Imprese, saldo negativo ma in miglioramento

Il bilancio rimane negativo, ma sembra che le imprese italiane si stiano lentamente riprendendo.

La rilevazione trimestrale sulla nati-mortalità delle imprese di Movimprese, condotta per conto di Unioncamere da Infocamere, ha infatti reso noti i dati relativi al primo trimestre 2014.
Il saldo parla di 24.490 imprese in meno, ma, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quanto all’appello mancavano 31mila imprese, la situazione è senz’altro migliorata.

Ciò è dovuto al rallentamento delle cancellazioni, 10mila in meno rispetto al 2013, che ha ovviamente compensato il lieve calo delle iscrizioni.
Per questo, lo stock delle imprese esistenti a fine marzo si attesta a 6.012.366 unità, di cui 1.390.064 (il 23,1%) artigiane.

Dal punto di vista delle forme giuridiche, il contributo positivo più consistente al saldo è venuto dalle imprese costituite in forma di società di capitali (+9.387 unità nel trimestre, in lieve aumento rispetto al 2013). Saldo positivo (+557 unità) anche per le altre forme, che per la maggioranza sono costituite da imprese cooperative.

Tutte le regioni hanno presentato saldi negativi, ad eccezione del Lazio, stabile, ma le percentuali peggiori sono quelle di Friuli Venezia-Giulia (-1,17%), Marche (-0,81%) e Piemonte (-0,78%).

Tra i settori, saldi positivi si registrano unicamente nelle attività di noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese (+1.817 unità, per una crescita superiore all’1%), nell’assistenza sociale (+332) e nella fornitura di energia (+213).

Rispetto al trimestre 2013, pur continuando a far registrare un segno “meno” davanti al proprio saldo, i tre settori più numericamente più consistenti dell’economia evidenziano tutti un’inversione di tendenza, con perdite dello stock più contenute rispetto a dodici mesi fa: le costruzioni (-0,98% contro -1,40%), il commercio (- 0,45% contro -0,59%) e le attività manifatturiere (-0,65% contro -0,88%).

Ferruccio Dardanello, presidente di Unioncamere, ha commentato: “La riduzione delle chiusure è un segnale positivo, le imprese cominciano ad avvertire che il vento dell’economia sta cambiando e cercano di restare aggrappate al mercato per cogliere le opportunità di rilancio dei consumi. E’ evidente, però, che l’incertezza del quadro complessivo resta elevata e induce ancora tanti italiani a rimandare i loro progetti imprenditoriali. I provvedimenti economici in via di definizione devono sgombrare il campo da questa incertezza e restituire fiducia a chi vuole scommettere sull’impresa. Le riforme allo studio non solo devono essere fatte con urgenza, ma devono essere fatte bene e per durare. Agli imprenditori di oggi e di domani, più che gli incentivi, servono norme più stabili e più semplici. Solo così si torna ad avere fiducia e dunque a investire, a creare occupazione e a crescere”.

Vera MORETTI

Niente ribassi per i carburanti

Nessun ribasso per i carburanti, a causa di un’inversione di tendenza da parte dei mercati internazionali.
Per questo motivo, i carburanti sono oggi stabili, ad eccezione dei soliti aggiustamenti a livello locale.

Le medie nazionali, dunque, sono, per benzina e diesel, rispettivamente a 1,819 e 1,719 euro/litro, con il Gpl a 0,742.
Si registrano punte in alcune aree che raggiungono per la verde 1,864 euro/litro, per il diesel a 1,764 e per il Gpl a 0,775.

Più nel dettaglio a livello Paese, la situazione oggi, in modalità servito, vede i prezzi della benzina oscillare tra 1,799 euro/litro di Eni e 1,819 di Shell, con le no-logo a 1,683; per il diesel si passa, invece, dall’1,706 euro/litro di Eni all’1,719 di Q8, con le no-logo a 1,575.
Il Gpl, infine, è tra 0,726 euro/litro di Eni e 0,742 di Tamoil, con le no-logo a 0,699.

Vera MORETTI

Italia all’avanguardia nel settore smart grid

Che nel nostro Paese ci fosse in atto una vera e propria rivoluzione energetica si era intuito, ma forse non si sapeva che fossero coinvolte anche le tecnologie di distribuzione.

