Riforma delle pensioni: le proposte dei partiti per la campagna elettorale, le ultime

Con il governo Draghi ormai caduto l’agenda della politica cambia radicalmente. Tutte le misure, le proposte, le ipotesi e le idee che circolavano in vista della solita legge di Bilancio di fine anno, vengono di fatto congelate. Inizierà quella che pare sarà una dura campagna elettorale. Ed i temi su cui i partiti si andranno a scontrare saranno sempre quelli ormai conosciuti. C’è da scommetterci che lo scontro sarà sempre sui temi di stretta attualità. Parliamo naturalmente di reddito di cittadinanza, emergenza pandemica, vaccini, tasse e pensioni. Proprio su quest’ultimo argomento si parlava tanto di una ipotetica nuova riforma della previdenza da mettere in cantiere da qui a fine anno. Già appariva una cosa assai difficile prima, figuriamoci adesso. Basandosi sulle tante ipotesi e proposte che sembra diventeranno il cavallo di battaglia dei vari partiti politici, ecco il punto della situazione.

Le pensioni ago della bilancia nella nuova campagna elettorale

Il punto nevralgico della situazione è che la riforma delle pensioni dovrebbe garantire il non ritorno alla legge Fornero. Infatti venendo meno quota 102 a fine anno, senza mettere mani al sistema, le uniche uscite che rimarrebbero vigenti sono quelle legate proprio alla riforma del 2011 . Parliamo di quella del governo Monti, della tanto discussa riforma lacrime e sangue della Professoressa Elsa Fornero. È evidente che bisogna fare qualcosa, cioè provvedere a sistemare questa situazione per non penalizzare quanti per età o per contributi non sono riusciti a rientrare nelle nuove misure introdotte da questa legislatura. Va detto che oltre a quota 102, dal primo gennaio 2023 dovrebbero sparire anche Ape sociale ed opzione donna. Usare il condizionale è d’obbligo, perché si tratta di due misure su cui spesso si parla di nuove proroghe. Resta confermato però che in assenza di nuove misure, non resterà che uscire dal lavoro con le pensioni classiche, collegate inevitabilmente al decreto Salva Italia del vecchio governo tecnico condotto da Mario Monti.

Le proposte dei partiti, tra cavalli di battaglia e nuova campagna elettorale anche per le pensioni

Partiamo dal Partito Democratico, perché sembra l’area politica più legata al passato. Infatti sembra pressoché certo che la proposta previdenziale del PD sarà quella di prorogare due misure molto importanti per il sistema previdenziale. Due misure che in questi anni hanno consentito un pensionamento anticipato tanto alle donne quando a determinate categorie di lavoratori e soggetti. Infatti il PD dovrebbe arrivare a proporre l’estensione anche nel 2023 sia dell’Ape sociale che di opzione donna. Forza Italia il partito del redivivo Silvio Berlusconi, va sempre nella direzione classica. Come sempre Forza Italia punta sugli importi delle prestazioni pensionistiche. Infatti Silvio Berlusconi viene ricordato sempre per l’incremento al milione delle prestazioni pensionistiche. E adesso in vista della nuova campagna elettorale probabilmente gli azzurri punteranno tutto sul portare le minime a mille euro. Una soluzione alla pochezza delle pensioni dal punto di vista degli importi. Il quadro della situazione è messo nero su bianco anche dal noto quotidiano economico politico “Il Sole 24 Ore”.

Da quota 41 per tutti alla flessibilità da 62 o 63 anni, con il contributivo o senza penalizzazioni

La posizione dei sindacati da tempo è chiara e verte sempre su due misure fondamentali secondo le parti sociali. La prima è la flessibilità in uscita a partire dai 62 anni con 20 anni di contributi versati. La seconda invece è la quota 41 per tutti. In entrambi i casi si tratta di due prestazioni molto onerose per lo stato soprattutto come le interpretano i sindacati. Infatti pretendono la completa assenza di penalizzazioni e tagli di assegni per chi riesce a sfruttare queste due misure. Tagli di assegni che invece sembrano necessari vista la situazione delle casse pubbliche. Quota 41 per tutti però è anche un cavallo di battaglia della Lega di Matteo Salvini. E sarà praticamente inevitabile che con la nuova campagna elettorale e con i nuovi programmi elettorali la Lega punterà forte su questa proposta. Va ricordato infatti che già nella campagna elettorale del 2018 la Lega e il suo leader Matteo Salvini, vedevano nella quota 41 per tutti la misura successiva alla quota 100. Dopo la misura fortemente voluta proprio dalla Lega che la mise come concessione necessaria per dire di si al reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle, la quota 41 per tutti era il fisiologico proseguo.

Anche il riscatto della laurea finirà con l’essere al centro del dibattito

Sulle minime a mille euro sembra ci sia convergenza anche verso Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, che ad oggi sembra la più papabile leader di un eventuale nuovo governo. Per quanto riguarda invece il Movimento 5 Stelle la posizione sulle pensioni viaggia sul concedere la possibilità di uscita a partire dai 63 anni ma con il sistema contributivo. Altre ipotesi che viene collegata da indiscrezioni, ai grillini, è quella che va nella direzione di concedere il riscatto della laurea completamente gratuito a tutti i lavoratori. Una misura questa che sarebbe molto importante per riempire le carriere contributive dei lavoratori che si trovano con carenze da questo punto di vista. In altri termini chiunque abbia centrato la laurea, vorrebbe trovarsi fino a 5 anni di contributi in più senza dover sborsare un solo euro di riscatto.

Assegno di incollocabilità: i nuovi importi riconosciuti dal mese di luglio

Buone notizie per chi percepisce l’assegno di incollocabilità Inail: è in vigore l’aumento degli importi. A darne comunicazione è stata l’Inail con la circolare n° 27 del 14 luglio 2022.

Assegno di incollocabilità: cos’è

L’Inail lo scorso 14 luglio con la circolare n° 27 ha reso noto che sono in vigore i nuovi importi corrisposti in favore dei soggetti che percepiscono l’assegno di incollocabilità. Tale assegno spetta, su domanda, a coloro che in seguito a malattia professionale o infortunio sul lavoro non possono fruire dell’assunzione obbligatoria. Questa misura di sostegno viene erogata a soggetti che, per il grado e la tipologia di invalidità non possono essere impiegati nel lavoro in quanto le condizioni di lavoro sono incompatibili con la loro salute oppure possono mettere a rischio la salute o la sicurezza dell’invalido o di chi lavora con lui. Le somme percepite non concorrrono a determinare redditi ai fini Irpef.

