Restyling per i modelli per le dichiarazioni 2012

di Vera MORETTI

Sono ufficiali i nuovi modelli per le dichiarazioni dei redditi 2012, ovvero Unico persone fisiche, Unico società di persone, Unico società di capitali e Consolidato nazionale e mondiale.

Tutti e quattro i documenti sono contrassegnati nel frontespizio dalla casella da barrare quando si presenta una dichiarazione integrativa per modificare la precedente richiesta di rimborso dell’eccedenza in scelta di utilizzo in compensazione.

Vediamo le novità che presentano i modelli rispetto alla vecchia versione:
Per quanto riguarda Unico PF:

  • Quadro RB: ospita nuovi spazi per consentire a chi ha optato per la cedolare secca di inserire i relativi dati;
  • Quadro CS: per determinare il contributo di solidarietà del 3% dovuto dai contribuenti con reddito complessivo superiore a 300mila euro lordi;
  • Quadro RP: con la nuova sezione in cui riportare i dati catastali degli immobili, indicazione necessaria per fruire del bonus del 36% dopo la soppressione dell’obbligo di inviare al Centro operativo di Pescara la comunicazione di inizio lavori;
  • Quadro RM: appaiono le nuove sezioni XV e XVI, destinate, rispettivamente, ai contribuenti tenuti a versare l’imposta sostitutiva per la partecipazione superiore al 5% al fondo comune d’investimento immobiliare e a quelli che sono proprietari o titolari di altro diritto reale su immobili situati all’estero o che possiedono attività finanziarie all’estero.

Ci sono poi alcune modifiche normative che interessano contemporaneamente più modelli:
Unico SC e modello CNM riportano come novità saliente l’innovato trattamento delle perdite fiscali, ora evergreen, in base al quale la perdita di un’annualità può essere scalata dal reddito dei periodi d’imposta successivi in misura non superiore all’80% del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare.

Unico SP e Unico SC, invece, sono interessati da un riallineamento dei valori fiscali e civili relativi all’avviamento e ad altre attività immateriali delle operazioni straordinarie, anche nel caso di maggiori valori attribuiti alle partecipazioni di controllo, e l’imposta sostitutiva del 5% per coloro che, al 31 dicembre 2010, detenevano una quota di partecipazione a un fondo comune d’investimento immobiliare superiore al 5%.

Nel quadro RQ di Unico SC è da indicare la maggiorazione dell’Ires di 10,5 punti percentuali per i soggetti “non operativi”, mentre nel quadro RF la variazione in aumento per i costi relativi ai beni di impresa concessi in godimento ai soci per un corrispettivo inferiore al valore di mercato, non più deducibili dal reddito imponibile.

Novità anche per il riquadro RS, che presenta il prospetto per calcolare l’agevolazione legata agli aumenti di capitale sotto forma di conferimenti in denaro effettuati dai soci o per la destinazione di utili a riserva, mentre il rigo RS84 di Unico SC recepisce la detrazione del 55% per chi sostituisce gli scaldacqua tradizionali con quelli a pompa di calore.

Nel rigo RS44 di Unico SP è presente una casella che andrà barrata dai contribuenti che intendono avvalersi, dal 2013, del regime premiale introdotto a favore di chi si rende “trasparente”.

Nei riquadri RH e RI di Unico SC viene gestita la modifica del regime dei fondi comuni di investimento mobiliare italiani e esteri e della disciplina fiscale degli organismi di investimento collettivo del risparmio con sede in Italia, diversi dai fondi immobiliari, e con sede in Lussemburgo, già autorizzati al collocamento nel territorio dello Stato.

Per concludere, nei quadri RT e RM di Unico SP, i contribuenti che si avvalgono della rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni non negoziate nei mercati regolamentati e dei terreni edificabili e con destinazione agricola possono detrarre dalla relativa imposta sostitutiva da pagare le eventuali somme già versate in occasione di una precedente rivalutazione.

Regole nuove per il TFM degli amministratori

di Vera MORETTI

Una delle novità della Manovra Monti riguarda gli amministratori e le indennità percepite in seguito alla cessazione del rapporto, che d’ora in poi avranno l’obbligo della tassazione ordinaria.

Ad essere modificati sono stati anche i regimi di tassazione del TFR dei dipendenti e delle indennità percepite dalla cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Se si tratta di importi superiori a 1 milione di € la tassazione non sarà più separata ma ordinaria.

