi 3 anni antecedenti alla richiesta di accesso ai dati. Questo implica che colui che ha estinto regolarmente un finanziamento o che ha sanato la propria posizione, ha diritto, trascorsi 36 mesi, a che siano cancellate le sue posizioni, ma cosa fare se ci si accorge che è attiva una segnalazione sebbene il credito sia estinto, sia sotto la soglia o la segnalazione è errata?

Come verificare la propria posizione presso la Centrale Rischi

Colui che decide di chiedere un prestito e ottiene un rifiuto motivato dalle segnalazioni presso la banca dati della Centrale Rischi della Banca d’Italia per verificare la propria posizione può semplicemente richiedere alla stessa Centrale quali dati detiene sul proprio conto. Se si accorge che le segnalazioni sono inesatte, oppure che non vi è stata una cancellazione già maturata, può ovviamente chiedere la rettifica.

La prima cosa da dire è che la cancellazione dalla banca dati della Centrale Rischi della Banca d’Italia può essere richiesta anche nel caso in cui ci sia una segnalazione errata o abusiva da parte dell’ente che ha segnalato il credito. Occorre ricordare infatti che la Corte di Cassazione ha stabilito che non ci può essere iscrizione di una segnalazione a sofferenza senza preavviso e che comunque non basta un semplice ritardo per attivare la segnalazione, ma è necessario valutare la situazione complessiva del debitore.

A chi rivolgersi per ottenere la cancellazione dalla Centrale Rischi

In questi casi non occorre rivolgersi alla Banca d’Italia che non ha alcuna responsabilità sulle segnalazioni e non ha l’obbligo di controllarle, cosa che sarebbe impossibile fare. Di conseguenza il cliente segnalato deve rivolgersi alla banca/ istituto di credito o altro intermediario al fine di richiedere la cancellazione della segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. Si può fare questa richiesta recandosi personalmente alla filiale e segnalando l’errore.

Nel caso in cui la situazione sia controversa e quindi la banca ritenga di non dover cancellare la segnalazione, è necessario iniziare una procedura formale.  La prima tappa è inviare una richiesta scritta con l’uso di un modulo di cancellazione Centrale Rischi Banca d’Italia, lo stesso deve essere inviato al segnalatore tramite Raccomandata con Ricevuta di Ritorno, oppure tramite PEC.

Nel caso in cui non vi fosse alcun riscontro, può essere necessario rivolgersi a un arbitro bancario o finanziario che risolva la questione. Se neanche in tale sede si riesce a trovare una soluzione, è consigliato segnalare il problema alla Consob e, infine, rivolgersi al tribunale per ottenere un provvedimento d’urgenza ex articolo 700 del codice di procedura civile. Si tratta di un provvedimento cautelare che mira all’immediata cancellazione della segnalazione a causa dei danni che possono derivare dalla segnalazione stessa. In seguito viene intrapresa un’azione ordinaria che mira a determinare se effettivamente c’è stato un errore nella segnalazione, se la stessa è inesatta oppure se sono decorsi 36 mesi dall’ultima segnalazione.

La Banca d’Italia quando riceve la comunicazione che c’è stato un errore nella segnalazione  da parte di un intermediario, procede immediatamente alla correzione degli stessi. Non solo, ne dà comunicazione anche agli altri intermediari che avevano ricevuto i dati errati su un soggetto richiedente credito.

Segnalazione Centrale Rischi: cos’è e come funziona

Hai mai sentito parlare di segnalazione Centrale Rischi? Ecco cosa devi sapere su questa particolare procedura che può riguardare chiunque chieda un prestito/mutuo.

Cos’è la Centrale dei Rischi

La Centrale dei Rischi, anche conosciuta semplicemente come CR o CdR,  è una banca dati gestita dalla Banca d’Italia, in cui sono contenuti le informazioni inerenti il merito creditizio di coloro che hanno richiesto crediti e prestiti presso istituti finanziari e banche. L’obiettivo è fotografare la situazione debitoria delle famiglie  e delle imprese verso il sistema bancario e finanziario.  Sebbene sia vista con una certa diffidenza, in realtà non dovrebbe essere così, infatti questo database raccoglie i dati di chiunque chieda un prestito/mutuo, ciò ha una valenza positiva nella ricostruzione della storia creditizia di un soggetto, soprattutto quando è regolare nei pagamenti.

