Cartella esattoriale ed iscrizione a ruolo straordinario, quando?

Quando le imposte di un contribuente sono già state accertate e l’Agenzia delle Entrate fiuta un pericolo imminente per la riscossione di tasse, interessi e sanzioni, ecco che sceglie una scorciatoia conosciuta come iscrizione a ruolo straordinario.

Ovvero, accade quando il Fisco cerca la procedura più veloce per il recupero di ciò che gli è dovuto, prima che il debitore possa disperdere il proprio patrimonio e non essere più solvente. In tal caso, il nominativo del contribuente/debitore viene inserito dall’Ente impositore, il titolare del tributo richiesto in un’apposita lista che viene poi passata all’Agente di Riscossione. L’importo dovuto viene iscritto integralmente ancora prima che l’iter di accertamento possa definirsi concluso.

Tuttavia, al fine di evitare che l’iscrizione a ruolo straordinario per il pagamento delle cartelle esattoriali venga dichiarato non legittimo, con la conseguente nullità di tutti gli atti di riscossione, ci sono due regole da rispettare.

  • Il presupposto, ossia l’esistenza di un reale pericolo per l’esito della riscossione;
  • la motivazione, in quanto il contribuente ha diritto di essere messo a conoscenza delle ragioni per le quali l’Amministrazione finanziaria ha deciso di scavallare le procedure ordinarie, scegliendo la cosiddetta scorciatoia.

La riscossione dei tributi mediante iscrizione a ruolo

Il prelievo coattivo può avvenire in due modalità: tramite iscrizione a ruolo o attraverso l’ingiunzione fiscale, metodo utilizzato di sovente dagli enti locali e dai loro concessionari privati per i tributi locali. Invece, le imposte dovute all’Erario (Iva, Ires, Irap, Irpef) vengono riscosse tramite ruolo.

Il ruolo non è altro che una lista di debitori con gli importi dovuti da ognuno di loro. Esso viene formato dagli Enti impositori che lo trasmettono telematicamente all’Agenzia delle Entrate – Riscossione per avviare la procedura dell’esecuzione forzata dei loro crediti.

Ci sono due tipi di iscrizioni a ruolo:

  • ruolo ordinario comprendente i dati del contribuente a partire dal codice fiscale con tutte le informazioni sulle imposte dovute;
  • ruolo straordinario che si distingue dal precedente perché viene emesso solo se esiste un fondato pericolo per la riscossione.

Quando avviene l’iscrizione a ruolo straordinario

Dopo aver accertato i tributi dovuti dal contribuente/debitore da parte degli Enti impositori, come l’Agenzia delle Entrate, avviene l’iscrizione a ruolo straordinario. In tal caso, la legge dispone che l’ammontare dell’importo dovuto comprensivo di tasse, interessi e sanzioni, sia iscritti nei ruoli anche se non è definitivo l’accertamento, magari, perché il contribuente ha aperto ricorso o è ancora in tempo a farlo.

La differenza del ruolo straordinario rispetto al ruolo ordinario è che nel primo vengono iscritte tutte le somme accertate dagli Uffici impositori, sanzioni comprese e senza attendere che l’accertamento sia stato concluso. Con i ruoli ordinari, invece, l’Ufficio può iscrivere inizialmente, a titolo provvisorio, solamente un terzo delle complessive somme dovute e questa percentuale cresce in caso di successivo rigetto del ricorso del contribuente nei vari gradi di giudizio presso le Commissioni tributarie.

Così, il Fisco non deve attendere 60 giorni dalla data di notifica dell’accertamento esecutivo o della cartella esattoriale, tantomeno l’esito del giudizio tributario di opposizione promosso dal contribuente. In sostanza, con l’iscrizione a ruolo straordinario, l’Agente di riscossione viene subito messo in condizione di avviare le procedure di esecuzione forzata per recuperare tutte le somme pretese dall’Amministrazione, dando luogo ai pignoramenti immobiliari e quelli dei conti correnti o degli stipendi e pensioni del debitore.

Iscrizione a ruolo straordinario illegittima

Come abbiamo già detto, per effettuare l’iscrizione a ruolo straordinario devono sussistere dei fondati pericoli per la riscossione, che vengono ravvisati dall’Amministrazione sulla base di elementi concreti che fanno temere la dispersione del patrimonio posto a garanzia del credito fiscale.

Per legge, l’Amministrazione ha l’obbligo di indicare nella motivazione dell’atto impositivo, le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente tale pericolo, decidendo di operare l’iscrizione a ruolo straordinaria nonostante l’accertamento non fosse definitivo.

I giudici della Cassazione hanno asserito che l’iscrizione a ruolo straordinario è illegittima quando viene omessa la motivazione, in quanto il contribuente non ha modo di difendersi, e dovrebbe impugnare la cartella esattoriale o l’avviso di accertamento esecutivo, senza conoscere le ragioni della pretesa impositiva, dunque, senza poterla contestare efficacemente.

 

Minimale contributivo, come incide sulla pensione?

Il minimale contributivo rappresenta lo stipendio minimo da prendere in considerazione per il calcolo dei contributi previdenziali e assicurativi che, il datore di lavoro deve versare all’INPS in relazione alla prestazione svolta dal dipendente.

L’individuazione del minimale contributivo viene effettuata dal CCNL. Qualora le retribuzioni indicate negli altri accordi o nel contratto individuale siano minori non vengono presi in considerazione. Accade il contrario, se gli importi risultino maggiori da quelli indicati dai contratti collettivi di riferimento.