Ad essere tassato sempre in via ordinaria sarà anche il TFM degli amministratori di società di capitali indipendentemente dalla presenza o meno di un atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto e a prescindere dal limite di un milione di euro, franchigia prevista negli altri casi.

Prima della manovra Monti l’amministratore beneficiava della tassazione separata del TFM a condizione che il diritto all’indennità risultasse da un atto avente data certa, anteriore all’inizio del rapporto. Ora, invece, questa possibilità non sussiste più e l’amministratore non potrà più beneficiare della tassazione separata, ma l’importo percepito dovrà essere assoggettato all’Irpef sulla base degli scaglioni di reddito.

Le nuove disposizioni in materia di tassazione ordinaria, in luogo della tassazione separata, si applicano retroattivamente, con riferimento alle indennità ed ai compensi il cui diritto alla percezione è sorto a decorrere dall’1.1.2011.
Non dovrebbe subire modifiche il regime di deducibilità del TFM per la società erogante.

Per quanto riguarda gli accantonamenti relativi alle indennità di fine rapporto, la deduzione è ammessa per competenza in misura corrispondente alla quota maturata nell’esercizio, analogamente a quanto previsto per gli accantonamenti al fondo TFR dei dipendenti.

L’Agenzia delle Entrate ha affermato che la deduzione per competenza degli accantonamenti da parte della società è subordinata al fatto che il diritto al TFM risulti da un atto di data certa anteriore all’inizio del rapporto. Se tale condizione non è soddisfatta, la società può dedurre gli importi in esame per cassa, ossia nell’anno di corresponsione del TFM all’amministratore.

Ora che viene meno la tassazione separata in capo all’amministratore, e l’irrilevanza, in questo caso, dell’atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, sarà indispensabile un intervento dell’Agenzia delle Entrate che faccia chiarezza sulla deducibilità dell’accantonamento al TFM.

Le novità del nuovo modello Irap

di Vera MORETTI

Dopo alcune anticipazioni, e una prima bozza, è stata presentata la versione ufficiale del modello dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive relative all’anno di imposta 2011.

Rispetto allo scorso anno, sono state apportate alcune modifiche:

  • In primo luogo, è stata inserita nel frontespizio una nuova casella, quella della Dichiarazione integrativa, da barrare nel caso in cui il contribuente, dopo aver già presentato una dichiarazione Irap, intende trasformare la richiesta di rimborso dell’eccedenza d’imposta in credito da utilizzare in compensazione. Tale possibilità è consentita fino a 120 giorni dalla scadenza del termine ordinario di presentazione e sempre che il rimborso non sia stato già erogato, anche in parte.
  • La tabella delle aliquote è più nutrita, dal momento che, oltre alle modifiche introdotte da leggi regionali, ci sono anche le aliquote statali che riguardano le imprese concessionarie diverse da quelle di costruzione e gestione di autostrade e trafori, le banche e gli altri enti e società finanziari, le imprese di assicurazione. La tabella presenta un elenco completo, suddiviso per regione, di tutte le aliquote applicabili, a ciascuna delle quali corrisponde un codice che va riportato nel quadro IR per la ripartizione regionale della base imponibile e dell’imposta.
  • I soggetti che applicano i principi contabili internazionali hanno a disposizione una nuova variante in aumento e in diminuzione (quadri IP e IC): si tratta dei componenti rilevanti ai fini Irap, imputati direttamente a patrimonio netto o al prospetto delle altre componenti di conto economico complessivo, per i quali non è mai prevista l’imputazione a conto economico e che rilevano fiscalmente secondo le disposizioni Irap.
  • Il quadro IS presenta una nuova sezione, dedicata all’affrancamento dei maggiori valori delle partecipazioni. In particolare, vi andranno specificati gli importi assoggettati a imposta sostitutiva rispetto ai valori delle voci avviamento, marchi d’impresa e altre attività immateriali suscettibili di affrancamento.
  • Il quadro IR presenta la nuova colonna deduzioni regionali nella sezione relativa alla ripartizione della base imponibile. Interessa, quest’anno, i contribuenti delle regioni Piemonte e Umbria per i quali è stata introdotta una deduzione in caso di incremento del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato.