L’assegno di incollocabilità si riconosce agli invalidi di guerra,  o invalidi per infortunio o malattia professionale che si trovano nell’impossibilità di fruire dell’assunzione obbligatoria. Per poterne fruire occorre il riconoscimento da parte della commissione Inail di un grado di invalidità non inferiore al 34%, in applicazione delle tabelle allegate al D.P.R. 1124 del 1965, per infortuni sul lavoro verificatesi o malattie professionali denunciate fino al 31 dicembre 2006.

Per gli infortuni verificatisi in seguito a tale data, per ottenere l’assegno di incollocabilità il grado di menomazione psico-fisica e danno biologico deve essere superiore al 20% con applicazione delle tabelle tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000.

Si può richiedere l’assegno di incollocabilità fino al compimento del 65° anno di età.

Variazione dell’assegno di incollocabilità Inail

La variazione degli importi applicata all’assegno di incollocabilità si calcola ogni anno, proprio come per le pensioni, in base all’indice dell’inflazione. Vi sono però delle differenze, infatti gli importi degli assegni pensionistici sono sottoposti a revisione in modo da riconoscere gli importi eventualmente maggiorati già nel mese di gennaio. La rivalutazione per le pensioni si effettua tenendo in considerazione l’inflazione registrata al terzo trimestre dell’anno antecedente, si parla anche di rivalutazione in base all’inflazione stimata.

Con l’assegno di incollocabilità invece l’adeguamento degli importi si applica tenendo in considerazione l’inflazione registrata nell’arco del biennio. In questo caso l’importo ha avuto un aumento dell’1,9% sulla base della variazione, registrata dall’Istat, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati intervenuta tra il 2020 e il 2021, pari all’1,9%.

Appare quindi evidente anche che la rivalutazione non viene calcolata sull’inflazione corrente che attualmente si attesta all’8%. Questo implica che le somme che percepiranno i beneficiari dell’assegno di incollocabilità non possono dirsi adeguate rispetto all’aumento del costo della vita che si sta registrando in questi mesi.

I nuovi importi dell’assegno di incollocabilità dal 1 luglio 2022

Fatta questa premessa, l’Inail nella circolare 27 del 14 luglio 2022 ha comunicato che il nuovo importo mensile percepito da coloro che hanno diritto all’assegno di incollocabilità è di euro 268,37. I nuovi importi, determinati con deliberazione del Consiglio di Amministrazione dell’Inail del 10 maggio 2022 n.79, hanno ottenuto parere positivo da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Per dovere di cronaca si sottolinea che gli importi percepiti negli anni 2020 e 2021 erano di 263,37 euro mensili, quindi l’aumento è stato di 4 euro mensili.

 

Agricoltori, esonero contributi per due anni conservando la pensione

Esonero contributi per i lavoratori impiegati nel settore agricolo di due anni conservando la pensione. I giovani agricoltori, che non hanno ancora compiuto i 40 anni di età, hanno 120 giorni dall’inizio dell’attività per richiedere l’esonero contributivo. A chiarirlo è una circolare dell’Inps che fissa i termini per gli sgravi contributivi a vantaggio degli agricoltori under 40.

Coltivatori diretti, qual è la scadenza per presentare domanda di sgravio contributi 2022?

La domanda degli sgravi contributivi per due anni degli agricoltori che non hanno ancora compiuto i 40 anni di età va inoltrata all’Inps. Il termine per la presentazione dell’istanza è fissato in 120 giorni a partire dalla data di inizio dell’attività. Al 31 luglio è fissata la prima scadenza di chi abbia incominciato l’attività agricola a decorrere dal 1° gennaio 2022. I termini di scadenza della domanda sono fissati dalla circolare dell’Inps numero 75 del 2022.

Agricoli, chi può presentare domanda di sgravio contributi?

La domanda di sgravio dei contributi può essere presentata dai lavoratori agricoli che non hanno compiuto ancora i 40 anni di età. In particolare:

  • i coltivatori diretti, i coloni e i mezzadri;
  • gli imprenditori agricoli professionali.

Contributi lavoratori agricoli: calcolo del reddito medio convenzionale giornaliero e dell’aliquota spettante

Il calcolo dei contributi spettanti si basa sul reddito convenzionale delle quattro fasce previste. Ciascuna delle fasce di reddito si determina mediante il prodotto del reddito medio convenzionale giornaliero con le giornate lavorative stabilite dalla legge. Il reddito convenzionale giornaliero è fissato per ciascun anno dal decreto. Per il 2022, tale reddito è stabilito in 60,26 euro. L’aliquota dei contributi da versare è pari al 24%: la percentuale include già il contributo addizionale pari al 2%.

Contributo addizionale per i versamenti Inps in agricoltura: come si determina?

Al risultato ottenuto dalla moltiplicazione del reddito medio convenzionale giornaliero con le giornate lavorative, moltiplicato per il 24%, va aggiunto anche il contributo addizionale di ciascuna giornata lavorativa annuale fino al limite delle 156 annuali. Per l’anno in corso, il contributo addizionale è fissato in 0,69 centesimi per ciascuna giornata lavorata. Infine, i lavoratori agricoli devono aggiungere anche 7,49 euro a titolo di contributo di maternità.

Lavoratori agricoli under 40, come non versare contributi per due anni?

Pertanto, l’esonero contributivo dei lavoratori agricoli consente di non versare i contributi previdenziali per due anni, ma mantenendo il lavoro svolto ai fini della futura pensione. Tale esonero è allargato anche ai propri familiari. Rientrano nel beneficio i lavoratori agricoli che non hanno ancora compiuto i 40 anni di età e che si sono iscritti per la prima volta all’Inps nel corso del 2022. Per beneficiare dello sgravio contributivo è necessario presentare domanda all’Inps entro 120 giorni dal data di comunicazione di inizio dell’attività. Considerando che la comunicazione dell’inizio dell’attività può essere presentata entro 90 giorni, il termine complessivo per la presentazione della domanda di sgravio contributi è fissato in 210 giorni.

Contributi Inail 2022: qual è l’importo da versare per i coltivatori diretti?

