Rate mutuo, come crescono dopo l’ultimo aumento del costo del denaro

Il tanto temuto aumento del costo del denaro c’è stato, come annunciato in un precedente articolo, siamo ora arrivati al 4% e questo si ripercuoterà immediatamente sui nuovi mutui a tasso fisso, ma soprattutto porterà a un aumento della rata del mutuo a tasso variabile, anche se stipulato pochi mesi fa. Ecco cosa sta succedendo alle rate mutuo.

BCE conferma, il costo del denaro sale di 0,25 punti

La BCE nell’ultima seduta ha nuovamente alzato il costo del denaro portandolo al 4%, non solo, ha annunciato che nel mese di luglio con molta probabilità sarà adottato un nuovo rialzo sempre dello 0,25%. Questo frena chi ha desiderio di acquistare casa o chiedere un prestito perché i tassi di interesse stanno salendo alle stelle.

Impatto dell’aumento del costo del denaro sulle rate mutuo

La FABI, Federazione autonoma bancari italiani, ha stimato un aumento del tasso fisso sui mutui al 6%. Per un mutuo del valore di 200.000 euro da rimborsare in 25 anni la rata dovrebbe essere di 1.304 euro, mentre per un mutuo da 100 mila euro sempre da pagare in 25 anni, la rata potrebbe essere di 609 euro mensili.

Per i mutui a tasso variabile già dal prossimo mese si stima un aumento di 70 euro al mese, situazione soggetta ad ulteriori evoluzioni nel caso in cui a luglio dovesse esservi effettivamente un nuovo aumento del costo del denaro. L’impatto è minore per chi ha stipulato il mutuo da diversi anni, infatti il mutuo a tasso variabile prevede che nei primi anni la quota di interessi da pagare sulla rata mensile sia più alta e vada man mano a scemare con l’avanzare del piano di ammortamento, mentre aumenta la quota capitale. Di conseguenza chi ha stipulato il contratto già da qualche anno avrà un impatto minore sulla rata.

Previsioni per i prossimi mesi, i cordoni delle banche si stringono

Di fatto fino ad ora la Bce quando ha annunciato un aumento del costo del denaro ha poi sempre proceduto puntualmente. Chi ha stipulato un mutuo a tasso fisso negli anni o nei mesi precedenti invece non dovrà temere nulla perché la rata resta fissa. Certamente i migliori vantaggi li hanno coloro che hanno stipulato un mutuo prima dell’inizio della serie di aumenti del costo del denaro iniziato a luglio 2022, infatti il costo del denaro era a Zero e quindi chi ha comprato casa in quel periodo con un mutuo a tasso fisso ora paga una rata relativamente molto bassa.

L’aumento della rata non è il solo problema, infatti le banche stanno stringendo i cordoni e non erogano più mutui a persone che dovrebbero pagare una rata più alta di 1/3 dello stipendio.

Naturalmente non va meglio per chi vuole avere prestiti al consumo, generalmente molto cari e per chi vuole fare investimenti nelle proprie attività imprenditoriali.

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Indennizzo cessazione attività commerciale, ecco chi può averlo

Hai deciso di chiudere il tuo negozio perché non riesci più ad avere buoni ricavi? In questo caso se ancora non hai maturato i requisiti per la pensione ci sono strumenti che possono accompagnarti fino a tale momento. Per chi ha chiuso un negozio tra il 1° gennaio 2022 e il 30 aprile 2023 c’è un’importante novità, torna infatti l’indennizzo per la cessazione delle attività commerciali. A renderlo noto è l’Inps con il Messaggio 1782 del 2023. Per le cessazioni successive a tale data è necessario attendere la ricognizione dei fondi. Ecco cosa prevede la disciplina dell’indennizzo per cessazione dell’attività commerciale.

Cos’è l’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale?

Per il lavoratore dipendente in caso di perdita di lavoro, soprattutto se avviene in età avanzata, vi sono delle misure di welfare che accompagnano al pensionamento. Lo stesso principio si riconosce in favore dei commercianti.