Fin da subito deve essere precisato che in Italia esistono altri archivi simili, ma non gestiti dalla Banca d’Italia, il più conosciuto è sicuramente il CRIF (Centrale Rischio Finanziario), in questo caso si tratta di una banca dati gestita da un soggetto privato a cui le banche possono o meno aderire, di fatto è ritenuto molto affidabile.

Funzione della segnalazione Centrale Rischi

Ritornando alla Centrale Rischi, deve essere sottolineato che ha due obiettivi. In particolare per coloro che hanno richiesto dei prestiti e dei finanziamenti e li hanno estinti in modo regolare  rappresenta una sorta di garanzia perché, se dovessero avere bisogno nuovamente di liquidità, ad esempio per investimenti, saranno ritenuti affidabili da banche e istituti di credito in generale.

Per le banche, la Centrale Rischi rappresenta un modo per valutare la solvibilità di coloro che richiedono un prestito e per determinare se concederlo e le condizioni a cui concederlo, ma anche per studiare soluzioni personalizzate. Ad esempio, un cliente può essere restio a dare informazioni su altri finanziamenti in corso, se  si recasse in banca e questa concedesse semplicemente il prestito senza valutare la capienza effettiva, potrebbe generarsi una posizione di sovraindebitamento, mentre il controllo della posizione di colui che ha chiesto il prestito può aiutare la banca a studiare soluzioni che il cliente può gestire al meglio, ad esempio con una rata piccola e un piano di ammortamento più lungo.

Gli intermediari possono chiedere informazioni esclusivamente sui loro clienti e su soggetti che si sono rivolti ad essi per chiedere un finanziamento, questo implica che non possono indagare su chiunque, ma solo su soggetti determinati.

Soggetti che agiscono nella Centrale dei Rischi

Presso la banca dati della Centrale Rischi sono inseriti:  finanziamenti come mutui, prestiti personali, aperture di credito e le garanzie.

L’inserimento di tali dati presso la Centrale Rischi avviene da parte di:

  •  banche;
  •  società finanziarie;
  • società di cartolarizzazione dei crediti;
  • organismi di investimento collettivo dei risparmi (OICR);
  •  Cassa Depositi e Prestiti.

La soglia di censimento e le segnalazioni a sofferenza

Affinché possa essere formalizzata la segnalazione è necessario che siano presenti delle condizioni. In questo caso si parla più propriamente di soglia di censimento, la stessa è stabilita in 30.000 euro di esposizione, soglia che però viene ridotta a 250 euro nel caso in cui il debitore risulti essere in sofferenza; si parla di “segnalazione a sofferenza”, per poterla effettuare in modo corretto occorre  una segnalazione preventiva al cliente. Per il mancato preavviso il cliente non può ottenere la cancellazione della segnalazione, se comunque oggettivamente valida, ma può ottenere un risarcimento per il mancato preavviso.

La segnalazione non viene più fatta nel momento in cui si estingue il debito oppure nel caso in cui l’ammontare dello stesso scende sotto la soglia di censimento. Le informazioni restano però registrate per tre anni decorrenti dal momento in cui cessano le condizioni per il censimento.

Precisazioni sulla segnalazione a sofferenza

Purtroppo i dubbi sorgono proprio sulla qualificazione di un debitore come “sofferente” perché non sono indicati dei criteri uniformi e proprio per questo vi è una certa discrezionalità da parte della banca creditrice. I criteri delineati dicono che non basta valutare un singolo rapporto contrattuale in sofferenza per determinare il verificarsi della soglia di segnalazione, ma occorre guardare la situazione complessiva del debitore.