Oltre ai contributi previdenziali, i coltivatori diretti sono tenuti a versare anche i contributi Inail. Si tratta di contributi contro le malattie professionali e gli infortuni durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Per l’anno 2022 i contributi Inail annuali sono pari a:

  • 768,50 euro per le zone normali;
  • 532,18 euro per le zone montane e svantaggiate.

Contributi lavoratori agricoli: come e quando pagarli?

Per il pagamento dei contributi, gli agricoltori devono utilizzare il modello F 24 da presentare per le quattro scadenze corrispondenti alle rate da versare. La prima è fissata al 18 luglio 2022 perché il 16 luglio quest’anno capita di sabato; la seconda è il 16 settembre; la terza scadenza è fissata al 16 novembre; infine, l’ultima scadenza del 2022 è al 16 gennaio 2023.

Perché quota 102 e quota 100 hanno fatto flop: i numeri inequivocabili che non mentono

Tanto discussa, tanto criticata e alla fine interrotta, questo ciò che si può dire sulla quota 100. La misura che il governo giallo-verde di Giuseppe Conte, Matteo Salvini, e Luigi di Maio ha introdotto, è stata subito la misura più discussa negli ultimi decenni a livello previdenziale. Da primo gennaio 2022 la misura è stata cancellata è sostituita dalla quota 102. Più o meno il meccanismo identico, cambia solo l’età minima di uscita. Resta il fatto che la notizia del momento è che a conti fatti su entrambe le misure aleggia lo spettro del fallimento. Lo dicono le statistiche ed i numeri che come si dice sempre, non mentono mai.

Da quota 100 a quota 102, l’esito non è cambiato, le misure hanno fatto flop

Sono stati solo 450mila gli italiani che sono usciti dal lavoro e sono andati in pensione grazie alla quota 100. Queste sono le stime dei 3 anni di sperimentazione della misura tanto cara alla Lega e a Matteo Salvini che ne ha fatto un autentico cavallo di battaglia. Certo, nei prossimi mesi queste uscite cresceranno anche se è impossibile che crescano in maniera così esponenziale da far cambiare quel trend negativo che al momento la quota 100 ha dimostrato di avere. C’è sempre chi ha deciso di posticipare la quota 100 grazie alla cristallizzazione del diritto, ma non cambierà molto sul giudizio sull’esito della sperimentazione 2019-2021 per la misura. Pochi hanno preso la quota 100 a tal punto che c’è chi sostiene che tutti gli allarmismi sul disastro che avrebbe fatto sui conti pubblici questa misura, non si sono materializzati.

Pochi quotisti, ancora di meno quelli puri

Infatti fin dal suo varo, sulla quota 100 si è detto tutto e il contrario di tutto. Si è detto che costava troppo per le casse dello Stato, che mandava troppo presto in pensione le persone, che era una misura che penalizzava i giovani e futuri pensionati. Resta il fatto che 38 anni di contributi versati era un tetto che si è dimostrato evidentemente troppo elevato per consentire una diffusione a macchia d’olio di questa misura tra i neo pensionati. 38 anni di contributi versati sono effettivamente, soltanto 4 anni e 10 mesi meno della pensione anticipata ordinaria. E  non è certo una soglia contributiva facile da raggiungere. Forse proprio per questo solo 450mila sono stati i pensionati che sono riusciti a completare i requisiti utili ad uscire già con la quota 100.

La quota 102 ancora peggio

64 anni e l’età minima per uscire nel 2022 con quota 102. La misura che ha sostituito quota 100 infatti prevede 2 anni di età in più rispetto alla misura precedente. Per il resto sempre 38 anni di contributi versati. Resta il fatto che pare che da gennaio, solo 3.800 persone hanno sfruttato la quota 102. Pochi anche rispetto alla quota 100. Evidente che il sistema avrebbe bisogno di altro. Fissare una soglia contributiva così elevata come entrambe le misure prevedevano, ha limitato il numero dei potenziali beneficiari. Questo è un dato evidente. A tal punto che ci sono seri dubbi che due misure del genere possono essere confermate anche per il 2023. Non certo la quota 100, ormai messa in soffitta dalla politica. Ma la quota 102 che qualcuno vorrebbe estesa di qualche altro anno, potrebbe essere immediatamente cessata. Sempre che le intenzioni dell’esecutivo siano quelle di prevedere misure di maggior vantaggio per i lavoratori. Infatti stando ai numeri e stando alla spesa pubblica che una misura come 102 ha dimostrato di produrre, rimandare la sua scadenza di un anno e lasciarla attiva anche per il 2023, non sarebbe poi una soluzione nociva per le casse statali e per la spesa pubblica.

 

Quanti contributi son o necessari per la pensione, la guida misura per misura

Nel sistema previdenziale italiano molto importanti per la pensione sono i contributi versati da un lavoratore. Infatti per andare in pensione non si può prescindere dal versamento dei contributi e pertanto chi non ha mai versato contributi o ne ha versati in misura insufficiente per le regole vigenti, non potrà mai andare in pensione. Naturalmente esistono scappatoie a questa evidente penalizzazione con cui possono avere a che fare le persone che non hanno avuto la fortuna di trovare un lavoro duraturo.

L’Inps e le sue misure assistenziali e non

Ci sono le misure assistenziali da parte dell’Inps, come l’assegno sociale. Oppure la pensione di vecchiaia a 71 anni, quando basteranno 5 anni di contributi versati. Detto ciò, è evidente che più si lavora più è facile andare in pensione. Questa è una regola generale del sistema, ma va sottolineato il fatto che ci sono diverse misure che prevedono diverse carriere, tutte differenti tra loro anche come durata.

La contribuzione è fondamentale per la pensione

Ad ogni misura previdenziale corrisponde una determinata dote di contribuzione. Tutto parte sempre dalla soglia minima di 20 anni di contributi versati. Infatti se è vero che l’età pensionabile canonica che l’intero sistema previdenziale prevede è a 67 anni, è altrettanto vero che i 20 anni di contributi sono la soglia minima di carriera che un lavoratore dovrebbe avere per poter accedere alla pensione di vecchiaia. La soglia dei 20 anni di contributi torna spesso nel sistema, perché è la stessa necessaria per esempio per accedere alla pensione anticipata contributiva, per quanti hanno iniziato a versare dopo l’ingresso della riforma Dini (1996).  Ma 20 anni di contribuzione previdenziale versata possono essere anche troppi per delle deroghe presenti nel sistema anche se ormai praticamente in disuso. Infatti bastano 15 anni di contributi per tutte e tre le deroghe Amato, o per l’opzione Dini. Misure queste che si centrano sempre a 67 anni ma rispettando determinati requisiti previsti dall’Inps.

