Anticipo fondo pensione: in quali casi si possono ritirare i soldi?

I fondi pensione sono uno strumento nato per aiutare i lavoratori a maturare una pensione integrativa, vi sono però dei casi in cui è possibile l’anticipo fondo pensione con riscatto totale o parziale. Ecco le varie casistiche.

Il fondo pensione: caratteristiche

La riforma pensionistica ha portato a una drastica riduzione degli importi che i lavoratori maturano. La stessa è stata però affiancata dalla riforma del TFR (legge 252 del 2005) che ora è diretto in fondi pensione e quindi va ad alimentare la pensione integrativa. La disciplina del TFR prevedeva però dei casi in cui era possibile ottenere un anticipo e di conseguenza l’adesione al fondo pensione poteva generare comunque delle difficoltà economiche maggiori per i lavoratori. Proprio per questo il meccanismo ha avuto una mitigazione con la previsione di casi in cui vi è l’opportunità di ritirare i soldi del fondo pensione in anticipo.

Il fondo pensione può essere alimentato anche con ulteriori risorse questa scelta viene in un certo senso stimolata, infatti le somme destinate al fondo pensione sono deducibili dall’imponibile fiscale e di conseguenza vengono ridotti gli importi delle tasse.

Per maggiori informazioni sulla destinazione del TFR, leggi l’articolo: TFR in azienda: il datore di lavoro può investirlo? Ci sono Rischi?

Anticipo fondo pensione con riscatto parziale

Il fondo pensione dalla legge 252 del 2005 è definito il secondo pilastro del sistema pensionistico e consente quindi di avere una pensione integrativa rispetto a quella determinata in base ai contributi versati.

Vista la finalità, vi sono dei limiti all’accesso alle somme depositate. Si può chiedere l’anticipo del fondo pensione solo in determinati casi.

Durante la vita lavorativa è possibile chiedere l’anticipo del fondo pensione in due casi:

  1. Spese sanitarie per sé per il coniuge e per i figli;
  2. acquisto della prima casa per sé o per i figli o ristrutturazione della prima casa. Per tali finalità l’anticipo può essere richiesto solo dopo 8 anni dall’apertura del fondo stesso. Può essere richiesto anche nel caso in cui il bene sarà intestato al coniuge, ma solo se  le parti sono in comunione dei beni.

In entrambi i casi l’anticipo può avere un ammontare massimo del 75% degli importi maturati, inoltre viene applicata la tassazione sui rendimenti dei fondi, la stessa è al 12,5% per la parte del fondo investita in Titoli di Stato e 20% per la parte investita in azioni.

Riscatto parziale o totale del fondo pensione per perdita di lavoro

Un’altra ipotesi in cui è possibile chiedere un anticipo sul fondo pensione, o riscattarlo totalmente, è quello relativo alla perdita di lavoro, ma devono comunque verificarsi ulteriori condizioni.

La prima richiesta può essere effettuata quando siano trascorsi 12 mesi dalla perdita di lavoro e si può ottenere fino al 50% degli importi maturati nel fondo pensione.

La seconda richiesta può essere effettuata dopo 48 mesi dalla perdita del lavoro e ha ad oggetto l’ulteriore 50% delle somme maturate. Si verifica quindi il riscatto totale del fondo pensione. Per poter accedere a questa misura occorre allegare alla richiesta la documentazione che attesta la perdita di lavoro. Anche in questo caso gli importi riscossi saranno soggetti a tassazione. Infine, resta da dire che in caso di perdita di lavoro alcuni fondi pensioni permettono il riscatto di percentuali diverse rispetto a quelle ora viste.

Anticipo fondo pensione con riscatto totale

Ci sono inoltre eventi che permettono prima di accedere alla pensione è possibile optare per il riscatto totale del fondo pensione. Si tratta di ipotesi comunque tassativamente indicate e sono:

  • invalidità:
  • morte del titolare, il riscatto totale prima dell’accesso ai benefici pensionistici deve essere richiesto dagli eredi ed è naturalmente in loro favore;
  • perdita dei requisiti di partecipazione al fondo, si verifica questa ipotesi nel caso in cui il lavoratore aveva aderito al fondo pensione di categoria, ad esempio il fondo dei metalmeccanici. In seguito smette di lavorare in quel settore e trova impiego in un altro settore. In questo caso si perdono i requisiti per la partecipazione al fondo precedente, nell’esempio quello dei metalmeccanici, e di conseguenza si possono riscattare le somme. Naturalmente anche in questo caso si applica la tassazione dei rendimenti al 12,5% per la quota investita in Titoli di Stato e 20% per gli investimenti azionari.

Previdenza complementare, cosa avviene quando si va in pensione?

L’accumulo del capitale con le rate versate alla previdenza complementare ha il massimo risultato nel momento in cui si va in pensione da lavoro. Ma cosa succede quando si smette di lavorare? E quali sono le possibilità che hanno gli aderenti al fondo pensione che hanno versato contributi per anni? Ecco tutte le opzioni possibili.

Cosa si può fare del capitale accumulato nella previdenza complementare quando si va in pensione da lavoro?

Nel momento in cui si va in pensione da lavoro e si hanno almeno cinque anni di partecipazione al fondo pensione, si può decidere di:

  • trasformare il 100% della posizione individuale in rendita, in modo da ricevere un assegno di pensione complementare che va a integrare la pensione lavorativa;
  • ricevere subito e tutto in una soluzione fino a un massimo del 50% del capitale versato e accumulato nel tempo e destinare la restante parte alla rendita;
  • liquidare tutto il capitale accumulato se si rientra nei casi previsti dalla legge. In particolare, questa opzione è possibile se il capitale accumulato risulti esiguo. Oppure se si è un vecchio sottoscrittore. In quest’ultimo caso bisogna essere iscritto alla previdenza complementare non più tardi del 29 aprile 1993 a fondi pensione che erano stati già istituiti entro il 15 novembre 1992.