L’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale è un contributo in favore dei titolari di attività commerciali cessate che però non abbiano ancora maturato i requisiti pensionistici. Introdotto per la prima volta con il decreto legislativo 207 del 1996 ed è rimasta in vigore fino al 2011. Di seguito vi è stata la cessazione del riconoscimento dell’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale, nel 2014 è stato ripristinato fino al 2016 per essere poi nuovamente bloccato. Dal 2019 è ritornato in vigore in modo strutturale.

Il contributo mensile prende vita con il fondo autoalimentato dai commercianti attraverso una maggiorazione contributiva che dal primo gennaio 2022 è arrivata allo 0,48%. In passato l’aliquota era molto più bassa.

Possono richiedere l’indennizzo le attività commerciali al minuto con sede fissa, e attività svolte su aree pubbliche, anche itineranti.

L’indennizzo viene erogato a partire dal mese successivo rispetto alla presentazione dell’istanza di cessazione dell’attività e per tutto il periodo mancante rispetto al maturare i requisiti pensionistici. Per il 2023 è previsto che l’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale abbia valore di 563,74 euro mensili.

Requisiti per ottenere l’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale

Per ottenere l’indennizzo è necessario che si verifichino requisiti soggettivi e oggettivi. Per quanto riguarda i requisiti soggettivi è richiesto il compimento di 62 anni di età per le persone di sesso maschile e 57 anni di età per le persone di sesso femminile. Al momento della cessazione dell’attività è inoltre necessario aver maturato un’anzianità contributiva presso la Gestione speciale commercianti di 5 anni.

Dal punto di vista oggettivo per poter ottenere l’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale occorre aver cessato definitivamente il lavoro con riconsegna al Comune della licenza/autorizzazione e cancellazione dal registro di appartenenza presso la Camera di Commercio o dal Repertorio Economico e Amministrativo (REA).

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Meno partite Iva nel 2023, ma cosa sta succedendo?

Condizionatori, stop dell’Unione Europea ai gas refrigeranti

L’Ue ha adottato il Regolamento F-Gas che ha l’obiettivo di ridurre emissioni di gas fluorurati a effetto serra. Ciò potrebbe influire sull’installazione di condizionatori e pompe di calore e secondo le stime fatte in almeno 8 case su 10 non sarà possibile installarli. Si prevedono inoltre aumenti dei prezzi fino al doppio. Ecco cosa prevede il Regolamento F-Gas per i condizionatori.

Allarme condizionatori, cosa succede in Unione europea?

A lanciare l’allarme sulle nuove regole per i condizionatori è Gabriele Di Prenda, manager di Daikin Italia ed esperto di F-gas, a lui si aggiunge Assoclima, l’associazione dei costruttori dei sistemi di climatizzazione. Entrambi propongono di affiancare agli attuali gas in uso, gas naturali senza però andare a precludere la possibilità di installazione dei modelli attualmente in commercio visto che le aziende del settore sono leader in tutto il mondo.

Il nuovo Regolamento UE F-Gas prevede che per il funzionamento dei climatizzatori siano utilizzati solo gas naturali, come il propano e l’ammoniaca, sottolinea Assoclima che il propano essendo a rischio eplosione– incendio mette a rischio la sicurezza, mentre l’ammoniaca è potenzialmente tossica. A ciò si aggiunge che questi due gas naturali sono vietati in strutture come ospedali, hotel, cinema, spazi pubblici e di conseguenza vi è l’esigenza di provvedere a sistemi alternativi per la climatizzazione di questi ambienti.

Addio a 100.000 posti di lavoro con il nuovo Regolamento F-gas sui condizionatori

L’allarme di Daikin riguarda anche i posti di lavoro, infatti si potrebbero perdere fino a 100.000 posti con una forte ricaduta anche sul Pil nazionale. Tra le ombre della normativa vi è il fatto che il divieto previsto dal Regolamento F-Gas non consentirebbe neanche di effettuare la produzione per l’esportazione in Paesi Extra Ue dove è ancora possibile installare climatizzatori/condizionatori che funzionano con gas che sarebbero vietati in Ue.

