Legge Fornero: applicazione totale dal 2023 o ci saranno correttivi?

Dal 1° gennaio 2023 potrebbe tornare il vigore al 100%, quindi senza correttivi e vie d’uscita anticipate, la legge Fornero, molti lavoratori sono già in allarme anche se non mancano proposte per evitare il ritorno di una delle riforme più odiate del sistema pensionistico italiano.

La legge Fornero torna in vigore nel 2023?

La legge Fornero in realtà in questi anni non ha mai cessato di esistere. La stessa prevede che si possa andare in pensione al raggiungimento di 67 anni di età e che l’età pensionabile sia rivista periodicamente in base alle aspettative di vita.

Per capire l’effetto dell’aumento dell’aspettativa di vita sulle pensioni, leggi l’articolo:  Pensioni: cosa cambia con il blocco dell’aspettativa di vita

Quota 100, Opzione Donna, Ape Sociale, Quota 102: chi può andare in pensione?

Nel frattempo il Governo ha provveduto di volta in volta a introdurre correttivi che hanno consentito a molti di andare in pensione in forma anticipata. In particolare prima abbiamo avuto la Quota 100 che ha cessato i suoi effetti il 31 dicembre 2021. In seguito si è passati a Quota 102. Le due riforme hanno consentito alle persone di andare in pensione dopo aver raggiunto la somma rispettivamente di 100 e 102 tra età anagrafica e anzianità contributiva. Per Quota 100 era previsto comunque il requisito dell’età minima a 62 anni, mentre per Quota 102, il requisito di età minima è 64 anni. Ne consegue che sono comunque necessari almeno 38 anni di contributi.

Nel frattempo il Governo ha provveduto alla proroga di Opzione donna ma solo per le donne che accettano di andare in pensione con il solo calcolo contributivo e quindi in molti casi perdendo circa 1/3 della pensione.

Pensioni: Opzione donna diventerà strutturale? Le ipotesi allo studio

Infine, c’è l’Ape Sociale rivolta esclusivamente a disoccupati, persone con invalidità civile almeno al 74% e che hanno maturato almeno 30 anni di contributi, caregiver e persone che hanno svolto lavori gravosi. Naturalmente per poter accedere occorre avere almeno 30 anni di contributi elevati a 36 anni per coloro che sono occupati in lavori gravosi. Inoltre l’attività gravosa deve essere stata svolta per almeno 6 anni negli ultimi 7 o 7 anni negli ultimi 10 anni.

Per conoscere i dettagli dell’Ape Sociale, leggi l’articolo: APE Sociale 2022: tutte le novità della legge di bilancio

Quali sono le proposte per superare la Legge Fornero?

Queste misure sono comunque tutte di tipo temporaneo e di conseguenza sono iniziate le pressioni da parte dei partiti, in particolare della Lega di Matteo Salvini al fine di prorogare i correttivi o introdurre nuovi correttivi che possano permettere di andare in pensione prima che scattino i requisiti previsti dalla legge Fornero.

Le ipotesi allo studio sono numerose, tra cui l’introduzione di Quota 101, la prosecuzione su Quota 102. Di certo questo è il momento in cui gli animi si scaldano, infatti è la fase antecedente rispetto a quella in cui iniziano trattative e discussioni sulla prossima legge di bilancio e soprattutto ogni partito inizia la sua campagna elettorale in vista delle prossime amministrative e delle politiche della prossima primavera.

Tra le ipotesi allo studio vi è anche la pensione in due tempi, suggerita anche da Tridico, presidente INPS. Si ipotizza in questo caso che nel momento del pensionamento anticipato rispetto alla Legge Fornero la pensione sarà calcolata solo con il sistema contributivo matematicamente sfavorevole ai pensionati. In un secondo momento, cioè alla maturazione dei requisiti anagrafici per il pensionamento con la legge Fornero, saranno aggiunte le somme che spetterebbero calcolando anche il sistema contributivo.

Per capire quando si applica il sistema contributivo e quando quello retributivo, leggi la guida: Pensione: quando si applicano il calcolo retributivo, contributivo e misto?

Legge Fornero e Quota 41: costi insostenibili

La proposta di Salvini invece è l’introduzione di Quota 41, cioè un sistema pensionistico che permetta a tutti di andare in pensione al raggiungimento di 41 anni di contributi. Per questa riforma c’è però un ostacolo importante e cioè i calcoli che non consentono all’INPS di erogare i trattamenti pensionistici così maturati. Tale sistema infatti costerebbe 12 miliardi di euro in più. A ciò deve essere aggiunto che dall’Europa già è arrivato il monito sulla Quota 102 che sarebbe insostenibile, figurarsi un’eventuale, più costosa, Quota 41.

Naturalmente al dibattito partecipano anche i sindacati che propendono per sistemi pensionistici maggiormente favorevoli ai lavoratori. Non resta che aspettare per capire, soprattutto chi è prossimo alal pensione, quali sono le vie d’uscita.

 

Pensioni, quante possibilità ci sono che nel 2023 venga attuata quota 41?

Quante possibilità ci sono che nella riforma delle pensioni del 2023 venga attuata la quota 41 per tutti? Ad oggi, le trattative tra il governo Draghi e i sindacati per la riforma previdenziale del prossimo anno sono ferme. Oltre 3 mesi di stop ai tavoli delle nuove misure pensionistiche che dovranno evitare il ritorno ai vincoli della riforma Fornero di fine 2011. Se non si dovesse intervenire per tempo, con la fine della sperimentazione della quota 100 a 31 dicembre scorso, e in attesa della scadenza della quota 102, attualmente in vigore fino al prossimo 31 dicembre, le vie di uscita dal lavoro rimarrebbero quelle della pensione di vecchiaia all’età di 67 anni, e quella della pensione anticipata con 42 anni e dieci mesi di versamenti contributivi.

Pensioni, senza quota 102 i lavoratori rimarrebbero senza misure di uscita anticipata

Proprio nei giorni scorsi, il leader della Lega Matteo Salvini è intervenuto per porre pressione al governo sulla riforma delle pensioni e per rilanciare il vecchio progetto della quota 41 per tutti. Al netto di misure di uscita che riservano l’uscita a una platea ben ristretta di contribuenti (l’opzione donna e l’anticipo pensionistico sociale, ancora da confermare per il 2023), e senza la proroga dell’attuale quota 102, i lavoratori rimarrebbero senza canali di uscita praticabili. E dovrebbero attendere la maturazione dei requisiti della legge Fornero.

Pensioni, quali sono le previsioni del decreto ‘Aiuti’ di Mario Draghi?