Cosa valutare prima di prendere una decisione su come impiegare il capitale accumulato della previdenza complementare

Nel momento in cui si va in pensione da lavoro è importante, dunque, valutare attentamente quale opzione scegliere in merito al montante accumulato nella previdenza complementare. Il primo passaggio consiste nel pensare bene a quali saranno le esigenze personali nel periodo in cui non si svolgerà più alcuna attività lavorativa. Se la scelta ricade nell’ottenere una rendita vitalizia, l’assegno mensile che si riscuoterà andrà a integrare quello della pensione lavorativa. E, inoltre, la rendita è reversibile sia nei confronti del coniuge che di un’altra persona indicata dal sottoscrittore del fondo pensione.

Previdenza complementare: cosa avviene se si decide di prelevare tutto il montante accumulato subito?

Se la scelta ricade sull’ottenere tutto il capitare in un’unica soluzione, si potranno soddisfare le necessità del breve periodo dopo il pensionamento. Ma si corre il rischio di non avere entrate a sufficienza per mantenere lo stesso tenore di vita in futuro con la sola pensione da lavoro. Tuttavia, il montante accumulato con la previdenza complementare può servire, in determinate situazioni, a ottenere la rendita prima di andare in pensione da lavoro.

Previdenza complementare, le possibilità di anticipare la rendita rispetto alla pensione di vecchiaia

Infatti, se mancano meno di cinque anni alla pensione di vecchiaia dei 67 anni e si hanno almeno cinque anni di versamenti alla previdenza complementare, si può richiedere che le prestazioni previdenziali del fondo vengano anticipate. Questa possibilità può essere sfruttata anche nell’ipotesi in cui si è disoccupati da oltre 24 mesi oppure ci si trovi nella situazione di invalidità permanente che impedisce di svolgere un’attività lavorativa. Si tratta del meccanismo della Rendita integrativa temporanea anticipata (Rita) che permette di richiedere al fondo di previdenza complementare di ricevere la rendita in anticipo rispetto al conseguimento della pensione di vecchiaia.

Quando si può ottenere un riscatto del montante versato alla previdenza complementare?

Rispetto all’attesa della maturazione della pensione di vecchiaia, il sottoscrittore di un fondo di previdenza complementare può richiedere un riscatto di quanto versato. In particolare:

  • può chiedere un riscatto del 100% di quanto versato nel caso di invalidità permanente. Oppure per la situazione di disoccupazione di oltre 48 mesi;
  • in alternativa per dimissioni, per licenziamento e per decesso del sottoscrittore del fondo pensione.

Inoltre si può richiedere un riscatto parziale, fino alla metà del capitale accumulato per disoccupazione per oltre 12 mesi e da meno di 48 mesi nel caso in cui il datore di lavoro ricorra alla mobilità, alla cassa integrazione guadagni straordinaria o ordinaria.

Riforma delle Pensioni, le trattative dopo l’incontro con i sindacati

Il nodo Riforma delle pensioni continua a tenere con il fiato sospeso i lavoratori. A seguito dell’ennesimo incontro con le parti sociali e i sindacati ecco cosa si ipotizza.

Riforma delle Pensioni e taglio delle tasse,un aggiornamento

Pensioni e tagli delle tasse sono stati il tema principale del vertice tenutosi ieri sera tra governo e sindacati. Il Premier Draghi ha dimostrato apertura verso una riforma delle pensioni dettagliata e che punta ad una soluzione duratura. Tuttavia erano presenti anche i Ministri Brunetta, Franco ed Orlando e i rappresentanti dei sindacati come Cisl, Ui e Cgl.

E’ lo stesso Bombardieri della Uil a dichiarare che l’incontro si è mosso su due fronti: la riforma fiscale e la richiesta di indirizzare le risorse sul cuneo fiscale verso i lavoratori autonomi ed i pensionati. Mentre Sbarra della cisl, ha confermato l’impegno del governo per continuare a revisionare la Legge Fornero. Infine Landini della cgil, si dice soddisfatto di aver trovato un governo disposto al dialogo e alle trattative.

Vediamo le posizioni all’interno del confronto

La posizione del Governo sembra spingere verso il ritorno della Legge Fornero. Mentre i sindacati sembrano essere contro il ritorno alla stessa legge chiedendo di andare in pensione con i 62 anni di età, oppure di 41 anni di contributi. Ma nelle legge di bilancio, sembra che non ci siano le risorse necessarie ad attuare una riforma delle pensioni di questo tipo. Pertanto la partita è ancora tutta da giocare.

Si ricorda che, per completezza di informazioni, che la legge Fornero prevede due misure sul tema pensioni. La pensione di vecchiaia a 67 anni, che richiede almeno 20 anni di contributi versati e la pensione anticipata che permette l’accesso al raggiungimento del requisito contributivo, indipendentemente dall’età.

Altre opzioni in campo

Sul tavolo delle trattative c’è anche la proposta del Presidente dell’InpsPasquale Tridico. L’idea è andare in pensione a 62-63 anni d’età della sola quota contributiva dell’assegno. Mentre la fetta “retributiva” verrebbe erogata al raggiungimento della sogli di vecchiaia di 67 anni.

