APE Sociale 2022: tutte le novità introdotte con la legge di bilancio

L’APE Sociale è l’anticipo pensionistico che accompagna il lavoratore alla pensione. Con l’arrivo del nuovo anno ci sono però delle novità. Ecco le caratteristiche dell’APE Sociale 2022.

Cos’è l’APE Sociale?

L’APE Social è una misura che consente a determinate categorie di lavoratori di accedere a un anticipo pensionistico, una sorta di scivolo, che lo accompagna fino alla pensione di vecchiaia. E’ stata introdotta in via sperimentale la prima volta nel 2017 e poi prorogata di anno in anno. L’ultima proroga, con leggere modifiche, arriva con la legge di bilancio 2022. Possono usufruire di questa misura solo determinate categorie di lavoratori e in particolare possono uscire anticipatamente dal lavoro i disoccupati, i caregivers (cioè chi assiste il coniuge o altro parente di primo grado con handicap) e coloro che svolgono lavori particolarmente usuranti, cioè i lavori gravosi ed è proprio su questo ultimo punto che vi sono delle novità.

APE Sociale 2022: novità introdotte

La prima novità è la proroga dell’APE Social per tutto il 2022, inoltre viene ampliata la platea dei beneficiari, cioè di coloro che svolgono lavori gravosi. Ad entrare nella riforma sono in primo luogo gli edili e i ceramisti che potranno accedere all’anticipo pensionistico al compimento dei 63 anni di età a patto che abbiano almeno 32 anni di contributi, in passato il requisito contributivo era di 36 anni.

I lavori gravosi che potranno accedere all’anticipo pensionistico sono ora:

  • insegnanti della scuola primaria, pre-primaria e assimilati ;
  • tecnici della salute;
  • magazzinieri: addetti alla gestione dei magazzini, personale adibito allo spostamento di merci, conduttori di veicoli per lo spostamento di merci;
  • estetiste;
  • esercenti professioni sanitarie;
  • addetti ai servizi di assistenza per persone non autosufficienti;
  • artigiani;
  • operai specializzati;
  • agricoltori e professioni non qualificate nell’agricoltura, allevamento, silvicoltura e pesca:
  • Lavoratori di miniere: addetti all’estrazione di minerali e costruzioni, conduttori di impianti per l’estrazione di minerali;
  • portantini;
  • addetti ai servizi di pulizia;
  • lavoratori in impianti per la lavorazione a caldo dei minerali;
  • addetti ad impianti per la trasformazione del legno e la produzione di carta;
  • Lavoratori in impianti per la produzione di energia termica e a vapore, impianti per il recupero dei rifiuti e impianti per il trattamento delle acque;
  • lavoratori nel settore della raffinazione del gas e prodotti petroliferi, chimica di base ed evoluta;
  • conduttori mulini e impastatrici;
  • operatori dell’industria alimentare;
  • conduttori di forni e impianti ad elevate temperature ad esempio per la lavorazione di vetro e ceramica.

Coloro che hanno i requisiti per poter accedere al beneficio devono proporre la domanda entro il 31 marzo 2022. L’importo dell’assegno mensile viene calcolato tenendo in considerazione i requisiti contributivi e anagrafici maturati al momento dell’accesso alla prestazione, ma comunque non può superare l’importo di 1.500 euro.

APE Sociale per i care givers

Per quanto riguarda invece i care givers, la normativa prevede la possibilità di accedere all’APE Sociale 2022 nel caso in cui siano stati compiuti 63 anni e siano maturati 30 anni di contributi. Per poter accedere è necessario assistere da almeno 6 mesi un parente di primo grado con grave handicap. L’APE Social può essere estesa anche all’assistenza a parenti entro il secondo grado solo nel caso in cui costoro non abbiano parenti di primo grado, oppure questi abbiano superato i 70 anni di età oppure siano a loro volta invalidi o siano deceduti. Ad esempio una sorella può usufruire dell’APE Social per assistere un fratello gravemente malato se questo non abbia un coniuge, un genitore o altro parente di primo grado che possa occuparsene.

APE Sociale per disoccupati

L’APE sociale per i disoccupati viene riconosciuta a coloro che hanno perso il lavoro in seguito a licenziamento individuale o collettivo oppure abbiano dato le dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. L’importante è aver maturato almeno 18 mesi di lavoro dipendente nell’arco degli ultimi 36 mesi. Non è più richiesta la fine della percezione della NASPI da tre mesi.

Possono infine accedere all’Ape Sociale coloro che oltre ad avere i requisiti prima visti (63 anni e 30 anni di contributi) abbiano anche il 74% di invalidità.

La domanda può essere presentata direttamente sul sito INPS accedendo con lo SPID, con la CIE o CNS. Secondo gli studi condotti dal Senato dovrebbero avere accesso a questa misura 21.200 persone.

Pensioni, ecco tutti gli aumenti dell’assegno da gennaio 2022

Crescono, anche se di poco, gli assegni di pensione a partire da gennaio 2022. Scatta da oggi la rivalutazione dell’1,7% sugli assegni di pensione dovuta all’adeguamento all’aumento dei prezzi. L’adeguamento pieno all’inflazione sussiste per le pensioni fino a 4 volte la pensione minima, ovvero fino a 2.062 euro lordi mensili. Nel contempo, il taglio dell’Irpef riguarderà anche i pensionati: il meccanismo a scaglioni andrà a premiare soprattutto i redditi di pensione medi e alti. Intanto, sono state fatte le prime stime dei lavoratori che andranno in pensione anticipata nel 2022: saranno 55 mila.

Pensioni, nel 2022 gli importi cresceranno mediamente dell’1,7%

Al termine di anni in cui l’inflazione è stata pari a zero, da gennaio 2022 le pensioni torneranno a crescere di importo mediamente dell’1,7%. Tuttavia, l’Inps ha avvertito che per i primi tre mesi l’aumento sarà dell’1,6%. Ovvero verrà applicato il tasso di rivalutazione delle pensioni calcolato fino a qualche mese fa. Solo in primavera le pensioni riceveranno l’adeguamento pieno e verrà versato anche il conguaglio.