Ad oggi non si fanno previsioni sulla ripresa dei tavoli di riforma delle pensioni. Il presidente del Consiglio Mario Draghi è impegnato nelle misure da adottare nel decreto legge “Aiuti”, alcune delle quali potrebbero riguardare i pensionati. Infatti, oltre al bonus 200 euro nel quale rientrano i contribuenti in quiescenza, il governo potrebbe prevedere misure per difendere il valore delle pensioni dall’inflazione causata dal conflitto in Ucraina. La road map dei lavori governativi prevede di entrare nel vivo del provvedimento all’incirca per il 20 giugno prossimo, in modo da avere tempo fino al 16 luglio per l’ok definitivo delle Camera.

Il governo pensa a misure nel decreto ‘Aiuti’ per difendere le pensioni  dall’inflazione

Quello della difesa del valore delle pensioni dall’inflazione è un cavallo di battaglia delle sigle sindacali. Che però vorrebbero riprendere i tavoli di trattativa con il governo per creare le condizioni necessarie affinché nella legge di Bilancio 2023 vengano attuate misure di riforma strutturale delle pensioni. A partire dalle uscite flessibili dei lavoratori dall’età di 62 anni o della stessa quota 41 per tutti. Un’ipotesi in comune con la politica di Matteo Salvini a favore dei lavoratori che hanno iniziato presto a lavorare in età adolescenziale e che hanno accumulato circa quattro decenni di contributi previdenziali.

Pensioni: Matteo Salvini propone quota 41 per tutti, Forza Italia risponde che è meglio la quota 104

La quota 41 per tutti è un modello previdenziale nemmeno recente di Matteo Salvini. Infatti, la misura avrebbe dovuto rappresentare il meccanismo da introdurre al termine dei tre anni di sperimentazione della quota 100, proprio a partire dal 1° gennaio 2022.

Quota 41 per tutti, ‘senza se e senza ma’

Si tratterebbe di considerare il solo requisito contributivo dei 41 anni di versamenti, “senza se e senza ma”. Ovvero il meccanismo di uscita sarebbe slegato da tutti i paletti che, nella misura attuale, restringono notevolmente la platea di chi può intraprendere questo canale di uscita. Peraltro, a Matteo Salvini ha risposto nei giorni scorso Antonio Tajani, coordinatore di Forza Italia, il quale ha espresso la preferenza per la quota 104 rispetto alla quota 41. Si tratterebbe di innalzare la quota con l’età minima di 64 anni di età, in linea con il requisito anagrafico richiesto per varie ipotesi di riforma e per la stessa quota 102, ma aumentando i contributi a 40 anni.

Pensioni, per Antonio Tajani ‘quota 104 è meglio di quota 41’

Quella di Antonio Tajani sarebbe una proposta di riforma delle pensioni che andrebbe ad assicurare l’uscita a chi ha parecchi anni di contributi e, probabilmente, accontenterebbe Bruxelles sui requisiti minimi dal momento che nei giorni scorsi è arrivata dall’Europa la bocciatura sia per la quota 102 che per la quota 100. Per il coordinatore di Forza Italia è occorrente “dare vita ad una nuova riforma che tuteli i contribuenti di oltre 60 anni di età, ma anche i giovani lavoratori”.

Riforma pensioni 2023, probabili tavoli delle trattative con i sindacati in autunno

La bocciatura di Bruxelles, peraltro, ha reso ancora più difficoltosa una riforma delle pensioni che riesca a mettere d’accordo partiti politici, sindacati, lavoratori e imprese. Dopo aver lavorato sui dossier ritenuti più urgenti e dettati dall’emergenza in Ucraina, Mario Draghi potrebbe sedersi al tavolo delle trattative per le nuove pensioni in autunno, quando la riforma dovrà trovare collocazione legislativa nella Manovra di Bilancio 2022.

Pensioni, Draghi sarebbe freddo all’ipotesi di quota 41: ecco perché

Al momento, infatti, il governo sarebbe piuttosto freddo rispetto all’ipotesi della quota 41, da adottare come baluardo per evitare un ritorno alla riforma Fornero. E anche di mettere mano alla misura dei 41 anni di contributi attualmente in vigore. L’uscita con l’odierna quota 41 è possibile solo per determinate categorie di lavoratori, come i precoci, e quelli che svolgono mansioni usuranti. La proposta di Matteo Salvini considera solo gli anni di contributi, a prescindere:

  • dall’età anagrafica di uscita dal lavoro;
  • dall’anno di contributo, attualmente richiesto, versato entro i 19 anni di età.

Pensioni con quota 41, i requisiti richiesti in comune con l’Ape sociale

A questi requisiti si aggiungono quelli in comune con la misura di pensione dell’Ape sociale, ovvero:

  • la situazione di disoccupazione;
  • lo svolgimento di attività usuranti o gravose per almeno gli ultimi 7 anni su 10 e per non meno di 6 degli ultimi 7 anni;
  • lo stato di invalidità civile per almeno il 74%;
  • l’essere caregiver, ovvero prendersi cura di familiari conviventi in condizione di handicap grave.

Pensioni a quota 41 per tutti, quanto costa la misura?

Al di là della volontà politica di aprire tavoli di riforma delle pensioni che abbiano tra le ipotesi quella della quota 41 per tutti, è necessario tener presente i conti dell’Inps sulla misura. L’Istituto previdenziale, infatti, calcola che la quota 41 per tutti costerebbe:

  • quattro miliardi di euro nel primo anno di adozione del meccanismo;
  • valori elevati per tutta la durata;
  • 9 miliardi di euro nell’ultimo anno di un percorso decennale.

Pensioni, la soluzione flessibile dell’Inps che costa meno

Conti alla mano, dunque, il governo sarebbe rimasto freddo di fronte all’ipotesi di una misura così costosa. Le possibilità di uscita anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia convergono su un requisito anagrafico di almeno 63 o 64 anni di età. La spesa per queste misure con requisiti anagrafici si abbasserebbe a 400 milioni di euro. Ma occorrerebbe che il neo pensionato accetti l’assegno calcolato solo con il contributivo fino all’età della pensione di vecchiaia. Dunque, dai 67 anni di età i lavoratori con contributi versati prima della fine del 1995, recupererebbero la quota retributiva.

Ape sociale e reddito di cittadinanza, si possono percepire insieme?

Si possono percepire insieme sia la pensione con Ape sociale che il reddito di cittadinanza? Il rapporto tra le due indennità non prevede limitazioni. Infatti, il decreto legge numero 4 del 2019, che ha istituito il reddito di cittadinanza, non ha previsto alcuna forma di incompatibilità e, pertanto, di incumulabilità sia parziale che totale, con l’anticipo pensionistico. Ma è necessario fare alcune precisazioni importanti sull’importo del reddito di cittadinanza che risulta influenzato dalla percezione della pensione con Ape sociale.