Per l’anno 2021, la legge prevede che il trattamento minimo mensile pensionistico a carico del fondo pensioni lavoratori dipendenti sia pari a 515,58 euro al mese, con un minimale di retribuzione giornaliera da assoggettare a contribuzione, pari al 9,50%, ossia a 48,98 euro al giorno. Per quanto concerne il lavoro a tempo parziale, il minimale retributivo viene ricalcolato in base alle ore di lavoro svolto.

Il minimale di retribuzione mensile è pari per il 2021 a 1.273,48 euro. Il datore di lavoro non è obbligato all’osservanza del minimale contributivo se versa dei trattamenti integrativi di prestazioni mutualistiche d’importo inferiore al minimo.

La retribuzione minima per l’accredito di un anno di contributi

Il minimale retributivo non deve essere confuso con la retribuzione minima per l’accredito di un anno intero di contributi presso l’Inps. Infatti, tale retribuzione corrisponde al minimo imponibile da raggiungere, affinché tutte le 52 settimane dell’anno sia riconosciute ai fini pensionistici: il limite settimanale per l’accredito dei contributi è pari al 40% del trattamento minimo mensile.

Il valore della retribuzione minima 2021 per la rilevanza integrale dei contributi ai fini del trattamento pensionistico è pari a 206,23 euro/settimana (515,58 x 40%); in un anno, è necessario raggiungere uno stipendio di almeno 10.724 euro al lordo della contribuzione.

Ciò vuol dire che i contributi versati (considerando mediamente per i dipendenti un’aliquota del 33%) debbano corrispondere ad un minimo di 68,06 euro/settimana (3.538,94 euro/anno). Se così non fosse, l’anno lavorato non verrebbe calcolato integralmente ai fini della pensione.

Il datore di lavoro è obbligato al calcolo dei contributi sul minimale giornaliero ma non è tenuto a calcolarli sulla retribuzione minima per l’accredito di un anno di contribuzione.

Se il rapporto è a tempo parziale, il problema si pone, considerando che il minimale contributivo è su base oraria, può accadere che non si raggiunga l’accredito di un’intera settimana di contributi. La contribuzione utile al diritto alla pensione, in questo caso, viene calcolata in proporzione a quanto versato, e il dipendente potrebbe vedersi riconosciute meno di 52 settimane nell’anno, pur avendo lavorato continuativamente per 12 mesi.

Dal 2021 la stessa disposizione viene applicata anche ai lavoratori a tempo parziale misto/verticale, considerando utili ai fini del trattamento pensionistico anche le settimane non lavorate. I lavoratori per cui risultano delle settimane non lavorate non solo nell’ambito dell’articolazione dell’attività, ma anche per altre cause, devono presentare un’apposita domanda all’INPS. Lo stesso vale per i rapporti di lavoro cessati o trasformati a tempo pieno.

Il lavoratore può comunque integrare la contribuzione versando i contributi volontari sulle settimane scoperte, o chiedendone il riscatto.

Minimali contributivi 2021: a chi non spettano

Il minimale contributivo e la retribuzione minima per l’accredito di un anno di contributi non si applicano nei confronti di:

  • lavoratori domestici
  • operai agricoli
  • apprendisti

Aliquota aggiuntiva dell’1% per il 2021

Ai lavoratori dipendenti pubblici o privati i cui imponibili previdenziali superano la prima fascia di retribuzione pensionabile, e che subiscono le trattenute Inps in base a un’aliquota inferiore al 10%, è dovuta un’aliquota aggiuntiva pari all’1% che si applica sulle quote di retribuzione eccedenti il valore della prima fascia di retribuzione pensionabile.

Per il 2021, il limite per rientrare nella prima fascia di retribuzione pensionabile è pari a 47.379 euro annui; l’aliquota aggiuntiva dell’1% deve essere quindi applicata sulla quota di retribuzione eccedente questo tetto retributivo che, rapportato a dodici mesi, è pari a 3.948 euro.

 

Scatti di stipendio periodici, come funzionano?

Di scatti di stipendio periodici, forse, in pochi ne hanno sentito parlare, ma se vi parlo di scatti di anzianità, sicuramente la percezione cambia in quanto se ne sente parlare molto di più. In ogni caso, si tratta di due modi di chiamarli che indicano la stessa cosa.

Gli scatti di anzianità costituiscono un premio economico per i lavoratori fedeli, ossia per quelli che restano a lavorare per lo stesso datore di lavoro nel tempo. La decisione di premiare le risorse umane “fedeli” non è qualcosa prevista dalla legge, bensì dai contratti collettivi nazionali di lavoro che, dopo un certo numero di anni di presenza in azienda da parte del dipendente, fanno maturare questi scatti di stipendio periodici.

I CCNL hanno deciso di introdurre questa sorta di premio economico per trattenere i migliori, quindi, i più fedeli dipendenti all’interno dell’azienda pubblica o privata. Ma ogni quanto maturano gli scatti di anzianità e come avviene il loro calcolo? Per rispondere a questi quesiti, è necessario conoscere le disposizioni contrattuali collettive che variano da categoria in categoria.

Cosa sono gli scatti di anzianità

Gli scatti di anzianità, altrimenti detti scatti di stipendio periodici, sono un premio economico riconosciuto a quei lavoratori che svolgono la propria mansione presso il datore di lavoro nel corso degli anni. Essi consistono in una voce retributiva che va ad aggiungersi allo stipendio del lavoratore dopo un determinato numero di anni di servizio presso la medesima azienda. Come già anticipato, sono disciplinati dai contratti collettivi.

Il calcolo degli scatti di anzianità

A seconda del CCNL di categoria, dopo un certo numero di anni di servizio si maturano gli scatti di anzianità. In linea di massima, ciò accade ogni due o tre anni. Tuttavia, esiste anche un numero massimo di scatti che possono essere maturati nella storia lavorativa di un dipendente. L’importo dello scatto può variare anche a seconda del livello di inquadramento del lavoratore.