Pensioni, nel 2022 spariscono le sette fasce: ci saranno solo tre scaglioni di aumento

Un’altra novità sugli importi delle pensioni del 2022 è quella che vede sparire il sistema delle sette fasce per tornare a quello dei tre scaglioni. La rivalutazione è piena per le pensioni di importo fino a quattro volte il minimo, ovvero per assegni fino a 2.062 euro lordi. Per questi importi, l’aumento è del 100%, ovvero dell’1,7%. La percentuale si abbassa per le pensioni di importo superiore, ovvero tra quattro e cinque volte la pensione minima (il 90% dell’1,7% di aumento). Si tratta delle pensioni tra 2.062 e 2.578 euro lordi mensili. Infine, il 75% di aumento (sull’1,7%) è applicato alle pensioni superiori le cinque volte quelle minime (oltre 2.578 euro).

Pensioni 2022, ecco tutti gli importi degli aumenti mensili degli assegni

In base al nuovo meccanismo di calcolo degli adeguamenti delle pensioni, si possono fare degli esempi di adeguamento degli importi a partire da gennaio 2022:

  • pensioni di 700 euro nel 2021 saranno aumentate di 11,90 euro. Aumenteranno dunque a 711,90 euro;
  • le pensioni di 1000 euro nel 2021 otterranno 17 euro di aumento;
  • le pensioni di 1300 euro aumenteranno di 22,10 euro;
  • a 1600 euro l’aumento delle pensioni è di 27,20 euro;
  • per assegni di 2000 euro l’aumento è di 34 euro;
  • per i mensili di 2062,32 euro l’incremento è di 35,06 euro (fine prima fascia);
  • per pensioni di 2300 euro aumento di 38,70 euro;
  • per i mensili di 2500 euro l’aumento è di 41,76 euro;
  • per le pensioni di 2577,90 l’aumento è di 42,95 euro (fine seconda fascia e inizio terza e ultima fascia);
  • per gli assegni mensili di 2800 euro, l’aumento è di 45,78 euro;
  • per le pensioni di 3000 euro, l’incremento è di 48,33 euro;
  • per i mensili di 3500 euro l’aumento è di 54,71 euro;
  • per le pensioni di 4000 euro, l’aumento è di 61,08 euro;
  • per i mensili di 5000 euro, l’incremento spettante è di 73,83 euro.

Pensioni, nel 2022 gli aumenti degli importi arriveranno anche dal taglio dell’Irpef

Gli aumenti degli importi delle pensioni nel 2022 risentiranno, in positivo, anche del taglio dell’Irpef e delle detrazioni fiscali. Arriverà a marzo prossimo, infatti, il conguaglio per la Irpef non solo per i lavoratori dipendenti e autonomi, ma anche per i pensionati. Dei 7 miliardi di euro stanziati dal governo per la riforma fiscale, 2,6 miliardi andranno ai pensionati. Il conguaglio medio spettante ai pensionati sarà di 178 euro per ogni anno. A beneficiarne maggiormente saranno le pensioni di importo medio e alto. Le pensioni di 48 mila euro, infatti, avranno il risparmio fiscale più elevato, stimabile in 697 euro annui. Per le pensioni dai 40 ai 60 mila euro, il beneficio annuo oscilla tra 500 e 700 euro. Per le pensioni di 24 mila euro il beneficio Irpef si attesta sui 132 euro, mentre per assegni sotto i 18 mila euro il risparmio è di 200 euro.

Nuovi pensionati nel 2022, verso le 55 mila uscite anticipate

Con la nuova quota 102 (che va a sostituire la quota 100), l’opzione donna e l’Ape sociale allargata (alle nuove categorie di lavoratori impiegati in mansioni gravose) il numero delle pensioni anticipate nel 2020 toccherà la cifra di 55.300. Con quota 102, che somma l’età anagrafica di uscita a 64 anni unitamente ad almeno 38 anni di contributi, le uscite previste sono di 16.800 durante tutto il 2022.

Opzione donna, in pensione le lavoratrici di 58 o 59 anni

La legge di Bilancio 2022 ha prorogato, per tutto l’anno, anche l’opzione donna. I requisiti da soddisfare per andare in pensione prima sono i 35 ani di contributi e l’età di 58 anni (per le lavoratrici dipendenti) o di 59 anni (per le lavoratrici autonome) entro il 31 dicembre 2021. La Ragioneria Generale dello Stato calcola che le donne in uscita con questa misura nel 2022 saranno 17 mila.

Pensioni anticipate Ape sociale, l’allargamento dei lavori gravosi produce poche uscite in più

Prorogata per tutto l’anno dalla legge di Bilancio 2022 anche l’Ape sociale con l’allargamento anche ad altre mansioni usuranti della possibilità di uscita a 63 anni di età. Le categorie di lavori gravosi sono passate da 15 a 23: tuttavia l’allargamento produrrà solo 1.700 lavoratori in più in uscita. Rispetto alle altre categorie di gravosi, edili e ceramisti andranno in pensione con 32 anni di contributi anziché 36.

Pignoramento pensione: ecco entro quali limiti

In questa rapida guida andremo ad occuparci della questione del pignoramento della pensione, una paura che attanaglia molti. Ma come accade, quali sono i limiti entro cui si rischia qualcosa? Scopriamolo assieme.

Pignoramento pensione: cosa significa

Quando si fa riferimento alla possibilità di pignoramento della pensione si fa riferimento ad una sottrazione, ad un blocco della propria pensione sul conto corrente.

Nel momento in cui un soggetto ha contratto dei debiti e non è riuscito a saldarli, i creditori possono pignorare il suo conto corrente. Il pignoramento può riguardare anche la pensione, tuttavia la legge prevede un minimo vitale che deve essere rispettato dai creditori.

Quali sono quindi quei limiti previsti dalla legge? Scopriamolo nei prossimi paragrafi.

Quali sono i limiti per il pignoramento pensione

Tornando, quindi, a quanto detto, esiste un minimo garantito che non può essere pignorato.

Stando a quanto previsto nel nostro ordinamento, infatti, le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che hanno luogo di pensione o comunque di altri assegni di quiescenza, non possono essere oggetto di pignoramento per un totale che sia corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. Per cui la parte che eccede questo ammontare è pignorabile solamente nel limite di un quinto.