Compatibilità e cumulabilità dell’Ape sociale con Naspi, Dis coll, Iscro e reddito di emergenza

Inoltre, altri per altri trattamenti corrisposti dall’Inps, come il reddito di emergenza, la Naspi, la Dis coll e l’Iscro, è necessario prestare attenzione sulla compatibilità e cumulabilità con l’Ape sociale. L’eventuale percezione di uno di questi trattamenti non avendone diritto perché già beneficiari dell’Ape sociale, comporta la situazione di percezione indebita e di recupero da parte dell’Inps.

Compatibilità di reddito di cittadinanza, Naspi, Dis coll, Ape sociale: i riferimenti normativi

Sulla compatibilità del reddito di cittadinanza e dell’Ape sociale, la disciplina di riferimento è contenuta nel comma 8, dell’articolo 2 del decreto legge numero 4 del 2019. La norma stabilisce che “il reddito di cittadinanza è compatibile con il godimento della Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi) e dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata (Dis coll), di cui rispettivamente all’articolo 1 e all’articolo 15 del decreto legislativo 4 marzo 2015, numero 22, e di altro strumento di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria ove ricorrano le condizioni di cui al presente articolo. Ai fini del diritto al beneficio e della definizione dell’ammontare del medesimo, gli emolumenti percepiti rilevano secondo quanto previsto dalla disciplina dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee)”.

Prendere la pensione con Ape sociale è rilevante per la concessione del reddito di cittadinanza?

Il contribuente che percepisce, dunque, la pensione con l’anticipo pensionistico sociale può aver diritto a ricevere anche il reddito di cittadinanza. Di conseguenza, non essendoci una norma che vieti espressamente la contemporanea fruizione dei due istituti, i due trattamenti si possono considerare compatibili. Infine, nell’erogazione dell’Ape sociale, l’Inps valuta preventivamente la presenza di specifici requisiti da parte del richiedente. Tuttavia, l’importo dell’anticipo pensionistico va a concorrere a formare il reddito della famiglia. E, pertanto, incide sull’importo dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee). La fruizione dell’anticipo pensionistico sociale va a incidere direttamente sia sul diritto a ricevere il reddito di cittadinanza, sia sul suo importo mensile.

Pensioni con anticipo pensionistico sociale e reddito di emergenza: i rapporti

Peraltro, anche altri istituti si possono mettere in relazione con la fruizione del trattamento pensionistico Ape sociale. Ad esempio, il reddito di emergenza (Rem). Questa prestazione è stata introdotta a favore di specifici nuclei familiari in condizioni di necessità derivante dall’emergenza sanitaria ed economica conseguente alla pandemia di Covid-19. Il trattamento emergenziale è stato introdotto dall’articolo 36 del decreto legge numero 73 del 25 maggio 2021, poi convertito nella legge numero 106 de 23 luglio 2021. Ad oggi non è stato più reintrodotto questo istituto. Ma sono ancora in corso di pagamento alcune rate.

Chi prende già l’anticipo pensionistico sociale può ricevere anche il reddito di emergenza (Rem)?

Differentemente dal reddito di cittadinanza, chi percepisce già la pensione con Ape sociale non ha diritto a ricevere anche il reddito di emergenza. Infatti, la fruizione dell’indennità previdenziale comporta il venir meno del presupposto alla base del reddito di emergenza. Ovvero la situazione di difficoltà economica nella quale può venirsi a trovare una famiglia in conseguenza dell’emergenza sanitaria. In tal senso, emerge la funzione dell’Ape sociale quale indennità di accompagnamento del contribuente alla pensione di vecchiaia.

Perché il percettore dell’Ape sociale non può prendere il reddito di emergenza (Rem)?

Il sostegno del reddito di emergenza è riconosciuto in presenza di specifici requisiti e comporta la percezione di un importo mensile da parametrarsi in base alla situazione del percettore. L’importo massimo che l’Inps eroga come Ape sociale può arrivare a 1.500 euro lordi. Nel caso in cui dei contribuenti avessero percepito il reddito di emergenza in presenza dell’Ape sociale, i due trattamenti si sovrapporrebbero. Pertanto, ciò costituirebbe una prestazione indebita che comporterebbe il recupero da parte dell’Inps di quanto non dovuto.

Ape sociale, si può prendere insieme anche l’Iscro?

Particolare attenzione deve essere prestata da chi percepisce l’Iscro, l’indennità prevista dai commi da 386 a 400 della legge numero 178 del 2020. La circolare dell’Inps numero 94 del 30 giugno 2021 ha chiarito che la percezione dell’anticipo pensionistico sociale e l’Iscro sono incompatibili. Anche in questo caso, la percezione indebita comporta il recupero da parte dell’Inps.

 

Ape sociale, ecco i nuovi chiarimenti dell’Inps su chi può andare in pensione

Sono arrivati, nella giornata di ieri, 25 maggio 2022, i nuovi chiarimenti dell’Inps in merito alle pensioni con uscita mediante l’opzione Ape sociale. Si tratta della circolare numero 62 recante il “posticipo del termine di scadenza della sperimentazione e modifiche alle disposizioni in materia di ape sociale di cui all’articolo 1, commi da 179 a 186, della legge 11 dicembre 2016, numero 232 (legge di Bilancio 2017) e successive modificazioni. Istruzioni applicative e chiarimenti in materia”. Tra le ultime novità, la possibilità per i lavoratori di andare in pensione con l’Ape sociale anche se l’impresa cessa l’attività e i requisiti ridotti dei lavoratori addetti al settore edile.

Pensioni Ape sociale: posticipata la scadenza della misura al 31 dicembre 2022

Al primo punto della circolare dell’Inps, c’è il posticipo della scadenza della misura previdenziale dell’Ape sociale al 31 dicembre 2022. E, pertanto, il periodo di sperimentazione dell’Ape sociale terminerà alla fine di quest’anno. Non cambiano le date per presentare le domande e per la verifica delle condizioni e dei requisiti da parte dell’Inps dei richiedenti.

Pensioni Ape sociale: non si fa più riferimento ai tre mesi per chi è disoccupato

Tra le novità chiarite dall’Inps, figura l’eliminazione del periodo di tre mesi dello stato di disoccupazione. Pertanto, la categoria ammessa all’uscita anticipata dei disoccupati, non dovrà più fare riferimento al requisito temporale della condizione di disoccupazione “da almeno tre mesi”. Il chiarimento è a favore dei disoccupati per:

  • cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo;
  • dimissioni per giusta causa;
  • risoluzione consensuale;
  • scadenza del rapporto di lavoro con contratto a tempo determinato.