Ad esempio, in un’impresa di commercio, il relativo CCNL prevede che maturino 10 scatti per ogni tre anni di servizio. Poiché l’entità del singolo scatto dipende anche dal livello di inquadramento del lavoratore, l’aumento periodico parte dai 19,47 euro del settimo livello fino ai 25,46 euro dei quadri.

Scatti di anzianità: tassazione

Come detto poc’anzi, gli scatti periodici di stipendio rappresentano una voce che va ad aggiungersi alla retribuzione mensile del lavoratore, motivo per cui, essendo presente in busta paga, così come tutte le altre voci che compongono lo stipendio, sono soggetti a tassazione Irpef e alla contribuzione previdenziale. Di conseguenza, quando viene indicato il valore del singolo scatto, s’intende sempre al lordo delle tasse e dei contributi di previdenza. Quindi, ciò che effettivamente entra in busta paga è un importo minore.

Scatti di anzianità e aumento di stipendio

Essendo disciplinati dai contratti collettivi, non tutti prevedono un aumento del valore del singolo scatto in caso di aumento della retribuzione. Anche se il dipendente viene promosso salendo di livello, non è detto che contestualmente aumenti anche l’importo dello scatto di anzianità. Ribadiamo, che bisogna essere a conoscenza delle disposizioni indicate da ogni contratto collettivo. In alcuni casi, l’aumento dello stipendio porta addirittura ad azzerare e ad assorbire lo scatto di anzianità, per cui si avrà un aumento della retribuzione mensile che potrebbe anche rivelarsi penalizzante sotto questo punto di vista. In altri CCNL, invece, c’è la continuità degli scatti periodici di stipendio anche in caso di promozione del dipendente al livello superiore di inquadramento nell’azienda.

Mancato pagamento degli scatti di anzianità

Se il dipendente si accorge che non vengono pagati regolarmente gli scatti di anzianità, può rivolgersi all’ufficio risorse umane per chiedere spiegazioni. In caso di mancato esito positivo, si può ricorrere al sindacato tramite una vertenza o ad un avvocato che scriverà una lettera formale facendo presente il mancato accredito degli scatti periodici di stipendio. Se anche questo tentativo si risolve in una bolla di sapone, non resta che fare causa all’azienda ricorrendo al giudice del lavoro che deciderà nel merito.

Curriculum Vitae: come redigerne uno perfetto

Ogni qualvolta siamo alle prese con la stesura di un Curriculum Vitae, mille dubbi ci assalgono: quale sarà il modo migliore per scriverlo, come faccio a colpire il destinatario, quali elementi fondamentali deve contenere, cosa può farlo risultare professionale o meno. Questi ed altri 100 quesiti simili assillano la nostra mente in cerca di soluzione, a caccia del Curriculum Vitae perfetto!

Ma esiste davvero il CV perfetto? Non è da escludere che ogni destinatario ne abbia uno tutto suo in mente perfetto, o che comunque possa colpirlo per come è stato redatto dal mittente. Farsi mille pensieri ci rende solo nervosi e probabilmente ci confonde le idee tanto da rendere la sua stesura davvero un mezzo disastro. Premesso che, il Curriculum Vitae perfetto non esiste, cerchiamo di scoprire in questo articolo quali sono i passaggi fondamentali da seguire.

Cos’è il Curriculum Vitae

Il cosiddetto CV deve raccogliere tutte le informazioni di chi lo redige in quanto in cerca di un lavoro o di un lavoro migliore di quello che sta svolgendo per il suo futuro datore di lavoro. Chi riceve un Curriculum Vitae, teoricamente non conosce il mittente, per questo motivo deve avere un’idea chiara di chi sia, cosa faccia, come e perché lo fa. Ma soprattutto, perché vuole cambiare occupazione e/o azienda, cosa potrebbe offrire di più rispetto agli altri candidati e perché ritiene di essere la persona più adatta a ricoprire quella posizione scoperta.

Colpire il destinatario del CV

Il curriculum Vitae deve essere efficace, strutturato in modo chiaro, descrittivo quanto basta, un modo pulito e conciso di presentarsi e deve contenere proprio quelle informazioni che facciano pensare il ricevente che si tratti della persona più idonea a ricoprire un determinato ruolo.

Per fare ciò, è necessario dare risalto all’annuncio per dimostrare la sua efficacia, deve colpire chi lo legge, in modo che possa rimanergli impresso tra i tanti letti. Allo stesso tempo, deve essere pratico e funzionale, non complesso e ricco di mille informazioni spesso superfluo.

E’ fondamentale lanciare il messaggio che può migliorare la competitività dell’azienda, riportando anche numeri e dati oggettivi attraverso degli esempi veri.

Il Curriculum Vitae deve dare l’impressione di andare incontro alle esigenze del datore di lavoro, per questo è di fondamentale importanza analizzare bene l’annuncio, anche nel dettaglio, prima di redigere il proprio CV.

E’ importante non dare modo al ricevente di poter fare obiezioni, anzi, trasformarli in punti di forza. Capire bene le necessità del datore di lavoro aiuta a descrivere la propria attitudine nel risolvere determinati problemi aziendali.

Descrivere le proprie competenze tecniche, dando risalto alla dotazione di competenze trasversali, cercando di argomentarle al meglio. Inutile perdersi nella descrizione delle tante esperienze lavorative passate che poco hanno a che fare con il ruolo da ricoprire, tanto meno stilare un elenco infinito dei propri hobbies.

Il lavoro non va mai elemosinato, e nel redigere un CV si deve tenere conto di ciò. Chi legge, deve avere l’impressione che sia chi lo ha inviato a poter servire all’azienda più di quanto non possa servire a sé il lavoro.

