Bonus casalinghe 2022: a chi spetta e come presentare la domanda

Se hai 67 anni, che tu sia uomo o donna, e non hai versato contributi sufficienti per accedere a un assegno pensionistico, puoi ricevere il bonus casalinghe 2022. Precisiamo fin da ora che si tratta di una definizione errata, sebbene entrata nel linguaggio comune. Ecco di cosa si tratta e chi può accedere.

Cos’è il bonus casalinghe 2022?

Il bonus casalinghe 2022 non esiste, si tratta infatti di una vera pensione casalinghe che spetta a chi ha compiuto 67 anni di età, non ha maturato i requisiti minimi per l’accesso alla pensione e non supera determinati limiti reddituali.

La prima cosa che è bene sottolineare è che, sebbene si parli di “pensione casalinghe” e questa dicitura faccia pensare a una prerogativa prettamente femminile, il bonus casalinghe, o pensione, non è diretto solo alle donne, ma a uomini e donne che si trovano nella condizione che andremo a vedere a breve. Parlare di bonus casalinghe al femminile è un vero e proprio retaggio culturale dovuto al fatto che la donna è sempre stata vista come l’angelo del focolare dedito alla cura della famiglia, mentre l’uomo era la persona che doveva lavorare e che di conseguenza avrebbe per forza maturato i requisiti contributivi per accedere alla pensione. Sappiamo bene che man mano tutte queste certezze sui ruoli stanno cadendo e anche se a fatica si va verso la parità.

Nonostante questo, purtroppo, si continua a parlare di bonus casalinghe e pensione casalinghe e di conseguenza adottiamo questa dicitura, ma appunto specificando che possono richiedere questo strumento di welfare anche gli uomini.

Requisiti per accedere la bonus casalinghe 2022

Abbiamo anticipato che per poter accedere alla pensione casalinghe è necessario non avere il requisito contributivo per accedere alla pensione, quindi non aver maturato 20 anni di contributi. Non basta però, infatti è essenziale che sia presente il requisito economico o reddituale. Questo prevede che per poter accedere al bonus casalinghe 2022 non si debba avere un reddito personale superiore a 6.085,30 euro, lo stesso aumenta fino a 12.170,60 euro per le persone coniugate.

Oltre tali requisiti, sono necessarie ulteriori condizioni che possono essere definite generiche. Il bonus casalinghe 2022 è riservato a persone con cittadinanza italiana oppure, cittadinanza comunitaria o permesso di soggiorno di lungo periodo. In ogni caso deve esservi una residenza stabile in Italia da almeno 10 anni.

A quanto ammonta la pensione casalinghe 2022?

L’assegno previsto per il bonus casalinghe 2022 è di 468,10 euro per 13 mensilità. Il bonus si rivaluta di anno in anno come le normali pensioni in base all’inflazione.

Come richiedere il bonus casalinga 2022?

Richiedere questo strumento di welfare è molto semplice, infatti basta accedere al sito dell’INPS con le proprie credenziali ( SPID, CIE o CNS) e andare alla voce “Assegno Sociale – Domanda”. In alternativa è possibile rivolgersi presso un patronato oppure telefonare al contact center dell’INPS (803 164 da numero fisso; 06 164 164 da numero mobile).

Fondo casalinghe INPS

Ricordiamo che dal 1997 è possibile iscriversi al Fondo Casalinghe dell’INPS. Anche qui purtroppo c’è un problema “letterale”, infatti sebbene il nome faccia intendere che possano iscriversi solo le donne che si occupano del lavoro di cura, non è così. Possono aderire anche gli uomini che si trovano nelle condizioni previste dalla normativa.

Possono iscriversi le persone ( uomini e donne) che hanno compiuto 18 anni di età e non superano i 65 anni di età, che non svolgono attività lavorativa per la quale è necessaria l’iscrizione a una delle gestioni INPS.

L’importo minimo dei contributi da versare è di 25,82 euro al mese e di conseguenza 309,84 euro l’anno.

L’iscrizione al Fondo Casalinghe dell’INPS consente di ottenere al compimento del 57° anno di età la pensione di vecchiaia a condizione che il contribuente abbia versato almeno 5 anni di contributi. La pensione viene però versata solo se gli importi maturati, in base ai contributi pagati ha un importo superiore all’assegno sociale.

 

Pensionati: maxi importo nel mese di luglio. Quanto si avrà in più?

Per i pensionati il mese di luglio potrebbe essere una vera manna dal cielo, infatti molti potranno cumulare l’assegno ordinario, la quattordicesima mensilità e il bonus una tantum di 200 euro previsto nel decreto Aiuti 2022.

Pensionati: a chi spetta la quattordicesima mensilità e importo massimo

La quattordicesima mensilità è una maggiorazione alla pensione spettante a coloro che hanno compito 64 anni di età e hanno una pensione di importo fino a 2 volte l’importo previsto per la pensione minima. Per coloro che perfezionano il requisito anagrafico entro il 31 luglio 2022 l’importo sarà messo in liquidazione nel mese di luglio. Coloro che maturano il requisito anagrafico dopo il 1° agosto 2022 l’importo sarà erogato dall’INPS nel mese di dicembre insieme alla tredicesima e in misura proporzionale rispetto ai mesi di spettanza.

L’ammontare effettivo della quattordicesima mensilità dipende dal reddito. Per il 2022 coloro che hanno un reddito annuo lordo inferiore a 10.224,82 euro potranno avere fino a 655,20 euro, mentre coloro che hanno un reddito compreso tra 10.224,82 euro e 13.633,10 € potranno ricevere un importo massimo di 504 euro.

Per conoscere gli importi dettagliati in base all’anzianità contributiva e in base alla tipologia di lavoro ( autonomo o dipendente) puoi leggere l’articolo: Quattordicesima 2022 pensionati: chi potrà percepirla e a quanto ammonta.

Ricordiamo che anche alcuni lavoratori possono percepire la quattordicesima mensilità, ma in questo caso occorre far riferimento al CCNL applicato.

Bonus una tantum di 200 euro nel decreto Aiuti 2022

A queste somme che abbiamo visto, nel mese di luglio sarà sommato il bonus di 200 euro previsto dal decreto Aiuti 2022. Questo bonus è diretto ai pensionati che potranno percepirlo nel mese di luglio 2022 con la pensione, ai lavoratori dipendenti, a cui sarà anticipato dal datore di lavoro, e ai lavoratori autonomi.

L’obiettivo del Bonus di 200 euro è aiutare le famiglie a far fronte ai rincari che in questi mesi si stanno abbattendo su tutti i prodotti, da quelli energetici alla spesa quotidiana che fa registrare prezzi elevati.

Il bonus di 200 euro una tantum dovrebbe essere erogato a circa 28 milioni di italiani infatti viene corrisposto a coloro che hanno un reddito inferiore a 35.000 euro.

Facendo i calcoli emerge che alcuni pensionati potrebbero ottenere fino a 855 euro in più nella mensilità di luglio.

Pensioni giornalisti: dal 1° luglio la domanda si fa all’Inps

La domanda di pensione dei giornalisti iscritti all’Inpgi, a decorrere dal 1° luglio 2022, dovrà essere presentata all’Inps. La gestione previdenziale dell’Inpgi, infatti, confluirà nell’Istituto previdenziale. I chiarimenti sono arrivati dall’Inps con il messaggio numero 1886 del 4 maggio 2022. La nota contiene informazioni sul “trasferimento all’Inps della funzione previdenziale svolta dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani ‘Giovanni Amendola’ (Inpgi) in regime sostitutivo delle corrispondenti forme di previdenza obbligatoria, limitatamente alla gestione sostitutiva”. Per effetto della legge di Bilancio 2022, la gestione previdenziale dell’Inpgi, limitatamente alla gestione sostitutiva, viene trasferita all’Inps a partire dal prossimo 1° luglio.

Giornalisti iscritti all’Inpgi, dal 1° luglio 2022 la domanda di pensione si fa all’Inps

Il messaggio dell’Inps sulle pensioni dei giornalisti iscritti alla gestione Inpgi, riprende l’articolo 1, commi 103 e seguenti, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024″ in merito alla presentazione delle domande per via telematica. Per effetto di quanto previsto dalla legge di Bilancio 2022, risultano iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti i giornalisti professionisti, i pubblicisti e i praticanti risultanti negli appositi elenchi dell’Albo.

Chi deve presentare domanda di pensione all’Inpgi?

L’Inps chiarisce che dovranno presentare domanda di pensione a partire dal 1° luglio 2022 all’Inps i giornalisti che:

  • maturino i requisiti di pensione a partire dal 1° luglio 2022;
  • abbiano già maturato il diritto alla pensione con i requisiti Inpgi al 30 giugno 2022, rimandando l’uscita da lavoro e la decorrenza della pensione a data successiva.

Quali sono i requisiti per andare in pensione di vecchiaia e anticipata?

A partire dal prossimo luglio, dunque, l’Inps liquiderà i trattamenti previdenziali con i requisiti maturati nella gestione Inpgi, se inerenti a periodi precedenti a tale data; ma anche le pensioni con i requisiti previsti per la generalità dei lavoratori, ovvero l’età di 67 anni unitamente a 20 anni di contributi (pensione di vecchiaia). Per la pensione anticipata saranno necessari 42 anni e dieci mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e dieci mesi per le donne.

Come si presenta la domanda di pensione dei giornalisti all’Inps?

La domanda di pensione dei giornalisti dovrà essere, dunque, presentata all’Inps tramite i consueti canali:

  • direttamente dal portale web dell’Inps, con accesso mediante Spid di livello 2; Carta nazionale dei servici (Cns); Carta di identità elettronica 3.0 (Cie). Il percorso da seguire sul portale dell’Istituto previdenziale è “Prestazioni e servizi”, “Servizi”, “Prestazioni pensionistiche – Domande”;
  • richiesta tramite i servizi dei patronati riconosciuti dalla legge;
  • tramite il Contact Center dell’Inps al numero verde 803 164.

Passaggio all’Inps della gestione Inpgi: cosa cambia per chi è già in pensione?

È prevista una circolare dell’Inps di prossima uscita nella quale si forniranno maggiori dettagli sulle modalità di accesso alla pensione mediante altri canali, come ad esempio la quota 102. La nota chiarirà anche le regole per procedere con il cumulo dei contributi. Chi invece già percepisce la pensione dalla gestione sostitutiva Inpgi non dovrebbe incorrere a disguidi. Il trattamento di pensione, da luglio, verrà liquidato direttamente dall’Inps.

Pensioni giornalisti all’Inps, bisogna cambiare Iban per il versamento?

Attenzione, infine, al codice Iban necessario per ricevere il versamento della pensione effettuato dall’Inps. Chi finora ha ricevuto la pensione dall’Inpgi e la riceverà dall’Inps dal 1° luglio, nella maggior parte dei casi non dovrà fare nulla. Ma in alcuni casi, il codice Iban utilizzato dall’Inpgi non va bene per le leggi antifrode dell’Inps. Si tratta di Iban il cui codice fiscale del beneficiario non coincide con quello di chi ha il conto corrente. In questo scenario, l’Inps utilizzerà un Iban alternativo già in possesso perché in passato sono state erogate altre prestazioni. Si contano circa mille di questi casi. In altri casi, è necessario comunicare un altro Iban. Si tratta di circa 800 pensionati che riceveranno la richiesta nei prossimi giorni.

 

Ecco cosa accade alle Partite Iva che non versano i contributi all’Inps

Versare i contributi previdenziali è utile a tutti i lavoratori, sia dipendenti che autonomi. Ma se per i primi ci pensa il datore di lavoro, per i secondi occorre fare tutto da soli. I contributi servono per il futuro, per poter andare in pensione quando sarà il momento di lasciare l’attività lavorativa. Oltre che utile, versare i contributi è anche obbligatorio per legge. I contributi devono essere obbligatoriamente all’Inps, anche dal lavoratore autonomo e fin dall’avvio di una attività lavorativa. Non versarli oltre che dannoso per la pensione futura, può essere pericoloso dal punto di vista amministrativo.