Tutte queste categorie potranno presentare domanda di verifica dei requisiti per la pensione Ape sociale senza dover attendere il decorso dei tre mesi dal termine di fruizione della prestazione di disoccupazione.

 Nuovo elenco delle mansioni gravose: ecco le ultime novità

Tra le mansioni ammesse alle pensioni con Ape sociale rientrano quelle gravose. Di conseguenza, a decorrere dallo scorso 1 gennaio, possono presentare domanda di uscita con Ape sociale i lavoratori alle dipendenze rientranti nelle categorie lavorativa gravose. Tali categorie sono previste dalla legge di Bilancio 2022 ed elencate nell’Allegato 3 della stessa legge. Tale elenco aggiorna e sostituisce le categorie di lavori gravosi elencati nell’Allegato A del decreto interministeriale del 5 febbraio 2018. La circolare Inps, peraltro, allega l’elenco aggiornato di tutte le professioni che possono andare in pensione con l’Ape sociale.

Quali categorie di lavoratori gravosi accedono alle pensioni Ape sociale con 32 anni di contributi?

Tra le professioni gravose ammesse all’uscita con Ape sociale, vi sono categorie che possono beneficiare dello sconto degli anni di contributi (da 36 a 32 anni) secondo quanto prevede il comma 92, dell’articolo 1, della legge di Bilancio 2022. In particolare, chiarisce l’Inps, per gli operai edili “come indicati nel contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti delle imprese edili ed affini, per i ceramisti (classificazione codice Ateco Istat 6.3.2.1.2) e per i conduttori di impianti per la formatura di articoli in ceramica e terracotta (classificazione codice Ateco Istat 7.1.3.3) il requisito dell’anzianità contributiva di cui alla medesima lettera d) è di almeno 32 anni”. Pertanto, l’Inps chiarisce che i ceramisti e gli operai edili che possono beneficiare dello sconto di contributi sono quelli individuati dall’allegato 3 alla legge di Bilancio 2022, dove non sono indicati codici specifici del settore edile.

Pensioni Ape sociale: come presentare domanda di uscita e utilizzare i nuovi moduli messi a disposizione dall’Inps

Per presentare domanda di uscita con Ape sociale, i contribuenti interessati devono compilare i nuovi modelli di accesso alla misura di pensione e ai moduli per le attestazioni dei datori di lavoro. In particolare, i nuovi modelli di domanda sono reperibili accedendo al portale dell’Inps, nelle sezioni consecutive:

  • “Prestazioni e servizi”;
  • “Prestazioni”;
  • “Ape sociale – Anticipo pensionistico”;
  • “Accedi al servizio”.

Per la richiesta di uscita con i requisiti delle professioni gravose, i moduli si trovano al seguente percorso sul sito dell’Inps:

  • “Prestazioni e servizi”;
  • “Moduli”.

I nuovi modelli di domanda recepiscono le novità introdotte dalla legge di Bilancio 2022.

Quali sono i nuovi modelli da utilizzare per andare in pensione con l’Ape sociale?

Nel dettaglio, i modelli di domanda da scaricare dal sito Inps per la pensione Ape sociale riguardano:

  • modello AP148, denominato “Attestazione datore di lavoro per la richiesta dell’APE Sociale in relazione alle attività lavorative di cui all’allegato 3 della legge 30 dicembre 2021, numero 234”;
  • modulo AP149, denominato “Attestazione datore di lavoro domestico per la richiesta dell’APE Sociale in relazione alle attività lavorative di cui all’allegato 3 della legge 30 dicembre 2021, numero 234”.

Presentazione domanda di pensione Ape sociale: ecco le scadenze del 2022

In merito alle scadenze per la presentazione delle domande di pensione con Ape sociale per l’anno in corso, la circolare Inps ricorda che le istanze dovranno essere inoltrate entro:

  • il 31 marzo 2022 e verifica delle condizioni delle condizioni e dei requisiti da parte dell’Inps entro il 30 giugno 2022;
  • il 15 luglio 2022 e verifica delle condizioni delle condizioni e dei requisiti da parte dell’Inps entro il 15 ottobre 2022; +
  • la verifica delle condizioni delle condizioni e dei requisiti da parte dell’Inps presentate dopo il 15 luglio ma non oltre il 30 novembre avverrà entro il 31 dicembre. La terza domanda dell’anno verrà accolta salvo la rimanenza delle necessarie risorse finanziarie.

Quanto prendono di pensione i liberi professionisti?

Qual è la pensione media annuale dei liberi professionisti che continuano a svolgere la propria professione? Ad oggi, sono circa 100 mila (98.100 nel 2020) i professionisti iscritti alle Casse previdenziali che continuano a svolgere la propria attività pur essendo già in quiescenza. È da precisare che gli assegni di pensione sempre più al ribasso per una buona fetta di liberi professionisti. Nel giro di cinque anni, dal 2016 al 2020, i trattamenti pensionistici per varie categorie di professionisti iscritti alle Casse previdenziali hanno perduto, infatti, dallo 0,62% al 25%. Si tratta, soprattutto, dei commercialisti e dei giornalisti. Guadagnano qualcosa le altre categorie, ma gli assegni delle nuove Casse previdenziali (ovvero dei professionisti in attività nonostante la pensione) mediamente non vanno oltre i 6 mila euro all’anno. Ecco nel dettaglio gli importi delle pensioni del 2020 dei professionisti rapportati a quando percepivano nel 2016 secondo i dati forniti da Italia Oggi.

Pensioni giornalisti iscritti all’Inpgi, perdono tanto i dipendenti, sale l’assegno dei co.co.co. e dei liberi professionisti

A perderci di più sono i giornalisti iscritti all’Inpgi che hanno un contratto di lavoro alle dipendenze. Se nel 2016 prendevano di pensione circa 98 mila euro lordi all’anno, nel 2020 il trattamento previdenziale ha perso più del 25%, attestandosi a oltre 73 mila euro all’anno. Sale invece la pensione degli iscritti all’Inpgi nella Gestione separata con contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co). Nel 2016 le pensioni erano mediamente di quasi 1.800 euro; nel 2020 sono cresciute a 2.430 euro, con un incremento di oltre il 37%. Salgono di più le pensioni dei giornalisti iscritti all’Inpgi nella Gestione separata dei liberi professionisti: nel 2016 avevano di pensione oltre 2.600 euro medi lordi all’anno; nel 2020 superano i 4 mila euro con una crescita di circa il 56%.