Non perdere mai di vista, che il Curriculum Vitae è solo il passaggio, ma importante, che ci porta ad essere selezionato per un colloquio. Proprio per questo, bisogna evitare di scrivere qualcosa o di farsi passare per qualcuno che poi non si è in grado di dimostrare nella pratica del colloquio.

Il datore di lavoro deve percepire di avere a che fare con un candidato autorevole, credibile e soprattutto affidabile, su cui l’azienda può contare senza alcun dubbio o timore.

Non scrivere un libro autobiografico

Un Curriculum Vitae non deve raccontare la vita di chi lo scrive, accentuare le peripezie lavorative del passato e/o soffermarsi più del necessario sul presente, ma dare risalto a cosa sia capace di dare a chi dovrà assumerlo.

Molte volte, i CV non rispondono alle esigenze di chi deve assumere e perdono di efficacia in mille parole o, al contrario, in una scrittura troppo elementare e scarna. Quando ci si guarda negli occhi, nei primi cinque secondi ci si fa già un’idea di chi ci sta di fronte. Allo stesso modo, chi legge i Curriculum Vitae ricevuti impiega non troppo secondi per farsi un’idea sulla personalità e competenza del mittente.

Un datore di lavoro da una persona si aspetta anche ambizione, oltre alla competenza, quindi, non si sbaglia mai quando si indicano i propri obiettivi e le proprie aspettative, ma sempre dopo aver riletto mille volte l’annuncio e aver studiato l’azienda che ha bisogno di inserire nel suo organico nuovi lavoratori.

Il Curriculum Vitae deve dunque essere leggibile e non un mattone per chi lo legge, un paio di pagine ben fatte saranno sufficienti. Non utilizzare troppi colori, non è un disegno artistico o una presentazione in Power Point, vanno bene gli elenchi puntati dove è necessario e qualche parole in grassetto dove occorre, senza mai esagerare.

Nell’inserimento della foto, usarne una “casual” che risulti troppo professionale ma nemmeno trasandata. Tutte le frasi non devono essere troppo lunghe, anche la punteggiatura è importante per non parlare della grammatica! E’ possibile utilizzare abbreviazioni e sigle e non iniziare mai le frasi con termini di azione.

Attenzione alla coniugazione dei verbi, per descrivere l’attuale occupazione parlare sempre al passato, mentre parlare al presente per i lavori passati.

Il consiglio

Poiché l’annuncio è determinante, è consigliabile, anzi, doveroso non utilizzare lo stesso Curriculum Vitae per più datori di lavoro, ogni CV va personalizzato.

Nonostante alcune regole vanno bene per tutti, bisogna tenere conto della scelta del modello di curriculum, nel caso l’annuncio o l’azienda lo richiedano in Inglese oppure se pretendono il Curriculum europeo o l’europass CV.

Ricorda: tutto ciò che scrivi nel Curriculum Vitae deve essere dimostrabile o apparire quanto meno attendibile e credibile, e soprattutto ribadito durante l’eventuale colloquio.

Mutuo casa, quando è possibile con lavoro a progetto

Nell’immaginario comune, ottenere un mutuo per l’acquisto di una casa è possibile solo presentando le ultime busta paga di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, o le ultime dichiarazioni dei redditi di un lavoratore autonomo. I precari, sono da sempre destinati a beccarsi un rifiuto davanti a una domanda di finanziamento per l’acquisto di un immobile. Tuttavia, mettendo da parte le congetture, ci sono possibilità di ottenere un mutuo per chi detiene un tipo di contratto diverso, ad esempio a termine o di collaborazione, o con un lavoro a progetto?

D’altronde, il posto fisso è diventato sempre di più una chimera e con il mercato del lavoro che è cambiato, anche altre forme contrattuali possono rappresentare una delle garanzie da presentare al proprio istituto di credito nella speranza di ottenere un mutuo. In questo articolo, ci soffermeremo sulla effettiva possibilità di ricevere la concessione di un finanziamento per acquisto casa essendo in possesso di un lavoro a progetto.

Può chiedere un mutuo un lavoratore a progetto?

Le garanzie sono le uniche cose che contano, affinché la banca possa prendere in considerazione la possibilità di concedere un mutuo. Va da sé, che rispetto a un lavoratore dipendente assunto con un contratto a tempo indeterminato, ci debbano essere più garanzie. A questo punto, vediamo quali sono le garanzie che riguardano un lavoratore assunto a progetto.

La garanzia dell’ipoteca sulla casa

La prima garanzia in assoluto, è l’ipoteca sulla casa che si vuole acquistare e per cui si è richiesto di accedere a un mutuo. La banca mette a confronto il valore dell’immobile e la cifra di finanziamento richiesta, se la prima dovesse essere sufficientemente maggiore, la banca la riterrà valida in quanto, in caso di insolvenza del mutuatario, avrà sempre in mano la possibilità di riscattare la casa per venderla, anche se a un valore minore a quello di mercato.

Nel caso di un lavoratore a progetto, l’istituto di credito potrebbe concedere un mutuo per un importo non superiore alla metà del valore della casa.