Quanto sopra rappresenta il c.d. “minimo vitale”, ovvero una somma di denaro che il legislatore ha ritenuto essere impignorabile, e che è indispensabile per poter garantire al pensionato un’esistenza dignitosa.

Vediamo, di seguito, come si può calcolare questo limite di garanzia.

Come calcolare il limite di pignoramento

Restando, dunque, in linea con quanto sopra indicato, andiamo a vedere come calcolare il minimo vitale non pignorabile.

Per ottenere questo calcolo, bisognerà innanzitutto prendere come oggetto di riferimento la misura dell’assegno sociale erogato dall’Inps (importo annualmente rivalutato) e andare a sommare a questo il 50% dello stesso medesimo importo.

Andando a considerare che per l’annata del 2018 l’importo dell’assegno sociale era pari a 453,00 Euro, ne consegue che il minimo impignorabile è pari ad euro 679,50 (ovvero 453,00 euro + 226,50 euro, che è il 50% di 453,00).

Una volta eseguito questo basilare calcolo, ne deriva che la parte di pensione che il creditore può effettivamente cercare di pignorare sarà pari al quinto di ciò che è in eccedenza. Ipotizzando una pensione di 1.500 euro, bisognerà quindi sottrarre i 679,50 euro come sopra calcolati e, sul risultato (ovvero 820,50 euro) così ottenuto, calcolare il quinto (164,10 euro).

Ecco, quindi come si calcola il limite non pignorabile.

Agenzia delle entrate, pignoramento e riscossione

Come si sa, l’Agenzia delle Entrate può eseguire una riscossione forzata in pignoramento presso terzi, attraverso notifica con cartelle esattoriali.

Anche nel suddetto caso vale la pena ricordare come la pensione non potrà mai essere pignorata per intero, considerando che la legge prevede specifici limiti di pignorabilità con riguardo ai crediti esattoriali, che variano in base agli importi della pensione e di altre indennità.

I limiti, nel caso specifico sono pari a:

  • 1/10 per importi fino a 2.500,00 euro;
  • 1/7 per importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro;
  • 1/5 per importi superiori a 5.000 euro.

Nella valutazione dei limiti sopra elencati, sarà importante avere a memoria che anche l’Agenzia delle Entrate – Riscossione dovrà rispettare i requisiti di minimo vitale impignorabile, come sopra anticipato.

Pignoramento pensione, previa conto corrente

Cambia qualcosa di leggermente più specifico nel caso in cui il creditore cerchi di pignorare la pensione che è in accredito sul conto corrente.

Nel suddetto caso, difatti, le pensioni che sono state accreditate nei mesi sul conto corrente possono essere pignorate solamente per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, ma tenendo conto che l’accredito dovrà essere avvenuto in data anteriore al pignoramento. Il limite di pignorabilità, quindi, potrà essere calcolato, per le somme precedentemente accreditate a titolo di pensione, in 1.359 euro, cioè nell’importo dell’assegno sociale (453,00) moltiplicato per tre.

Qualora l’accredito avesse luogo alla data del pignoramento o successivamente, la somma potrà essere pignorata nel rispetto dei limiti che sopra abbiamo avuto modo di ricordare.

Questo è dunque, quanto di più necessario da sapere in merito ai rischi e i limiti del pignoramento della pensione.

 

Pensione con 5, 10 e 15 anni di contributi, le opzioni

E’ possibile andare in pensione con pochi anni di contributi? Scopriamolo in questa rapida guida, quando è possibile ottenere il pensionamento con 5, 10, 15 anni di contributi soltanto.

Andare in pensione con pochi anni di contributi

Andare in pensione con 10 anni di contributi come detto poco sopra, è dunque fattibile. Esistono nell’attuale panorama previdenziale italiano diverse opzioni che consentono di andare pensione con 5, 10 o 15 anni di contributi.

Nei paragrafi di seguito analizziamo nello specifico le seguenti opzioni di pensione con un’anzianità contributiva minima, con i vari step di contribuzione, dai 5 anni minimi ai 15.

5 anni di contributi

Partendo dal gradino probabilmente più complicato da scalare, ovvero quello dei soli 5 anni di contribuzione, vediamo come è possibile accedere al pensionamento.

Potrà accedere alla pensione di vecchiaia con 5 anni di contributi chi è iscritto presso una Gestione INPS e ha iniziato a lavorare, o meglio chi ha iniziato ad accreditare contributi, dal 1996 in poi.

Nello specifico è un’opzione per i lavoratori che cadono nel sistema contributivo puro, ecco perché questa opzione viene comunemente denominata pensione anticipata contributiva. Chi non ha un’anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, può quindi andare in pensione di vecchiaia con soli 5 anni di versamenti effettivi. Tuttavia, il requisito contributivo non è l’unico richiesto: bisogna anche aver compiuto almeno 71 anni.

5 anni di contributi e assegno d’invalidità

Coloro che sono iscritti presso l’Assicurazione generale obbligatoria dell’INPS, o ad alcuni fondi sostitutivi la cui capacità lavorativa risulti ridotta possono ottenere, tramite richiesta, l’assegno ordinario d’invalidità con soli 5 anni di contributi. Gli aventi diritto all’assegno di invalidità sono i lavoratori che, oltre alla riduzione permanente di due terzi della capacità lavorativa, risultino:

  • assicurati presso l’INPS da minimo 5 anni;
  • con un’anzianità contributiva pari almeno a 5 anni (260 contributi settimanali), dei quali almeno tre anni (156 contributi settimanali) versati negli ultimi cinque anni.

Non molto differente all’assegno ordinario di inabilità è la pensione d’inabilità al lavoro. I requisiti contributivi sono gli stessi, almeno 5 anni di contributi, di cui 3 accreditati nell’ultimo quinquennio, ma viene richiesta l’inabilità permanente ed assoluta a qualsiasi attività lavorativa. La pensione di inabilità è infatti incompatibile con qualsiasi attività da lavoro e con l’iscrizione presso albi, elenchi e ruoli.