Carriera lunga? Pensione anticipata

Nettamente più lunghe le carriere che servono per poter accedere alla pensione anticipata. Infatti gli uomini necessitano di 42 anni 10 mesi di versamenti, mentre le donne si fermano a 41 anni 10 mesi. Questa è la pensione anticipata ordinaria che non prevede limiti d’età. Con 41 anni invece si può completare la carriera utile alla quota 41 per i precoci, misura però limitata come platea dei potenziali beneficiari. Infatti lo strumento è destinato soltanto a particolari tipologie di persone, disagiate come lavoro, salute, famiglia o reddito.

Opzione donna e usuranti, quali contributi servono e quanti ne servono per la pensione?

Altre due misure particolari siccome come requisiti che prevedono carriere piuttosto lunghe sono senza dubbio la pensione anticipata contributiva per le donne e l’Anticipo pensionistico a carico dello Stato. La prima è meglio conosciuta come opzione donna, misura che consente il pensionamento alle lavoratrici già a partire dai 58 anni di età per le lavoratrici dipendenti e da 59 anni di età per le lavoratrici autonome. E 35 anni è la dote necessaria anche per chi rientra nello scivolo per i lavoratori usuranti. In questo caso si può lasciare il lavoro già 61 anni 7 mesi di età. Fermo restando che oltre l’età e i contributi, occorre completare la quota 97,6.

Ape sociale e lavori gravosi, da 30 a 36 anni di versamenti

I lavori gravosi, ad esclusione degli edili e dei ceramisti, possono accedere all’Ape sociale. In questo caso servono 36 anni di contributi. Per i già citati edili e ceramisti la contribuzione versata deve essere pari ad almeno 32 anni. Invece, per invalidi, disoccupati o con invalidi a carico invece l’Ape sociale prevede la soglia dei 30 anni di contributi. Per l’Ape sociale l’età minima di uscita è a 63 anni.

A quali agevolazioni ha diritto il pensionato italiano

In genere quando si va in pensione si percepisce un assegno nove volte su dieci inferiore allo stipendio. In pratica la pensione è sempre inferiore allo stipendio, il che porta il neo pensionato a ridurre i sorrisi vita perché si riduce il reddito prodotto. Per questo la normativa vigente in Italia prevede diverse agevolazioni per i pensionati, agevolazioni che durante la carriera lavorativa magari, non erano fruibili. Tra le svariate agevolazioni che i pensionati hanno a disposizione ce ne sono 7 su quale occorre aprire un Focus.

Agevolazioni per chi è in pensione in Italia

Con un articolo abbastanza esaustivo pubblicato sul sito “Studio Cataldi.it”, vengono elencate le 7 agevolazioni disponibili per i pensionati che forse sono poco conosciute. La prima riguarda uno sconto sulle bollette di luce acqua e gas, cioè sulle bollette delle utenze domestiche. Il pensionato che ha una certificazione ISEE inferiore a 8.266 euro, può godere di questo importante sconto direttamente in bolletta e in automatico presentando la richiesta dell’ ISEE. Lo strumento quindi è il presentare la dichiarazione sostitutiva unica, cioè la DSU all’INPS in modo tale da avere un ISEE in corso di validità. Infatti lo sconto si ha soltanto se ogni gennaio si rinnova l’ISEE.

Le tasse possono essere scontate per i pensionati

Non è una riduzione statale ma comunale, ma è pur sempre un abbattimento della tassazione da versare. Parliamo della TARI, la tassa sui rifiuti solidi urbani, che ogni famiglia deve versare al proprio Comune di residenza. Per i pensionati esistono le riduzioni, ma essendo la tassa, di competenza comunale, occorre verificare le delibere del proprio Comune, per comprendere se esistono queste riduzioni e soprattutto quali sono i requisiti per ottenerle.

I prestiti per il pensionato, a garanzia Inps e in piccole rate mensili

La maggior parte dei pensionati oggi sono liquidati dall’INPS. L’Istituto nazionale di previdenza sociale Italiano Infatti è l’ente pagatore di tutte le prestazioni pensionistiche, comprese quelle degli altri enti che adesso sono confluiti nel INPS. E grazie alle convenzioni che l’Inps ha aperto con degli istituti di credito, i pensionati possono ricorrere ai prestiti a tasso agevolato con trattenute mensili sulla propria pensione. In pratica i pensionati hanno diritto a prestiti in convenzione con l’INPS, da restituire con piccole rate mensili direttamente sul cedolino della pensione. Il vantaggio di questi prestiti è che la rata da versare non potrà mai essere superiore al 20% della pensione incassata. Altro vantaggio di questi prestiti e l’assicurazione, cioè la copertura che mette al riparo da sorprese future in caso di decesso prematuro del pensionato indebitato. Gli eredi di quest’ultimo infatti non verranno in alcun modo influenzati da eventuali debiti lasciati ai superstiti dal

Anche i trasporti o i bollettini postali sono scontate

Viaggiare sui mezzi pubblici per un pensionato può essere più economico rispetto alla generalità degli avventuri di autobus, tram, bus o metropolitana. In base alle fasce reddituali prestabilite, i mezzi di trasporto pubblici offrono sconti per gli avventori se pensionati. Anche in questo caso è il Comune di residenza quello a cui fare riferimento per verificare se è come si può godere di questo trattamento agevolato in materia di trasporto pubblico. Va detto che lo sconto vale sia  su biglietto singolo che sull’abbonamento. Inoltre pagare il bollettino postale agli sportelli di Poste Italiane consente ai pensionati di avere uno sconto sulla tariffa. Lo sconto è pari a €0,60 a bollettino e vale sempre indicando allo sportellista che si tratta di soggetto pensionato. . E di sconto si parla anche per cinema e teatro, perché i pensionati italiani godono di una riduzione del biglietto di ingresso a questi spettacoli se hanno superato i 65 anni di età e sono pensionati. Infine  l’ultima agevolazione prevista è quella del conto corrente, con molti istituti di credito che ormai adottano strumenti di deposito o di gestione del denaro privi di spese o con spese ridotte per chi ha una certa età.