Infine la Lega aveva ipotizzato una possibilità di uscita con 63 anni d’età e un’anzianità contributiva di 41 anni. Una cosa è certa ancora nulla è definito, ma pare che le parti siano disposte a trattare e a trovare una soluzione definitiva. Infine, in merito agli ammortizzatori sociali, si prevede la proroga di un anno di Opzione donna e dell’Ape sociale in versione estesa ad ulteriori categorie di lavori gravosi. Vedremo gli ulteriori sviluppi in materia di riforma delle pensioni.

 

 

Fondo pensione, come scegliere se si è lavoratori dipendenti, pubblici o autonomi?

Una volta presa la decisione di aderire a un fondo pensione in vista di un trattamento previdenziale più alto per il futuro e per usufruire dei vantaggi fiscali connessi all’adesione stessa, il passaggio successivo consiste nella scelta della formula pensionistica alla quale affidare i propri risparmi. Si tratta di un passaggio fondamentale che richiede una particolare attenzione al fine di soddisfare tutte le esigenze presenti e future.

Aderire alla previdenza complementare, quanto versare al fondo pensione?

A tal proposito è utile verificare se, in base alla propria condizione lavorativa, esista già un fondo di riferimento. Inoltre, è indispensabile decidere quanto versare al fondo pensione. Questa valutazione può essere presa consapevolmente una volta che il sottoscrittore abbia individuato il livello di reddito ritenuto maggiormente adeguato per se stesso e per la propria famiglia nel momento in cui uscirà dal lavoro per la pensione.

Adesione al fondo pensione, la valutazione dei costi

Naturalmente, risulta importante verificare i costi applicati dal fondo pensione al quale si aderisce. Le spese, infatti, possono incidere sull’importo della futura rendita pensionistica. E, pertanto, risulta decisivo anche verificare quali siano le linee di investimento che vengono offerte dal fondo, le garanzie a disposizione e i rischi finanziari.

Come scegliere il fondo pensione se si è lavoratori dipendenti?

I lavoratori dipendenti, inoltre, nella loro scelta devono considerare anche la possibilità di lasciare il Trattamento di fine rapporto (Tfr) in azienda oppure destinarlo alla previdenza complementare. In questo ultimo caso, devono decidere anche in quale misura. Tuttavia, esistono soluzioni di previdenza complementare che prevedono l’ottenimento di un contributo anche da parte del datore di lavoro.

Come scegliere il fondo pensione giusto per le proprie esigenze?

La scelta di aderire a un fondo pensione, dunque, dipende molto anche dal tipo di lavoro o di attività che si svolge. Un lavoratore del settore privato può partecipare a un’adesione collettiva qualora lo preveda il proprio contratto di lavoro. E, dunque, può iscriversi a un fondo pensione di tipo negoziale, aperto o preesistente che faccia da punto di riferimento per le necessità del settore di attività, dell’azienda stessa o della regione. Gli edili, come i lavoratori di altri settori, partecipano in automatico al fondo pensione della propria categoria. L’iscrizione (in questo caso contrattuale) avviene già al momento dell’assunzione.

Previdenza complementare, il lavoratore autonomo deve iscriversi necessariamente al fondo pensione aziendale?

I lavoratori alle dipendenze del settore privato possono non avere un fondo pensione di riferimento. Oppure possono decidere di non iscriversi alla previdenza complementare aziendale. Ma possono comunque avere la necessità di iscriversi a un fondo pensione. In questo caso, si può costruire una futura pensione integrativa partecipando, individualmente, aderendo a un fondo pensione aperto o a un Piano individuale pensionistico (Pip).

Previdenza complementare di un lavoratore del pubblico impiego

I lavoratori dipendenti del pubblico impiego hanno la possibilità di aderire alla previdenza complementare relativa alla categoria di riferimento. Inoltre, hanno anche l’opzione di aderire a un fondo regionale laddove sia previsto. Tuttavia, chi aderisce a un fondo pensione ed è un lavoratore del settore pubblico dovrebbe verificare le prestazioni erogate soprattutto per quanto riguarda il diverso trattamento fiscale che si ottiene rispetto ai fondi pensione dei dipendenti del settore privato.

Lavoratori autonomi, quale fondo pensione scegliere?

I lavoratori autonomi possono aderire individualmente a un fondo pensione aperto o a un Piano individuale pensionistico (Pip). Queste due opzioni sono alla portata anche di un lavoratore del pubblico impiego nel caso in cui volesse integrare ulteriormente la propria pensione complementare con un investimento differente da quello previsto dall’adesione collettiva al fondo pensione di categoria. Le due opzioni, inoltre, sono sempre praticabili dai lavoratori che abbiano un’altra tipologia di contratto, oppure se il contratto di lavoro non preveda l’adesione a un fondo pensione. E, in ogni caso, qualora il lavoratore dovesse decidere di aderire a un fondo pensione differente da quello previsto dal contratto di lavoro.

Scegliere di aderire a un fondo pensione per i familiari a carico

Un lavoratore può decidere di iscrivere i familiari fiscalmente a carico a un fondo pensione. Ad esempio, possono essere iscritti alla previdenza complementare i figli come formula di investimento dei propri risparmi e, soprattutto, per assicurare loro di poter disporre di una pensione integrativa futura. Anche in questo caso, chi dovesse decidere di investire i propri risparmi verso una fondo pensione, può beneficiare della deducibilità fiscale entro il limite di 5.164,57 euro per ogni anno di adesione.

Pensioni, nel 2022 in uscita fino a 55mila lavoratori con quota 102, opzione donna e Ape

Sono stimate in 55 mila le uscite nel corso del 2022 con le misure di pensione anticipata incluse nella legge di Bilancio di fine anno. Il pacchetto che il governo stanzierà per le pensioni del 2022 è di 600 milioni di euro e comprenderà gli strumenti previdenziali della quota 102, dell’opzione donna e dell’Ape sociale. La stima è contenuta nella relazione tecnica al disegno di legge di Bilancio arrivato al Senato nei giorni scorsi.

Pensioni con quota 102, come si esce nel 2022 dal lavoro?

Tra le misure di pensione anticipata attese per il prossimo anno c’è quota 102 che va a sostituire la quota 100. Sulla nuova misura le previsioni del governo sono di 16.800 nuovi pensionati che, nel corso dell’anno, compiranno l’età di 64 anni e potranno uscire al raggiungimento dei 38 anni di contributi versati. Dei 600 milioni di euro stanziati per le pensioni dal governo, quota 102 ne assorbirà 176 milioni.

Quali requisiti sono richiesti nel 2022 per le pensioni con opzione donna?

Le altre pensioni riguarderanno opzione donna e Ape sociale. Sulla misura riservata alle lavoratrici si stimano 17 mila nuove pensionate. Rimarranno inalterati i requisiti di uscita, passaggio che ha fatto lievitare il numero delle beneficiarie rispetto alle prime stime di qualche giorno fa dei sindacati. Potranno accedere all’opzione donna le lavoratrici che abbiano almeno 35 anni di contributi versati e l’età di 58 anni (se dipendenti) o di 59 anni (se autonome). La pensione verrà calcolata, come è già avvenuto per le precedenti proroghe, interamente con il metodo contributivo.

Quante lavoratrici usciranno nel 2022, 2023 e 2024 con opzione donna?

Sull’opzione donna il governo stima, tuttavia, che le lavoratrici in possesso dei requisiti di uscita saranno più di quelle che effettivamente sceglieranno la misura. La relazione tecnica del governo, infatti, stima in 29.500 il numero delle lavoratrici in possesso dei requisiti richiesti. Il costo totale delle pensioni delle nuove pensionate dovrebbe aggirarsi intorno ai 111 milioni di euro e 200 mila. Secondo le previsioni, opzione donna nei prossimi anni raggiungerà numeri più alti di uscita. Infatti, per il 2023 sono previste 28.200 nuove uscite e per il 2024 altre 29.100.

Con quanto si va in pensione con opzione donna?

La relazione tecnica fa anche delle stime sulla pensione futura delle donne che scelgano questa misura per uscire in anticipo da lavoro. Considerando il ricalcolo contributivo dell’assegno, l’importo medio del mensile si attesta sui 1.100 euro per le dipendenti del settore privato; sui 1.250 euro per le lavoratrici del pubblico impiego; infine sugli 810 euro per le lavoratrici autonome. La riduzione stimata accettando il ricalcolo del contributivo è del 6% per le donne che lavorano alle dipendenze e del 13% per le autonome.

Pensioni, quante uscire nel 2022 con l’Ape sociale?

Più alto, secondo le stime, è il numero dei lavoratori che nel prossimo anno andrà in pensione con l’Ape sociale. La misura, che conterà nuove categorie di lavoratori impiegati in mansioni gravose, dovrebbe assicurare la pensione a 21.200 lavoratori. La voce a bilancio per l’anticipo pensionistico sociale dovrebbe avere un costo stimato sui 141,2 milioni di euro, per salire a 275 nel 2023 e abbassarsi negli anni successivi.

Qual è la pensione che si ottiene con la quota 102?

Sulle stime di uscita dei prossimi anni, la nuova quota 102 dovrebbe far registrare altre 23.500 pensioni nel 2023, per poi abbassarsi a 15.100 nel 2024 e a 5.500 nel 2025. Nel 2026 sono previste pochissime uscite: si stimano circa mille nuovi pensionati con quota 102. Il ministero dell’Economia ha stimato che l’assegno di pensione ottenuto con la quota 102 dovrebbe assestarsi sui 26 mila euro lordi all’anno.

Riscatto laurea per titolo ottenuto prima del 1996: si può con il costo agevolato di 5.265 euro?

Si può riscattare la laurea ai fini pensionistici per un titolo conseguito prima del 1996 richiedendo il riscatto agevolato previsto dal decreto numero 4 del 2019? La risposta è positiva. Il contribuente può riscattare la laurea pagando 5.265 euro per ogni anno di studio di laurea (escluso gli anni fuori corso). Ma è necessario conoscere i vantaggi e gli svantaggi di chi scelga questa opzione.

Riscatto laurea, si perdono le quote retributive pensione con il pagamento agevolato

Infatti, il riscatto agevolato della laurea per anni prima del 1996 comporta il passaggio del lavoratore alle regole del sistema previdenziale contributivo. Lo svantaggio, dunque, deriverebbe dalla perdita delle quote retributive per gli anni di lavoro svolti entro il 31 dicembre 1995. O addirittura fino al 2012 per i contribuenti retributivi puri, ovvero che abbiano almeno 18 anni di contributi versati prima della fine del 1995. Pertanto, alcuni periodi lavorativi verrebbero calcolati con il sistema contributivo anziché con il più vantaggioso sistema retributivo.

Conviene a un lavoratore con più di 50 anni riscattare la laurea per la pensione futura?