Ad alcuni può sembrare strano, ma l’Italia è all’avanguardia nel settore delle smart grid per numero di contatori elettronici installati, ma anche per il livello di automazione della rete di distribuzione.

Nonostante l’alto livello raggiunto, in diverse regioni sono in corso tuttora sperimentazioni e dimostrazioni di soluzioni per gestire la rete in modo ancora più flessibile attraverso l’utilizzo di sistemi di accumulo, automazione e protezione avanzati.
L’unica pecca, anche se consistente, è la mancanza di interoperabilità delle tecnologie e delle conseguenti soluzioni.

Una parte sostanziosa delle tecnologie utilizzate è infatti frutto dell’inventiva e della capacità di operatori industriali nazionali, spesso costituiti da aziende di piccole o medie dimensioni, molto competitive ma difficilmente organizzate in reti collaborative.

Ogni impresa si focalizza sul proprio ambito produttivo, esprimendo magari eccellenze, ma spesso in un’ottica molto specifica.
Questo significa che le singole soluzioni sviluppate non vengono progettate in un’ottica di standardizzazione e di armonizzazione funzionale, ma rispondono alle specifiche della singola applicazione.

Il campo d’azione, per gli operatori industriali è molto circoscritto e quindi non favorisce lo sviluppo di prodotti ed applicazioni integrate e interoperabili di una filiera smart grids made in Italy.
Per contrastare questa tendenza nei prossimi giorni, in occasione di Solarexpo, sarà presentata l’iniziativa Italian Smart Grid Industry System, che ha già visto l’adesione di nomi importanti del settore quali RSE, GSE, ENEL Distribuzione, FEDERUTILITY, ANIE Energia, ANIE Automazione, CEI, Telecom Italia, The Innovation Cloud, ma a cui potranno aderire tutti gli altri soggetti del comparto.

Obiettivi dell’iniziativa sono soprattutto sviluppare e diffondere le architetture standardizzate per le smart grid presso le imprese italiane del settore, ma anche favorire la formazione di raggruppamenti nazionali di aziende aderenti alla progettazione standardizzata.

Vera MORETTI

Imprese: ancora in aumento i fallimenti

L’argomento crisi è sempre tristemente attuale, tanto da riflettersi ancora pesantemente sulle imprese, ancora costrette a chiudere le serrande in massa.

I dati, a questo proposito, parlano chiaro: nei primi tre mesi del 2014 ci sono stati più di 3.600 fallimenti, ovvero 40 al giorno, 2 all’ora, per un aumento del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
In salita anche le procedure di concordato, ora 577, pari a +34,7%.

L’ aumento riguarda sia le società di capitali (+22,6%), sia le società di persone (+23,5%) e le imprese individuali (+25%).
Le regioni che soffrono di più sono Abruzzo, Liguria, Puglia, Umbria e Marche.

In controtendenza sono, invece, le aperture di procedimenti fallimentari per le imprese costituite come consorzi o cooperative, che hanno mostrato un calo di circa il 2%.
Una procedura fallimentare su 4, aperta tra l’inizio di gennaio e la fine di marzo, ha riguardato aziende che operano nel commercio (+ 24% rispetto allo stesso periodo del 2013). In crescita anche i fallimenti nell’industria manifatturiera, un comparto in cui il fenomeno era in calo nel 2013: nel primo trimestre del 2014 si contano 763 fallimenti di imprese industriali, il 22,5% in più dell’anno precedente.
Allo stesso modo, anche l’edilizia ha fatto registrare un incremento rispetto al dato 2013: +20,1% corrispondenti a 771 nuove procedure avviate.

Considerando la situazione dal punto di vista geografico, l’aumento riguarda, più o meno, tutte le aree del Paese: in misura maggiore, rispetto alla media nazionale, nel Nord Ovest (+22,8%), nel Centro (+23,0%) e nel Mezzogiorno (+27,8%); sotto la media nel solo Nord-Est (+12,5).

La Lombardia è la regione con il maggior numero di procedure fallimentari aperte (808), seguita a distanza da Lazio (364) e Toscana (293).
Le uniche regioni in cui i fallimenti appaiono in diminuzione sono la Basilicata (-17,6%), il Molise (-9,1%) e la Calabria (-2,4%).

Vera MORETTI

Imprese artigiane falciate dalla crisi

Le notizie di una timida ripresa, considerando la crescita del numero delle imprese nel primo trimestre 2014, non sono del tutto rosee.