In attesa delle riforma delle pensioni cosa passa l’INPS per accelerare le uscite

Le pensioni sono un argomento caldissimo. Andare in pensione fino a fine 2022 è possibile con una svariata serie di misure. Ma molte di queste rischiano di scomparire a fine anno. Altri invece sono ormai strutturali nel sistema e potranno essere percepite anche nei prossimi anni. Il governo è al lavoro per il varo di quella che dovrebbe essere una riforma delle pensioni, ma che probabilmente non lo sarà. Per questo sono molti i dubbi che attanagliano i lavoratori soprattutto per quelle misure di cui in questi giorni si parla per una ipotetica proroga anche per il 2023. Nel frattempo ciò che va sottolineato è che chi può, potrebbe scegliere di andare in pensione subito in modo tale da non essere colpito da eventuali variazioni normative che potrebbero metterlo in difficoltà come è successo a chi non è riuscito a prendere la quota 100 lo scorso anno.

Le pensioni anticipate restano una possibilità, oggi come ieri e come domani

Quando si parla di pensione anticipata si parla di misure che dovrebbero consentire di anticipare il pensionamento per quanti si trovano con alcuni requisiti utili a superare l’obbligo di uscita dai 67 anni. La prima misura che è strutturale e non scadrà l’anno prossimo è la pensione anticipata ordinaria. Parliamo di quella misura destinata a lavoratori che, a prescindere dall’età, hanno raggiunto i requisiti prestabiliti per la pensione. Sembra pressoché certo che la pensione anticipata resterà con i medesimi requisiti di oggi anche nel 2023 e forse anche degli anni successivi visto il blocco degli adeguamenti dell’aspettativa di vita. Per accedere alla pensione anticipata senza limiti di età, gli uomini devono maturare un anno di contributi in più delle donne. Infatti per i primi servono 42 anni e 10 mesi di contributi versati mentre per le seconde 41 anni 10 mesi. In entrambi i casi 35 anni devono essere neutri da contribuzione figurativa relativa a periodi di disoccupazione indennizzata o di malattia. L’anno scorso la decorrenza della pensione anticipata ordinaria rispetto alla data in cui si maturano i requisiti è stata posticipata di 3 mesi. Questo in virtù  dell’applicazione del sistema della finestra mobile. In altri termini una volta maturati i 42 anni 10 mesi di contributi per gli uomini 41 anni 10 mesi contributi per le donne per ottenere il primo rateo di pensione spettante, devono trascorrere tre mesi.

Per i precoci uscita con meno anni di contribuzione

Alternativa, anche se solo per una piccola platea di lavoratori, alla pensione anticipata ordinaria è la quota 41 per i precoci. La definizione stessa della misura metti in evidenza un primo nodo che quello della dell’essere precoci. Il precoce per quota 41 è colui che ha iniziato a versare contributi prima di aver compiuto i 19 anni di età. Per entrare nella misura servono 41 anni di contributi per uomini e donne ed anche in questo caso 35 di questi devono essere, come per le anticipate ordinarie, neutri da figurativi di malattia e disoccupazione. Detto questo, serve un anno di contributi versato prima del compimento dei 19 anni di età. In questo caso non c’entra niente la continuità, perché l’anno di contributi antecedenti i 19 anni di età può essere versato anche in forma discontinua. La misura però non si rivolge all’intero universo dei lavoratori dipendenti o autonomi, perché riguarda sono i caregivers, gli invalidi, i disoccupati e chi è alle prese con i lavori gravosi. Va ricordato che rispetto a una misura gemella che è l’Ape sociale che vedremo dopo, i lavori gravosi per la quota 41 sono nettamente inferiori di quelli per l’Ape sociale, che sono stati recentemente aggiornati ed ampliati. La qualità di disoccupati, invalidi o caregivers, va centrata rispettando alcuni requisiti particolari che la misura prevede.Per esempio i 3 mesi di assenza di Naspi per disoccupati, oppure il 74% di disabilità accertata sia per gli invalidi che per gli invalidi a cui presta servizio il caregiver.

Pensione di vecchiaia a 67 anni ma non solo

La pensione di vecchiaia invece è quella che prevede una predeterminata soglia di contributi versati ma  anche una determinata età. Pertanto potranno accedere alla pensione di vecchiaia nel 2022 come 2023, coloro i quali completano 67 anni di età e 20 anni di contributi versati. Una variante a questa pensione di vecchiaia è concessa ai cosiddetti contributivi puri che sarebbero i lavoratori che hanno il primo contributo versato dopo il 31 dicembre del 1995. In questo caso si anticipa la quiescenza di 3 anni rispetto alla pensione di vecchiaia ordinaria. La misura si chiama pensione anticipata contributiva, e per centrarla passano vent’anni di contributi. Sia per la pensione anticipata contributiva che per la vecchiaia ordinaria, non esistono finestre mobili di uscita e la decorrenza scatta dal primo giorno del mese successivo a quello di maturazione del diritto alla pensione.

Le misure in bilico per le pensioni

I grandi dubbi provenienti dal sistema previdenziale italiano e che riguardano una nutrita fetta di lavoratori riguardano quelle misure che non è sicuro verranno confermate per l’anno prossimo. Si tratta delle misure tampone che in questi anni hanno fatto capolino nel sistema e che rischiano seriamente di scomparire senza interventi del governo nella legge di Bilancio di fine anno. La prima misura di cui parliamo è senza dubbio l’Ape sociale, misura che ha permesso in questi anni di andare in pensione a molti lavoratori a partire dai 63 anni d’età. La misura come la quota 41, e destinata a determinati soggetti quali sono gli invalidi, i disoccupati, i caregiver e i lavoratori alle prese con mansioni gravose. Come detto per la quota 41 i lavori gravosi destinati all’Ape sociale sono nettamente di più. Infatti il governo nell’ultima manovra ha deciso di estendere la platea dei beneficiari dell’Ape sociale proprio per quanto riguarda lo spaccato del Lavoro gravoso.

Da 36 a 32 anni di contributi per i lavori gravosi e le loro pensioni

Per i lavori gravosi l’Ape sociale si c’entra al completamento dei 63 anni di età con 36 anni di contributi versati. A meno che non si rientri tra gli edili o tra i ceramisti per i quali bastano 32 anni.  Per tutti gli altri, quindi per gli invalidi, i disoccupati e i caregivers, bastano 30 anni di contributi. L’Ape sociale è una misura che non è reversibile in caso di decesso anticipato del pensionato. Inoltre non prevede corresponsione di assegni familiari, maggiorazioni sociali è tredicesima mensilità. L’Ape sociale scade il 31 dicembre 2022. Non è detto quindi che la misura possa essere sfruttata anche l’anno venturo da chi non riesce a completare i requisiti quest’anno.