Pensioni, si abbassano quelle dei commercialisti e dei periti ragionieri e commerciali

A perderci, di pensione, sono anche i commercialisti e i periti ragionieri e commerciali. Gli iscritti alla Cassa dottori commercialisti (Cdc) che sono andati in pensione ma che continuano a svolgere la propria professione (Casse di nuova generazione), nel 2016 incassavano circa 49 mila euro medi lordi all’anno. Nel 2020 il trattamento pensionistico si è abbassato a poco più di 44 mila euro, con una perdita di circa il 10%. Per gli iscritti alla Cassa Nazionale ragionieri e periti commerciali (Cnpr), invece, la perdita si è fermata all’8,5%. Nel 2016 ricevevano di trattamento pensionistico oltre 25.70 euro; nel 2020 il trattamento è sceso a poco più di 23.500 euro lordi all’anno.

Avvocati, Cassa geometri e iscritti all’Enasarco: qual è la pensione per chi continua a lavorare?

Gli iscritti alla Cassa Geometri che sono andati in pensione e che continuano a lavorare nel 2020 hanno ottenuto un trattamento previdenziale di poco più di 20 mila euro. La perdita si è assestata sul 5% rispetto al 2016 quando prendevano 21.150 euro. Per gli avvocati la perdita è molto contenuta. Dal 2016 al 2020 la differenza in negativo è dello 0,6%. I trattamenti pensionistici sono passati da oltre 35 mila euro del 2016 a 34.850 nel 2020. Sotto l’1% anche la perdita degli iscritti all’Enasarco: se nel 2016 prendevano di pensione 11.390 euro, nel 2020 il trattamento previdenziale è sceso a 11.286 euro.

Pensioni liberi professionisti, quali sono al rialzo?

Le altre categorie di professionisti iscritti alle Casse previdenziali hanno tutte un saldo positivo di pensione percepita nel 2020 rispetto al 2016. I farmacisti iscritti all’Ente nazionale di previdenza e di assistenza (Enpaf) sono passati da 6.610 euro del 2016 a 6.767 del 2020, con una crescita del 2,34%. Gli ingegneri e gli architetti iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti (Inarcassa) hanno guadagnato il 3,24%. Infatti, le pensioni lorde annue del 2016 erano di poco più di 24.400 euro, quelle del 2020 hanno raggiunto mediamente i 25.200 euro.

Medici, odontoiatri, veterinari: qual è l’assegno di pensione medio per chi continua a lavorare?

Gli iscritti all’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Medici e degli Odontoiatri (Empam), in valori assoluti, sono la categoria di liberi professionisti che ha visto crescere maggiormente l’assegno di pensione lordo tra il 2016 e il 2020. Infatti, medici e odontoiatri sono passati da circa 59.500 euro a 63.203 euro, con un saldo positivo del 6,24%. I veterinari iscritti alla Cassa di previdenza Enpav, hanno visto crescere le proprie pensioni dell’8,60% circa, passando dai circa 11.700 euro del 2016 ai 12.700 euro circa del 2020.

Quali sono le pensioni degli altri professionisti iscritti alle Casse previdenziali?

A seguire, le altre categorie professionali iscritte alle Casse previdenziali:

  • i consulenti dell’Enpacl (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Consulenti del Lavoro) sono passati da 15.600 euro a 17.300 euro (+ 10,9%);
  • gli addetti e gli impiegati in agricoltura iscritti all’Enpaia sono passati da 1.426 euro a 1.646 euro (+ 15,4%);
  • chimici, geologi e attuari iscritti all’Epap (Ente di Previdenza e di Assistenza Pluricategoriale) hanno visto crescere le proprie pensioni del 18,2%, passando da 4.270 euro del 2016 a 5.050 euro circa del 2020;
  • i biologi iscritti all’Enpab (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei biologi) hanno preso un + 19,5% di pensione, passando da 4.550 euro circa a 5.435 euro;
  • gli iscritti all’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Psicologi (Enpap) hanno guadagnato circa il 26%, passando da poco meno di 2 mila euro medi lordi a circa 2.500 euro;
  • gli infermieri dell’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza della Professione Infermieristica (Enpapi) hanno guadagnato quasi il 30% di pensione in più dal 2016 al 2020. Infatti percepivano circa 1.730 euro nel 2016, mentre nel 2020 la pensione è salita a circa 2.250 euro;
  • infine, gli iscritti alla Cassa di Previdenza dei Periti Industriali (Eppi), hanno una pensione media cresciuta del 30%. Sono passati da 4.758 euro del 2016 a circa 6.200 euro del 2020.

Pensionati, a luglio con il bonus 200 euro anche la quattordicesima

A poco meno di un terzo dei pensionati, con il trattamento pensionistico del mese di luglio, oltre al bonus 200 euro, arriverà anche la quattordicesima mensilità. La mensilità aggiuntiva arriverà a chi ha un reddito annuale lordo non eccedente i 13.659,88 euro. Alla quattordicesima mensilità si aggiungerà l’indennità prevista dal governo per il caro prezzi. Si prospetta, dunque, un maxi cedolino per una parte dei 13,7 milioni di pensionati.

Bonus 200 euro ai pensionati con redditi fino a 35 mila euro: di cosa si tratta?

Con il cedolino di luglio, i pensionati con redditi entro i 35 mila euro avranno il bonus 200 euro. Spetterà all’Inps, o in ogni modo all’ente previdenziale erogatore, procedere con le verifiche dei trattamenti previdenziali aventi diritto dell’indennità. Potranno ottenere il bonus anche i pensionati titolari di più trattamenti pensionistici. Tra i beneficiari figurano, anche, i percettori di assegno sociale, di trattamenti per invalidità civile, sordomuti e ciechi e le indennità di accompagnamento alla pensione.

Tetto di reddito per ricevere il bonus 200 euro: come si calcola?

Per il calcolo dei 35 mila euro di limite per ricevere il bonus 200 euro si considerano tutte le tipologie di redditi, ad esclusione:

  • dei redditi della casa di abitazione;
  • del trattamento di fine rapporto (Tfr);
  • dell’assegno unico;
  • degli assegni familiari;
  • assegni di guerra;
  • gli indennizzi per i danni subiti da vaccini obbligatori, somministrazioni di emoderivati, trasfusioni;
  • l’indennità di accompagnamento.

Quattordicesima di pensione, chi ne ha diritto?

Nel cedolino di pensione di luglio arriverà anche la quattordicesima mensilità. Ne hanno diritto i pensionati che abbiano già compiuto i 64 anni di età ed abbiano un reddito personale non eccedente i 13.659,88 euro annui. L’importo della quattordicesima varia a seconda degli anni di versamenti contributivi effettuati durante la vita lavorativa. Inoltre, differenze si riscontrano tra ex lavoratori alle dipendenze e lavoratori autonomi.