L’Iva slitta a marzo per i contribuenti colpiti dal sisma abruzzese

di Vera MORETTI

Dall’Agenzia delle Entrate, in seguito al provvedimento disposto in data 22 dicembre 2010 che prevedeva l’obbligo di comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini Iva da inviarsi entro il 31 dicembre 2011, fanno sapere che sono state disposte delle proroghe.

Inizialmente, come dichiarato dal provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, la scadenza era slittata al 31 gennaio 2011, per tutti i contribuenti.

In seguito, però, è stato stabilito che, per i contribuenti e i professionisti del ‘cratere’ del sisma abruzzese del 6 aprile 2009, la scadenza debba essere ulteriormente prorogata al 16 marzo 2012.

Al fine, quindi, di consentire l’allineamento temporale degli adempimenti dichiarativi, il termine per l’invio della comunicazione relativa all’anno 2010, da effettuarsi ai sensi dell’art. 21 del decreto legge n. 78 del 2010, è prorogato al 16 marzo 2012.

Niente rimborso Irpef per gli affitti non percepiti

Il proprietario-locatore di un locale commerciale non ha diritto al rimborso Irpef relativo ai canoni di locazione non percepiti, anche se ha ottenuto lo sfratto per morosità del conduttore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 651 del 18 gennaio.

La possibilità di non dichiarare i redditi da locazione non percepiti, in base all‘articolo 8 della legge 431/1998, o il diritto al rimborso Irpef, riguarda infatti i soli contratti di locazione a uso abitativo e non a fini commerciale, così come stabilito dalla sentenza 362/2000 della Corte costituzionale.

La regola generale fissata dal Tuir (articolo 23 del Dpr 917/1986, nel testo vigente ratione temporis) prevede infatti che i canoni di locazione devono essere dichiarati, a prescindere dal fatto se siano stati incassati o meno. Nonostante l’introduzione di un’eccezione al principio generale, con l’articolo 8, comma 5, della legge 431/1998, in base alla quale i canoni non percepiti non concorrono a formare il reddito complessivo del contribuente, a patto però che la morosità del locatario risulti dal provvedimento di convalida dello sfratto per morosità, il Ministero delle Finanze specifica però che tale provvedimento entra in vigore per il locatario soltanto dal periodo d’imposta in cui ottiene il provvedimento giurisdizionale, ovvero a partire dalla dichiarazione dello sfratto.

Sull’argomento si sono da sempre confrontati due opposti orientamenti giurisprudenziali:
• il primo, che fa capo alla sentenza 6911/2003, afferma che, in tema di determinazione del reddito dei fabbricati, l’articolo 35 del Dpr 597/1973, laddove stabilisce che il reddito lordo effettivo è costituito dai canoni di locazione risultanti dai relativi contratti, esso riguarda soltanto i criteri applicabili per la revisione della rendita catastale e non può essere invocato sulla tassazione del reddito effettivo di un immobile

• il secondo, propugnato dalla successiva pronuncia 12095/2007, sostiene invece che il solo fatto dell’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, unito alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilità anteriori alla risoluzione, non è idoneo, di per sé, a escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef

Con la sentenza 651 del 18 gennaio 2012, la Corte di Cassazione ha stabilito invece, propugnando per il secondo orientamento, che i canoni di locazione commerciale dovranno essere dichiarati fino alla data in cui è intervenuta la risoluzione del contratto, anche se non incassati per morosità del conduttore.

La Manovra Monti facilita la vita ai contribuenti in difficoltà

di Vera MORETTI

La regolarità nell’adempimento agli obblighi fiscali è sempre più difficile per i contribuenti, soprattutto considerando la crisi economica ancora molto presente.

La Manovra Monti, a questo proposito, ha deciso di venire incontro a chi si trova in difficoltà e introdurre una proroga della rateazione del debito fino a un massimo di 72 rate mensili con possibilità di rate variabili.

Questa dilazione era già possibile prima di questa manovra, perché il contribuente che ne necessitava poteva presentare una domanda ad Equitalia ed ottenere una rateazione delle somme iscritte a ruolo per un massimo di 72 rate mensili. Tutto ciò era possibile senza garanzia e l’unico obbligo era la puntualità dei pagamenti, pena la cessazione del beneficio della dilazione.