Opzione donna al bivio tra scadenza, proroga e conferma definitiva

Stesso discorso e stessa scadenza, ma anche stessi rischi di venire depennata alla sistema, riguardano la misura destinata alle lavoratrici, cioè opzione donna. La misura infatti scade il 31 dicembre prossimo, e consente di accedere alla pensione alle lavoratrici che entro lo scorso anno quindi entro il 31 dicembre 2021 hanno completato sia i 58 anni di età che i 35 anni di contributi versati. Per le lavoratrici autonome invece tale limite passa a 59 anni. Opzione donna e anche conosciuta come regime sperimentale donna ed è una misura completamente contributiva. Infatti le lavoratrici che hanno sfruttato la misura hanno dovuto accettare un ricalcolo contributivo del proprio assegno che ha significato una pesantissima penalizzazione sulla pensione. Infatti più anni sono stati versati prima del 1996, più penalizzata è la prestazione offerta da opzione donna.
Proprio il suo nome che è “regime contributivo sperimentale donna” dimostra come si tratta di una misura che è non è strutturale nel sistema ma va confermata ogni anno. Non sono poche le associazioni che chiedono di rendere strutturare la misura in modo tale da farla entrare in pianta stabile nel sistema. Su questo sta lavorando sicuramente il governo proprio in previsione della nuova legge di bilancio di fine anno, dove già si parla però solo di estensione di un altro anno per opzione donna.

La quota 102 al canto del cigno

Anche la quota 102 dovrebbe scomparire nel 2023. Infatti si tratta di una prestazione che è nata in via sperimentale per un solo anno. La misura è stata messa in atto per sostituire di fatto la quota 100 e per evitare che tutti i lavoratori a cui la quota 100 non è stata concessa per via della mancanza dei requisiti al 31 dicembre 2021, di imbattessero nello scalone di 5 anni. Mettendo da parte eventuali diatribe e critiche alla misura, che tutto ha fatto tranne che sostituire quota 100 e che tutto ha fatto tranne che limitare lo scalone per molti lavoratori, resta il fatto che fino a dicembre 2022 con quota 102 i lavoratori possono ancora lasciare il lavoro. In questo caso servono almeno 64 anni di età ed almeno 38 anni di contributi versati. Anche in questo caso dei 38 anni di contributi versati 35 devono essere effettivi.

Gli altri scivoli da qui a fine 2022

Restano ancora attivi diversi altri scivoli però destinati a platee molto molto più ristrette. Per esempio c’è la pensione con invalidità pensionabile. Si tratta di una pensione di vecchiaia che consente però di uscire già dai 56 anni di età per le donne dei 61 anni d’età per gli uomini. In questo caso la misura prevede una invalidità pensionabile pari ad almeno l’80%. E non deve essere soltanto la ASL a certificare tale grado di disabilità con la propria commissione medica. Infatti l’invalidità pensionabile è quella determinata dalla commissione medica INPS. Per questi lavoratori servono almeno 20 anni di contributi. Alcune deroghe come per esempio quella dei lavoratori cosiddetti quindicenni vanno via via scomparendo, anche se resta qualcuno che può continuare a percepire questo genere di prestazioni.

Le deroghe ai requisiti ordinari

Per esempio ci sono i lavoratori che rientrano ancora nella deroga Amato o meglio nelle deroghe Amato perché sono tre. In questo caso servono 67 anni di età e 15 anni di contributi versati. Con la primaderoga possono uscire dal lavoro coloro che hanno già maturato i 15 anni di contributi prima del 1992. Con la seconda deroga invece, si passa ad altro. Possono lasciare il lavoro sempre a 67 anni sempre con 15 anni di contributi coloro i quali sono stati autorizzati alla prosecuzione volontaria. Autorizzati prima del 1992 al versamento dei contributi volontari quindi. Va ricordato che l’autorizzazione INPS alla contribuzione volontaria basta per avere l’accesso alla prestazione. Infatti non serve che i contributi volontari siano stati versati e non serve nemmeno che si sia partiti solo con i primi versamenti. Quindi basta solo l’autorizzazione da parte dell’INPS alla prosecuzione volontaria della contribuzione. La terza deroga invece riguarda quanti sono stati alle prese con carriere lavorative costellate da lavoro discontinuo e intermittente. Per esempio bastano 10 anni di contributi versati per meno di 52 settimane lavorative all’anno. L’anzianità contributiva però in questo caso di 25 anni c’è il primo contributo versato deve essere di 5 anni

Pensione Quota 41 per tutti : come funziona e quanto costerebbe

In questo ultimo periodo si sta parlando molto della pensione Quota 41, ma di cosa si tratta nello specifico e come funziona? Ma, soprattutto quanto costerebbe applicare questa riforma? Scopriamolo nella nostra guida in merito.

Pensioni Quota 41: di cosa si tratta

Entro la fine di questo 2022, il sistema pensionistico potrebbe avere una nuova riforma.

In sostanza, al termine dell’ anno scadrà l’attuale meccanismo per il collocamento a riposo. Un tema cavalcato negli ultimi anni soprattutto dalla Lega che, dopo aver introdotto quando era al governo con i 5 Stelle, Quota 100 ora pensa a Quota 41. Ma di cosa si tratta? quali sono le caratteristiche?

Quota 41 non è altro che una forma di pensione anticipata, riservata attualmente solo ad alcune categorie di lavoratori svantaggiati. Nello specifico, questi possono andare in pensione indipendentemente dall’età anagrafica una volta maturati 41 anni di contributi, un requisito valido sia per donne che per uomini.

Nel caso degli uomini, dal momento che per loro il requisito contributivo per la pensione anticipata è di 42 anni e 10 mesi, partono non poco avvantaggiati; usufruendo di questa forma per il pensionamento anticipato, riescono ad andare in pensione quasi due anni prima. Nel caso delle donne invece lo sconto è di soli 10 mesi, poiché per loro la pensione anticipata si raggiunge alla maturazione di 41 anni e 10 mesi di contributi.

Quanto costerebbe Quota 41?