Il garante del lavoratore a progetto

Per un mutuo chiesto da un lavoratore a progetto, nel caso l’importo richiesto dovesse coprire tra il 70/80% del valore dell’immobile, diventa importante la figura del garante. Quest’ultimo, non è altro che un fideiussore, colui che garantisce la copertura del pagamento delle rate non pagate, nel caso non dovesse farlo l’intestatario del mutuo. Per valutare la valenza del garante, la banca si baserà sul reddito determinato dal tipo di lavoro svolto, sottraendo ad esso le spese fisse mensili che gravano sul garante. La banca dovrà tenere conto anche del patrimonio del garante, soprattutto di quello immobiliare. E’ di fondamentale importanza l’età del garante che non deve superare i 75 anni al momento dell’estinzione del mutuo. Difficilmente la banca applica una deroga. Le garanzie già prestate sono sotto la lente d’ingrandimento di una banca, se il garante ha già garantito altre persone per debiti contratti, difficilmente la banca lo riterrà valido come garante.

La polizza assicurativa

L’assicurazione contro il furto e l’incendio è già obbligatoria nel momento in cui si vuole accedere a un mutuo. Nel caso del lavoratore a progetto, un’importante garanzia per la banca sarebbe rappresentata da una polizza che copra il finanziamento da pagare, le soluzioni sono diverse. La polizza assicurativa entra in gioco quando il mutuatario ha comprovati problemi nella prosecuzione di pagamento delle rate del mutuo che vengano ritenuti validi.

Il Fondo di garanzia

Un mutuo per un lavoratore a progetto può essere concesso anche ricorrendo al Fondo di garanzia (Fondo Gasparrini) appositamente potenziato a favore di persone che si trovano in una situazione precaria. Si tratta di una garanzia offerta dallo Stato pronto a intervenire in caso di difficoltà economica da parte del richiedente del mutuo in un dato momento che cade durante la restituzione del finanziamento.

Il Fondo di garanzia si rivolge ai titolari di un contratto di lavoro atipico che non hanno ancora compiuto il 36esimo anno di età.

Tale Fondo copre l’80% della quota capitale nel caso in cui il richiedente:

  • presenti la domanda entro il 30 giugno 2022;
  • abbia un Isee non superiore a 40mila euro;
  • ottenga un mutuo superiore all’80% del valore dell’immobile.

L’istanza va inoltrata per via telematica compilando il modulo messo a disposizione sul sito di Consap, la Concessionaria servizi assicurativi pubblici che dipende dal ministero dell’Economia e delle Finanze e che è anche il gestore del Fondo di garanzia.

 

Concorso INPS 1858 posti: come partecipare?

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1° ottobre 2021 il nuovo bando che riguarda il concorso INPS volto all’assunzione con un contratto a tempo indeterminato di 1.858 consulenti di protezione sociale, in veste di funzionari: area C, posizione economica C1.

Come partecipare al concorso INPS 2021

I candidati che ambiscono ad essere assunti come funzionari a tempo indeterminato nell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, possono partecipare solamente se in possesso di un titolo di laurea magistrale tra quelli proposti dal bando. A tal proposito, ecco tra quali seguenti lauree magistrali/specialistiche si deve essere in possesso:

  • finanza
  • ingegneria gestionale
  • relazioni internazionali
  • scienze dell’economia
  • scienze della politica
  • scienze delle pubbliche amministrazioni
  • scienze economiche per l’ambiente e la cultura
  • scienze economico-aziendali
  • scienze per la cooperazione allo sviluppo
  • scienze statistiche
  • metodi per l’analisi valutativa dei sistemi complessi
  • statistica demografica e sociale
  • statistica economica finanziaria ed attuariale
  • statistica per la ricerca sperimentale
  • scienze statistiche attuariali e finanziarie
  • servizio sociale e politiche sociali
  • programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali
  • sociologia e ricerca sociale
  • sociologia
  • metodi per la ricerca empirica nelle scienze sociali
  • studi europei
  • giurisprudenza
  • teoria e tecniche della normazione e dell’informazione giuridica.

Al suddetto concorso INPS 2021 possono partecipare anche i candidati in possesso di un diploma di laurea del vecchio ordinamento equipollente a quelle magistrali richieste.

I 1.858 vincitori del concorso dovranno ricoprire il ruolo di consulenti per la protezione sociale al fine di rispondere alle nuove esigenze dell’INPS in materia di ammortizzatori sociali, previdenza, sistema pensionistico e attività di sostegno alla povertà.

Non è richiesto il voto minimo di laurea o una certificazione informatica e/o linguistica, così come non serve un titolo di dottorato. Facciamo questa precisazione in quanto il loro possesso non rappresenta un requisito necessario di partecipazione. Tuttavia, sono da prendere in considerazione per accumulare punteggio.

Le prove del concorso INPS

I candidati dovranno affrontare una prova preselettiva, ma solo nel caso dovessero pervenire oltre 25.000 domande. In tal caso, la preselezione sarà basata su un elaborato di quesiti psicoattitudinali, sulla logica e la conoscenza della lingua inglese, sulle competenze informatiche e altre domande di culturale generale. Per conoscere quando si svolgerà l’eventuale prova preselettiva si dovrà attendere il calendario di convocazione che sarà pubblicato il 26 novembre 2021.

Chi supererà la prova preselettiva avrà accesso alla prima prova scritta che consisterà in una serie di domande a risposta multipla volta ad accertare e verificare le conoscenze sulle seguenti materie:

  • bilancio e contabilità pubblica;
  • pianificazione, programmazione e controllo e organizzazione e gestione aziendale;
  • diritto amministrativo e costituzionale;
  • diritto del lavoro e legislazione sociale.

I candidati che avranno accesso alla seconda prova scritta, dovranno sottoporsi ad un altro elaborato di quesiti a risposta multipla, che stavolta verteranno su altre materie, ossia:

  • scienza delle finanze;
  • economia del lavoro;
  • elementi di economia politica;
  • diritto civile;
  • elementi di diritto penale.