Questo implica che sebbene una forte domanda di produzione italiana arrivi proprio dall’estero, non si potrà rispondere a questa domanda. Di conseguenza ci sarà un vantaggio per i produttori americani e cinesi che occuperebbero quello spazio vuoto lasciato dalle produzioni dall’Ue e in particolare dall’Italia.

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Le erogazioni liberali sono deduzioni o detrazioni?

Quando si effettua un’erogazione liberale in favore di una Onlus la stessa deve essere trattata dal punto di vista fiscale come una deduzione o come una detrazione?

Ecco il giusto inquadramento.

Le erogazioni liberali sono detraibili o deducibili?

Deduzioni e detrazioni sono agevolazioni fiscali che consentono di ridurre le imposte da versare a fronte di spese sostenute. La principale differenza è data dal fatto che mentre la deduzione deve essere scalata dalla base imponibile e quindi la riduce provocando una riduzione dell’imposta da versare e incidendo potenzialmente anche sugli scaglioni Irpef, non è così per le detrazioni.

Il valore delle detrazioni infatti deve essere scalato dall’imposta già calcolata. Non è possibile, a priori, stabilire quale delle sue soluzioni sarebbe preferibile e più conveniente, ma nella maggior parte dei casi è il legislatore a scegliere se una determinata spesa deve essere dedotta o detratta e in che misura. Per le erogazioni liberali vi è invece una natura ibrida ed è il contribuente a dover scegliere simulando i calcoli per trovare la soluzione economicamente più vantaggiosa.

Contribuente: le erogazioni liberali sono deduzioni o detrazioni?

Lo spunto per risolvere la questione “erogazioni liberali sono deduzioni o detrazioni?” nasce dalla domanda di un contribuente all’Agenzia delle entrate, lo stesso ha effettuato un’erogazione in favore di una Onlus nell’anno 2022 e nel modello precompilato 730/2023 trova che tale erogazione viene considerata una deduzione. Il contribuente riteneva invece che il trattamento fiscale di tale erogazione fosse quello delle detrazioni per un ammontare del 30% della spesa sostenuta.

Sottolinea invece l’Agenzia delle entrate che in base all’articolo 83 del decreto legislativo 117 del 2017 le erogazioni liberali possono essere trattate:

  • come detrazioni nel limite del 30%, elevato al 35% se in favore di organizzazioni di volontariato, nel limite dei 30.000 euro per ciascun periodo di imposta;
  • come deduzione fiscale nel limite del 10% del reddito dichiarato dal contribuente.

Agenzia delle entrate, ecco il giusto inquadramento delle erogazioni liberali

Sottolinea l’Agenzia che nel modello precompilato 730 predisposto viene scelta la soluzione, tra detrazione e deduzione, maggiormente favorevole al contribuente tenendo come riferimento i dati in possesso dell’Agenzia stessa, quindi oneri deducibili, detraibili, Cu, e altri redditi. Resta facoltà del contribuente scegliere la soluzione inversa e di conseguenza proporre una modifica del modello 730/2023 precompilato. In ogni caso si tratterebbe di un comportamento legittimo e che di conseguenza non espone a conseguenza sanzionatorie da parte dell’Agenzia delle entrate in sede di controllo.

Spetta quindi al contribuente in questo caso scegliere il tipo di trattamento fiscale da riconoscere.

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Addio al Superbollo, il Governo vuole eliminare la tassa sulle auto di grossa cilindrata

Questa potrebbe essere la novità più rilevante del prossimo anno ed è prevista all’interno della riforma fiscale a cui il Governo sta lavorando. I contribuenti potrebbero infatti dire presto addio al Superbollo, la sovrattassa che molti italiani pagano sulle auto particolarmente inquinanti.