Possiamo dire che sul piano dei bilanci, vi è un bell’ostacolo, però, che al momento sembra essere difficile da sormontare: il costo. Stando alle stime, infatti, introdurre Quota 41 senza vincoli – consentendo a tutti di andare in pensione con 41 anni di contributi – avrebbe un costo, una volta a regime, di 12 miliardi di euro in più ogni anno.

Già oggi, va considerato che la spesa previdenziale costa 300 miliardi di euro l’anno, ovvero il 16,7% del Pil nazionale.

L’ Unione Europea chiede al paese di ridurre questa soglia che tuttavia con l’introduzione di Quota 41 per tutti aumenterebbe tanto da raggiungere il picco del 17,4% nel 2036.

Quota 41, cosa c’è ancora da sapere

Vediamo in ultimo, ma non ultimo, cos’ altro occorre sapere in merito alla Quota 41.

Con Quota 41 tutti coloro che hanno maturato 41 anni di contributi – indipendentemente se fanno parte o meno di una delle suddette categorie – potranno andare in pensione.

In questo caso Quota 41 prenderebbe il posto della pensione anticipata che per ovvi motivi cesserebbe di esistere.

Una ulteriore interpretazione, più restrittiva ma più fattibile almeno sul piano immediato, è quella per cui Quota 41 riguardi solamente i precoci. Per accedere a Quota 41, quindi, basterebbe essere un lavoratore precoce senza per forza far parte di una delle categorie svantaggiate elencate in precedenza.

Vediamo, in ultimo, chi può ricorrere alla Quota 41, stando ai fatti del momento.

Al momento, la pensione Quota 41 è riservata ai partecipanti delle seguenti categorie:

  • disoccupati: a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale, e che abbiano concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante da almeno tre mesi;
  • caregiver: cioè chi assiste, al momento della richiesta o da almeno sei mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità.
  • invalidi civili: percentuale pari almeno al 74%;
  • dipendenti che abbiano almeno svolto sei anni all’interno degli ultimi sette attività lavorative usuranti e gravose;
  • lavoratori dipendenti addetti alle attività usuranti o ai lavoratori notturni con almeno 64 notti lavorate l’anno.

Questo, dunque è quanto di più utile e necessario vi fosse da sapere in merito alla nuova riforma Quota 41 che potrebbe prendere piede entro la fine di questo 2022.

Congedo straordinario legge 104 e contributi figurativi: cosa si perde sulla pensione?

In questa rapida ma esaustiva guida faremo chiarezza sulle possibilità di perdita in termini economici di coloro che ricorrono al congedo straordinario, della legge 104, sulla propria pensione. Scopriamolo nei prossimi paragrafi.

Congedo straordinario 104: di cosa si tratta

Innanzitutto, è bene fare chiarezza sul punto cruciale di questa questione, ovvero cosa vuol dire il congedo straordinario, inerente alla legge 104.

In maniera molto essenziale, possiamo dire che il congedo straordinario è un periodo di assenza dal lavoro retribuito che viene concesso ai lavoratori dipendenti, i quali assistono familiari con disabilità grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, legge 5 febbraio 1992, n. 104.

Tutto ciò, per un massimo di 24 mesi indennizzato come se lo stesso periodo fosse stato lavorato.

Il requisito indispensabile per poter ottenere il congedo straordinario per la 104 è che il familiare sia un disabile con handicap grave. La persona da assistere deve essere in stato di handicap in situazione di gravità e inoltre non deve essere ricoverato a tempo pieno in istituto specializzato o altro centro.

Congedo straordinario: cosa c’è da sapere

Stando a quanto detto nel paragrafo precedente, va aggiunto che l’ assenza è coperta da contribuzione figurativa, con l’Inps che prende carico della spesa necessaria in modo che il congedo straordinario possa ritenersi valido ai fini della pensione.

Tutto ciò, però, non vuol dire che durante il congedo straordinario non ci sia alcuna perdita sulla pensione, anzi.

come è previsto per la retribuzione, in egual misura per il versamento della contribuzione figurativa vi è posto un limite oltre il quale non è possibile andare.

Congedo straordinario: i danni sulla pensione

Vediamo, dunque come e quando si rischia di perdere soldi sulla propria pensione, ricorrendo al congedo straordinario.

Come detto poco sopra, durante il periodo di fruizione del congedo straordinario per assistere familiare con handicap grave, il lavoratore ottiene il diritto alla copertura contributiva figurativa e proprio per questo motivo tale periodo è valido anche a livello pensionistico.

Di fatto, i contributi figurativi sono validi sia per raggiungere i requisiti di pensionamento ed anche per il calcolo dell’assegno pensionistico. Pertanto, il lavoratore, nella gran parte dei casi, sul versante pensionistico non perde nulla.

Ma troviamo in tal caso alcune considerazioni da fare, poiché ci sono comunque possibilità di ricevere una decurtazione sulla pensione futura a causa del congedo utilizzato.

Ciò accade anche se l’accredito di contributi figurativi non abbassa l’importo della pensione, poiché per il congedo straordinario è fissato un limite oltre il quale non è possibile andare.

Alcuni esempi sulla pensione

Per fare un esempio, se in un suddetto periodo spetta un’indennità pari al 100% della retribuzione totale, entro un certo tetto massimo appunto che nel 2022 è pari a 37.341 euro (102,30 euro al giorno).

In base a quanto riconosciuto va poi calcolata la contribuzione dovuta, che è pari al 33% della retribuzione globale. Su questa troviamo ugualmente un limite che non può essere superato.

Un limite rivisitato ogni anno, ad esempio dal primo gennaio 2022 la soglia massima di contributi figurativi riconoscibili ammonta a 12.322,53 euro annui.

Nei casi in cui il lavoratore abbia una retribuzione lorda inferiore all’importo visto poc’anzi, l’indennità annua sarà più bassa e in qualunque caso la sua copertura figurativa risulterà completa.

A tal punto, la contribuzione diviene penalizzante per la pensione solo in caso in cui la retribuzione lorda del lavoratore ecceda i 37 mila euro l’anno, poiché in tal caso l’indennità massima riconosciuta sarà sempre pari all’importo massimo di 37.341 euro, mentre i contributi figurativi non potranno comunque superare i 12.322,53 euro. L’eccedenza, invece, verrebbe persa.

Questo è, dunque, quanto di più utile ed essenziale da sapere in merito alla questione legata alle perdite possibili, sulla pensione, per chi usufruisce del congedo straordinario della legge 104.