Per la segnalazione con la soglia di 250 euro, non basta il ritardo nel pagamento di una singola rata, la Corte di Cassazione ha stabilito che un nominativo può essere iscritto presso la centrale rischi solo se si tratta di un’insolvenza conclamata, occorre inoltre un’indagine sulla natura delle difficoltà che affronta il debitore per capire se si tratta di una situazione meramente temporanea e quindi se il cliente può rientrare in breve tempo. La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che non si può procedere alla segnalazione alla Centrale Rischi nel caso di scopertura del conto corrente. La Corte ha ribadito che per la segnalazione alla centrale rischi occorra un’oggettiva situazione debitoria difficile da coprire.

Note sulla Segnalazione alla Centrale Rischi

Devono però essere fatte alcune precisazioni, infatti si viene segnalati alla CR non solo se si è debitori principali, ma anche nel caso in cui si assuma il ruolo di garante in una fideiussione e l’importo della fideiussione supera il limite per il censimento.

Un’altra precisazione riguarda i soggetti che possono accedere alle informazioni presenti presso la CR, si tratta dei soggetti che possono eseguire le segnalazioni (visti in precedenza), le autorità di vigilanza del settore ad esempio CONSOB e IVASS, ma nell’esercizio delle proprie funzioni e, infine, l’autorità giudiziaria nell’ambito di procedimenti penali in cui tali informazioni possano avere rilevanza.

Ognuno può inoltre accedere ai propri dati personali attraverso il sito della Banca d’Italia e registrandosi con le proprie credenziali, un codice SPID, CNS o CIE (Carta Identità Elettronica), naturalmente si può avere accesso solo alle proprie informazioni personali. Nel caso si persone giuridiche può accedere alle informazioni il legale rappresentante.

E’ bene ribadire che la Centrale Rischi gestita dalla Banca d’Italia deve essere disgiunta dal CRIF, di cui si parlerà a breve.

 

Crediti deteriorati: cosa sono e chi li acquista

In tempi di crisi economica, si sente più che mai parlare di crediti deteriorati. Non è un caso, quindi, che l’avvento della pandemia abbia riportato in auge il problema. La difficoltà di imprese e famiglie si è notevolmente accentuata in questo periodo storico, il rischio di insolvenza è maggiore e di conseguenza le banche si trovano nella condizione di dove far fronte ad un aumento dei Npl (Non performing loans), in italiano “crediti deteriorati”.

Cosa sono i crediti deteriorati

I crediti deteriorati sono rappresentati da quei crediti la cui riscossione da parte delle banche è diventata problematica per il rimborso complessivo, ma anche per la parte riguardante gli interessi che costituisce il profitto degli istituti di credito.

Quando i soggetti che hanno fruito della concessione di un prestito faticano a pagare le rate previste e arrivano al punto di sospendere i versamenti dovuti, dopo un tempo determinato, la banca è costretta a classificare il credito come “deteriorato”. Purtroppo, in Italia i crediti deteriorati hanno raggiunto un ammontare molto elevato, circa un terzo dell’intero sistema europeo.

Ma cosa possono fare le banche per recuperare questi crediti? Un modo è rappresentato dalla svalutazione dei crediti da mettere in atto in pochi anni, evitando le lunghe attese dei tribunali. L’altro è costituito dalla possibilità di cederli a società di recupero crediti. Ma chi è interessato all’acquisto di Npl? Prima di trovare risposta al quesito, scopriamo qual è la classificazione e anche la valutazione dei crediti deteriorati delle banche.

Tipi di crediti deteriorati

Non tutti gli Npl possono essere classificati allo stesso modo, ciascuno di essi presenta un grado di deterioramento diverso:

  • crediti deteriorati non performing: indipendentemente dalla presenza o meno di garanzie a sostegno del credito, quelli facenti parte di tale categoria sono i crediti la cui riscossione è incerta per quest’ultima, ma anche per quanto concerne la scadenza;
  • crediti scaduti e sconfinati oltre i 90 giorni: esposizioni, diverse dalle sofferenze o inadempienze probabili, già scadute o che hanno superato i  90 giorni;
  • inadempienze: sono i crediti che la banca giudicano improbabile la loro riscossione, senza ricorrere ad azioni come l’escussione delle garanzie, chi ha contratto il debito adempie per intero alle sue obbligazioni creditizie;
  • crediti in sofferenza: riguardano i debitori che versano in uno stato d’insolvenza o in una situazione equiparabile, a prescindere da qualsiasi previsione di perdita formulata dalla banca.