Quattordicesima mensilità di pensione, quali sono gli importi del 2022?

A seconda dei parametri di calcolo della quattordicesima mensilità di pensione, l’importo varia da un minimo di 437 euro a un massimo di 655 euro. Si tratta dei pensionati che abbiano un reddito individuale fino a 1,5 volte l’importo dell’assegno minimo, fissato per il 2022 a 525,38 euro. Su base annua, si tratta di redditi da pensione equivalenti a 10.244,91 euro lordi. Per i contribuenti che abbiano un reddito da pensione di importo compreso tra 1,5 e 2 volte la pensione minima, l’importo della quattordicesima si attesta tra i 336 euro e i 504 euro. In ogni caso, il limite per ricevere la quattordicesima rimane pari a 13.659,88 euro annui.

Si può continuare a lavorare se si va in pensione con quota 102?

Si potrebbe continuare a lavorare nel caso in cui si vada in pensione con la nuova quota 102? La richiesta, per svariati versi, ricalca ciò che successe con la quota 100. Ovvero, la possibilità di continuare a lavorare e, dunque, di cumulare redditi da lavoro con redditi da pensione è circoscritta a specifiche situazioni e condizioni da rispettare. In mancanza di queste condizioni, il neopensionato dovrebbe rinunciare a eventuali contratti di lavoro. La rinuncia riguarda anche i casi di iscrizione alla gestione separata. O per i rapporti di collaborazione. Nel momento in cui si effettui la domanda di pensione per quota 102 è necessario non avere attività lavorative alle dipendenze o autonome in essere.

Quando un neo-pensionato con quota 102 può continuare a lavorare?

Un contribuente che va in pensione con quota 102 (analogamente a quanto avviene con la quota 100) può continuare a lavorare a determinate condizione. Ovvero, può cumulare il reddito da lavoro con quello da pensione solo nel caso in cui svolga un lavoro autonomo occasionale. L’importo massimo ammesso di reddito lordo annuo dall’attività lavorativa occasionale è pari a 5.000 euro.

Cosa succede se il lavoratore occasionale supera il tetto dei 5.000 euro nel caso di pensione a quota 102?

Il pensionato con quota 102 che dovesse svolgere un lavoro autonomo occasionale e sforare il tetto di reddito da lavoro di 5 mila euro, andrebbe incontro all’incumulabilità della pensione con il reddito da lavoro. Secondo quanto prevede il comma 87 alle lettere b) e c) dell’articolo 1, della legge numero 234 del 2021 (legge di Bilancio 2022) che modifica il comma 1, dell’articolo 14, del decreto legge numero 4 del 2019, in tal caso il lavoratore occasionale, nonché percettore di pensione con quota 102, potrebbe andare incontro alla sospensione del trattamento pensionistico.

Cosa deve fare il lavoratore per andare in pensione con quota 102?

Ai fini dell’andata in pensione con quota 102, il contribuente deve cessare il rapporto di lavoro alle dipendenze prima di presentare domanda di pensione. Per la stessa finalità, ai lavoratori autonomi non è richiesta la cessazione dell’attività. Ovvero, il lavoratore autonomo non deve procedere con la cancellazione dagli elenchi dei lavoratori autonomi, oppure cancellare l’iscrizione camerale, o dagli albi professionali o chiudere la partita Iva. Rimane, tuttavia, sottinteso che il conseguimento della pensione a quota 102 comporta l’incompatibilità della stessa con il continuare a svolgere l’attività lavorativa autonoma, se non meramente occasionale.

Sospensione del pagamento della pensione con quota 102 in caso di incumulabilità con i redditi da lavoro

Il pagamento della pensione da quota 102 è sospeso nell’anno nel quale siano stati percepiti redditi da lavoro:

  • da attività lavorativa diversa da quella autonoma occasionale;
  • per sforamento di redditi da lavoro del tetto dei 5 mila euro nel caso di svolgimento di attività autonoma occasionale;
  • nei mesi dell’anno precedenti a quello nel quale si compiano i 67 anni di età richiesti per la pensione di vecchiaia.

Quando l’attività lavorativa è cumulabile con la pensione a quota 102

A titolo di esempio, se un contribuente maturi il diritto alla pensione con quota 102 a giugno 2022 (64 anni di età e almeno 38 anni di contributi) e compia l’età della pensione di vecchiaia a giugno 2025, possono presentarsi vari casi di cumulabilità di lavoro e redditi da pensione. Ad esempio, se il contribuente percepisce da giugno a dicembre del 2022 reddito per attività di lavoro svolta da gennaio a maggio del 2022, l’attività lavorativa è compatibile con la pensione a quota 102 a partire da giugno perché l’attività lavorativa è stata svolta in un periodo antecedente la decorrenza della pensione. Diversamente, se l’attività lavorativa viene svolta da giugno a dicembre 2022, in concomitanza con la decorrenza della pensione a quota 102, vi è incumulabilità dei redditi.

Cosa deve fare il contribuente per svolgere l’attività occasionale in caso di pensione a quota 102?

Lo svolgimento dell’attività occasionale compatibile con la pensione a quota 102 necessita di una dichiarazione del lavoratore. Infatti, ai fini dell’accertamento della cumulabilità dei due redditi, il lavoratore deve darne comunicazione all’Inps. La comunicazione accerta che il lavoratore svolge solo attività occasionali dell’importo annuale lordo non eccedente i 5 mila euro. Nel caso di accertamento di incumulabilità di redditi da lavoro e redditi da pensione con quota 102, l’Inps:

  • sospende il trattamento di pensione;
  • recupera le mensilità corrisposte con riferimento all’anno nel quale ha pagato rate di pensione incompatibili con il reddito da lavoro.

Fondo casalinghe INPS: cos’è? Conviene iscriversi? Importi

Chi non lavora e quindi non matura contributi può avere una vecchiaia davvero dura da gestire. Per queste persone un’opportunità per maturare una rendita è il Fondo Casalinghe dell’INPS. Ecco come funziona, quali sono gli importi da versare e sopratuttto quale rendita si può maturare.

Perché può essere vantaggioso versare contributi nel Fondo Casalinghe dell’INPS?

In Italia le persone che non hanno versato i contributi necessari per il raggiungimento della pensione di vecchiaia solo in limitati casi possono accedere alla pensione casalinghe. Si ottiene al verificarsi di determinati requisiti reddituali:

  • reddito personale non superiore a 6.085,30 euro;
  • reddito non superiore a 12.170,60 euro per le persone coniugate .