Addio al Superbollo, lo prevede la riforma fiscale

Partiamo dal presupposto che molto presto le auto inquinanti dovrebbero essere soppiantate da modelli a impatto ambientale ridotto, infatti il motore elettrico dovrà sostituire il motore endotermico e di conseguenza questa novità potrebbe essere semplicemente un anticipo verso un qualcosa che dovrebbe avvenire in modo naturale.

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Ad oggi è previsto che sulle auto che hanno una cilindrata superiore a 185 kW sia applicata un’ulteriore imposta pari a 20 euro per ogni kW in più rispetto al limite di 185. Il Superbollo si paga in contemporanea rispetto al pagamento del bollo auto.

Ad annunciare l’idea di eliminare il Superbollo è stato il vice-ministro all’Economia e alle Finanze Maurizio Leo. Il Superbollo è stato introdotto per la prima volta dal Governo Monti nel decreto Salva-Italia e non è mai stato molto apprezzato dagli italiani. Sembra quindi arrivato ora il momento di dirgli addio, sebbene dal 2024.

Le micro-imposte che il Governo vuole cancellare

Il Superbollo non è l’unica imposta ad essere finita nel mirino del nuovo Esecutivo, infatti l’obiettivo da realizzare con la riforma fiscale è quello di semplificare il sistema andando ad eliminare quelle che si definiscono micro-tasse e di cui molti non comprendono la reale ratio. Ad esempio dovrebbe scomparire la tassa sugli intrattenimenti che si applica ad ogni tipologia di spettacolo, ma anche a slot machine, biliardino e qualunque altra forma di intrattenimento.

Tra le micro-imposte destinate a sparire vi è anche la tassa sulla laurea che si paga al momento dell’immatricolazioni e dell’iscrizione ai vari anni universitari. Sia chiaro, non scompaiono le tasse universitarie, ma semplicemente una piccola quota.

Superbonus, per salvare lo sconto serve la certificazione Soa

Entrano in vigore importanti norme per coloro che vogliono avvalersi delle agevolazioni fiscali previste per i bonus edilizi e per il Superbonus. Il decreto Ucraina prevede che per ottenere le agevolazioni fiscali è necessario affidare i lavori a imprese che abbiano ottenuto la certificazione Soa. Ecco cosa succede ai proprietari.

Certificazione Soa: cos’è?

Il Decreto Ucraina prevede che nel caso di lavori edili volti ad ottenere le agevolazioni fiscali previste dal decreto 34 del 2020 di importo superiore a 516.000 euro occorre affidare i lavori a imprese che abbiano ottenuto la certificazione Soa. La stessa è generalmente richiesta alle imprese che partecipano a bandi di gara nel settore pubblico, è rilasciata da Organismi di valutazione autorizzati dall’Anac, in seguito a verifica del possesso dei requisiti tecnici ed economici necessari per poter effettuare lavori di una certa entità.

In quali casi è richiesta la certificazione Soa?

L’Agenzia delle entrate con la circolare 10 del 20 aprile 2023 ha chiarito i limiti temporali dell’applicazione della nuova normativa.

La stessa prevede che:

  • per appalti e subappalti affidati successivamente al 1° gennaio 2023 è necessario verificare che l’impresa abbia stipulato contratti con Organismi di valutazione al fine di ottenere la certificazione Soa.
  • Per appalti e subappalti affidati dal 1° luglio 2023 è necessario che l’impresa abbia già ottenuto la certificazione Soa.

 

In caso di lavori eseguiti e appalti concessi dopo il 21 maggio 2022, la certificazione Soa:

  • non è richiesta per lavori eseguiti prima del 1° luglio 2023;
  • per lavori eseguiti dal 1° gennaio 2023 al 30 giugno 2023 occorre che l’impresa abbia stipulato un contratto volto ad ottenere l’attestato ;

per appalti e subappalti concessi prima del 21 maggio 2022 non è richiesta la certificazione Soa anche se i lavori sono eseguiti dopo il 21 maggio 2022.