Tasso di copertura dei crediti deteriorati

Il tasso di copertura dei crediti deteriorati rappresenta il rapporto tra le modifiche di valore effettuate in relazione alla capacità di recupero del credito che la banca deve compiere per fare un conteggio di bilancio realistico e il valore lordo del Npl.

Crediti deteriorati: la cartolarizzazione

Per ripristinare le condizioni di disponibilità al credito delle banche è necessaria un’operazione di cartolarizzazione degli Npl, per immetterli sul mercato finanziario a interessi vantaggiosi. offrendoli a interessi sostanzialmente vantaggiosi sul mercato finanziario.

Cartolarizzare i crediti deteriorati significa effettuare una cessione di attività e/o passività iscritte in bilancio, tramite l’emissione e la trasformazione del debito/credito in titoli collocati presso il pubblico. Con tale processo si diversificano le fonti di raccolta con la costituzione di una riserva di liquidità.

Con i finanziamenti trasferiti al soggetto cessionario, la banca può rientrare in possesso dei capitali prestati e procedere con la concessione di ulteriori finanziamenti alla clientela.

Valutazione crediti deteriorati

Gli Npl vengono immessi sul mercato finanziario a interessi vantaggiosi mediante la cartolarizzazione. Per farlo, però, è necessario definirne il valore, ovvero mettere in atto l’attività di pricing del portafoglio dei crediti deteriorati.

Il processo viene avviato mediante una serie di analisi che comprende gli incaricati alla riscossione dei crediti e due diligence che prevedono la verifica del bilancio della società debitrice, la valutazione dei vari tipi di asset e della categoria di Npl.

Dal portafoglio di posizioni creditizie con rischio collegato annesso, viene determinato il valore del pacchetto.

I criteri di valutazione del rischio dei crediti deteriorati sono i seguenti:

  • tipologia di recupero (giudiziale o servicer);
  • tempo di recupero;
  • tipologia di debitore (persona giuridica o persona fisica);
  • ammontare del debito;
  • area geografica.

Chi acquista i crediti deteriorati

I soggetti che acquistano gli Npl sono le società iscritte al nuovo albo unico, ovvero intermediari sotto controllo da parte della Banca d’Italia, con obblighi di segnalazione alla Centrale Rischi. Le società di recupero crediti il cui acquisto è vincolato solo ai crediti in sofferenza così classificati dalle banche o dagli intermediari finanziari controllati, leva finanziaria usata per l’acquisto che non deve superare il totale del patrimonio netto. Inoltre, vige il divieto di novazione dei contratti originali.

Investimenti e mercati finanziari dopo il referendum

Gli italiani hanno votato NO al referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre.

Dal punto di vista politico, lo scenario è abbastanza complesso, tuttavia bisogna ricordare che due terzi dei deputati sono neoeletti, a cui scatta il diritto al vitalizio solo a fine 2017, e quindi sarà probabile un rimpasto, sostenuto dalla stessa maggioranza che ha legittimato Renzi a governare, con la sostituzione del leader e del governo, rimandando le nuove elezioni almeno dopo settembre del prossimo anno.

Di certo ci sarà un momento di smarrimento, poiché la nave senza il timoniere fa sempre fatica ad affrontare il mare, e in questo momento l’Italia è senza skipper.

È probabile un aumento dell’incertezza e della volatilità sui mercati finanziari, anche se le recenti elezioni americane hanno spiazzato tutte le previsioni circa la reazione negativa dei mercati. Soprattutto, per quanto riguarda i titoli bancari e i titoli di Stato Italiani, il rischio potrebbe aumentare notevolmente.