A ben vedere si tratta di limiti molto bassi e che non consentono ad oggi di vivere in modo dignitoso.

Per evitare questo rischio, chi non riesce a trovare lavoro oppure ha scelto di prendersi cura della propria famiglia al 100%, può versare i contributi al fondo casalinghe dell’INPS. Questo offre alcuni vantaggi: permette di maturare la pensione indipendentemente dalla percezione di altri redditi. Se, ad esempio, il marito ha una pensione, il coniuge non rischia di non ottenere alcun sussidio. Cosa che oggi capita a molte persone che hanno una piccola pensione in famiglia e non riescono quindi ad accedere alla pensione casalinghe tradizionale. Vediamo quindi come funziona il fondo pensione casalinghe dell’INPS.

Fondo casalinghe dell’INPS

La prima cosa da chiarire è che in contributi in tale fondo possono essere versati da uomini e da donne, anche in questo caso purtroppo le diciture adottate possono essere fuorvianti e sono il frutto di retaggi culturali. Il Fondo Casalinghe INPS è istituito dal 1° gennaio 1997. Possono iscriversi e versare i contributi le persone che svolgono il lavoro di cura e su cui ricadono le responsabilità familiari. Vi sono però dei requisiti da rispettare. In primo luogo possono iscriversi coloro che hanno compiuto i 18 anni di età e non hanno superato 65 anni di età. In secondo luogo deve trattarsi di persone non iscritte ad altre casse previdenziali. Ad esempio un lavoratore iscritto alla Gestione Separata INPS, oppure alla cassa forense non potrebbe iscriversi. Non può iscriversi un lavoratore dipendente iscritto all’INPS.

Vi è però un’eccezione, cioè il lavoratore dipendente con contratto part time il cui numero di ore di lavoro non consente di raggiungere i requisiti per la pensione di vecchiaia.

L’iscrizione al fondo casalinghe INPS è molto semplice, infatti è possibile procedere un modo autonomo attraverso il sito dell’INPS autenticandosi con le proprie credenziali, quindi con SPID, CIE o CNS. In alternativa è possibile rivolgersi a un patronato, chiamare il contact center INPS ai numeri 803.164 gratuito da rete fissa o 06.164 164 da rete mobile. Infine, è possibile rivolgersi a uno degli sportelli dell’INPS presenti sul territorio.

Quanto si versa?

La prima cosa da dire è che l’iscrizione al fondo è gratuita. Non vi è obbligo di versare tutti i mesi i contributi, ma se gli importi versati non sono sufficienti a raggiungere il diritto alla pensione, la stessa si perde e l’INPS non restituisce i soldi. L’importo per vedersi riconosciuto un mese di contributi è di 25,82 euro, quindi per ottenere l’equivalente di un anno di contributi è necessario versare 309,84 euro.

La pensione di vecchiaia viene erogata a partire dai 57 anni di età a condizione che sia stato versato l’equivalente 60 mesi di contributi, cioè 5 anni. Per ottenere la pensione a 57 anni di età è però necessario che l’importo dell’assegno maturato sia almeno il 20% superiore all’assegno sociale. Per il 2022 l’assegno sociale ha un importo di 468,10 euro. La pensione casalinghe maturata con il fondo casalinghe INPS viene versata senza condizioni al raggiungimento di 65 anni di età.

Quanto si potrà percepire di pensione?

Qui arrivano le brutte notizie perché in effetti la pensione casalinghe viene calcolata con il sistema contributivo e in base al montante versato moltiplicato per coefficiente di trasformazione che varia in base all’età a cui si vuole accedere alla pensione.

Facciamo il caso che una persona versi il minimo previsto per 10 anni e quindi 309,84 euro l’anno, anche applicando il coefficiente di trasformazione potrebbe arrivare a un montante finale di circa 4 mila euro. Naturalmente una pensione calcolata su tali importi sarebbe davvero bassa, basta considerare quanto costano i contributi previdenziali agli altri lavoratori per capire che la rendita non può essere paragonata. Nel caso che abbiamo esaminato il contribuente non riuscirebbe ad arrivare a 20 euro al mese da percepire a partire dai 65 anni di età. Anche versando questa quota per più anni, ad esempio 20 anni, cambierebbe molto poco la prospettiva.

Quando diventa conveniente versare i contributi al fondo casalinghe INPS?

Potrebbe essere conveniente nel caso in cui nel tempo il lavoratore abbia versato dei contributi da lavoro autonomo o dipendente e voglia maturare il requisito della pensione, oppure per integrare un lavoro part time. In alternativa si possono versare somme maggiori rispetto al minimo previsto dalle normativa, che come visto è poco più di 25 euro al mese.

Fondi pensione PEPP: dall’Unione Europea un nuovo strumento previdenziale

Il nostro ordinamento tende a favorire forme di previdenza complementare, soprattutto in seguito all’introduzione di nuovi sistemi di calcolo della pensione che prevedono di fatto importi minori. Proprio in forza di tale principio, il Consiglio dei Ministri n° 76 ha approvato la bozza di decreto legge per il recepimento della direttiva UE n 1238 del 2019 che prevede l’introduzione del PEPP, cioè un fondo previdenziale a contribuzione volontaria. Ecco nel dettaglio cosa sono i Fondi pensione PEPP.

Cosa sono i fondi pensione PEPP e quali vantaggi portano?

I Fondi PEPP vanno ad arricchire il panorama dei fondi previdenziali a contribuzione volontaria disponibili per gli italiani. Si tratta di piani individuali che permettono di ottenere anche deduzioni fiscali fino a un importo massimo di 5.164,57 euro . Tra le peculiarità vi è però l’impossibilità di versare nel fondo PEPP il Trattamento di Fine Rapporto. Trattandosi di un prodotto paneuropeo è caratterizzato dalla portabilità, cioè la possibilità di avvalersene in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Questa caratteristica rende i fondi PEPP particolarmente interessanti soprattutto per i giovani che stanno sperimentando negli ultimi anni la mobilità nel lavoro.

In secondo luogo può essere distribuito da un’ampia platea di soggetti come compagnie assicurative, banche, società di investimento, fondi pensione professionali, gestori patrimoniali).

Caratteristiche dei PEPP

In base allo schema di decreto legislativo adottato dopo aver sentito Consob, COVIP, IVASS e Banca d’Italia, sarà il COVIP a dover ricevere le domande per la registrazione dei Fondi PEPP. In pratica gli enti prima visti, ad esempio le compagnie di assicurazione, che vogliono creare un fondo PEPP dovranno rivolgersi al COVIP ( Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione), presentare il loro progetto e attendere l’autorizzazione. Una volta ottenuta, potranno “lanciare” il prodotto e quindi accogliere i clienti, cioè i soggetti interessati al piano di previdenza complementare PEPP. Sempre il Covip condurrà le attività di monitoraggio.

Saranno i fornitori dei servizi ( ad esempio banche e compagnie di assicurazione) a delineare, nell’ambito dello schema delineato nel decreto di attuazione, le peculiarità del Fondo. Questo potrà prevedere l’erogazione di rendite, l’erogazione del capitale in unica soluzione, il prelievo dei fondi in base alle necessità oppure un sistema misto che preveda tali diverse opzioni, ad esempio l’erogazione di una quota iniziale e poi una rendita mensile.

Vantaggi dei fondi pensione PEPP

Si è già detto che è possibile portare in deduzione i versamenti effettuati dai redditi fino a un massimo di 5.164,57 euro, inoltre il rendimento dei fondi pensione viene tassato con un’aliquota agevolata al 20%. Ricordiamo che l’aliquota base Irpef è al 23% mentre l’aliquota per le rendite finanziarie è al 26% ( fanno eccezione i titoli di Stato ed equiparati con tassazione al 12,50%).

Tra i vantaggi offerti dai fondi pensione PEPP vi è la possibilità per il titolare di chiedere un anticipo sulle somme, questo però solo in casi stabiliti e in particolare per:

  • spese sanitarie straordinarie e improvvise ( può essere chiesto in qualunque momento e l’importo massimo è il 75%);
  • acquisto della prima casa per sé o per i figli, ma in questo caso si può chiedere l’anticipo solo trascorsi 8 anni dall’adesione e sempre nel limite del 75% degli importi maturati;
  • per ulteriori esigenze, anche in questo caso solo dopo 8 anni dalla sottoscrizione e nel limite del 30%.

Si può procedere al versamento nel fondo PEPP anche dopo aver raggiunto l’età pensionabile, ma solo nel caso in cui al raggiungimento della stessa il fondo sia già aperto da un anno. Inoltre i pensionati che entro 5 anni raggiungeranno l’età per la pensione di vecchiaia prevista dal loro regime di appartenenza, potranno richiedere una rendita integrativa anticipata  (RITA) fino al raggiungimento di tale età. Per accedere a questo beneficio, utile ad esempio nel caso di perdita del lavoro, è necessario aver versato almeno 20 anni di contribuzione nella gestione di appartenenza.

Bonus casalinghe 2022: a chi spetta e come presentare la domanda

Se hai 67 anni, che tu sia uomo o donna, e non hai versato contributi sufficienti per accedere a un assegno pensionistico, puoi ricevere il bonus casalinghe 2022. Precisiamo fin da ora che si tratta di una definizione errata, sebbene entrata nel linguaggio comune. Ecco di cosa si tratta e chi può accedere.

Cos’è il bonus casalinghe 2022?

Il bonus casalinghe 2022 non esiste, si tratta infatti di una vera pensione casalinghe che spetta a chi ha compiuto 67 anni di età, non ha maturato i requisiti minimi per l’accesso alla pensione e non supera determinati limiti reddituali.

La prima cosa che è bene sottolineare è che, sebbene si parli di “pensione casalinghe” e questa dicitura faccia pensare a una prerogativa prettamente femminile, il bonus casalinghe, o pensione, non è diretto solo alle donne, ma a uomini e donne che si trovano nella condizione che andremo a vedere a breve. Parlare di bonus casalinghe al femminile è un vero e proprio retaggio culturale dovuto al fatto che la donna è sempre stata vista come l’angelo del focolare dedito alla cura della famiglia, mentre l’uomo era la persona che doveva lavorare e che di conseguenza avrebbe per forza maturato i requisiti contributivi per accedere alla pensione. Sappiamo bene che man mano tutte queste certezze sui ruoli stanno cadendo e anche se a fatica si va verso la parità.

Nonostante questo, purtroppo, si continua a parlare di bonus casalinghe e pensione casalinghe e di conseguenza adottiamo questa dicitura, ma appunto specificando che possono richiedere questo strumento di welfare anche gli uomini.

Requisiti per accedere la bonus casalinghe 2022

Abbiamo anticipato che per poter accedere alla pensione casalinghe è necessario non avere il requisito contributivo per accedere alla pensione, quindi non aver maturato 20 anni di contributi. Non basta però, infatti è essenziale che sia presente il requisito economico o reddituale. Questo prevede che per poter accedere al bonus casalinghe 2022 non si debba avere un reddito personale superiore a 6.085,30 euro, lo stesso aumenta fino a 12.170,60 euro per le persone coniugate.

Oltre tali requisiti, sono necessarie ulteriori condizioni che possono essere definite generiche. Il bonus casalinghe 2022 è riservato a persone con cittadinanza italiana oppure, cittadinanza comunitaria o permesso di soggiorno di lungo periodo. In ogni caso deve esservi una residenza stabile in Italia da almeno 10 anni.

A quanto ammonta la pensione casalinghe 2022?

L’assegno previsto per il bonus casalinghe 2022 è di 468,10 euro per 13 mensilità. Il bonus si rivaluta di anno in anno come le normali pensioni in base all’inflazione.

Come richiedere il bonus casalinga 2022?

Richiedere questo strumento di welfare è molto semplice, infatti basta accedere al sito dell’INPS con le proprie credenziali ( SPID, CIE o CNS) e andare alla voce “Assegno Sociale – Domanda”. In alternativa è possibile rivolgersi presso un patronato oppure telefonare al contact center dell’INPS (803 164 da numero fisso; 06 164 164 da numero mobile).

Fondo casalinghe INPS

Ricordiamo che dal 1997 è possibile iscriversi al Fondo Casalinghe dell’INPS. Anche qui purtroppo c’è un problema “letterale”, infatti sebbene il nome faccia intendere che possano iscriversi solo le donne che si occupano del lavoro di cura, non è così. Possono aderire anche gli uomini che si trovano nelle condizioni previste dalla normativa.

Possono iscriversi le persone ( uomini e donne) che hanno compiuto 18 anni di età e non superano i 65 anni di età, che non svolgono attività lavorativa per la quale è necessaria l’iscrizione a una delle gestioni INPS.

L’importo minimo dei contributi da versare è di 25,82 euro al mese e di conseguenza 309,84 euro l’anno.

L’iscrizione al Fondo Casalinghe dell’INPS consente di ottenere al compimento del 57° anno di età la pensione di vecchiaia a condizione che il contribuente abbia versato almeno 5 anni di contributi. La pensione viene però versata solo se gli importi maturati, in base ai contributi pagati ha un importo superiore all’assegno sociale.