L’analisi della situazione maturata negli ultimi 5 anni, infatti, non riporta nulla di buono, soprattutto se si considerano le imprese artigiane, che sono diminuite di ben 75.500 unità.
Di queste, circa 12.000 operavano nel Triveneto, considerato una zona ricca e particolarmente fiorente, ma, a quanto pare, non troppo.

Ciò conferma quanto la Cgia aveva previsto, ovvero che la recessione sarebbe stata particolarmente dura con il settore dell’artigianato. A soffrire particolarmente sono stati i comparti delle costruzioni, dei trasporti e del manifatturiero.

A questo proposito, Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia, ha dichiarato: “Drastica riduzione dei consumi delle famiglie, forte aumento sia delle tasse sia del peso della burocrazia e la restrizione del credito sono tra le cause che hanno costretto moltissimi artigiani a gettare la spugna. Non potendo contare su nessun ammortizzatore sociale, dopo la chiusura dell’attività moltissimi artigiani non hanno trovato nessun altro impiego e sono andati ad ingrossare il numero dei senza lavoro, portandosi appresso i debiti accumulati in questi anni e un futuro tutto da inventare”.

Particolarmente dura la situazione in Veneto, dove mancano all’appello 9.800 imprese. Di queste, 2.187 operavano in provincia di Treviso, 1.949 a Verona, 1.848 a Vicenza e 1.836 a Venezia.
Si stima che in questo quinquennio la contrazione occupazionale dell’artigianato veneto sia stata di circa 28.000 unità.

La nati-mortalità delle imprese è stata calcolata come differenza tra le imprese artigiane iscritte in un periodo e le cessazioni non d’ufficio avvenute nello stesso lasso di tempo. Ai fini del calcolo sono state utilizzate le cessazioni non d’ufficio, in modo che il saldo risulti pulito da eventuali operazioni di revisione degli archivi.

Vera MORETTI

Ruggeri: “Divorzi immediati ed economici (in Romania)”

Sono sempre di più negli ultimi mesi le coppie che volano a Timisoara o a Bucarest per ottenere in tempi brevi, senza passare dal lungo periodo della separazione, il tanto sospirato divorzio. Dopo i pareri su “divorzio breve” del Decano dei Matrimonialisti Italiani, l’avvocato Cesare Rimini, dell’opinionista di Radio Vaticana, l’avvocato Alberto Gambino, e del tesoriere della Lega Italiana per il Divorzio Breve, Alessandro Gerardi, oggi abbiamo incontrato l’avvocato Luca Ruggeri, contitolare dello Studio Legale Ruggeri & Galli, che offre la possibilità alle coppie sposate di richiedere il divorzio in Paesi dove le procedere sono nettamente più semplici e veloci.

Avvocato Ruggeri, perché divorziare in Romania?
Perché le procedure e tempi per divorziare sono drasticamente più semplici e brevi di quelli italiani. Le coppie che sono decise ad interrompere definitivamente il rapporto matrimoniale non sono obbligate a passare per la fase della separazione e quindi tutto si velocizza.

Detto questo come procede il vostro Studio?
La procedura che seguiamo è semplice: predisposto il ricorso introduttivo, il nostro Studio presenterà apposita istanza al Tribunale Civile del Paese estero. Unico requisito richiesto, oltre al consenso di entrambi per l’avvio del procedimento, è la presenza, nel Paese estero, della residenza provvisoria di uno dei due coniugi, che non comporterà alcuna problematica di carattere fiscale in Italia, né causerà la cancellazione della residenza italiana e nemmeno la residenza “effettiva”.
Dopo circa 1- 2 mesi dal deposito del ricorso congiunto di divorzio, verrà fissata la prima ed unica udienza, durante la quale verrà emesso il provvedimento di divorzio. La sentenza così ottenuta dal tribunale estero dovrà semplicemente essere trascritta in Italia presso il Comune in cui il matrimonio è stato celebrato.

Costi e tempistiche totali?
Per quanto riguarda i tempi per le famiglie che non hanno figli minori a carico siamo intorno ai 4-5 mesi. I costi possono variare dai 3.300 ai 3.500 euro.