Pensioni, come uscire prima con cumulo e ricongiunzione dei contributi?

Come si può andare in pensione prima procedendo con il cumulo o la ricongiunzione dei contributi? Alcuni casi aiutano a valutare i due istituti previdenziali per arrivare alla scelta migliore. Ad esempio, un lavoratore che abbia superato di qualche anno i 60 anni e che abbia maturato contributi presso più gestioni (25 anni da lavoratore dipendente, contributi presso la gestione ex Enpals e anche qualche mese alla Gestione separata dell’Inps), può valutare di unire i versamenti per arrivare prima alla pensione.

Ricongiunzione dei contributi ai fini della pensione, di cosa si tratta?

Ai fini della pensione, con la ricongiunzione dei contributi versati presso differenti gestioni previdenziali si permette di:

  • accentrare i versamenti tutti in una delle gestioni presso la quale siano stati versati contributi;
  • ottenere la pensione dalla gestione previdenziale prescelta;
  • rateizzare e dedurre fiscalmente il costo dell’operazione che ammonta al 50% della differenza tra l’onere teorico di ricongiunzione e il totale dei contributi e degli interessi.

Pensioni anticipate, come procedere con il cumulo gratuito dei contributi?

Con il cumulo dei contributi versati, disciplinato dalla legge di Bilancio 2017, il lavoratore può unire i versamenti effettuati nella vita lavorativa presso più gestioni previdenziali, sia private che pubbliche. Il cumulo dei contributi si può richiedere per ottenere i seguenti trattamenti previdenziali:

  • la pensione anticipata con i requisiti della riforma Fornero;
  • le pensioni di vecchiaia;
  • l’inabilità;
  • le pensione dei superstiti.

Pensioni, quale è più conveniente tra cumulo dei contributi e ricongiunzione?

Quale scelta è più conveniente per i lavoratori prossimi alla pensione, il cumulo dei contributi o la ricongiunzione? In entrambi i casi, l’assegno delle pensioni saranno determinate dall’unione di almeno due gestioni previdenziali. In linea di massima, si può affermare che, pur non comportando degli oneri, il cumulo pensionistico produce minori vantaggi in termini di pensione rispetto alla ricongiunzione.

Come andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni unendo i contributi?

Nel caso del lavoratore sopra descritto, se il contribuente proviene dal sistema previdenziale misto (quindi con una parte dei contributi versati entro il 31 dicembre 1995) si può pensare di andare in pensione anticipata a 64 anni di età. Tale possibilità vige nel caso in cui il lavoratore abbia almeno un contributo versato entro il 1996. Facendo il computo nella gestione separata e riunendo le varie gestioni previdenziali, il lavoratore può andare in pensione a 64 anni:

  • se accetta il ricalcolo della pensione con il solo meccanismo previdenziale misto;
  • rispettando uno dei requisiti legati all’assegno di pensione. Ovvero, l’importo del futuro trattamento previdenziale deve essere pari ad almeno 2,8 volte quello della pensione sociale. Per il 2022, dunque, tale importo è fissato in 1.310,68 euro.

Pensione anticipata contributiva, chi può andare uscire prima?

In ogni modo, se il lavoratore ha iniziato a versare i contributi in data successiva al 31 dicembre 1995, la possibilità di andare in pensione anticipata contributiva a 64 anni è sempre riconosciuta. Tuttavia, i contributi versati alla Gestione separata dell’Inps daranno diritto a una parte della pensione a decorrere dalla vecchiaia. Dunque, a decorrere dai 67 anni di età. Procedendo, invece, con il cumulo di tutte e tre le gestioni previdenziali presso le quali il lavoratore abbia versato i contributi, il richiedente potrebbe godere contemporaneamente di tutte e tre le quote di pensione.

Lavoratore con contributi in due gestioni previdenziali differenti: la possibilità di procedere con il cumulo o la ricongiunzione

Nel caso in cui un lavoratore, appartenente al sistema previdenziale misto, abbia contributi versati in due gestioni, si può pensare a quale convenga di più tra ricongiunzione e cumulo. Ad esempio, se un lavoratore ha iniziato a contribuire dal 1990 e per 20 anni ha versato contributi al fondo telefonici e successivamente come dipendente di un’impresa privata, le alternative sono due. La prima consisterebbe nel  trasferire i contributi presso una sola delle due gestioni (ricongiunzione). Con tale istituto, la scelta del lavoratore non andrebbe a incidere con l’uscita anticipata, ma direttamente sull’assegno di pensione. La scelta sarebbe valida anche per accedere a specifiche formule di pensione che non sono consentite con il cumulo dei contributi.

Pensioni anticipate con il cumulo gratuito dei contributi: possibilità anche per i liberi professionisti

Con il cumulo dei contributi, invece, il lavoratore può ricongiungere gratuitamente i versamenti effettuati presso più gestioni. Il contribuente raggiungerebbe la pensione sulla base delle quote di assegno spettanti da ciascuna delle gestioni previdenziali. Peraltro il cumulo gratuito dei contributi è previsto anche per i liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali. Nel caso in cui il professionista abbia contributi versati anche da lavoratore dipendente, si possono unire i periodi di lavoro e di versamenti non coincidenti per arrivare prima:

  • alla pensione di vecchiaia;
  • a quella anticipata ordinaria con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41 anni e 10 mesi).

Uscita da lavoro per i liberi professionisti con il cumulo dei contributi

Peraltro, per i contributi versati alla Cassa previdenziale è necessario che il libero professionista presti attenzione ai requisiti richiesti dalla gestione previdenziale stessa. Ad esempio, per la pensione di vecchiaia degli ingegneri iscritti a Inarcassa, il requisito da maturare è pari a 34 anni e sei mesi di contributi. Si tratta di un requisito ben più gravoso rispetto a quello previsto dall’Inps che per la pensione di vecchiaia richiede venti anni di contributi versati.

La ricongiunzione può essere richiesta per i lavoratori autonomi iscritti alle Casse previdenziali?

I liberi professionisti iscritti alle Casse previdenziali non possono richiedere la ricongiunzione dei contributi. Pertanto, chi volesse arrivare alla pensione mediante ricongiunzione onerosa dei contributi versati alle Casse previdenziali e alla gestione dell’Inps come lavoratore alle dipendenze, può semplicemente attendere l’età della vecchiaia per ottenere un supplemento di pensione.