Con il decreto Milleproroghe 2010, poi, era stata data facoltà ad Equitalia, per le dilazioni concesse fino al 27/2/2011 che mancassero del pagamento della prima rata e di due rate successive, di riconcedere la dilazione, sempre fino a 72 mesi, a condizione che il contribuente fosse in grado do provare il peggioramento dello stato di difficoltà.

Con la Manovra Monti, dunque, cosa cambia? Viene concessa un’ulteriore proroga di 72 mesi al contribuente che ha già usufruito della dilazione ed ha anche subito un peggioramento della sua situazione. Ciò è possibile, però, solo se la prima dilazione concessa non è scaduta. La novità è l’importo delle rate, che possono essere di importo crescente per anno.

La disposizione della Manovra Monti concede la seconda proroga anche alle dilazioni concesse fino al 28/12/2011 per le quali non era stata pagata la prima rata o le due successive e che non hanno benenficiato della dilazione prevista dal decreto Milleproroghe 2010.

C’è tempo fino a fine mese per pagare il bollo auto

di Vera MORETTI

Tra le scadenze di fine mese, c’è anche quella per il bollo auto, per gli automobilisti con il bollo in scadenza a dicembre 2011 o che hanno immatricolato l’auto fra il 22 dicembre scorso e il 21 gennaio.

Gli automobilisti chiamati a versare il bollo sono quelli in possesso di auto con potenza superiore a 35kw e di motocicli e, mentre per tutta Italia la scadenza è a fine gennaio, per Piemonte e Lombardia c’è una proroga fino al 29 febbraio.

La novità di quest’anno è che i possessori di vetture che abbiano potenza superiore ai 185 kw dovranno pagare un’addizionale erariale di 20 euro per ogni chilowatt eccedente il limite indicato, come previsto dal decreto “salva-Italia“. Il “superbollo”, però, è modulato in funzione dell’anzianità del mezzo. È, dunque, ridotto al 60% dopo 5 anni, al 30% dopo 10 e al 15% dopo 15. Passati vent’anni dalla data di costruzione, nulla è dovuto.

La tassa può essere pagata presso gli uffici postali, i tabaccai, le banche, gli uffici dell’Aci, le agenzie di pratiche auto, oppure on line.

Per sapere correttamente quanto pagare, è possibile collegarsi al sito delle Entrate dove è disponibile un’applicazione che permette di calcolare la tassa dovuta utilizzando due modalità: o in base ai dati tecnici inseriti o attraverso la targa. In caso di ritardo nel pagamento, il sistema calcola già eventuali sanzioni e interessi.

La penale prevista per chi non salda il pagamento nei termini indicati va dal 3% al 30%, più gli interessi di mora.
Se il pagamento avviene entro 30 giorni dalla scadenza, deve essere versata la sanzione ridotta al 3%. Oltre il trentesimo giorno, ma entro un anno dal termine, si passa al 3,75%. Superato l’anno di ritardo, il ravvedimento non è più possibile e deve essere corrisposta la sanzione piena del 30%.

Per tutti i casi, la ricevuta va conservata per cinque anni.

Liberalizzazioni: ecco cosa cambia e per chi

di Vera MORETTI

Stanno arrivando nuove regole per i professionisti, norme importanti che dovranno essere assimilate e rispettate, dimenticando quelle “vecchie”.
Il decreto legge sulle liberalizzazioni ufficializzato ieri, infatti, ha in serbo molte novità per queste categorie.

Eccole nel dettaglio:

Per quanto riguarda le tariffe, è stato mandato in pensione il vecchio tariffario, che, comunque, dal 2006 non era tassativo ma, almeno, indicativo, ma non è stata applicata la “linea dura” che il governo aveva lasciato presagire. Se, dunque, l’abrogazione delle tariffe c’è stata, è anche vero che il giudice, in caso di liquidazione dei compensi, potrà fare riferimento ai parametri stabiliti con decreto del ministero vigilante.
E i compensi? Devono essere calcolati in base all’importanza dell’opera e vanno pattuiti per iscritto e in modo omnicomprensivo. Ciò permetterà al professionista di quantificare la qualità e il rischio della prestazione.

Anche il preventivo rimane un caposaldo dal quale il lavoro del professionista non potrà, né dovrà, prescindere. Il cliente, quindi, avrà diritto a ricevere un atto che fornirà, oltre al prezzo e al grado di complessità dell’incarico, anche le informazioni riguardo tutti gli oneri previsti dal conferimento alla conclusione dell’incarico. Qualora non venga rispettato questo punto, si andrà incontro a sanzioni stabilite dall’ordine.