I contributi previdenziali e la loro importanza

 

Trovarsi a 67 anni a provare ad andare in pensione, con la quiescenza di vecchiaia, ma verificare di non averne diritto. È ciò che spesso accade a chi non ha raggiunto il requisito minimo dei contributi da versare. Ma vale lo stesso per chi punta a prestazioni previdenziali anticipate quali la quota 100, la quota 102, la pensione anticipata ordinaria, la quota 41 e così via. In genere oltre ad una determinata età (ma a volte l’anagrafica non conta per misure di pensionamento anticipato),  è necessario raggiungere una determinata carriera contributiva. Per la pensione di vecchiaia servono 20 anni di contributi. CI sono poi 41 anni da raggiungere per la relativa quota 41, 42 anni e 10 mesi per le pensioni anticipate per gli uomini o 41 anni e 10 mesi per le donne. E poi, 38 anni per la quota 102 o la vecchia quota 100, 36 anni per i gravosi e l’ape sociale, 35 per opzione donna e lo scivolo usuranti, 15 anni per le deroghe Amato e perfino 5 anni per la pensione di vecchiaia contributiva.

Cosa succede se non si versano i contributi all’Inps

Fatta questa opportuna premessa, è evidente che versare i contributi sia assolutamente necessario. Basti pensare a chi si trova già a 67 anni di età ma senza aver completato i 20 anni di contributi. Questo lavoratore, nonostante l’età, non potrà accedere alla quiescenza. E se si tratta di un lavoratore autonomo che ha l’attività da oltre 20 anni, probabilmente dipende dal fatto che non ha provveduto, come regola vuole, a versare i contributi. Il primo effetto evidente del mancato versamento dei contributi anche se obbligatori, è il non poter andare in pensione. E non è cosa da poco già questa. La contribuzione previdenziale va interpretata come un autentico patrimonio. Ma per carenze economiche e mancanza di liquidità, spesso sono proprio i lavoratori autonomi a non adempiere questo obbligo.

Quando vanno versati i contributi dal lavoratore autonomo

I versamenti devono essere periodici, fatti cioè a cadenza trimestrale ogni anno di attività. Tutti devono versare, anche chi non è iscritto all’Inps ma ad un’altra cassa previdenziale come accade a determinati professionisti per esempio. I contributi per il lavoratore autonomo sono commisurati al reddito prodotto. E se il problema pensionistico futuro è già abbastanza rilevante, non è da meno il carattere sanzionatorio che la legge impone a chi non provvede a versare nei termini quanto dovuto.

Nel caso emergano mancanze o irregolarità nei versamenti contributivi, il lavoratore inadempiente deve versare oltre al corrispettivo dei contribuiti omessi, anche le relative sanzioni ed eventuali interessi.

La procedura a cui è assoggettato il lavoratore che non versa i contributi all’Inps

Che l’Inps non si renda conto che un lavoratore autonomo non ha versato i contributi è una speranza che resta vana visto ciò che accade oggi. L’incrocio delle banche dati consente all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale italiano di avere ben chiaro il quadro di ogni contribuente, lavoratore autonomo compreso. I altri termini, è assai facile che l’Inps noti subito il mancato arrivo del corrispettivo dovuto dal contribuente.

Ed in genere l’Istituto Previdenziale parte con l’avviso bonario, in cui si segnala la carenza e si intima il contribuente a provvedere a sanare la situazione. Già con l’avviso bonario l’Inps specifica all’inadempiente che deve versare quel trimestre di contribuzione omessa, con l’aggiunta di determinati e prima calcolati interessi e sanzioni. Naturalmente parliamo di sanzioni ed interessi in misura ridotta vista la celerità dell’avviso da parte dell’Inps. Non si arriva a superare il 10% di somme aggiuntive da versare.

Anche le rate possono aiutare, ma se si perde altro tempo le sanzioni e gli interessi aumentano a dismisura

Partendo da un presupposto fisso, e cioè che chi non ha versato è in difficoltà (ma ci sono casi di omessi versamenti per semplice dimenticanza), l’Inps concede la possibilità di rientro rateale. Il lavoratore autonomo inadempiente potrà ottenere dall’Inps la rateizzazione delle somme dovute. La mancata risposta all’avviso bonario, cioè il protrarsi dell’omesso pagamento, porta a conseguenze ben peggiori. Una volta che l’Inps ha compreso che chi era inadempiente resta tale, non potrà che passare il credito vantato all’Agente della Riscossione. In pratica, si passa alla cartella esattoriale. Il debito contributivo del contribuente passerà a ruolo, cioè finirà nelle mani di Agenzia delle Entrate Riscossione.

E gli importi dovuti salgono esponenzialmente e si passa da quel 10% dell’avviso bonario, al30% op più di somme aggiuntive da versare.

La cartella esattoriale è una cosa da prendere con le pinze

Le conseguenze diventano ben più gravi per il lavoratore che non ha regolarizzato la sua posizione contributiva in precedenza e finisce nelle mani del concessionario alla riscossione. Parliamo infatti di cartelle esattoriali di Agenzia delle Entrate Riscossione. L’iscrizione a ruolo di un debito, anche contributivo, espone il lavoratore autonomo alle procedure per l’esecuzione forzata. L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha il potere di passare a pignoramenti, espropri e confische. Conto corrente, veicoli e immobili diventano a rischio con il protrarsi del mancato pagamento.

Arrivare alla cartella esattoriale è sempre sconsigliabile proprio per via del potere dell’Agenzia delle Entrate Riscossione di passare alle maniera forti nei confronti di un contribuente inadempiente. Tra l’altro esistono anche strumenti che consentono rientri meno dolorosi per il lavoratore autonomo.

Ravvedimento operoso la soluzione

Per esempio, utilizzando il cosiddetto ravvedimento operoso, strumento con il quale il lavoratore può di fatto fare ammenda. In pratica, pagando un minimo di interessi e sanzioni, può mettersi a posto senza grossi danni. Va ricordato anche che pure le cartelle possono essere pagate a rate, sempre previo accordo con l’Agenzia delle Entrate Riscossione. Occorre presentare richiesta di rateizzazione. In questo caso, tranne che per provvedimenti di sanatoria delle cartelle come la rottamazione o il saldo e stralcio, le rate presuppongono il caricamento di ulteriori interessi. La somma da versare tende così a salire sempre di più.

Ecco perché anche il ravvedimento operoso può essere una soluzione più idonea a non appesantire più del dovuto una posizione debitoria per i contributi non pagati.

Geometri, eliminata la pensione di anzianità

Cambia la pensione dei geometri con l’eliminazione dell’anzianità contributiva quale criterio per andare in quiescenza. Infatti, rimarranno solo due formule di pensionamento: quello della vecchiaia, maturabile a 67 anni di età, e quello anticipato che prevederà due salvaguardie con una modifica dei contributi. Ecco nel dettaglio quali sono i cambiamenti nella previdenza dei geometri.

Pensione di vecchiaia geometri, quali sono i requisiti richiesti e come si calcola il trattamento?

Per andare in pensione di vecchiaia ai geometri serviranno 67 anni di età unitamente ad almeno 35 anni di contributi versati. Il trattamento di pensione è calcolato in parte con il meccanismo retributivo, per i versamenti effettuati fino al 2009, e in perte con il metodo contributivo, per i periodi lavorativi a partire dal 2010. In merito alla ripresa, il 2020 ha segnato una contrazione consistente dei compensi e dei guadagni (- 3,8% mediamente). Il 2021, invece, è stato caratterizzato da una buona ripresa, complice la risalita del settore delle costruzioni.

Pensione anticipata dei geometri: si può uscire a 60 anni ma con delle penalità

Per la platea di oltre 78 mila geometri iscritti alla Cassa professionale, c’è anche la possibilità di uscita prima dal lavoro con la pensione anticipata. I geometri che avranno compiuto 60 anni di età, unitamente a 40 anni di contributi, potranno accedere alla quiescenza anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia. Ma con alcuni paletti: il primo è che ci sarà un abbattimento dell’1% per ogni mese di anticipo rispetto ai 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia. La riduzione dell’1% è calcolata solo sulla quota retributiva.

Pensione anticipata geometri, l’assegno previdenziale deve essere 1,5 volte la pensione sociale Inps

Il secondo paletto per la pensione anticipata dei geometri a 60 anni è rappresentato dall’importo minimo del futuro trattamento previdenziale. Infatti, è richiesto che la pensione abbia un importo che non possa essere inferiore di 1,5 volte quello della pensione sociale dell’Inps. Si tratta, in entrambi i casi, di due “salvaguardie” che, da un lato permette a chi anticipa l’uscita dal lavoro di avere lo stesso importo che avrebbe con la pensione di vecchiaia a 67 anni, pagando l’1% di penalizzazione per ogni mese di anticipo. Dall’altro, il vincolo dell’importo di 1,5 volte l’assegno sociale impedisce ai futuri pensionati della Cassa previdenziale di avere trattamenti previdenziali sotto la soglia di povertà.

Riforma pensioni Cassa geometri, assegni meno generosi che nel passato

La riforma delle pensioni della Cassa geometri permetterà di contenere le uscite rispetto a meccanismi troppo generosi. Si calcola che mediamente la Cassa restituiva, sotto forma di trattamento pensionistico, 2,4 volte quanto si riceveva di contribuzione. Con i due paletti delle pensioni anticipate, la Cassa professionisti stima di poter ottenere un risparmio, in termini di trattamenti pensionistici, pari a un miliardo di euro.

Pensione di reversibilità: dalla Corte Costituzionale una novità per i figli dei conviventi

Il 19 aprile 2022 la Corte Costituzionale deposita un’importante sentenza, la n° 100, che riconosce ai figli minorenni nati fuori dal matrimonio, con genitori conviventi o meno, una quota più elevata di reversibilità.

Come funziona la pensione di reversibilità per coniuge e figli

Per capire bene la portata della sentenza è bene partire dalla situazione attuale. La normativa sulla pensione di reversibilità stabilisce che, alla morte di un soggetto, un eventuale coniuge ha diritto al 60% della reversibilità. In presenza di figli di minore età, a costoro si riconosce il diritto al 20% della quota di reversibilità.

Ricordiamo a questo punto che la pensione di reversibilità in seguito a una recente sentenza spetta anche al nipote disabile. Per approfondire, leggi l’articolo: Pensione di reversibilità: la Corte Costituzionale la riconosce ai nipoti

Ora appare ovvio che il figlio di genitori coniugati, oltre ad avere il vantaggio diretto del riconoscimento del diritto al 20% della quota di reversibilità, riceve anche un vantaggio indiretto determinato dal fatto che il suo genitore superstite riceve il 60% della reversibilità del coniuge deceduto, nonché padre del minore.

La Corte Costituzionale con la sentenza n° 100 depositata il 19 aprile 2022 intende porre in essere un atto di giustizia sostanziale.

Il caso

Il caso vede il genitore non coniugato esercente la responsabilità genitoriale proporre ricorso avverso il provvedimento che riconosce al figlio solo la quota del 20% della reversibilità del padre (morto una ventina di giorni prima della nascita del bambino). La quota per i primi anni è stata innalzata al 25% in virtù del beneficio concesso ai dipendenti civili e militari dello Stato. Nel frattempo, alla coniuge separata del padre per i primi anni dal decesso si riconosce il 75% della reversibilità, poi ridotto al 60% ( sempre in virtù del beneficio prima visto).

Il genitore esercente la responsabilità genitoriale propone quindi ricorso, naturalmente INPS e Ministero della Difesa affermano che hanno applicato le quote previste dalla legge.

Il rimettente, cioè il giudice del merito che in questo caso è la Corte dei Conti, sottolinea che la Corte Costituzionale già in altre pronunce ha parificato il figlio di genitori non coniugati a un orfano di entrambi i genitori (sentenza 86 del 2009)

Il rimettente sottolinea che la situazione del figlio nato fuori dal matrimonio deve essere parificata a quella del figlio orfano di entrambi i genitori e, di conseguenza, gli spetterebbe il 70% della quota di reversibilità. La parte però osserva anche che se venisse riconosciuta la quota del 70% al figlio orfano e del 60% al coniuge separato ci sarebbe un superamento della quota del 100%, fatto comunque vietato dall’ art. 13, quarto comma, del r.d.l. n. 636 del 1939, come da ultimo sostituito dall’art. 22 della legge n. 903 del 1965 .

La Corte dei Conti rimettente propone una rideterminazione delle quote tra gli aventi diritto con decurtazione proporzionale delle due quote in modo da raggiungere comunque il 100% dell’assegno pensionistico e non superare tale misura. Suggerisce il 53,85% al figlio superstite e il 46,15 all’ex coniuge.

La sentenza della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale sposa a pieno la tesi del ricorrente/rimettente (Corte dei Conti) si ferma però di fronte alla determinazione delle quote che invece è suggerita dalla Corte dei Conti.

Nonostante questa paventata parificazione, i giudici si astengono dal determinare le quote, ma rimandano al legislatore con indicazione di esprimere un’autonoma rideterminazione delle quote avendo come punto di riferimento proprio la stessa sentenza. Infatti se il collegio indicasse anche le quote in modo vincolante, pronuncerebbe una sentenza additiva e andrebbe a invadere il campo che spetta al legislatore con un intervento che definito dalla stessa Corte Costituzionale “manipolativo”.

Proprio per questo invita il legislatore a un tempestivo intervento al fine di colmare una lacuna che compromette i valori costituzionali di solidarietà familiare, ma di fatto dichiara inammissibili le doglianze della Corte dei Conti.

Opzione donna, requisiti ed esempi: ecco di quanto si anticipa la pensione

Anche nel 2022 si potrà andare in pensione anticipata con l’opzione donna: le lavoratrici del sistema contributivo misto lasceranno il lavoro a 58 anni se dipendenti e a 59 anni se autonome. Per beneficiare della misura previdenziale sono necessari anche 35 anni di contributi. Ma come vanno calcolati e quali sono le date di scadenza della misura? Ecco una guida per comprendere meglio come funziona il trattamento di pensione anticipata e alcuni esempi.

Opzione donna 2022: come funziona la misura di pensione anticipata?

La proroga della pensione con opzione donna è arrivata anche quest’anno con la legge di Bilancio 2022. La misura consente alle lavoratrici dipendenti di andare in pensione anticipata a 58 anni di età e alle lavoratrici autonome di uscire a 59 anni. Entrambi i requisiti anagrafici, aggiornati di anno in anno, devono essere stati maturati entro il 31 dicembre 2021. Dati i 35 anni di versamenti contributi richiesti, l’opzione donna interessa le lavoratrici che rientrano nel sistema contributivo misto, ovvero che abbiano degli anni di versamenti già prima del 1996. In caso di mancata adesione all’opzione donna, dunque, la pensione verrebbe calcolata con il metodo misto, che comprende quote di versamenti in regime retributivo.

Opzione donna, quanto si risparmia rispetto alla pensione anticipata e alla pensione di vecchiaia?

La proroga dell’opzione donna ha ridotto sensibilmente le tempistiche per andare in pensione. Ciò rispetto ai requisiti richiesti dalla riforma Fornero (legge numero 214 del 2011) rispetto alla pensione di vecchiaia e alla pensione anticipata. Infatti, rispetto alle due formule di pensionamento, si può calcolare che con l’opzione donna si risparmiano:

  • sei anni e dieci mesi rispetto alla pensione anticipata, prevista per le donne con 41 anni e dieci mesi di contributi (42 anni e dieci mesi per gli uomini);
  • nove anni (le lavoratrici dipendenti) oppure otto anni (le lavoratrici autonome) rispetto all’età prevista per la pensione di vecchiaia.

Opzione donna, quanto si perde di pensione rispetto a quella di vecchiaia?

L’aspetto che maggiormente frena le lavoratrici al ricorso alla pensione anticipata con opzione donna consiste nell’importo dell’assegno mensile. Infatti, quest’ultimo è calcolato in base ai requisiti versati durante la vita lavoratrice e, sicuramente, è più alto se calcolato con il metodo misto rispetto a quello contributivo. Nel sistema misto rientrano, peraltro, i contributi maturati nei periodi lavorativi antecedenti il 1996, rivalutati anno per anno fino a tutto il 1995. La scelta dell’opzione donna azzera questo vantaggio, calcolando i periodi lavorativi tutti con il metodo contributivo. Si calcola che, l’uscita con l’opzione donna, comporti una perdita dell’assegno mensile di pensione pari a circa il 30%.

Cosa considerare nella scelta di uscita con opzione donna ai fini della pensione?

Pertanto, nella scelta se uscire dal lavoro con l’opzione donna ai fini della pensione occorre considerare due aspetti contrapposti:

  • da un lato, lo svantaggio dell’accesso alla pensione con un importo mensile ridotto rispetto al metodo di calcolo misto, ancorché accentuato dal fatto che l’uscita anticipata comporta meno anni di lavoro e, dunque, di contributi versati. Inoltre, la minore età di uscita comporta un calcolo di pensione ancorato a un coefficiente di trasformazione più basso rispetto all’età necessaria per la pensione di vecchiaia o anche per la pensione anticipata;
  • dall’altro lato, la possibilità di poter anticipare di otto o nove anni l’uscita rispetto ai normali requisiti pensionistici fissati dalla legge di riforma Fornero. Anche in questo caso, però, bisogna considerare che la decorrenza della pensione sarà posticipata di dodici mesi per le lavoratrici dipendenti e di diciotto mesi per quelle autonome.

Pensione con opzione donna, come integrare i contributi con il riscatto della laurea?

Le lavoratrici che vogliano accedere alla pensione con opzione donna spesso si trovano nella situazione di non raggiungere i requisiti richiesti per pochi anni di contributi mancanti. In questa situazione si può beneficiare del riscatto della laurea che garantisce gli anni di versamenti occorrenti con il pagamento di un prezzo “light”. Ad esempio, una lavoratrice che ha raggiunto l’età necessaria per l’opzione donna di 58 o di 59 anni, ma ha 31 o 32 anni di contributi. In questo caso, il funzionamento del riscatto della laurea a costo ridotto segue determinate regole in quanto le lavoratrici dell’opzione donna rientrano nel meccanismo contributivo misto e il riscatto “light” è previsto per il solo metodo contributivo. Diventa necessaria, pertanto, una scelta.

Opzione donna, come recuperare anni di contributi con il riscatto della laurea?

Le lavoratrici che non hanno dunque tutti i 35 anni di contributi richiesti ai fini dell’opzione donna, potrebbero riscattare i periodi di studio universitario precedenti il 1996. Per beneficiare del metodo di di calcolo ridotto del riscatto della laurea, la domanda si può fare nello stesso momento della richiesta della pensione con opzione donna. In tal caso, le lavoratrici pagherebbero poco più di 5.200 euro per ogni anno di corso di laurea da riscattare. In tal caso, le donne interessate potrebbero seguire le regole della legge numero 26 del 2019.

Quali altri metodi andrebbero bene per il calcolo del riscatto della laurea nel caso dell’opzione donna?

In alternativa, il calcolo dell’onere del riscatto della laurea avverrebbe:

  • con il sistema della riserva matematica, basato sul numero dei contributi accreditato, sul sesso e sull’età al momento della richiesta del riscatto stesso. Di regola, il costo del riscatto è più alto con questo metodo;
  • riscatto a costo percentuale, mediante il quale i periodi sono valutabili con il sistema di calcolo contributivo. L’onere da pagare, per ogni anno di studi, è pari a una percentuale della media delle retribuzioni o dei redditi dei 12 mesi precedenti la domanda. La percentuale varia a seconda della gestione previdenziale alla quale la lavoratrice risulti iscritta. Ad esempio, per i lavoratori dipendenti è del 33%;
  • riscatto agevolato della laurea, mediante il pagamento di un onere del 33% della media delle retribuzioni o dei redditi dei dodici mesi precedenti la domanda. Tale riscatto va bene qualunque sia la gestione previdenziale di iscrizione.

Se si sceglie il metodo di calcolo contributivo, si può avere un ripensamento?

La scelta del metodo di calcolo contributivo, ad esempio per pagare un onere del riscatto della laurea più basso come previsto dal calcolo a percentuale o di quello agevolato del 2019, non ammette ripensamenti. Infatti, l’onere più basso spetta a chi sceglie di conteggiare gli anni di studio (precedenti al 1996) aderendo al sistema contributivo. E, dunque, rinunciando al sistema misto che comprende le quote del metodo retributivo, più vantaggiose ai fini dell’assegno di pensione. Secondo quanto chiarito dall’Inps con il messaggio numero 4560 del 21 dicembre scorso, le lavoratrici che scelgano l’opzione contributiva durante il rapporto di lavoro non hanno la possibilità di revocare tale scelta.

Opzione donna, si possono aggiungere i contributi maturati dopo il 2021?

I requisiti di età e di contributi devono essere raggiunti entro il 31 dicembre 2021 per le uscite del 2022. In tal senso, se il requisito anagrafico è stato raggiunto nel 2021 ma non quello contributivo, che maturerà ad esempio, nel corso del 2022, non è possibile procedere con la richiesta di pensione con opzione donna. Pertanto, oltre la data del 31 dicembre 2021 non è possibile l’accredito dei contributi successivi. Tuttavia, le lavoratrici interessate, in questa situazione, potrebbero far valere i nuovi contributi maturati nel 2022 per l’uscita nel 2023. Ciò nel caso in cui il governo dovesse confermare l’opzione donna anche per il prossimo anno.

Pensioni con la rendita anticipata, la soluzione è il potenziamento della misura?

 

Ci sono misure introdotte dal nostro ordinamento che permettono un pensionamento anticipato anche se non sono strettamente previdenziali come le considerano gli italiani. Non sono misure tipiche, cioè previste dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale italiano. Per esempio, c’è la Rita, ovvero la rendita integrativa temporanea anticipata. Siamo nel campo della previdenza integrativa, nei fondi pensione. E sul quotidiano il Sole 24 Ore si mette in risalto il fatto che la Rendita anticipata potrebbe essere la soluzione ideale per mettere mano al sistema e dotarlo di forma di pensionamento anticipato. Potenziare la Rita, di questo si tratta.

Come funziona la Rita, la rendita anticipata in sintesi

La Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, questo è l’acronimo di Rita. Uno strumento che permette di anticipare in maniera frazionata o intera, l’importo spettante per quanto versato nel fondo previdenziale integrativo prescelto. In pratica, si può anticipare la rendita per il periodo temporale che va  dalla data di  accettazione della richiesta fino al conseguimento dell’età anagrafica utile alla pensione di vecchiaia nel sistema pensionistico obbligatorio di appartenenza, in questo caso l’Inps.

Alcuni requisiti specifici per la Rita e per le pensioni integrative

Per avere diritto all’anticipazione della rendita, dal punto di vista dei requisiti occorre dire che servono non meno di 5 anni di versamenti al fondo pensionistico complementare. Inoltre, occorre chiudere l’attività lavorativa, trovarsi a 5 anni dalla pensione di vecchiaia ed avere almeno 20 anni di contributi versati al fondo previdenziale obbligatorio, cioè l’Inps. In alternativa possono essere validi 24 mesi di disoccupazione certificata, e in questo caso, il trovarsi a 10 anni dal raggiungimento della pensione di vecchiaia come prevista dall’Inps. Le pensioni con la rendita integrativa possono essere una soluzione.

Capitale o rendita? Il dubbio degli italiani

Una delle critiche che analisti e tecnici producono al sistema della previdenza integrativa è la maggiore convenienza dei cittadini a riscattare il capitale piuttosto che scegliere la rendita. Infatti come silegge in un articolo guida del Sole 24 Ore, gli iscritti ai fondi pensione preferiscono il capitale alla rendita. E sul quotidiano economico politico vengono messi in luce anche i possibili motivi. Infatti pare che siano sui i tassi di sostituzione che restano piuttosto elevati, le motivazioni della scelta che la maggior parte degli italiani aderenti ai fondi integrativi, fanno.

Rendita integrativa come funziona

Va ricordato che i fondi pensione alternativi, complementari o integrativi servono ai lavoratori per incrementare il reddito una volta in pensione. E fanno da ammortizzatore alla piega che sta prendendo il sistema pensioni nostrano, nel senso che la riduzione delle coperture Inps viene sanata proprio dai fondi integrativi. Chi sceglie di versare nella previdenza complementare infatti, non fa altro che mettere le mani avanti per il futuro, puntando ad una forma di integrazione di quella pensione che tutti reputano piuttosto bassa quando è il momento di lasciare il lavoro.

I tassi di sostituzione per le rendite sono un tarlo del funzionamento della previdenza complementare

Tornando ai tassi di sostituzione, è l’argomento scottante dello scarso funzionamento di questi strumenti nel Bel Paese. Ciò che stride è che nel calcolare il tasso di sostituzione da applicare,  questi fondi considerano una aspettativa di vita che secondo molti è troppo elevata rispetto alla realtà. I fondi in pratica fanno ciò che fa la previdenza obbligatoria con i coefficienti di trasformazione. Più si vive meno si prende e quindi anche nella previdenza complementare prima si sfrutta la rendita meno si percepisce, spingendo i più ad optare per il capitale in unica soluzione.

La gente sceglie più il capitale che la rendita, ecco perchè

Infatti in Italia i fondi integrativi vengono percepiti quasi come un surplus di TFR rispetto ad un surplus di rateo mensile di pensione. In altri termini, chi ha versato nella previdenza integrativa sceglie, nel momento in cui lascia il lavoro, di prendere tutto il capitale versato come fosse una buonuscita o un Trattamento di fine rapporto o servizio. Ma in origine i fondi integrativi erano strumenti che puntavano a sostenere i ratei di pensione futuri, non una specie di salvadanaio per aumentare le liquidazioni al termine del rapporto di lavoro.

Cosa si studia per il futuro

Potenziare la rendita e farla diventare più appetibile sarebbe la via che il governo dovrebbe prendere. Per far somigliare, sempre come si legge sul Sole 24 Ore, la Rita alle misure estere più conosciute. La partenza sarebbe il favorire l’erogazione diretta delle rendite, “confermando gli obblighi specifici di riassicurazione per l’eccessiva longevità”. Ma c’è anche una variazione strutturale che è possibile adottare. In questo caso si tratta di rendite variabili. Un assegno mensile di elevato importo alla data di decorrenza, ma che poi si adegua con il tempo alla mutualità della situazione contingente, con rivalutazioni attive per i pensionati o anche passive.

L’esempio della previdenza integrativa all’estero

All’estero queste rendite integrative a liquidazione variabile sono già presenti e diffuse sempre di più. Ma dall’estero non è azzardato pensare di copiare i versamenti integrativi a formula collettiva. Puntare sulla previdenza integrativa come la Rita per svoltare e risolvere le bene del sistema pensionistico italiano potrebbe essere una soluzione assai fattibile. C’è chi pensa per esempio ad una variazione radicale. Si arriverebbe a fornire tramite la Rita, le soluzioni per il pensionamento anticipato degli italiani, lasciando in capo all’Inps solo le misure di pensionamento ordinario, cioè le pensioni di vecchiaia a 67 anni con 20 anni di contributi o le pensioni anticipate con 42 anni e 10 mesi di versamenti. Un cambio di rotta che però appare difficile visto che c’è chi non vede di buon occhio questa rivoluzione.

Programma pensioni 2023, le ultime notizie sulla riforma!

Il piano del governo sulla riforma delle pensioni è ormai noto. Come è noto il progetto dei sindacati che mirano alla solita, famosa, quota 41 per tutti. Ma ecco le ultime novità su una riforma che dovrebbe prendere quota dal prossimo primo gennaio.

Pensioni, cosa potrebbe accadere nel 2023

Ormai le posizioni dei sindacati e dell’esecutivo sono un parametro fisso se si parla di pensioni. I sindacati vorrebbero la quota 41 per tutti, ornai cavallo di battaglia delle parti sociali. Una pensione anticipata vera e propria, che andrebbe a sostituire in toto l’attuale pensione anticipata ordinaria. Si scenderebbe di circa due anni. Oggi infatti si esce con 42 anni e 10 mesi di contribuzione versata. Si risparmierebbero 22 mesi (per le donne 10 mesi in meno visto che le anticipate ordinarie per le lavoratrici è a 41 anni e 10 mesi di contribuzione versata). Il governo invece è più propenso ad una misura che consente di accedere all’anticipata una volta raggiunti i 64 anni di età.

La flessibilità in uscita per le pensioni anticipate dal 2023

In pratica, due cose diametralmente diverse. Uno spiraglio per i sindacati è quello delle penalizzazioni di assegno per una eventuale quota 41 per tutti. Penalizzazioni minime per le parti sociali, un po’ più cospicue per il governo.

Posizioni diverse come quelle sulla flessibilità in uscita, che come detto, per il governo dovrebbe partire dai 64 anni mentre per le parti sociali dai 62 anni. In sostanza, le vie che hanno qualche possibilità di diventare realtà per una riforma delle pensioni che resta difficoltosa, sono la pensione a 64 anni o Quota 41 ma con mini penalizzazione.