Infine, la selezione finale vedrà i candidati dover affrontare la prova orale che verterà su tutte le materie oggetto d’esame delle prove scritte, ma anche sulla verifica del livello di conoscenza informatico e della lingua inglese. I candidati ammessi a tale prova dovranno aver riportato almeno 21/30 in ognuna delle prove scritte.

Si ricorda che tutte le prove d’esame del concorso si svolgeranno in modalità telematica.

Valutazione dei titoli

Verranno presi in considerazione, come già anticipato, i titoli posseduti dai candidati ai fini di una valutazione che consentirà loro di acquisire punteggio addizionale. A prescindere che si tratti di laurea magistrale/specialistica o del vecchio ordinamento, saranno assegnati 3 punti per le votazioni finale riportate da 101 a 105; sei punti per votazioni finali da 106 a 110. In caso di laurea conseguita con 110 e lode, i punti attribuiti al candidato saranno 9.

Quattro punti verranno assegnati per il conseguimento di uno o più master di II livello inerenti le materie oggetto delle prove d’esame del bando di concorso INPS, stesso dicasi per chi ha conseguito uno più dottorati a cui saranno assegnati otto punti.

Se si possiede un’ulteriore laurea tra quelle sopra indicate, si beneficia di altri 4 punti a prescindere dalla votazione finale riportata.

Un punto vale la certificazione di una conoscenza di base informatica. Ben cinque punti vengono assegnati ai candidati che sono in possesso di una certificazione corrente di conoscenza della lingua inglese, pari almeno al livello B2 del Quadro comune europeo di riferimento, se rilasciata dagli enti certificatori riconosciuti dal decreto n. 118 del 28 febbraio 2017 del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione – Direzione generale per il personale scolastico.

Infine, otto punto andranno attribuiti per il possesso di una certificazione corrente di conoscenza di lingua inglese, pari almeno al livello C1.

Come fare domanda per il concorso INPS

Per partecipare al concorso INPS, a partire dal 1° ottobre 2021 si deve essere in possesso di un account SPID per accedere al portale, consultare tutti i servizi online, tra cui l’iscrizione per la partecipazione ai concorsi pubblici. Il termine utile ultimo per presentare domanda di accesso al concorso dell’INPS è il 2 novembre 2021.

Requisiti generali

Per poter fare istanza di partecipazione al concorso INPS, si dovrà essere in possesso di tutti quei requisiti generali richiesti per lo svolgimento dei concorsi pubblici in generale, quindi:

  • essere cittadino italiano o di uno degli Stati membri della UE;
  • non essere stato destituito, licenziato o dispensato dall’impiego presso la PA e non essere mai decaduto da altro impiego pubblico, né interdetto dai pubblici uffici;
  • non aver riportato condanne penali;
  • aver assolto agli obblighi di leva se previsti;
  • godere dei diritti civili e politici;
  • fare parte dell’elettorato attivo;
  • essere idonei fisicamente all’impiego.

Bonus prima casa under 36 e mutuo: ulteriori chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate con l’interpello n. 653 del 4 ottobre 2021 ha fornito ulteriori delucidazioni sul Bonus prima casa per gli under 36. In particolare, ha spiegato che è possibile ottenere l’agevolazione anche per proprietà acquisite, rifacendosi, tra l’altro, a quanto stabilito nella risoluzione 38/E del 28 maggio 2021.

La risposta è relativa alla richiesta di usufruire dell’agevolazione di una persona che si è aggiudicata un immobile all’asta con decreto di trasferimento del Tribunale, ma non ancora registrato dall’Agenzia delle Entrate.

Il richiedente, infatti, voleva sapere se fosse possibile ottenere il Bonus prima casa under 36 sia nel momento del pagamento delle imposte dovute per la registrazione del decreto di trasferimento che nel momento della futura stipula del contratto di mutuo.

L”Agenzia delle Entrate ha chiarito che si può fruire del Bonus prima casa under 36 anche quando un immobile viene acquisito mediante un provvedimento giudiziale. Inoltre, l’Agenzia ha precisato che ai fini della fruizione del Bonus prima casa under 36 non assume alcun rilievo il riferimento al momento del futuro rogito del mutuo. L’unica cosa da prendere in considerazione è il rispetto dei requisiti previsti dal decreto Sostegni bis.

I requisiti

I requisiti principali del Bonus prima casa under 36 sono due: chi richiede il mutuo non deve aver compiuto 36 anni nell’anno in cui avviene il rogito e l’ISEE può indicare un valore fino a 40.000 euro annui.

Inoltre, la casa da acquistare non deve rientrare nelle categorie catastali per le quali è previsto il pagamento dell’IMU pur trattandosi di prima casa. Le classi catastali di riferimento sono:

  • A/1 (Abitazioni di tipo signorile)
  • A/8 (Abitazioni in ville)
  • A/9 (Castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici).

Naturalmente, l’immobile in questione oggetto dell’acquisto deve essere ubicato nel Comune in cui l’acquirente risiede o che sposta la propria residenza entro diciotto mesi dall’acquisto.

Chi presenta l’istanza deve anche dichiarare di non essere titolare di alcuna parte, anche in regime di comunione legale con il coniuge, su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, nuda proprietà, usufrutto, uso e abitazione acquistata con le agevolazioni anzidette.

Inoltre, nel caso in cui fosse ancora titolare di un’altra casa già acquistata con le agevolazioni in parola, di voler trasferire a titolo oneroso o gratuito quest’ultimo immobile entro un anno dalla data del rogito.

Queste dichiarazioni nel caso in esame, si legge nell’interpello, “sono rese dalla parte interessata, di regola, nelle more del giudizio, cosicché risultino nel provvedimento medesimo. (…), tuttavia, è possibile rendere tali dichiarazioni anche in un momento successivo, purché ciò avvenga prima della registrazione dell’atto”.