Si può considerare un lavoratore nato nel 1968 che lavori a tempo indeterminato da novembre del 1995 (prima dell’entrata in vigore del regime previdenziale contributivo del 1° gennaio 1996), con 4 anni di corso di laurea da riscattare prima del 1996 e con un anno di militare già riscattato. Senza il riscatto della laurea, il lavoratore andrebbe in pensione di vecchiaia nel 2037; per la pensione anticipata dei 42 anni e 10 mesi di contributi l’uscita da lavoro arriverebbe dopo la pensione di vecchiaia e dunque non sarebbe un’ipotesi da prendere in considerazione.

Quanto conviene riscattare la laurea per andare in pensione prima?

Ma riscattando gli anni di laurea, il lavoratore potrebbe andare in pensione anticipata nel 2034. Accorcerebbe dunque la propria permanenza a lavoro di tre anni rispetto alla pensione di vecchiaia. In questo caso, dunque, il contribuente farebbe bene a procedere con la richiesta all’Inps del riscatto della laurea. Tuttavia, diversa è la quantificazione del vantaggio nel pagare il riscatto stesso con le agevolazioni del decreto 4 del 2019.

Quanto costa riscattare la laurea con l’onere agevolato del decreto 4 del 2019?

Innanzitutto, la comparazione è proprio sul costo del riscatto della laurea. Con l’onere agevolato del decreto 4 del 2019, il lavoratore pagherebbe 5.265 euro per ogni anno di corso. Ma in questo calcolo tra costi e benefici bisogna misurare anche la perdita dovuta alla rinuncia delle quote retributive per un calcolo della pensione futura da fare interamente con il metodo contributivo. In alternativa, il costo del riscatto potrebbe essere calcolato con il metodo della riserva matematica. In questo caso, entrano nel calcolo fattori come il reddito che il lavoratore consegue con il suo lavoro.

Cosa bisogna sapere sul riscatto della laurea prima di inviare la domanda all’Inps?

In soccorso dei contribuenti per i dubbi relativi al riscatto della laurea, l’Inps ha previsto strumenti che consentono di fare delle stime sui vantaggi e sugli svantaggi dell’operazione. Il servizio Inps consente dunque di procedere a una stima ai fini del diritto della pensione e del calcolo di tutte le prestazioni pensionistiche trasformando gli anni di corso di laurea in anni contributivi. A tal proposito, prima di inoltrare la domanda di riscatto laurea, si può utilizzare il simulatore presente sul sito dell’Istituto di previdenza.

Simulatore Inps calcolo della pensione con o senza il riscatto della laurea

Il simulatore dell’Inps, infatti, permette di avere informazioni personalizzate e, in base a queste, ottenere risposte su:

  • il costo da pagare per riscattare la laurea;
  • la possibilità di rateizzare il costo della laurea;
  • la decorrenza della propria pensione futura con le varie opzioni di uscita, sia con il riscatto della laurea che senza;
  • di quanto beneficerà l’importo dell’assegno pensionistico futuro con il riscatto rispetto all’ipotesi che non si faccia alcun riscatto.

Tutte le risposte che fornisce il simulatore dell’Inps sarebbero di aiuto al lavoratore del quale abbiamo fatto l’esempio per procedere con la scelta.

Riscatto della laurea, quali regole è necessario seguire?

Per l’utilizzo del simulatore dell’Inps sul calcolo del riscatto della laurea e sulle varie opzione previdenziali di uscita è necessario avere qualche informazione su ciò che si può fare e ciò che non è previsto dalla normativa. Ad esempio, gli anni di riscatto sono solo quelli previsti dal corso di laurea. Non si possono aggiungere al riscatto, pertanto, periodi fuori corso.

Riscatto laurea, quali titoli si possono riscattare e per quali periodi?

Non si possono riscattare, altresì, periodi che sono già coperti dalla contribuzione obbligatoria. Si possono riscattare, invece, i diplomi universitari. Pertanto vanno bene anche i diplomi di durata dai due ai tre anni. Per i diplomi di laurea la durata deve essere compresa tra i 4 e i 6 anni. I diplomi di specializzazione, conseguiti dopo la laurea, si possono riscattare per un periodo non inferiore ai 2 anni. Si possono riscattare anche i dottorati di ricerca e le lauree triennale (oltre alla laurea magistrale e specialistica). Infine, si possono riscattare i diplomi rilasciati dagli Afam (Istituti di Alta Formazione Artistica e Musicale).

Pensioni, con le misure della Manovra 2022 ci sarebbe un crollo delle uscite nel prossimo anno

Con le misure introdotte nella legge di Bilancio 2022 potrebbe esserci un crollo delle domande di pensione nel prossimo anno. È quanto emerge da uno studio portato avanti dall’Osservatorio della previdenza Fondazione di Vittorio e dalla Cgil sulla nuova quota 102 in merito alla proroga e al potenziamento dell’Ape sociale (anche con le nuove categorie di lavoratori addetti a mansioni gravose) e alla conferma di Opzione donna.

Quante nuove domande di pensione sono attese nel 2022?

Secondo quanto emerge dallo studio le nuove pensioni con le misure della legge di Bilancio sarebbero 32.151 nel 2022. Si tratta, in termini percentuali, del 22,6% di nuove pensioni in rapporto alle 141.918 domande che sono state accolte nel 2020. Per quanto riguarda l’anticipo pensionistico sociale (Ape sociale) le domande di pensionamento potrebbero arrivare a 11.674 nel comparto dei lavoratori gravosi. Le lavoratrici in uscita con l’Opzione donna solo 2.013.

Pensioni Opzione donna 2022, poco più di 2 mila le nuove uscite

Il numero basso delle lavoratrici in uscita nel 2022 con la proroga di Opzione donna potrebbe essere determinato dal fatto che i requisiti proposti dalla legge di Bilancio 2022 andrebbero a vantaggio di una ristretta platea di lavoratrici. Infatti la maggior parte delle lavoratrici, secondo quanto spiega Enzo Cigna della Cgil, hanno già maturato il diritto alla misura negli anni precedenti.

Opzione donna, ecco i requisiti di pensione del 2022

Inoltre, con la nuova legge di Bilancio si innalzerebbero i requisiti richiesti alle donne. In uscita andrebbero le lavoratrici che, al 31 dicembre 2021, maturino l’età di 61 anni (le autonome) o di 60 anni (le dipendenti) unitamente ad almeno 35 anni di contributi versati. Peraltro, le pensioni delle lavoratrici in uscita con Opzione donna verrebbero calcolate, come nel passato, interamente con il metodo contributivo.

Riforma pensioni, Roberto Ghiselli (Cgil) pronto al confronto con il governo

La partita della riforma delle pensioni per il 2022 tuttavia non sembrerebbe essere chiusa. Roberto Ghiselli, segretario confederale della Cgil, ha ribadito nella giornata del 6 novembre la necessità di “aprire un confronto immediato con il governo”, dichiarandosi disponibile a “migliorare sin da subito le misure previdenziali della legge di Bilancio”.

Maurizio Landini non esclude lo sciopero generale per le pensioni

Anche il segretario della Cgil Maurizio Landini si è detto disponibile a un confronto con il governo. “La legge di Bilancio 2022 va cambiata e migliorata – ha sostenuto Landini – Se dal governo non arriveranno risposte potrebbe essere necessario lo sciopero generale”.

Assegno invalidità dopo lo stop Inps a svolgere un lavoro, si attendono nuovi limiti reddituali

Si attende lo stop alla stretta degli assegni di invalidità dopo il messaggio Inps numero 3495 del 2021. A intervenire nella giornata del 3 novembre è stato il ministro del Lavoro Andrea Orlando che ha illustrato, nel question time del Parlamento, i passaggi fondamentali per risolvere la questione degli assegni di invalidità. L’intervento atteso sulle invalidità potrebbe essere contenuto già durante la conversione in legge del decreto fiscale. Il provvedimento, attualmente, è in discussione nelle Commissioni Finanze e Lavoro del Senato.

Assegno di invalidità, il messaggio Inps numero 3495 del 2021 che ha sollevato la questione

La questione di chi percepisce un assegno di invalidità e svolga un’attività di lavoro è stata sollevata dal messaggio dell’Inps numero 3495 del 14 ottobre 2021. Nella nota, si legge, “la Corte di Cassazione, con diverse pronunce, è intervenuta sul requisito dell’inattività lavorativa di cui all’articolo 13 della legge 30 marzo 1971, numero 118, come modificato dall’articolo 1, comma 35, della legge 24 dicembre 2007, numero 247, affermando che il mancato svolgimento dell’attività lavorativa integra non già una mera condizione di erogabilità della prestazione ma, al pari del requisito sanitario, un elemento costitutivo del diritto alla prestazione assistenziale, la mancanza del quale è deducibile o rilevabile d’ufficio in qualsiasi stato e grado del giudizio”.

Invalidità, cosa dice la Giurisprudenza sulla possibilità di lavorare?

Pertanto, la Giurisprudenza di legittimità ritiene che lo svolgimento di un’attività lavoratori, a prescindere dal reddito che ne consegue, preclude il diritto al beneficio dell’assegno di invalidità. L’Inps termina il messaggio disponendo che l’assegno mensile di invalidità “sarà pertanto liquidato, fermi restando tutti i requisiti previsti dalla legge, solo nel caso in cui risulti l’inattività lavorativa del soggetto beneficiario”.

Chi percepisce un assegno di invalidità può lavorare?

Il che significa, come nella domanda posta dall’onorevole Stefano Lepri del Partito democratico nel question time del 3 novembre 2021, che l’assegno sarà corrisposto da ora in avanti solo a fronte di una totale inattività da parte del beneficiario. Fino al messaggio dell’Inps, al beneficiario dell’assegno con una percentuale di invalidità tra il 74% e il 95% e con un reddito di 4.931 euro all’anno è stato concesso di lavorare in quanto si tratterebbe di un reddito non rilevante.

Attività lavorativa come mezzo di inclusione nella società di chi percepisce l’assegno di invalidità

“Il messaggio dell’Inps – conclude Lepri – è un passo indietro perché si disincentiva la persona con invalidità ad attivarsi, a darsi da fare e a non ripiegarsi nella sua condizione di invalidità. La seconda ragione è che in questo modo si mortifica la grande attività di associazioni ed enti che hanno provato con successo in molti casi a inserire gli invalidi nel mondo del lavoro”.

Posizione ministero del Lavoro dopo messaggio Inps sui percettori di assegno di invalidità

Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando sul punto ha fornito risposta. “La questione è oggetto in questi giorni di grande attenzione da parte delle associazioni di settore e dal Parlamento stesso – ha informato Orlando – La tutela degli invalidi civili che hanno diritto al riconoscimento di determinate prestazioni economiche richiede con urgenza una soluzione efficace a una questione che investe la situazione di persone e di famiglie in condizioni di fragilità e difficoltà.

Assegno di invalidità, sulla possibilità di lavorare si attende una proposta emendativa per attività entro certi limiti di reddito

Il ministro Orlando ha concluso il suo intervento in Parlamento con parole di rassicurazione: “Dopo un confronto con l’Inps, il ministero del Lavoro sta producendo una proposta emendativa che permetta di risolvere il problema per consentire la prestazione lavorativa entro certi limiti reddituali a prescindere dalla natura del reddito. La proposta – ha continuato l’onorevole Andrea Orlando – sarà inserita nel veicolo normativo più opportuno tra quelli in discussione in Parlamento ed è molto probabile che arrivi già durante la conversione in legge del decreto fiscale, ora in discussione in Senato, al fine di giungere a una celere soluzione della questione per assicurare un sostegno economico agli invalidi civili parziali”.

Giornalisti, quando vanno in pensione con l’INPGI?

Oggi andremo a scrutare una nuova possibilità di pensionamento, per una categoria di lavoratori non sempre considerata in tal senso: i giornalisti. Quando vanno in pensione con la modalità INPGI? Scopriamolo assieme in questa rapida guida.

INPGI di cosa si tratta

Innanzitutto, partiamo col precisare di cosa si parla quando si fa riferimento all’ INPGI.

In sostanza, l’ INPGI, conosciuto anche come istituto Giovanni Amendola (in onore al politico e giornalista nato a Napoli a fine 1800), è un istituto che gestisce la previdenza dei giornalisti professionisti e praticanti nonchè dei giornalisti pubblicisti che hanno un rapporto di lavoro subordinato di natura giornalistica.

Tale istituto ha connotazione del tutto peculiare rispetto alle altre forme di previdenza obbligatorie in quanto esso è l’unico ente che amministra una forma sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria in regime di diritto privato a seguito della privatizzazione del Dlgs 509/1994.

Quali sono, dunque le modalità di pensionamento con INPGI per i giornalisti che devono andare in pensione?

Pensione INPGI: modalità e requisiti

Vediamo, dunque, di seguito, come è possibile ottenere il pensionamento con INPGI.

Da quanto detto nel paragrafo precedente, si evnice che le norme sulla previdenza pubblica obbligatoria, quelle destinate ai lavoratori assicurati presso l’Inps, non risultano direttamente applicabili ai lavoratori del settore, molto spesso.

Per esempio, alla forma pensionistica INPGI non può essere applicata la pensione con “Quota 100”. La normativa applicabile agli assicurati presso l’ istituto trova, pertanto, fondamento nel regolamento delle attività istituzionali del Fondo che è sottoposto, comunque, alla vigilanza del Ministero del Lavoro e del Ministero del Tesoro.

Ma quali sono i requisiti per il pensionamento INPGI?

Dal non troppo lontano gennaio 2017 è entrata in vigore la Riforma dell INPGI, con l’obiettivo di assicurare l’equilibrio di bilancio della Fondazione nel medio e lungo periodo. Suddetto regolamento ha avuto il pregio, tra le altre cose, di introdurre, nel rispetto del pro rata, il sistema di calcolo contributivo nella gestione che fa riferimento alle anzianità contributive maturate dalla predetta data in poi, un intervento particolarmente simile a quanto avvenne nel 1996 nel regime Inps con la Legge Dini.

Quindi, Dal 1° gennaio 2019 al 31 dicembre 2022 tutti coloro che sono iscritti alla gestione assicurativa, uomini e donne, possono accedere alla prestazione di vecchiaia al raggiungimento di 67 anni unitamente ad almeno 20 anni di contributi. 

In alternativa a ciò, sarà possibile accedere alla pensione di anzianità con un minimo di 62 anni e 5 mesi di età unitamente a 40 anni e 5 mesi di contributi o ancora, a prescindere dall’età anagrafica, al raggiungimento dei requisiti vigenti nell’AGO, vale a dire 41 anni e 10 mesi di contributi (42 anni e 10 mesi gli uomini) più una finestra mobile di tre mesi dalla maturazione del predetto requisito.

Tutti i requisiti succitati formano oggetto di adeguamento alla speranza vita ISTAT. Ovviamente chi ha raggiunto i requisiti pensionistici previgenti entro il 31 dicembre 2016, ovvero prima dell’entrata in vigore del nuovo regolamento istituzionale, può mantenere la facoltà di andare in pensione con le previgenti regole.

In ultimo, ma non ultimo, va aggiunto che, differentemente dal sistema gestito dall’Inps, il regolamento INPGI prevede, per i giornalisti che non hanno raggiunto il minimo di 20 anni di contributi all’età prevista per il pensionamento di vecchiaia, la possibilità di chiedere una indennità una tantum che è paritaria all’importo dei contributi effettivamente versati nell’assicurazione invalidità vecchiaia e superstiti.

Tuttavia, va ricordato che il requisito contributivo di 20 anni utile ad ottenere la pensione di vecchiaia può essere raggiunto anche cumulando la contribuzione presente in tutte le gestioni INPS (anche ex-Enpals e Ex-Inpdap) oltre che presso la “gestione INPGI 2”.

Invece, il requisito contributivo per la pensione di anzianità, può essere integrato solo con la contribuzione versata nell’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS (gestione privata) ai sensi dell’articolo 3 della legge n. 1122/1955 (cd. legge “Vigorelli”).

Questo è quanto vi fosse di più necessario ed utile da sapere in merito alla modalità di pensionamento per giornalisti con INPGI.

Come vanno in pensione artisti e lavoratori dello spettacolo?

Quali sono i requisiti affinché gli artisti e i lavoratori dello spettacolo maturino il diritto di andare in pensione? Proprio durante l’anno 2021 sono stati modificati alcuni requisiti di calcolo per le pensioni a decorrere decorrere dal 1° agosto scorso. La novità più consistente riguarda il requisito contributivo minimo per il diritto a un anno intero di anzianità utile per la pensione.

Pensioni lavoratori dello spettacolo, come calcolare le giornate lavorative?

Per le pensioni degli artisti, a partire dal 1° luglio 2021 e a decorrere dalle uscite del 1° agosto 2021, l’anno di contribuzione si calcola non più con 120 giornate lavorative, ma con 90. Dei 90 giorni, almeno 60 devono essere stati svolti in attività lavorative nel settore dello spettacolo. I restanti 30 giorni possono essere stati svolti in qualsiasi ambito lavorativo. Ovvero ad attività riconducibili in altre gestioni previdenziali. Sono comprese l’Assicurazione generale obbligatoria (Ago), il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (Fpld) o dei lavoratori agricoli autonomi, ma anche i contributi volontari e figurativi.

Artisti, delle 90 giornate di lavoro, 2/3 devono essere state svolte nello spettacolo

Come specifica il comma 17 dell’articolo 66 del decreto legge numero 73 de 2021, “ai fini dell’accesso al diritto alle prestazioni, i requisiti contributivi da far valere ai fini degli articoli 6 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, numero 1420, devono riferirsi per almeno due terzi ad effettive prestazioni lavorative svolte nel settore dello spettacolo”. Restano escluse da questa norma i ballerini e tersicorei per i quali il calcolo deve essere fatto sulle effettive giornate lavorative svolte nella relativa qualifica (90 su 90).

Lavoratori dello spettacolo, servono 90 giornate lavorative all’anno per i contributi

L’abbassamento delle giornate utili per far valere un anno pieno di contributi è stato operato dal decreto numero 73 del 2021. La legge numero 106 del 2021 ha convertito il decreto. Lo stesso decreto Sostegni bis ha esteso anche l’obbligo assicurativo al Fondo pensione dei lavoratori dello spettacolo (Fpls) a nuove categorie di lavoratori. La novità del calcolo dell’anno di contribuzione con 90 giornate lavorate ai fini della pensione riguarda i lavoratori appartenenti al Gruppo A elencati dal decreto ministeriali del 15 marzo 2005. Si tratta prevalentemente degli attori, dei conduttori, dei registi e dei cantanti.

Pensioni spettacolo, come considerare le giornate di lavoro per attività di formazione, insegnamento e promozionali?

La giornata lavorativa rientrante nelle 90 richieste per far valere un anno di contribuzione ai fini della pensione, può riguardare anche le attività di insegnamento o di formazione o quelle a carattere promozionale. Con l’entrata in vigore del decreto Sostegni bis, anche queste attività rientrano nel conteggio delle giornate utili ai fini pensionistici. Il calcolo vale anche se le giornate sono svolte a tempo determinato. Purché si tratti di lavoratori che abbiano le qualifiche professionali per rientrare nel Gruppo A.

Pensione di vecchiaia lavoratori spettacolo con contributi prima del 1996

Chiarito il metodo di calcolo delle giornate lavorative, è necessario verificare i requisiti (ovvero l’età anagrafica e il numero di anni di giornate lavorative) necessari per andare in pensione. Una prima suddivisione dei lavoratori dello spettacolo e degli artisti si può fare in base ai versamenti fatti prima o dopo il 31 dicembre 1995. Per chi ha lavorato entro la fine del 1995, i requisiti della pensione di vecchiaia sono i seguenti:

  • per il gruppo ballo (ballerini, coreografi, tersicorei, assistenti coreografi) fino al 31 dicembre 2024 la pensione di vecchiaia si raggiunge all’età di 47 anni con almeno 20 anni di contributi versati;
  • i registi, i produttori, i bandisti, le maestranze e i tecnici con contratto a tempo determinato e per impiegati, operai e maestranze con contratto a tempo indeterminato, vanno in pensione di vecchiaia a decorrere dai 66 anni e 7 mesi con 20 anni di contributi;
  • il gruppo cantanti, artisti lirici e orchestrali va in pensione a 62 anni (uomini) e a 61 anni (donne) con 20 anni di contributi.

Pensioni lavoratori spettacolo con contributi dopo il 31 dicembre 1995

Per i lavoratori dello spettacolo con contributi versati dopo il 31 dicembre 1995, le regole di pensionamento di vecchiaia sono i seguenti:

  • i lavoratori lavoratori del gruppo ballo con contributi a partire dal 1° gennaio 1996 (sistema “contributivo”) i requisiti della pensioni di vecchiaia sono i medesimi dei lavoratori con contributi entro il 1995;
  • registi, produttori, bandisti iscritti al Fondo pensione lavoratori dello spettacolo l’età minima di uscita per la pensione di vecchiaia è la medesima (66 anni e 7 mesi).

Pensione anticipata lavoratori dello spettacolo: ecco i requisiti

Per la pensione anticipata dei lavoratori dello spettacolo (cantanti, artisti lirici, orchestrali, atttori, conduttori, direttori d’orchestra e relativi operatori), con contributi entro il 31 dicembre 1995, i requisiti sono i seguenti:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi con 3 mesi di finestra mobile (per gli uomini);
  • 41 anni e 10 mesi di contributi con 3 mesi di finestra mobile (per le donne).

Pensione anticipata artisti e lavoratori spettacolo a 63 anni

I requisiti rimarranno in vigore fino al 31 dicembre 2028. Gli stessi requisiti di uscita sono applicati anche ai lavoratori che hanno iniziato a contribuire dopo il 31 dicembre 1995. Questi ultimi possono, in alternativa, ricorrere alla pensione anticipata contributiva. I requisiti richiesti sono:

  • età minima di 63 anni;
  • 20 anni di contributi versati;
  • assegno di pensione mensile almeno di 2,8 volte l’importo dell’assegno sociale.