Salvo sorprese, nelle prossime settimane sarà approvato in Italia il cosiddetto “divorzio breve”. Temete un calo delle richieste?
È possibile che si sia un calo, ma i tempi che proponiamo noi con un divorzio in Romania sarebbero comunque molto più limitati rispetto al “divorzio breve” all’italiana.

Jacopo MARCHESANO

Gerardi: “Assurdo aspettare molti anni per un divorzio!”

 

Dopo i pareri, diametralmente opposti, di Cesare Rimini e Alberto Gambino, oggi abbiamo incontrato il tesoriere della Lega Italiana per il Divorzio Breve, l’avvocato Alessandro Gerardi, per una breve chiacchierata riguardo al provvedimento, in esame in questi giorni alla Camera, che dovrebbe accorciare le tempistiche per il divorzio.

Avv. Gerardi, il divorzio breve è la “banalizzazione del matrimonio” o una “battaglia di civiltà”?
Battaglia di civiltà giuridica e sociale, senza dubbio. Basti pensare che in tutti i Paesi europei ed extraeuropei è possibile ottenere il divorzio non solo in tempi relativamente rapidi, ma anche attraverso procedure semplici e con costi molto contenuti. Solo in Italia, Irlanda del Nord e Polonia tutto questo non è possibile. Da noi la coppia che intende giungere allo scioglimento definitivo del vincolo coniugale deve infatti affrontare un lungo, tortuoso, costoso e complicato iter procedurale: prima deve rivolgersi al Tribunale per ottenere la separazione; dopodichè – una volta divenuta definitiva la sentenza di separazione e trascorsi minimo tre anni – si vede costretta a promuovere un secondo giudizio di divorzio. Solo quando la sentenza di divorzio è passata in giudicato (il che, a volte, avviene davvero dopo molti anni), i coniugi ottengono finalmente lo status di persone “libere” e possono quindi risposarsi e rifarsi una vita.

Recentemente il Presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, è tornato a definire “utile” e “necessario” questo doppio iter procedurale, sottolineando che il periodo triennale di separazione “non è una forma di coercizione della libertà degli individui, ma serve a far decantare l’emotività e le situazioni di conflitto”…
Il capo dei Vescovi italiani dimentica però di dire che secondo i dati statistici, solo il 2% delle coppie che si separa poi si riconcilia e torna a vivere sotto lo stesso tetto; il che vuol dire che in genere chi si rivolge al Tribunale per mettere fine alla propria vita sponsale ha già maturato una scelta irreversibile. A cosa serve quindi imporre ai coniugi questa lunga camera di “decompressione” tra separazione e divorzio?

Si riuscirà così a snellire la mole dei processi civili pendenti?
Bisogna distinguere. Attualmente sul tappetto vi sono infatti due proposte: la prima, di fonte parlamentare, è in discussione in Commissione Giustizia della Camera e prevede la riduzione del periodo di separazione legale, che dagli attuali tre anni scenderebbe a uno (o a nove mesi, in caso di separazione consensuale e senza figli minorenni). La seconda, di fonte governativa, è stata preannunciata nei giorni scorsi dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando e prevede – in caso di separazione e divorzio consensuali e senza figli minorenni – la possibilità di ottenere lo scioglimento del vincolo coniugale tramite un accordo stragiudiziale concluso tra gli avvocati, senza quindi passare attraverso i Tribunali. Ebbene, solo con quest’ultima proposta si riuscirebbe a snellire in modo significativo l’enorme mole dei processi civili pendenti (attualmente 5 milioni e mezzo); grazie ad essa infatti i coniugi non sarebbero più costretti a promuovere un doppio procedimento giudiziario per separarsi e poi divorziare. Al contrario, il disegno di legge di iniziativa parlamentare, qualora venisse approvato, non alleggerirebbe il carico di lavoro degli uffici giudiziari, atteso che la stessa incide solo sui tempi della separazione (accorciandoli), senza modificare in alcun modo la competenza del giudice, che rimanerrebbe invariata.

Recidere il vincolo matrimoniale davanti a un pubblico ufficiale, senza passare per un magistrato, quando sarà possibile in Italia?
Previsioni è difficile farne. Personalmente ho molta fiducia nel progetto del Ministro della Giustizia Andrea Orlando: è un primo passo che – sebbene non risolutivo – dimostra come ormai anche qui da noi si stia facendo strada la convinzione che nei procedimenti di separazione e divorzio consensuali – perlomeno in quelli dove non vi è la presenza dei figli minori – è inutile imporre alla coppia un doppio passaggio davanti al Tribunale. Direi che sono abbastanza fiducioso sul fatto che anche qui da noi, tra qualche anno, sarà possibile ottenere lo scioglimento del vincolo coniugale senza passare nelle aule di giustizia, proprio come già avviene in Francia, Portogallo, Svezia e Brasile. Del resto, se un matrimonio fallisce e non ci sono figli minorenni, in via consensuale tutto si risolve in un mero accordo economico, e quindi perché intasare i Tribunali con questo tipo di procedimenti?

Jacopo MARCHESANO

Italia-Olanda, connubio hi-tech

In vista di Horizon 2020, tra i progetti avviati c’è anche quello di rafforzare la collaborazione tra Italia e Olanda su settori strategici ed altamente innovativi.
Se n’è parlato durante l’Innovation Forum, organizzato in collaborazione con l’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi in Italia e tenutosi presso la sede di Confindustria, al quale hanno partecipato Alberto Baban, presidente Piccola Industria Confindustria, Emanuele Fidora, direttore generale per la Ricerca del Miur, Jasper Wesseling, vicedirettore generale Imprenditoria e Innovazione del ministero olandese per Affari Economici e l’Ambasciatore dei Paesi Bassi in Italia, Michiel Den Hond.

Nel corso della giornata sono stati presentati i distretti italiani e olandesi più innovativi, con workshop tematici e interattivi dedicati ai settori della High Tech Mobility, dell’Agrofood Processing e del Life Sciences & Health. Inoltre sono state delineate azioni concrete di follow-up volte a rafforzare ulteriormente la collaborazione tra i due paesi come partner nell’innovazione.

Baban ha dichiarato: “L’Olanda è uno dei paesi leader nell’innovazione a livello mondiale e l’Italia vanta delle eccellenze nei settori hi-tech. I cluster italiani sono apprezzati su scala mondiale per la tecnologia e la qualità dei loro prodotti e rappresentano una componente del nostro settore industriale viva e capace di essere sempre più protagonista. Favorire un interscambio di conoscenze ed esperienze con un paese come l’Olanda, in questa fase, può contribuire a rafforzare quella cultura dell’innovazione oggi indispensabile per il rilancio economico e la crescita“.

Ha aggiunto Den Hond: “Sono piacevolmente sorpreso dal livello di interesse e partecipazione che durante questo forum sia le autorità che il settore privato italiani hanno dimostrato verso le conoscenze e le esperienze olandesi. È la dimostrazione che il modello olandese della stretta collaborazione tra autorità, istituti di ricerca, università e aziende, si può estendere anche a una fruttuosa cooperazione con i nostri partner italiani”.

Si tratta di un connubio prestigioso, poiché l’Olanda è uno dei paesi più innovativi, che vanta distretti molto tecnologici come, ad esempio, il Brainport Eindhoven (nominata nel 2011 la regione più intelligente a livello mondiale e più favorevole per gli investimenti dell’Europa dell’Ovest), la Food Valley NL a Wageningen e il Leiden Bio Science Park.

Queste realtà posizionano i Paesi Bassi all’ottavo posto nel campo della ricerca e dell’innovazione, con ben 8 università nella classifica delle top-100, ma anche in Italia ci sono esempi di eccellenza nei settori dell‘hi-tech e l‘obiettivo è crearne di nuovi.

Il nostro paese, infatti, mira al rafforzamento di collaborazioni con partner stranieri anche nell’ottica del perseguimento di obiettivi europei puntando allo sviluppo di cluster nazionali fortemente innovativi.
Le autorità italiane e il settore privato guardano con molto interesse alle conoscenze e alle esperienze olandesi in questi settori in virtù anche della stretta collaborazione tra autorità, istituti di ricerca, università e aziende, una delle chiavi di successo del modello olandese.

Vera MORETTI

Gambino: “Divorzio breve? Si perderebbe la possibilità di una riconciliazione”

 

Proseguiamo questa nostra settimana dedicata all’approfondimento sul cosiddetto “divorzio breve” intervistando il giurista Alberto Gambino, professore ordinario di diritto privato all’Università Europea di Roma e già componente dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia presso il Ministero delle Politiche familiari nel biennio 2007-2008.