Una novità introdotta dal decreto è costituita dall’assicurazione. Se si pensava che fosse un obbligo, da parte del professionista, indicare nel preventivo se fosse titolare di una polizza, ora si sa che è un vero e proprio vincolo.
E non si tratta della sola anticipazione di quanto contenuto nell’articolo 3 della legge 148 del 2011, perché un’altra misura già confermata dal governo riguarda il tirocinio.

Assunto che il periodo di praticantato in studio non potrà durare oltre i 18 mesi, si prevede che sei mesi potranno essere svolti durante il corso di laurea. Questo, però, previa una convenzione stipulata fra i consigli nazionali degli ordini e il ministro dell’istruzione, università e ricerca.
Conseguenza di questo provvedimento è la sparizione del compenso al quale il giovane avrebbe diritto, che, invece, era una delle voci presenti nella legge 148/11.

Discorso a parte per i notai. Poiché la pianta organica è aumentata di 500 posti, la concorrenza sarà più fitta e i concorsi più serrati. Ciò, però avverrà quando i tre bandi ora in corso, che prevedono l’assegnazione di 550 posti, saranno conclusi. Si pensa, comunque, che questi verranno espletati entro la fine del 2012, e che, quindi, entro il 31 dicembre 2013 verrà esposto il nuovo bando di 550 posti, che sarà seguito da un ulteriore bando di 470 posti entro il 31 dicembre 2014.
Così facendo, a giudizio dell’esecutivo, ci saranno abbastanza professionisti sul mercato da creare la concorrenza necessaria. Tuttavia, “per assicurare il funzionamento regolare e continuo dell’ufficio, il notaro deve tenere nel comune o nella frazione assegnatagli studio aperto con il deposito degli atti, registri e repertori notarili, e deve assistere personalmente allo studio stesso almeno tre giorni a settimana e almeno uno ogni 15 giorni per ciascun comune o frazione di comune aggregati“.

In ultimo, ecco cosa prevede il decreto sui fidi: sarà dato ampio spazio ai professionisti nella maggioranza del capitale sociale dei consorzi fidi e delle società cooperative che esercitano l’attività di garanzia collettiva fidi.
I consorzi di garanzia collettiva dei fidi sono enti costituiti nella veste giuridica di cooperativa o società consortile, che esercitano in forma mutualistica attività di garanzia collettiva dei finanziamenti in favore delle imprese socie o consorziate. La modifica introdotta estende la partecipazione anche ai liberi professionisti soci a prescindere dall’attività esercitata. Insieme alle Pmi devono detenere almeno la metà più uno dei voti esercitabili in assemblea, con il diritto a nominare gli organi con funzione di gestione e controllo strategico.

ACE: cos’è e come si calcola

di Vera MORETTI

L’articolo 1 del Decreto Monti prevede, tra le altre cose, un’agevolazione fiscale che intende premiare gli imprenditori “virtuosi” e la capitalizzazione dell’azienda in proprio.
Tale agevolazione si chiama ACE, ovvero aiuto alla crescita economica, ed introduce la deducibilità dall’imponibile di parte dell’incremento di capitale proprio dell’impresa (calcolato rispetto al patrimonio netto alla chiusura dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2010) moltiplicato per un coefficiente fissato annualmente dal governo.

Si tratta di una norma retroattiva, poiché si applica sulle ricapitalizzazioni realizzate nell’anno passato, ed è destinata a società di capitali, cooperative, enti commerciali, società che, pur non essendo residenti in Italia, hanno nel Belpaese la propria organizzazione. Sono comprese, inoltre, anche società di persone ed imprenditori individuali la cui contabilità sia ordinaria, ma per quest’ultima categoria occorre attendere un decreto specifico sulle modalità di calcolo, anche se non saranno molto differenti.

Per quanto riguarda le imprese soggette a IRES, il premio fiscale è dello 0,825% nel primo anno di applicazione e la deduzione si ripete negli anni successivi con una moltiplicazione del premio in caso di ulteriori incrementi di capitale.
Questa agevolazione è stata introdotta al fine di rafforzare il patrimonio delle imprese italiane con capitale netto cresciuto, nel triennio 2007-2010, più del 15%.