Come sempre, una buona pianificazione e una estrema attenzione a diversificare correttamente e a rendere gli investimenti efficienti ed ottimizzati, sono la migliore strategia per affrontare serenamente i mercati finanziari, in qualunque condizione si presentino.

Diversificare significa investire in settori e beni diversi, scarsamente correlati tra loro, con il fine di mantenere comunque costante il potere di acquisto del patrimonio.

I beni reali sono, per loro natura, poco correlati agli accadimenti dei mercati finanziari.

Non è detto che gli investimenti debbano essere per forza totalmente di tipo finanziario, anzi si può spaziare in molti beni reali che siano adatti alle esigenze di pianificazione, dall’oro ai terreni agricoli passando per gli oggetti d’arte. Cum grano salis.

dott. Marco Degiorgis – Consulente patrimoniale e finanziario indipendente, Studio Degiorgis

I rubinetti delle banche restano chiusi

Abbiamo scritto qualche giorno fa del sostanziale flop del Quantitative Easing messo in campo dalla Bce per rilanciare l’economia europea e ridare fiato all’inflazione. Flop perché i soldi arrivati alle banche dall’Europa per essere girati a imprese e famiglie sono di fatto rimasti in pancia agli istituti di credito aumentandone la patrimonializzazione.

Lo conferma l’ultimo rapporto mensile dell’Abi, dal quale emerge che crescono i prestiti concessi dalle banche, ma di fatto imprese e famiglie rimangono al palo.

Secondo l’Abi, a settembre, i prestiti concessi dalle banche alla clientela sono stati pari a 1.807,7 miliardi, -0,4% rispetto al mese prima, ma superiori di circa 151 miliardi rispetto all’ammontare complessivo della raccolta da clientela, pari a 1.656,9 miliardi.

Cifre che non impediscono ai prestiti delle banche a imprese e famiglie di restare inchiodati alla crescita zero. Lo stock dei prestiti ha infatti registrato una variazione annua di -0,01%, che fa seguito al -0,2% di agosto e il -0,6% di luglio.

Non va meglio sul fronte dei tassi d’interesse. I tassi sui prestiti hanno toccato il minimo storico al 2,97% dal 2,99% di agosto, mentre i tassi sui mutui hanno toccato il picco minimo del 2,05% dal 2,16% del mese prima.

In ulteriore crescita il peso delle sofferenze delle banche, arrivato a 84,7 miliardi di euro, pari al 4,77% del totale degli impieghi. Non certo una giustificazione per le banche per tenersi in pancia i soldi che, generosamente offerti dalla Bce, dovrebbero invece andare a vantaggio dell’economia reale.

Finanziamenti alle imprese dell’autotrasporto

Disponibile dal prossimo 20 ottobre il bando per i finanziamenti alle imprese di autotrasporto, già approvato e pubblicato a settembre in Gazzetta Ufficiale.

Il bando per i finanziamenti alle imprese di autotrasporto potrà contare su un plafond principale di oltre 25 milioni di euro, destinati alle imprese di trasporto per operazioni di ammodernamento del parco automezzi e dell’azienda stessa.

Oltre a questo plafond, i finanziamenti alle imprese di autotrasporti potranno essere erogati anche attraverso un fondo di riserva destinato alle imprese che, per graduatoria a pari punti, non riescono a beneficiare del plafond principale.

Questi finanziamenti alle imprese possono essere richiesti dalle aziende che possiedono i seguenti requisiti:

  • trasportare merci in italiano, per conto di terzi o dei propri clienti;
  • avere sede legale e operativa in territorio italiano;
  • essere iscritte al Registro elettronico nazionale o all’Albo degli autotrasportatori.

Le aziende di autotrasporti potranno chiedere di avere accesso ai finanziamenti alle imprese esclusivamente per via telematica sul sito del ministero dei Trasporti dal 20 ottobre prossimo, compilando la domanda online e indicando:

  • il tipo di merci che vengono abitualmente trasportate;
  • dove si sviluppa la maggior parte dell’attività;
  • i mezzi che vengono adoperati;
  • le eventuali lavorazioni che prenderanno avvio grazie ai fondi previsti dal bando.