Continua a tenere banco il capitolo previdenziale

SI può chiamare dibattito, oppure discussione, o ancora, tavolo delle trattative, ma una cosa certa tra esecutivo e parti sociali la riforma delle pensioni è ancora in una fase embrionale. Eppure c’è chi dice che il governo abbia un piano. Nonostante il nulla di fatto nel DEF (Documento di Economia e Finanza) , il governo avrebbe in mente di impostare qualche nuova misura con una riduzione d’assegno per ogni anno di anticipo. Ma sarebbe una riduzione di pensione che inciderebbe soltanto sulla parte retributiva della pensione e non su quella contributiva.

Si ipotizza di consentire di lasciare il lavoro in anticipo come tutti chiedono, e dal primo gennaio 2033. Ma chi lascerà il lavoro potrebbe subire qualche penalità. L’esecutivo lavora per arrivare ad azzerare le differenze tra chi ha iniziato a versare prima del 1996 e chi dopo. In pratica, si vuole arrivare a parificare le regole tra retributivi e contributivi, in modo tale da azzerare le differenze.

Oggi i contributivi, cioè coloro i quali hanno il primo contributo a qualsiasi titolo versato dopo il 31 dicembre 1995, possono uscire con la pensione anticipata contributiva a 64 anni. E il governo medita di estendere la possibilità a tutti, anche a chi ha iniziato a versare prima del 1996. Ma riducendo il loro assegno con penalizzazioni sulla parte retributiva.

L’uscita a 64 anni oggi e domani, come funzionerebbe?

Il vantaggio dell’uscita a 64 anni è stato introdotto per compensare la penalizzazione in termini di importo che una pensione calcolata con il sistema contributivo ha rispetto ad una calcolata con il misto, cioè con il retributivo fino ad una determinata data e con il contributivo dopo. Tre anni di anticipo che adesso potrebbero toccare anche ai misti, purché accettano di perdere parte del vantaggio loro spettante dal metodo retributivo. Va detto comunque che per i cosiddetti contributivi puri, la pensione anticipata contributiva si centra solo se l’assegno liquidato alla data di decorrenza del primo rateo di pensione, è pari a 1300 euro circa, ovvero a 2,8 volte l’assegno sociale. Inoltre, a 67 anni i contributivi puri possono prendere la pensione di vecchiaia anche senza i 20 anni di contributi (ne bastano 5), ma solo con assegno pari ad almeno 1,5 volte quello sociale. Limitazioni che devono essere parte integrante delle discussioni in seno ai tavoli tra governo e sindacati. Perché non basta pensare di estendere i 64 anni di età a tutti con 20 anni di contributi.

Anche la UE sarebbe favorevole alle soluzioni che il governo avrebbe in mente

Il governo pensa ad una riforma che consenta  a tutti,  di andare in pensione prima dei 67 anni previsti dalla Fornero. Ma di fatto, imponendo un ricalcolo completamente contributivo per tutti, anche per chi ha maturato il diritto ad avere un calcolo più favorevole della pensione. Una soluzione a basso costo ad a spesa pubblica contenuta. A tal punto che l’esecutivo pensa a questa idea come l’unica che potrebbe trovare pure il benestare della UE. Infatti c’è da rispettare i diktat dell’Europa, che in materia previdenziale sono molto rigidi. Anche i tecnici che il governo, utilizza di solito per studiare politiche di natura economica, sostengono che la UE non si opporrebbe in alcun modo a misure di questo genere. E all’Europa per via dei fondi del Recovery Plan e del nostro Pnnr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), bisogna anche dare retta.

Pensioni, il riscatto laurea include anche i crediti formativi extra universitari

Emergono novità dalla circolare dell’Inps che ha fornito ulteriori sul riscatto della laurea ai fini della pensione. I chiarimenti dell’Istituto previdenziale, infatti, allargano il campo del riscatto degli anni di studio anche ai crediti formativi ottenuti con corsi extra universitari. Pertanto, rientrano nei periodi riscattabili sia gli anni di corso degli studi universitari che i crediti maturati in percorsi extra universitari. La condizione essenziale è che la somma dei due periodi non deve superare la durata legale del corso di laurea.

Crediti universitari ricattabili con la laurea ai fini delle pensioni

Ai fini delle pensioni, sono dunque riscattabili i crediti formativi extra universitari ritenuti utili dalle università ai fini della carriera. È quanto ha chiarito l’Inps con il messaggio numero 1512 del 2022. Di norma, al conseguimento del diploma di scuola media superiore si accede all’università. Tuttavia, vi sono dei casi in cui l’accesso è consentito dalle università mediante riconoscimento di conoscenze e di certificate abilità professionali. Tali percorsi possono essere maturati anche al termine del diploma di scuola media. In tutte queste situazioni, lo studente può accedere all’università partendo da un anno di corso superiore al primo.

Come riscattare i periodi di corsi extra universitari per andare prima in pensione?

Questi periodi di frequentazione di corsi extra universitari, utili alla frequenza del corso di laurea universitario, possono essere riscattati ai fini contributivi. Le condizioni essenziali sono due: al pari degli anni di corso universitario, anche i periodi di corsi extra universitari non devono essere già coperti da contribuzione lavorativa o extra lavorativa. In secondo luogo, la somma dei due periodi (gli anni di corso universitari e la formazione valutata come credito formativo, anche se extra universitaria) non deve eccedere la durata legale del corso di laurea stesso.

Come fare per riscattare il riscatto della formazione extra universitaria?

Nel messaggio, l’Inps ha anche chiarito come procedere per il riscatto dei periodi di formazione extra universitaria. La possibilità di riscattare questi periodi vale sia per le nuove domande che arriveranno all’Istituto previdenziale che alle domande che risultano in giacenza. Le domande che sono state respinte possono essere riesaminate ma solo su domanda degli interessati. Inoltre, il riscatto della laurea, anche per i periodi di formazione extra universitaria, può avvenire con le regole del costo agevolato stabilito dal decreto numero 4 del 2019. In base al provvedimento, per ciascun anno oggetto di riscatto, il contribuente paga una cifra di poco superiore ai 5 mila euro.