Prof. Gambino, il tema del “divorzio breve” ciclicamente si ripropone. Pensa davvero che siamo al momento decisivo per una “riforma del divorzio”?
Non lo auspico, in quanto sembra che la soluzione ai problemi relativi alla crisi matrimoniale e allo scioglimento del vincolo sia solo l’accorciamento dei termini di durata della separazione da tre ad un anno. L’istituto della separazione non è stato pensato dal legislatore quale mero passaggio procedimentale per giungere ineluttabilmente al divorzio, ma come fase temporanea che potrebbe dar luogo anche ad una riconciliazione tra i coniugi: abbreviarne i tempi, in nome di un maggiore efficienza e di un presunto effetto deflattivo sul contenzioso, diminuisce inesorabilmente la chance di equità e giustizia, e – perché no – di reversibilità della crisi.

Recidere il vincolo matrimoniale davanti a un pubblico ufficiale, senza passare per un magistrato, quando sarà possibile in Italia?
Se, come appare dal dettato costituzionale, il carattere della famiglia fondata sul matrimonio assume una dimensione “istituzionale” e non meramente volontaristica, allora ciò che rileva ai fini dello scioglimento del matrimonio non è il consenso dei coniugi, ma la giusta causa prevista dalla legge, la cui ricorrenza in concreto deve essere accertata da un giudice, il quale scioglie il matrimonio con sentenza costitutiva.

Quanto influisce nel dibattito sul “divorzio breve” la cultura cattolica imperante nel nostro Paese?
Direi poco, se solo si ha l’onestà intellettuale di riconoscere che la tendenziale stabilità dell’istituto matrimoniale discende non certo dal carattere dell’indissolubilità del vincolo cattolico, ma dal fatto che il matrimonio non è paragonabile ad un semplice contratto, che può sciogliersi col mero consenso delle parti.

Jacopo MARCHESANO

Avv. Rimini: “Divorzio breve? Basta parole, è il momento di agire”

 

Avvocato matrimonialista, giornalista e scrittore, Cesare Rimini è un personaggio noto al pubblico televisivo italiano e per inaugurare questa nostra settimana dedicata all’approfondimento sul cosiddetto “divorzio breve” l’abbiamo incontrato. Il Decano dei Matrimonialisti Italiani ha espresso la propria opinione (positiva) sul tema, ma con un pizzico di scetticismo sulle parole del ministro della Giustizia Andrea Orlando.

Avv. Rimini, il tema del “divorzio breve” ciclicamente si ripropone. Pensa davvero che siamo al momento decisivo per una “riforma del divorzio”?
Come ho scritto sul Corriere la settimana scorsa, la cautela sugli annunci del ministro della Giustizia Andrea Orlando dei giorni scorsi è d’obbligo. Basta pensare che da molti anni si parla della legge che dovrebbe abbreviare i tempi fra separazione e divorzio: da tre anni a un anno, se non ci sono figli minori, o a due anni se ci sono. Parole che si sono inseguite finora senza successo. Questa volte, comunque, almeno per quanto riguarda la riduzione delle tempistiche dovremmo essere arrivati al momento decisivo.

Si riuscirà così a snellire la mole dei processi civili pendenti?
Il ministro – ispirandosi alle modalità francesi – auspica che, se non ci sono figli minori, l’accordo non abbia bisogno di essere davanti al magistrato, ma che basti semplicemente un pubblico ufficiale. È il caso di ricordare in questa visione schematica che in Russia e sempre in Francia le parti, se d’accordo, possono comparire spontaneamente di fronte a un pubblico ufficiale e dichiarare se il loro matrimonio è finito nel cestino, tutto con la semplicità che si usa in molti Paesi per contrarre le nozze (modello Las Vegas).

Per i promotori della proposta è una «battaglia di civiltà», per i contrari, invece, il “divorzio breve” non è altro che una «banalizzazione del vincolo matrimoniale»…
In Italia tanta semplicità incontrerà facilmente grandi ostacoli, come ai tempi dell’introduzione del divorzio. Più il progetto è arduo e più complicata sarà la sua attuazione. In più nel nostro Paese non va dimenticato che gran parte dei matrimonio sono concordatari, in virtù dei Patti tra lo Stato e la Chiesa.

Jacopo MARCHESANO