Con questo provvedimento, dunque, si mira a detassare le ricapitalizzazioni in una misura pari ad una percentuale di interesse simile a quella del mercato finanziario “per equiparare la deducibilità degli oneri finanziari di chi utilizza i prestiti con quella di chi si autofinanzia, con l’ulteriore beneficio della riduzione degli oneri finanziari che deriverebbero dall’utilizzo di capitali esterni“.

Come si calcola l’ACE?
Per il primo triennio, l’aliquota è stata fissata, per le società di capitali ed enti commerciali, al 3%, dopodiché verrò fissata dal MEF ogni anno entro il 31 gennaio, ed è da considerarsi coefficiente di riduzione del capitale proprio reinvestito, determinato alla chiusura dell’esercizio come differenza sull’anno precedente.
L’incremento di capitale su cui si deve applicare l’aliquota percentuale è dato dalla somma algebrica di variazioni in aumento e in diminuzione di capitale proprio rispetto a quello esistente al 31 dicembre 2010.

Le variazioni in aumento riguardano i conferimenti di denaro ai soci ma non quelli in natura, che corrispondono a aumenti di capitale sociale, versamenti di sovrapprezzo di azioni o quote, versamenti in conto capitale o a fondo perduto, conversione in azioni di prestiti obbligazionali, gli utili non distribuiti ma accantonati a riserva ( dalla data della delibera di accantonamento, tipicamente la data di approvazione bilancio).
I versamenti dei soci come finanziamento non rientrano in queste categorie perché si tratta di debiti e non di poste del patrimonio netto.

Per quanto riguarda le nuove imprese, si considera incremento l’intero patrimonio conferito con l’inizio attività.

Nel caso delle COOP gli accantonamenti a riserva legale come tutte le riserve indisponibili non vengono considerati incrementi patrimoniali ai fini ACE. Sono da considerarsi decrementi di capitale l’attribuzione ai soci di utili, gli acquisti di partecipazione, gli acquisti di aziende e i conferimenti ai soci in natura a partire dal 1 gennaio dell’anno in cui sono stati effettuati.

Le perdite di esercizio, poiché non vanno attribuite a soci, ai fini ACE non sono rilevanti.

Ritorna il contributo integrativo del 4%

di Vera MORETTI

E’ del 10 gennaio il decreto interministeriale emanato dal Ministero del Lavoro in accordo con il Ministero dell’Economia che prevede il ripristino del 4%, a sostituzione del precedente 2% applicato nelle more del decreto, per il contributo integrativo dovuto dai commercialisti alla Cassa di Previdenza.

L’effetto sarà retroattivo, ovvero con decorrenza 1 gennaio 2012.

L’intervento da parte del ministero era richiesto, dal momento che la proroga era scaduta il 31 dicembre 2011 e, in mancanza di un ulteriore decreto, dal 1 gennaio il contributo integrativo era passato, automaticamente, dal 4 al 2%, con la conseguenza che tutte le parcelle emesse da tale data dovevano riportare in rivalsa al cliente il 2% a titolo di contributo integrativo.

I commercialisti che hanno emesso fatture nei primi 10 giorni dell’anno applicando il contributo del 2%, perciò, dovranno emettere una nota di debito nei confronti dei clienti per il restante 2%, poiché la maggiorazione della quota, considerando il diritto di rivalsa del contributo integrativo, è a carico del cliente.
Ovviamente, questa ulteriore fattura deve essere emessa anche ai fini Iva, poiché si tratta di un contributo integrativo imponibile Iva, ma, non essendo soggetto a Irpef, non dovrà essere assoggettato a ritenuta d’acconto del 20%.

Se, da una parte, il professionista può non chiedere al proprio cliente tale maggiorazione, è tenuto a versarlo alla Cassa, “indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore”.

Il problema non riguarda i professionisti iscritti alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, i quali hanno continuato ad applicare il contributo integrativo nella misura del 4%.

Un altro dei provvedimenti all’ordine del giorno era quello riguardante l’aumento graduale dell’aliquota del contributo soggettivo minimo obbligatorio sul reddito professionale dal 10% al 12%. Essendo tale incremento vincolato alla messa a regime del contributo integrativo al 4%, anche questa novità dovrebbe diventare ora operativa.
L’incremento garantirebbe agli iscritti alla Cassa montanti pensionistici più adeguati ai fini del calcolo delle pensioni con il metodo contributivo.