10 anni di contributi

Coloro che sono iscritti alle casse professionali hanno diverse opzioni di pensione contributiva con meno di 10 anni di contributi. Le casse professionali che consentono ai propri iscritti di andare in pensione con un’anzianità contributiva inferiore ai 10 anni sono le seguenti:

  • CNPADC, la cassa dei dottori commercialisti, a patto di essere privi di contribuzione antecedente al 2004, almeno 62 anni di età e 5 anni di anzianità contributiva;
  • la Cassa forense, con 70 anni di età e almeno 5 anni di contributi. Qui viene anche previsto un massimo di 34 anni di contribuzione;
  • EPAP e Cassa degli psicologi, con un minimo di 5 anni di versamenti e 65 anni di età.

Esiste, ad ogni modo, pure una pensione di invalidità delle casse professionali che permette di ritirarsi dal lavoro con 10 anni di contributi. È il caso delle seguenti casse dei professionisti:

  • Inarcassa, la cassa degli ingegneri, che concede:
    • la pensione di invalidità in caso di riduzione a meno di un terzo della capacità lavorativa con almeno 5 anni di contributi anche non continuativi. Tale requisito contributivo viene meno in caso di infortunio;
    • la pensione di inabilità, in caso di perdita totale e permanente della capacità all’esercizio della professione, con almeno 2 anni di contributi anche non continuativi.
  • CNPADC:
    • pensione d’invalidità per capacità all’esercizio della professione ridotta a meno di un terzo, con almeno 10 anni di contributi, oppure 5 anni in caso di infortunio, o meno in caso di contribuzione continuativa dal 36° anno di età;
    • pensione di inabilità in caso di perdita totale dalla capacità lavorativa, con 10 anni di contributi, o meno se l’iscrizione è in atto continuativamente da data anteriore al 36° anno di età e nessun requisito contributivo in caso d’infortunio;
  • CIPAG, la cassa geometri:
    • pensione d’invalidità, per capacità all’esercizio della professione ridotta a meno di un terzo, con almeno 10 anni di contributi, o 5 in caso di infortunio;
    • pensione d’inabilità, con gli stessi requisiti contributivi e totale perdita della capacità all’esercizio della professione
  • ENPACL, la cassa dei consulenti del lavoro:
    • pensione di invalidità con 10 anni di contributi;
    • pensione di inabilità con 5 anni di contributi;
  • CNPR, la cassa dei ragionieri, consente ai propri iscritti di accedere con 10 anni di contributi alle pensioni di inabilità e invalidità;
  • Cassa Forense, che consente agli avvocati di andare in pensione di inabilità o invalidità con 5 anni di contributi.

15 anni di contributi

In ultimo, ma non ultimo, andiamo a vedere la questione con 15 anni di contributi.

Hanno alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi i lavoratori che hanno raggiunto l’età prevista per l’accesso alla pensione di vecchiaia ordinaria, ovvero 67 anni, destinatari di una delle deroghe Amato. Trattasi dei noti come quindicenni, ovvero lavoratori e lavoratrici iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (AGO) ed alle forme sostitutive ed esclusive in possesso di contribuzione prima del 1996 che:

  • hanno perfezionato 15 anni di contributi entro la data del 31 dicembre 1992. Si ritengono utili tutti i contributi a qualsiasi titolo versati. I contributi figurativi, da riscatto e da ricongiunzione riferiti a periodi che si collocano entro il 31 dicembre 1992 possono valutarsi anche se riconosciuti a seguito di domanda successiva a tale data;
  • Hanno avuto autorizzazione al versamento dei contributi volontari entro il 31 dicembre 1992, anche se non hanno versato i contributi volontari
  • sono lavoratori dipendenti con un’anzianità assicurativa di almeno 25 anni e che risultano occupati per almeno 10 anni (anche non consecutivi) per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell’anno solare (lavoratori stagionali o con attività lavorative discontinue), maturati anche successivamente al 31 dicembre 1992, considerando però solo la contribuzione obbligatoria
  • lavoratori che al 31/12/1992 hanno maturato un’anzianità contributiva tale che, pur se incrementata dei periodi intercorrenti tra il 1° gennaio 1993 e la fine del mese di compimento dell’età pensionabile, non raggiungerebbero il requisito contributivo richiesto in quel momento.

 

Il presidente INPS Tridico lancia l’allarme pensioni: Il sistema non regge

Il sistema delle pensioni non è più sostenibile, ciò è quanto afferma Pasquale Tridico. Il motivo principale è 1: ci sono solo 23 milioni di italiani lavoratori e non bastano a pagare le pensioni. L’allarme pensioni è stato lanciato nel corso di un’intervista.

Allarme pensioni: i contribuenti INPS sono pochi

Il presidente dell’INPS Pasquale Tridico nel corso di un’intervista rilasciata a Radio 24 ha analizzato le criticità del sistema pensionistico italiano e ha lanciato l’allarme pensioni. A fronte di 60 milioni di italiani, ci sono solo 23 milioni di contribuenti INPS, cioè i contributi INPS sono versati solo da 23 milioni di persone e tali fondi non bastano a dare la copertura per il sistema del welfare italiano. Secondo i calcoli di Tridico all’appello mancherebbero circa 10 milioni di lavoratori.

Il Presidente sottolinea che a incidere negativamente è l’elevato tasso di disoccupazione del Mezzogiorno e l’elevata percentuale di lavoro in nero che in realtà si estende in tutto il Paese. A incidere negativamente è anche la precarietà, infatti si registra una ripresa del mercato del lavoro, ma i contratti sono molto volatili, si tratta infatti di contratti a tempo determinato che incidono al 50% sui nuovi contratti di lavoro stipulati. Sebbene si registri un aumento di entrate rispetto al 2020 del 7%, vi è ancora una riduzione delle stesse rispetto al 2019 dell’1%, anno in cui la situazione dell’INPS di certo non era rosea.

Le misure di contrasto all’allarme pensioni

Il presidente Tridico sottolinea anche la necessità per l’Italia di stabilire un salario minimo e che lo stesso non crea disoccupazione, come molti temono e lamentano, infatti nei Paesi che già lo hanno adottato, ad esempio la Germania dal 2015, non si registrano perdite di occupazione.

Tridico sottolinea anche la necessità di ritornare al decreto Dignità, sospeso durante il periodo di pandemia, infatti questo contrinuiva a un forte contrasto al precariato. Il decreto Dignità prevedeva che i contratti a tempo determinato potessero avere una durata massima di 24 mesi, mentre in precedenza erano 36 e i possibili rinnovi scendevano da 5 a 4. La proroga dopo i 12 mesi di un contratto a tempo determinato doveva comunque essere giustificata da esigenze temporanee e oggettive, inoltre vi era un contributo addizionale a carico di chi assumeva a tempo determinato.

Con 20 anni di contributi posso smettere di lavorare?

Oggi entriamo nel mondo del lavoro e della possibilità di pensionamento, in merito ai contributi. Una volta acquisiti 20 anni di contributi si può smettere di lavorare? Scopriamolo nel dettaglio nei prossimi paragrafi.

Contributi ed età minima pensionabile

Per rispondere alla domanda di base di questa nostra rapida guida, ovvero se con 20 anni di contributi è possibile smettere di lavorare, basta sapere che 20 anni di versamenti sono sufficienti.

Sostanzialmente, quindi la risposta a questa domanda è “Sì”, con 20 anni di contributi si può smettere di lavorare. Tuttavia, occorre tenere conto che per andare in pensione, occorrono dei requisiti anagrafici.

Vediamo quali sono i trattamenti pensionistici che possono essere raggiunti perfezionando il solo requisito relativo alla contribuzione:

  • la pensione anticipata ordinaria, che si ottiene con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne, previa attesa di un periodo di finestra di 3 mesi; il requisito di contribuzione può essere raggiunto anche sommando i versamenti accreditati presso gestioni previdenziali diverse, comprese le casse dei liberi professionisti;
  • la pensione anticipata precoci, che si ottiene con 41 anni di contributi ed è riservata ai lavoratori con almeno 12 mesi di contribuzione da effettivo lavoro accreditata prima del 19° anno di età, appartenenti a determinate categorie tutelate; anche questa pensione si può ottenere attraverso il cumulo dei versamenti presenti in casse diverse e prevede un periodo di finestra di 3 mesi;
  • la pensione di anzianità in regime di totalizzazione, che si ottiene con 41 anni di contribuzione complessivi (tra le diverse gestioni previdenziali d’iscrizione), attraverso l’ attesa di una finestra di 21 mesi.

Leggi anche: Pensione anticipata di soli contributi e pensione anticipata contributiva: le differenze

20 anni di contributi: quali pensioni

Quindi, con i canonici 20 anni di contributi versati, quali sono le pensioni che si possono acquisire?

La risposta è piuttosto semplice, ovvero la pensione di vecchiaia ordinaria che può essere raggiunta con:

  • il compimento di 67 anni di età;
  • e 20 anni di contributi versati.

Il requisito di 20 anni di contribuzione si può raggiungere anche utilizzando i seguenti contributi:

  • contributi figurativi (maternità, servizio militare, disoccupazione, cassa integrazione e malattia);
  • contributi volontari;
  • contributi da riscatto;
  • la modalità di uso di cumulo dei contributi, ovvero la facoltà di sommare gratuitamente la contribuzione presente in gestioni previdenziali differenti.

Va fatto notare che il calcolo interamente contributivo va applicato alle seguenti categorie:

  • chi opta per tale ricalcolo della pensione;
  • chi è privo di contribuzione alla data del 31 dicembre 1995;
  • chi opta per il computo di tutta la contribuzione presso la gestione Separata.

Mentre nel caso di coloro che non posseggono contributi al 31 dicembre 1995 possono ottenere la pensione di vecchiaia con:

  • almeno 71 anni di età;
  • un minimo di 5 anni di contributi.

In ultimo, ma non ultimo, va ricordato che dal primo di gennaio del 2023, l’età pensionabile potrebbe salire, rispetto ai parametri attuali, nel caso vengano riscontrati dall’Istat incrementi della speranza di vita media. Gli adeguamenti sono difatti biennali.

Il requisito pari a 20 anni di contributi previdenziali resta invece invariato, datosi non soggetto all’applicazione dell’adeguamento all’aspettativa di vita. Tale requisito, di 20 anni di contributi, potrebbe subire modifiche solo qualora la legge disponga delle variazioni specifiche.

Questo, dunque è quanto vi fosse di più utile e necessario da sapere in merito alla possibilità e modalità pensionabile, quindi di smettere di lavorare, con il versamento di 20 anni di contributi lavorativi.

Pensioni integrative, vantaggi e rischi dell’adesione al fondo previdenziale

Le pensioni integrative, oltre a rappresentare una soluzione per mantenere il tenore di vita che si ha durante gli anni di lavoro, rappresentano anche un’opportunità di risparmio e di differenti vantaggi. Infatti, in vista di mantenere un livello di reddito simile a quello che si ha durante lo svolgimento del lavoro, la previdenza complementare va a integrare la futura pensione obbligatoria. Ma, durante gli anni in cui si effettuano i versamenti al fondo pensione, è possibile ottenere dei contributi dal proprio datore laddove sia previsto dal contratto di lavoro.

Reversibilità della pensione integrativa: a chi spetta?

Tuttavia, il fatto di poter disporre di una futura pensione aggiuntiva non rappresenta l’unico vantaggio riservato a chi investe nella previdenza complementare. Innanzitutto, la stessa pensione integrativa è reversibile al coniuge o agli eredi indicati dal sottoscrittore. Ma anche nella fase di accumulo del risparmio, il capitale può essere riscattato in un’unica soluzione dagli eredi designati dal sottoscrittore.

Previdenza complementare, la possibilità di scegliere la prestazione pensionistica

Ulteriore vantaggio spettante a chi investe nella previdenza complementare è la possibilità di scegliere il tipo di prestazione da ricevere dal fondo pensione stesso. Infatti, a seconda delle esigenze del sottoscrittore, è possibile richiedere tutto il capitale versato in un’unica soluzione nei casi previsti dalla legge oppure riceverne la metà, lasciando il rimanente alla rendita integrativa mensile. Se non si richiede parte o tutto il capitale, la rendita mensile andrà a integrare la pensione garantendo un tenore di vita simile a quello goduto durante gli anni di lavoro e di accumulo.

Flessibilità dell’investimento del risparmio nei fondi pensione: sospensione e riduzione importi

Tra i vantaggi di investimento del risparmio in un fondo pensione c’è la possibilità di accumulare con una certa flessibilità. Ciò significa che è possibile sospendere oppure modificare gli importi o la periodicità con la quale si effettuano i versamenti nella fase di accumulo. In caso di sospensione si possono riattivare i versamenti senza subire delle penalizzazioni.

Si può richiedere parte dei soldi versati al fondo pensione durante la fase di accumulo?

Il sottoscrittore del fondo pensione può anche richiedere una parte delle somme risparmiate e accantonate nel fondo pensione. Si tratta di eventi normalmente determinati da esigenze improvvise legate alle situazioni familiari, come ad esempio un’imprevista spesa sanitaria. Ma anche per ragioni lavorative, come può succedere nel caso del licenziamento. Ulteriori somme possono essere anticipate dal fondo per l’acquisto della prima casa.

Previdenza complementare, il vantaggio della deducibilità fiscale delle somme versate al fondo pensione

Tra i vantaggi dell’adesione alla previdenza complementare sono da inserire quelli fiscali. Infatti, i contributi che il sottoscrittore versa al fondo pensione sono deducibili dai redditi Irpef fino a un massimo di oltre 5.160 euro all’anno. Pertanto, nella fase di accumulo del risparmio nel fondo pensione si pagano da subito meno imposte sui redditi. Entro lo stesso limite si può sfruttare la deduzione anche sui versamenti effettuati a vantaggio dei familiari a carico fiscalmente. Inoltre, la pensione integrativa è tassata con un’aliquota che varia dal 15% al 9%: la percentuale scende a seconda degli anni in cui il sottoscrittore ha partecipato al fondo pensione.

Quali sono i rischi per il sottoscrittore di un fondo pensione?

Tuttavia, l’investimento dei propri risparmi nel fondo pensione non è esente da alcuni rischi. Questi ultimi sono relativi alla possibilità che la pensione complementare che si ottiene quando si esca dal lavoro risulti insufficiente rispetto alle aspettative del sottoscrittore. In particolare può risultare che i versamenti effettuati e la durata del periodo in cui il sottoscrittore ha partecipato al fondo pensione non siano adeguati.

Il rischio di sbagliare investimento nell’adesione al fondo pensione

Può capitare, inoltre, che la linea di investimento che il sottoscrittore del fondo pensione ha scelto risulti non adeguata e ottimale rispetto all’età del sottoscrittore stesso o al suo profilo. Infatti, al momento dell’adesione al fondo, il sottoscrittore sceglie come il fondo pensioni debba investire i propri risparmi se in titoli azionari, obbligazionari oppure se adottare una soluzione intermedia. Nel caso di un sottoscrittore agli ultimi anni di lavoro vengono consigliate, di norma, soluzioni non troppo remunerative ma poco rischiose.

Adesione al fondo pensione: il rischio di costi alti o di impossibilità di utilizzo di quanto accantonato

Possono verificarsi altri rischi legati all’adesione a un fondo pensione. Innanzitutto che il fondo scelto applichi dei costi troppo elevati rispetto al profilo del sottoscrittore. Oppure che vengano previste delle limitazioni nell’uso delle somme accantonate e, dunque, che l’utilizzo possa essere consentito solo per specifiche finalità. Importante poi, per un sottoscrittore, controllare che non sia prevista l’irrevocabilità della scelta di aderire alla previdenza complementare.

Previdenza complementare, il rischio di non avere informazioni sui prodotti di investimento

Infine, è sempre bene ricevere tutte le informazioni in maniera dettagliata prima di aderire al fondo pensione. Può capitare, infatti, di ricevere delle informazioni insufficienti per capire correttamente il funzionamento del fondo pensione e le sue finalità. Nella fase di sottoscrizione, inoltre, è indispensabile che al soggetto vengano fornite tutte le informazioni sui prodotti di investimento presenti sul mercato.

Contributi versati e non usati, possono essere riscossi?

I contributi versati dai lavoratori servono per poter andare in pensione quando si diventa anziani. Ci sono dei casi in cui non bastano, cosa fare?

Contributi versati, quando si può andare oggi in pensione

I contributi versati sono fondamentali per poter andare in pensione a fine carriera lavorativa. In questi ultimi giorni si dibatte al governo su una Riforma delle pensioni che possa chiudere definitivamente la pensione ed i rapporto tra età del lavoratore ed il valore dei contributi versati.

Ad esempio occorrono almeno 20 anni di contributi per andare in pensione all’età di 67 anni. Mentre se facciamo riferimento a quota cento è possibile andare in pensione a 65 anni e 35 di contributi. Insomma ci sono delle opzioni da dover considerare, tra cui  l’opzione donna e l’ape sociale. Ma cosa succede quando si ha l’età giusta ma non bastano i contributi?

I contributi silenti, come valutarli

L’obiettivo di un lavoratore a fine ciclo lavorativo è quello di poter avere un assegno mensile che gli permetta di vivere serenamente. Ma ci sono casi in cui il lavoratore è in età pensionabile, e non ha i contributi versati idonei. Ad esempio 67 anni di età e 18 di contributi. E allora cosa fare?

Questi contributi versati e non utili ai fini dell’assegno pensionistico sono i così detti contributi silenti. Tuttavia l’INPS non restituisce i contributi versati non utilizzati per ottenere la pensione. Però si sono alcune casse professionali, come quella dei ragionieri e dottori commercialisti che consento la restituzione dei contributi, qualora ci si cancelli dall’albo e dell’ente. Oppure l’Enpam, l’ente previdenziale dei medici, permette la restituzione dei contributi. Può ottenere la restituzione chi si è cancellato dall’ordine e non ha raggiunto il diritto alla pensione ai 68 anni.

Alcuni casi particolari

Tuttavia ci sono alcune categorie di lavoratori che hanno effettuato versamenti eccedenti rispetto alla contribuzione richiesta o a cui è stato riconosciuto un esonero contributivo o una riduzione che genera un’eccedenza di versamento. Dunque è possibile richiedere il rimborso di queste somme. Possono richiedere il rimborso:

  • gli artigiani ed i commercianti;
  • i datori di lavoro domestico;
  • lavoratori agricoli autonomi;
  • collaboratori lavoratori iscritti alla gestione separata.

Pertanto perdere i contributi versati è davvero un peccato. Quindi occorre sempre stare attenti e fare bene i calcoli prima di andare in pensione, per non incorrere in spiacevoli sorprese.

 

Opzione donna, quanto conviene il riscatto laurea agevolato per i 35 anni di contributi?

Anche per il 2022 la misura di pensione con opzione donna verrà prorogata con i medesimi requisiti di accesso della precedente proroga. Il numero degli anni di contributi dovrà essere sempre pari ad almeno 35. Molte lavoratrici potrebbero trovare conveniente arrivare a questo traguardo recuperando anni di studi universitari mediante il riscatto della laurea. E, per questo obiettivo, ricorrere alla soluzione agevolata dettata dal decreto numero 4 del 2019 può essere quella ottimale per risparmiare sul riscatto stesso.

Che cos’è il riscatto agevolato della laurea ai fini della futura pensione?

Il riscatto agevolato della laurea permette, infatti, di recuperare i periodi di studi per un massimo di 4 o 5 anni a seconda del corso di laurea. L’onere da pagare risulta ridotto qualora i versamenti contributivi debbano essere valorizzati mediante il metodo contributivo. In altre parole, il riscatto agevolato della laurea vige per periodi di studi collocati nel sistema contributivo. Ovvero per periodi successivi al 31 dicembre 1995. Per queste lauree il costo agevolato è sempre consentito.

Riscatto laurea per periodi di studio prima del 1° gennaio 1996

Anche per le lauree conseguite prima del 1° gennaio 1996 il contribuente ha la possibilità di optare per il pagamento agevolato del riscatto. Ma, in questo caso, il lavoratore dovrebbe rinunciare ai vantaggi del sistema previdenziale retributivo di appartenenza per accettare il solo metodo contributivo, meno conveniente in vista dell’assegno di pensione ma con un costo di riscatto della laurea più contenuto. Si tratta di valutare, da un lato, la perdita di quote retributive di pensione e, dall’altro, il maggior risparmio del riscatto della laurea del contributivo.

Riscatto laurea con metodo agevolato per donne che hanno contributi nel sistema retributivo

Per l’opzione donna questa rinuncia, ai fini pensionistici, non fa molta differenza. Infatti, le lavoratrici che vanno in pensione con l’opzione donna accettano che la loro pensione venga ricalcolata interamente con il metodo contributivo, anche se hanno anni di contributi da calcolare con il meccanismo retributivo. Ovvero anni di contributi versati prima del 1996. Per questo motivo, ricorrendone la convenienza, le donne laureate possono trovare vantaggioso il riscatto della laurea a un costo contenuto.

Quanto costa il riscatto della laurea con il metodo agevolato?

Per il 2021, il costo del riscatto agevolato della pensione è di 5.264,49 euro per ogni anno universitario da riscattare. L’alternativa è calcolare il riscatto della laurea con la riserva matematica, ovvero applicando l’aliquota vigente presso il Fondo pensioni dei lavoratori dipendenti dell’Inps, attualmente del 33%. Tale percentuale va moltiplicata per il reddito lordo dei 12 mesi precedenti a  quello della richiesta del riscatto della laurea. Per ottenere il costo totale il risultato ottenuto va moltiplicato anche per il numero di anni di corso di laurea. Questo meccanismo di calcolo può determinare un costo di gran lunga più alto rispetto ai 21.057,96 euro necessari per riscattare 4 anni di corso con il sistema agevolato del decreto 4 del 2019.

Come si va in pensione anticipata con l’opzione donna?

Per andare in pensione con l’opzione donna, oltre ai 35 anni di contributi, la legge richiede determinati requisiti anagrafici. L’età in vigore fino al termine del 2021 per le lavoratrici alle dipendenze è quella dei 58 anni, maturata entro il 31 dicembre 2020. Per le lavoratrici autonome l’età è quella dei 59 anni. Con la nuova legge di Bilancio i requisiti anagrafici e contributivi dell’opzione donna rimarranno invariati fino al 31 dicembre 2022. Analogamente alla precedente proroga dell’opzione donna, i requisiti 2022 dovranno essere maturati entro il 31 dicembre 2021.

Opzione donna e riscatto agevolato della laurea

Il traguardo dei 35 anni di contributi necessari per accedere all’opzione donna può essere agevolato dal riscatto della laurea. A tal proposito è importate precisare che per avvalersi del riscatto agevolato della laurea ai fini dell’opzione donna, è necessario presentare la domanda di riscatto contestualmente a quella di pensione. Scegliendo l’opzione donna, e dunque il ricalcolo della pensione con il metodo contributivo, la lavoratrice ha la possibilità di richiedere il riscatto agevolato della laurea in luogo di quello ottenuto con la riserva matematica. L’operazione in molti casi ha vantaggi dal punto di vista del costo del riscatto stesso.

Riscatto laurea, cosa succede se la lavoratrice dovesse rinunciare alla domanda di uscita con opzione donna?

Inoltre non ci sarebbero variazioni nel calcolo della pensione, come avverrebbe per altre misure di uscita anticipata. Chi richiede l’opzione donna accetta anche il ricalcolo con metodo contributivo della pensione. Solo se la lavoratrice dovesse rinunciare alla domanda di pensione con opzione donna, il costo del riscatto della laurea verrebbe rideterminato in base alle regole generali e avendo riguardo ai periodi nei quali sono collocati i periodi da riscattare.

Fondi pensione, quali sono i documenti informativi per l’adesione e quale investimento scegliere?

Prima di aderire a un fondo pensione è importante leggere attentamente tutta la documentazione informativa che il fondo stesso mette a disposizione dei nuovi sottoscrittori. Inoltre risulta utile compilare il Questionario di autovalutazione. Con questo strumento l’interessato, prima di aderire al fondo, può scoprire quanto ne sappia della previdenza complementare e quali potrebbero essere le linee di investimento più adatte alle proprie esigenze.

Cosa contiene il Questionario di autovalutazione della previdenza complementare?

Le domande contenute nel Questionario di autovalutazione permettono inoltre di fare un’analisi sulla capacità di risparmiare del sottoscrittore del fondo pensione. È importante rispondere esattamente alle domande contenute per tracciare anche un orizzonte temporale che separa il sottoscrittore dalla pensione stessa. Infine, per il tipo di investimento da perseguire con la pensione complementare, il Questionario permette anche di dare importanti indicazioni sulla propensione al rischio. Con le risposte al Questionario, e in base al punteggio ottenuto, si può avere un profilo del sottoscrittore e della soluzione più idonea per l’adesione al fondo.

Adesione alla previdenza complementare, quali sono i documenti informativi?

Prima di aderire alla previdenza complementare, all’interessato verranno consegnati vari documenti. In primis, le informazioni chiave per l’aderente, documento che spiega in modo semplice quali siano le più importanti caratteristiche della formula previdenziale. In questo documento sono riportate le informazioni sulle linee di intervento, sui costi, sui rendimenti che sono stati raggiunti nei passati anni. Inoltre, nel documento è presente la Scheda dei costi. Si tratta di un foglio riepilogativo di tutte le spese che dovranno essere sostenute dall’aderente durante la sua partecipazione al fondo pensione.

Quale pensione si può ottenere dalla previdenza complementare?

È ovvio che il sottoscrittore di un fondo voglia sapere anche quale sarà il risultato della sua adesione alla previdenza complementare. Per quante informazioni è indispensabile prendere visione del documento “La mia pensione complementare“. Qui si trovano le stime della pensione integrativa che si potrà ricevere nel momento in cui si va in pensione da lavoro. La stima della pensione integrativa viene fatta attraverso calcoli, ipotesi e simulazioni definiti dalla Commissione di Vigilanza sul Fondi Pensione (Covip).

Quale linea di investimento scegliere per la previdenza complementare?

La previdenza complementare ha diverse linee di investimento corrispondenti a differenti combinazione di rischio e di rendimento. Chi è interessato ad aderire a un fondo pensione può scegliere la linea di investimento che maggiormente soddisfa le proprie aspettative prendendo in esame comparti differenti tra loro. Si può optare su una linea di investimento garantita che offra garanzie di rendimento minime o di restituzione di quanto versato al verificarsi di specifici eventi come, ad esempio, l’uscita dal lavoro per il pensionamento. Ma si può optare per linee di investimento obbligazionarie, con destinazione dei risparmi principalmente in obbligazioni, o azionarie, con investimento principalmente in azioni. Infine si può scegliere una linea bilanciata, che permetta un investimento nella stessa percentuale in obbligazioni e in azioni.

Opzioni da considerare nella scelta del tipo di investimento della previdenza complementare

La varietà di possibilità di investimento dei propri risparmi nella previdenza complementare implica dunque la conoscenza delle varie opzioni. La scelta, infatti, definirà la propria esperienza con il fondo pensione e, in particolare, con l’investimento stesso in termini di durata dell’adesione e di combinazione tra rendimenti e rischi. Proprio rendimenti e rischi possono essere valutati in base al periodo di tempo nel quale si decide di fare l’investimento e dunque sul come il sottoscrittore impiegherà le proprie risorse future. Quindi, è indispensabile tener conto degli anni che mancano al pensionamento, del patrimonio personale e del reddito a disposizione e delle aspettative future dell’investimento.

Cosa può avvenire in base al tipo di investimento fatto nella previdenza complementare?

La scelta su un investimento di tipo azionario può offrire dei guadagni potenzialmente più elevati nel lungo periodo, ma anche delle oscillazioni più evidenti da un anno all’altro. Il che significa che questo tipo di investimento può generare, anno per anno, rendimenti molto alti alternati a periodi bassi o addirittura nulli. Chi sceglie questo tipo di investimento dovrebbe mettere in conto un periodo abbastanza ampio della durata dell’investimento stesso per fare in modo che gli anni nei quali i rendimenti risultino più bassi possano essere recuperati da anni di rendimenti alti.

Cosa avviene se si sceglie di investire in obbligazioni per la propria pensione integrativa?

Se invece la scelta ricade su un investimento di tipo obbligazionario, i rendimenti potrebbero risultare più contenuti rispetto all’investimento di tipo azionario. Anche in questo caso, è necessario verificare i rendimenti ottenuti nel lungo periodo. Rispetto a un investimento azionario, in ogni modo, quello obbligazionario offre delle oscillazioni meno evidenti. Di conseguenza, questa scelta può essere dettata da un profilo di sottoscrittore solo in parte rischioso. E, nello specifico, se si ha l’intenzione di investire per un numero di anni limitato nella previdenza complementare, è bene che il rendimento abbia oscillazioni limitate.

Scelta del tipo di investimento nell’adesione al fondo pensione

Come si può notare, dunque, la scelta del tipo di investimento conseguente alla volontà di aderire alla previdenza complementare implica la valutazione di diversi fattori. Il Questionario di autovalutazione serve proprio a fare chiarezza “sul come” si voglia che i propri risparmi vengano investiti dal fondo pensione. Ci si può affidare a un percorso appositamente studiato dal fondo per avere la migliore risposta possibile nel caso in cui ci si trovi ad avere difficoltà nella scelta dell’investimento. Il fondo pensione può essere di aiuto nella scelta del finanziamento in base all’età e all’ottimizzazione dei rischi rispetto alle aspettative di rendimento.

Pensione integrativa, quale migliore investimento se mancano pochi o tanti anni alla pensione?

In linea generale, più si è giovani e lontani dalla pensione e più si possono adottare profili di rischio maggiormente elevati. Eventuali rendimenti al di sotto delle proprie aspettative possono essere recuperati da anni di rendimenti alti. Il lungo periodo della scelta di aderire a un fondo pensione aiuta pertanto a prendere decisioni anche più rischiose nell’ottica di risultati più elevati nel tempo. Chi invece è più vicino alla pensione potrebbe optare per soluzioni di investimento a basso rischio per meglio salvaguardare l’investimento stesso da oscillazioni negative dei mercati finanziari.