La circolare 10 precisa che le nuove norme si applicano ai lavori di importo maggiore a 516.000 euro. Inoltre si applica a tutti i bonus edilizi previsti dall’articolo 119 del decreto legge 34 del 2021, vi rientrano il Superbonus, sismabonus, ecobonus, bonus per installazione colonnine di ricarica, fotovoltaico. Infine, le norme trovano applicazione sia nel caso in cui si fruisca delle agevolazioni attraverso cessione del credito, sconto in fattura, sia nel caso in cui il contribuente scelga le detrazioni fiscali.

Superbonus 2023, possibile slittamento fino a giugno

Il superbonus 2023 potrebbe essere prorogato fino a giugno, ma solo per alcuni tipi di immobili. Ecco le ultime notivà per il bonus più discusso di sempre.

Superbonus 2023, arriva la proroga

Il superbonus 110% è l’agevolazione più discussa degli ultimi anni. Iniziata come misura per permettere la ristrutturazione degli immobili ed aiutare le imprese edili non ha dato i frutti sperati. Così se da una parte il Governo ha puntato al blocco per la cessione dei crediti e degli sconti fattura; dall’altra potrebbe esserci una proroga fino al 30 giugno 2023. Ma tale proroga sarebbe valida solo per le villette unifamiliari che entro il 30 settembre 2022 avevano effettuato almeno il 30% dei lavori, per concludere la spesa e portarla in detrazione beneficiando del 110%.

L’accordo ci sarebbe anche in commissione Finanze. Anche se la proposta inizialmente era per il 30 settembre 2023. Tuttavia potrebbero rientrare anche gli immobili facenti parte di case popolari, quelli appartenenti ad enti no profit e quelli che fanno parte dei comuni terremotati.

Buone notizie per gli interevnti in edilizia privata

Buone notizie arrivano anche per gli interventi di edilia libra privata. Tra questi rientrano anche i lavori eseguiti da chi vuole cambiare la caldaia o sostituzione di infissi, sarà sufficiente aver emesso almeno un bonifico che contenga, in causale, il riferimento della fattura emessa e l’autocerficazione da parte del compratore e del venditore relative all’esistenza di un contratto.

Altri temi discussi da tempo su cui sembra essersi trovata una quadra sono quelli dell’esclusione dallo stop allo sconto in fattura e alle cessioni dei crediti per onlus, Iacp e barriere architettoniche, per gli interventi con il sismabonus e anche i lavori per le barriere architettoniche

Cessione dei crediti, arriva lo slittamento

In merito alla cessione dei crediti e sconti in fattura arriva lo slittamento fino al 30 novembre 2023. Si potrà finire la procedura, grazie alla  remissione in bonus, versando una somma pari a 250 euro all’Agenzia delle entrate. Resta ancora il nodo dei crediti incagliati, circa 19 miliardi, presenti nei cassetti fiscali delle imprese edili. Il Governo pensa a coinvolgere le partecipate statali per l’acquisto e procede così allo sblocco. Questo perchè non convince l’uso del modello F24 con la compensazione, come invece proprosto degli imprenditori edili,  Abi e Ance e al centro di un pressing bipartisan in Parlamento

 

 

 

Pagamento Pos, a breve modifiche alle commissioni

A breve potrebbero esservi novità positive per commercianti e professionisti,  è stato istituito il tavolo tecnico per la modifica alle commissioni per il pagamento Pos.

Bocciata la legge di bilancio 2023, si studiano nuove ipotesi per le commissioni su pagamento Pos

La bozza della legge di bilancio 2023 prevedeva inizialmente l’eliminazione dell’obbligo di accettare pagamenti con il bancomat per importi inferiori a 30 o 60 euro. La bozza fu inviata all’Unione Europea che criticò tali misure sostenendo che incoraggiavano l’evasione fiscale. Proprio per questo motivo le norme sparirono dalla legge di bilancio 2023. La ratio della scelta di eliminare l’obbligo di accettare il pagamento con Pos era nel fatto che i commercianti quando accettano tali pagamenti pagano una commissione bancaria che varia in base alla banca. Questo implica che, per piccoli importi, i guadagni effettivi possono essere erosi in maniera considerevole da tali commissioni. Saltata la norma che lasciava i commercianti liberi di non accettare i pagamenti elettronici, resta il problema delle commissioni.

Pagamento Pos: come è costituito il tavolo tecnico?

Proprio per questo motivo è stato istituito il tavolo tecnico presso il MEF ( Ministero dell’Economia e delle Finanze) in cui sono coinvolte anche le associazioni di categoria. In particolare partecipano al tavolo tecnico:

  • Banca d’Italia;
  • Agenzia delle Entrate;
  • Agenda per l’Italia Digitale;
  • Confartigianato, Confesercenti, Confcommercio;
  • Associazione italiana prestatori servizi di pagamento;
  • ABI;
  • Ministero delle imprese e del made in Italy.

In base al decreto del Mef del 3 marzo 2023, possono partecipare anche in qualità di uditori altri soggetti interessati.

L’obiettivo è individuare soluzioni che possano sollevare i commercianti dal pagamento delle commissioni per i piccoli importi.

Commissioni pagamento Pos: doppia soglia

In base ai primi lavori sembra che si opti per individuare una doppia soglia, dovrebbero quindi essere sollevati dall’onere di pagare le commissioni gli esercenti attività di impresa, arti e professioni con ricavi e compensi relativi all’anno antecedente inferiori a 400 mila euro e per pagamenti singoli di importo fino a 30 euro.

Il gruppo di lavoro ha 90 giorni di tempo per definire una bozza equa e trasparente inerente i costi delle commissioni. In caso contrario si procederà a chiedere il versamento di un contributo straordinario pari al 50% delle commissioni introitate per le transazioni inferiori a 30 euro. Questi andranno a costituire un fondo destinato al sostegno di commercianti e professionisti.

Alert Inps: il servizio che ti avvisa quando devi presentare una domanda

In Italia sono presenti numerosi bonus e aiuti di varia natura, ma spesso in questa sorta di giungla le persone si perdono, non vengono a conoscenza di loro diritti e lasciano scadere i termini per presentare istanza. Nasce per rispondere a questa problematica il servizio Alert Inps che avvisa le persone quando sono disponibili bonus o altre prestazioni a cui il soggetto può accedere. Ecco come funziona.

Cos’è l’Alert Inps: il servizio innovativo che ti avvisa se puoi presentare una domanda per prestazioni welfare

Negli anni appena trascorsi caratterizzati dall’emergenza Covid è capitato che per alcuni servizi molto pubblicizzati anche dai media, come il bonus psicologo ci siano state numerose domande al punto che molte persone pur avendo i requisiti non sono riuscite a ottenere la prestazione, mentre per altre prestazioni le domande sono state talmente poche che i fondi sono rimasti in parte inutilizzati. Questo effetto è dovuto al fatto che spesso le persone non sono a conoscenza dei diritti, ad esempio per l’Assegno Unico e Universale in un primo periodo le istanze sono state molto poche rispetto alla platea dei beneficiari al punto che l’Inps ha attivato diverse campagne volte a far conoscere questa prestazione.

Per far fronte a questa situazione l’Inps ha attivato il servizio Alert presentato con un comunicato del 24 gennaio 2023.

Come funziona il servizio Alert Inps?

La prima cosa da sottolineare è che il servizio di Alert Inps non sarà attivo in modo automatico, ma deve essere richiesto dal cittadino accedendo all’area riservata My Inps con l’uso di un codice di identità digitale Spid, Cie e Cns. Una volta entrati, è necessario andare alla voce Gestione consensi e successivamente selezionare l’opzione Adesione ai servizi proattivi”.

Effettuata tale scelta, nel caso in cui dovessero essere attivate delle prestazioni o dei bonus a cui il soggetto in base al suo profilo potrebbe avere diritto, riceverà una comunicazione dall’Inps. La comunicazione, o meglio l’alert Inps, sarà inviato tramite Sms, App Io o con e-mail, inoltre si potrà ricevere una notifica attraverso il servizio MyInps.