Quindi, tali dichiarazioni devono essere rese prima della registrazione dell’atto.

Sostanzialmente, è irrilevante il momento in cui viene stipulato il mutuo, rispetto a quando si beneficia dell’agevolazione, in quanto sono i requisiti che contano.

Naspi: spetta se non accetto rinnovo contratto a termine?

Se un lavoratore titolare di un contratto a tempo determinato rifiuta di prorogarlo, gli spetta l’indennità di disoccupazione Naspi?

Dell’indennità di disoccupazione, che si tratta di Naspi o Dis-Coll, possono beneficiarne tutti i lavoratori dipendenti (la Dis-Coll è per i co.co.co.) che cessano la propria attività lavorativa, non per propria volontà. Ciò significa che il licenziamento da parte di un datore di lavoro dà diritto alla Naspi nel caso di un contratto a tempo indeterminato o se il dipendente si dimette per giusta causa. Accade lo stesso per il mancato rinnovo a un contratto a termine?

Spetta la Naspi per rifiuto di proroga contrattuale?

Quando scade un contratto a termine può capitare che non venga prorogato o che venga trasformato in un contratto a tempo indeterminato. Se, il lavoratore dipendente si rifiuta di rinnovare un contratto a tempo determinato in scadenza che prevede il rinnovo automatico perde automaticamente il diritto alla Naspi.

Seguendo la logica e quanto sopra indicato, chiunque non venga licenziato o porga le due dimissioni in assenza di giusta causa, non ha diritto ad alcuna indennità di disoccupazione, in quanto si tratta di una cessazione dell’attività lavorativa volontaria.

Tuttavia, la procedura non scatta automaticamente. Infatti, il datore di lavoro dovrà dimostrare in modo documentato il rifiuto del lavoratore al rinnovo del contratto a termine. Nel caso il rifiuto di prorogare sia espresso in modo verbale, il dipendente può fare richiesta di Naspi e ottenerla, in quanto il suo rifiuto a rinnovare non risulta scritto da alcuna parte. Motivo per cui, il datore di lavoro dovrà recarsi al Centro per l’Impiego con tutta la documentazione necessaria che attesti il mancato rinnovo in forma scritta, impedendo di beneficiare dell’indennità di disoccupazione al dipendente o di presentare la trasformazione scritta da contratto di lavoro a termine a contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Ma poniamo il caso di un contratto a termine che viene interrotto prima della scadenza, scatta la Naspi per il dipendente?

A rigor di logica, non ci dovrebbero essere dubbi: nessun diritto alla Naspi per dimissioni volontarie. Ma, ci sono alcuni casi in cui l’indennità di disoccupazione spetta al lavoratore. Ad esempio, in caso di dimissioni per giusta causa, ossia, quando le condizioni di lavoro sono diventati tali da non poter consentire la prosecuzione del lavoro da parte del dipendente. Solitamente, questo scenario si apre nei casi di mobbing, pagamento ritardato degli stipendi, molestie subite dal datore di lavoro e similari.

Oppure, nel caso della lavoratrice madre che presenta le dimissioni nel periodo di tutela del licenziamento, in pratica, durante il primo anno di vita del figlio. Va da sè, che questi stessi casi sono validi anche nel caso di un contratto a termine giunto a scadenza e non rinnovato, per cui, il dipendente ha diritto a percepire la Naspi.

 

Fondo Impresa Donna: firmato il decreto che lo rende operativo

Il Fondo Impresa Donna è adesso operativo, grazie alla firma apposta sul decreto interministeriale del ministro leghista del governo Draghi, Giancarlo Giorgetti. L’obiettivo è rafforzare sia gli investimenti, sia i servizi a sostegno delle donne imprenditrici.

La misura prevista dal PNNR

La misura Fondo Impresa Donna consiste nella previsione di un investimento da finanziare di 40 milioni di euro, ma solo inizialmente. La finalità è incentivare la partecipazione delle donne nel mondo dell’imprenditorialità, supportandone le competenze e la creatività per l’avvio di nuove imprese e la realizzazione correlata di tanti progetti d’innovazione. Quale modo migliore da adottare, se non quello di una contribuzione a fondo perduto unitamente a finanziamenti agevolati?

Con l’operatività concessa dal ministero dello Sviluppo Economico, all’investimento iniziale di 40 milioni di euro si aggiungeranno le risorse del PNRR (Piano Nazionale Ripresa Resilienza) per un importo di 400 milioni di euro.

L’attuazione della misura a sostegno dell’imprenditoria femminile permette al ministero dello Sviluppo Economico di raggiungere un altro obiettivo stabilito dal cronoprogramma del PNNR, discorso valido anche per i bandi IPCEI sui progetti strategici altamente tecnologici nei settore delle batterie e dei semiconduttori, mentre è già stata avviata la rifoma della proprietà industriale.

L’obiettivo Inclusione e Coesione volto ad incentivare l’inserimento delle donne nel mondo dell’imprenditoria è stato centrato dal Ministero dello Svulippo Economico nell’ambito del Piano Nazionale di Resilienza e Ripresa.

Adesso, spetta alla Corte dei Conti la registrazione del decreto interministeriale.

A chi spetta il Fondo Impresa Donna

Un mix di agevolazioni sotto forma di finanziamenti e contributi a fondo perduto servono per l’avvio, il consolidamento delle imprese, la diffusione della cultura imprenditoriale femminile e i percorsi di formazione.

I destinatari del Fondo sono le lavoratrici autonome, le imprese individuali laddove il titolare è una donna, le cooperative e società di persone con almeno il 60% di socie, le società di capitale con quote e componenti del CDA per almeno il 66,66% di donne.