Le graduatorie per definire le aziende del settore autotrasporto idonee a ricevere i finanziamenti previsti dal bando, saranno pubblicate ad aprile 2017.

Costi delle banche, mazzata all’italiana

In fondo a ogni luogo comune c’è sempre un minimo di verità. Prendiamo i costi delle banche, per i quali noi italiani ci lamentiamo da sempre, sostenendo che siano fin troppo cari. Ebbene, non è solo un luogo comune ma un dato di fatto.

Lo ha rilevato anche l’Ufficio Studi della Cgia, secondo il quale nel 2015 la percentuale delle commissioni nette sui ricavi delle nostre banche italiane (pari al 36,5%) è stata la più alta d’Europa.

Solo per fare un paragone, tra i principali Paesi Ue, in Francia è stata del 32,9%, in Austria del 27,5%, in Germania del 26,2% e nei Paesi Bassi del 17%.

Nel 2015 i ricavi netti derivanti dalle commissioni bancarie sono arrivati quasi a 30 miliardi di euro, 5 miliardi in più rispetto al 2008, anno di inizio della crisi.

Mazzata nella mazzata, secondo l’Ufficio studi della Cgia nei 7 anni di crisi dal 2008 al 2015, in Italia i costi dei conti correnti, delle carte di credito e degli altri servizi delle banche sono stati ben più elevati che in Europa: +20%, contro il +11,5% del Regno Unito, il +11,1% della Francia, il +6,5% della Spagna.

E ci sono persino Paesi nei quali i costi sono scesi: Germania -4,6%, Belgio -7%, Paesi Bassi addirittura -27%.

Secondo il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, c’è qualcosa che non quadra: “Se teniamo conto che con la crisi economica sono cresciute a dismisura le sofferenze in capo alla clientela e la contrazione dei tassi di interesse ha ridotto ai minimi termini i margini di redditività delle nostre banche, queste ultime, appesantite da costi fissi ancora troppo elevati hanno ritenuto più conveniente ridurre gli impieghi, e quindi i rischi, e aumentare i ricavi dalle commissioni sui conti correnti, sui servizi bancomat/carte di credito, i servizi di incasso/pagamento e dalle attività extra creditizie, come la vendita di titoli, valute e strumenti di capitale”.

Una conferma che è nelle cifre. Se dal 2008 al 2015 i ricavi netti delle banche italiane derivanti da operazioni di prestito sono scesi di 13 miliardi (-25,3%), l’incasso derivante dalle commissioni nette è cresciuto di 4,9 miliardi (+20%) e quello relativo alla voce “altri ricavi netti” (attività assicurative o di negoziazione di titoli, valute e strumenti di capitale) è salito di 11 miliardi, con una impennata del 556,5%.

A peggiorare il quadro, secondo la Cgia, anche il fatto che, nonostante siano in costante calo, anche i costi strutturali del nostro sistema bancario rimangono i più elevati d’Europa.

Il segretario della Cgia, Renato Mason, prova a immaginare quelle che potranno essere le strategie future per ovviare al salasso: “In primo luogo bisognerà perseguire uno sviluppo economico meno bancocentrico, anche attraverso l’attuazione di politiche pubbliche di sostegno alle imprese, abbassando i costi energetici, favorendo gli investimenti infrastrutturali, riducendo le tasse, tagliando il cuneo fiscale e incentivando l’internazionalizzazione della nostra economia. In secondo luogo, però, sarà necessario rassicurare gli istituti di credito dal raggiungimento di requisiti patrimoniali eccessivi in modo da rimettere in moto il flusso di denaro verso le imprese, in particolare per le piccole. Inoltre, le banche dovranno ritornare a gestire i propri bilanci con rigore e sobrietà, recuperando la fiducia dei risparmiatori che in questi ultimi anni si è affievolita”.