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L’Alert Inps avvisa che vi è la possibilità di presentare una domanda e i termini di scadenza della stessa, inoltre consentono di essere guidati nella compilazione della stessa. Per chi, invece, ha già aderito a prestazioni Inps, ad esempio l’Assegno Unico e Universale, l’Alert Inps invierà comunicazioni, messaggi volti a indirizzare la persona verso i servizi complementari che dovessero essere resi disponibili.

Il sistema Alert Inps si avvale del supporto dell’intelligenza artificiale applicata a un software Open Source e si inserisce nell’ampio spettro di servizi messi a disposizione dall’Inps negli ultimi anni, come il consulente digitale Inps e il portale delle famiglie Inps.

Bonus Pos: in arrivo i rimborsi per le commissioni bancarie

Salta l’eliminazione dell’obbligo di accettare pagamenti con il Pos, ma per aiutare i commercianti spunta il Bonus Pos, ecco le ipotesi allo studio del Governo.

Resta l’obbligo di accettare pagamenti con il Pos e spunta il bonus

Il Governo aveva inizialmente previsto all’interno della legge di bilancio 2023 l’introduzione di una soglia di 60 euro entro la quale i commercianti non erano obbligati ad accettare il pagamento con il Pos. Occorre chiarire che non accettare pagamenti con il Pos non vuol dire per forza evadere il fisco, infatti comunque deve essere emesso lo scontrino fiscale. Eliminare l’obbligo di accettare pagamenti con il Pos allo stesso tempo non vuol dire che l’acquirente dovrà per forza pagare utilizzando il contante, semplicemente c’è una maggiore discrezionalità per il commerciante.

L’obiettivo della norma inizialmente prevista nella legge di bilancio 2023 era sollevare dall’onere delle commissioni bancarie i pagamenti di piccoli importi, come poteva essere il caffè. Ricordiamo che l’obbligo di accettare pagamenti con il Pos era già saltato per giornali e per alcuni servizi dei tabaccai. Per questi piccoli importi infatti i guadagni risicati sono di fatto erosi dalle commissioni che le banche trattengono per effettuare la transazione con il Pos.

Come sappiamo, questa regola è stata eliminata perché ritenuta incentivante comportamenti elusivi delle imposte, l’Italia infatti è uno dei Paesi dell’Unione Europea in cui l’evasione fiscale è più elevata e proprio per questo tale parte della legge di bilancio 2023 ha ricevuto critiche da parte della Commissione Europea a cui la manovra di bilancio deve essere inviata prima dell’approvazione definitiva. Tolta la norma volta ad eliminare l’obbligo di accettare pagamenti con il Pos, resta il problema per i commercianti di dover sostenere i costi delle commissioni bancarie, proprio per questo il governo ha annunciato l’introduzione di misure volte a coprire tali costi.

Sia chiaro non si tratta di una novità, infatti già negli anni passati era stato introdotto il bonus Pos.

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Come ottenere il Bonus Pos?

Tra le ipotesi allo studio per l’abbattimento dei costi vi è il prolungamento del credito di imposta pari al costo delle transazioni per importi inferiori a 30 euro. Questa è infatti la soglia entro la quale il costo della transazione con Pos può determinare una perdita o comunque erodere in modo determinante i guadagni per i commercianti. In base ai dati dell’Osservatorio innovative payments del Politecnico di Milano, gli italiani nel 2022 hanno effettuato il 41% degli acquisti con uso di Pos, il valore stimato delle transazioni è di 69 miliardi di euro. Considerando che le commissioni sono generalmente l’1,1% del costo, le stime parlano di commissioni bancarie sostenute dai commercianti di circa 759 milioni di euro. Avendo come riferimento solo le transazioni inferiori a 30 euro, il dato scende a 363 milioni di euro.

L’ipotesi quindi è riconoscere un credito di imposta pari al 30% delle commissioni effettivamente pagate alla banca, le stesse cambiano in base alla banca a cui ci si rivolge. Ricordiamo che chi matura crediti di imposta può utilizzare la piattaforma SiBonus per la compravendita degli stessi.