I settori di attività che ne beneficeranno saranno l’artigianato, l’industria, la trasformazione dei prodotti agricoli, i servizi, il turismo e il commercio.

Come funziona

Le imprese dovranno realizzare una pianificazione di investimenti entro 2 anni con un tetto di spese ammissibili: 250.000 euro per le nuove imprese e fino a 400.000 per le imprese già esistenti.

Le imprese devono avere determinate peculiarità. Per prima cosa, devono avere sede legale in Italia e devono essere costituite da almeno un anno. Anche le persone fisiche sono ammesse all’agevolazione, ma dovranno avviare l’attività entro 60 giorni dalla comunicazione positiva della valutazione della domanda e documentarne la costituzione.

Nel caso di lavoratrici autonome, l’apertura della partita Iva va presentata entro i 60 giorni dalla valutazione positiva della domanda.

Differenza tra lavoro autonomo occasionale e prestazione occasionale

Prima di capire quali siano le differenze tra lavoratore autonomo occasionale e prestazione occasionale, scopriamone di più su queste categorie di lavoratori.

Cos’è il lavoro autonomo occasionale

Il lavoro autonomo occasionale rientra nella categoria del lavoro autonomo e non è da confondere con le collaborazioni occasionali o con il contratto di prestazione occasionale o con il Libretto di Famiglia.

A differenza del vero e proprio lavoro autonomo che viene sempre svolto dai titolari di partita IVA, il lavoro autonomo occasionale è tale in quanto non solo viene svolto da lavoratori privi di partita IVA, anzi, proprio per quello non ha la peculiarità della continuità, bensì, lo svolgimento dell’attività è sporadica e l’organizzazione è assente.

Il lavoratore autonomo occasionale, contrariamente a quanto si pensa, non ha un limite di 30 giorni nella durata del rapporto, tanto meno un limite di reddito di 5.000 euro annui. Infatti, il superamento di tale importo limite, costringe il lavoratore solo all’iscrizione alla Gestione Separata dell’INPS.

Premesso ciò, possiamo affermare che il lavoro autonomo occasionale è caratterizzato dalla sua saltuarietà, non è legato ad alcun vincolo nei confronti del committente in quanto a coordinamento del lavoro, il quale è solo tenuto al pagamento della prestazione ricevuta. L’unico obbligo del lavoratore autonomo occasionale è di compiere un’opera o un servizio con lavoro proprio e dietro il pagamento di un corrispettivo economico.

Differenza tra lavoro autonomo occasionale e prestazione occasionale

La prestazione occasionale, invece, è resa tramite un contratto di prestazione occasionale o tramite Libretto di Famiglia ed è assimilabile al lavoro accessorio (ex voucher o buoni lavoro). Invece, non ha nessuna attinenza con il lavoro autonomo o subordinato e nemmeno con il parasubordinato di cui fanno parte i co.co.co, bensì è un tipo di attività marginale e soprattutto saltuaria, fine a se stessa.

Cos’è la prestazione occasionale

La prestazione occasionale consiste in un rapporto di lavoro che s’instaura saltuariamente tra il prestatore d’opera e il datore di lavoro.

La prestazione occasionale deve avvenire entro certo limiti di compensi e regole. All’interno di un anno civile, le prestazioni attivabili per ogni singolo utilizzatore non possono superare i 5.000 euro netti nei compensi. Lo stesso limite si applica per le prestazione occasionali che il lavoratore può attivare entro l’anno e che scende a 2.500 euro se sono offerte esclusivamente da un solo fornitore o datore di lavoro.

La prestazione occasionale si distingue tra il Libretto di Famiglia e il contratto di prestazione occasionale:

  • Il Libretto famiglia è riservato alle persone fisiche e riguarda prestazioni occasionali al di fuori dell’esercizio dell’attività professionale o d’impresa. Esso è pensato per le prestazioni occasionali domestiche (colf o baby sitter). Sempre nel limite dei 5.000 euro all’anno il Libretto famiglia può essere usato anche dalle società sportive per pagare le prestazioni negli stadi degli steward.
  • Il contratto di prestazione occasionale al contrario esce dal contesto familiare ed è quello che un soggetto può instaurare con un datore di lavoro o utilizzatore come una microimpresa con non più di 5 dipendenti a tempo indeterminato o anche le amministrazioni pubbliche.

A tal proposito, il contratto di prestazione occasionale può essere attivato dalle pubbliche amministrazioni, ma solo nell’ambito di progetti speciali per categorie di soggetti che versano in stato di povertà, detenzione, disabilità, tossicodipendenza, fruizione di ammortizzatori sociali.

Le amministrazioni pubbliche possono utilizzare la prestazione occasionale anche per lavori di emergenza legati ad attività di solidarietà, ad organizzazioni di manifestazioni, a calamità o eventi naturali improvvisi.

A seguito dell’introduzione del decreto Dignità, il contratto di prestazione occasionale è stato esteso anche alle aziende alberghiere, alle strutture ricettive del turismo (fino a otto lavoratori), alle aziende agricole (fino a cinque dipendenti).

L’importo massimo può arrivare fino a 6.666 euro, invece di 5.000 euro, per il lavoro occasionale dei seguenti prestatori:

  • pensionati;
  • studenti fino ai 25 anni;
  • disoccupati;
  • percettori di prestazioni di sostegno al reddito.

Il prestatore occasionale e l’utilizzatore, rispettivamente il lavoratore e il datore di lavoro, per quanto concerne i compensi:

  • sono esenti da imposizione fiscale;
  • non incidono sul suo stato di disoccupato;
  • sono computabili ai fini della determinazione del reddito necessario per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno.

Per approfondire l’argomento, potrebbe interessarti leggere anche: