Che differenza c’è tra pensione di invalidità e di inabilità

Prima di affrontare la differenza tra pensione di invalidità e di inabilità, è necessario fare chiarezza sulla differenza che sussiste tra invalidità civile e handicap. Ad effettuare gli accertamenti sono commissione mediche diverse.

L’invalidità civile

Può presentare domanda di invalidità civile qualsiasi persona affetta da una menomazione, anomalia o addirittura dalla perdita di una funzione o struttura, che sia sul piano fisico, fisiologico o psicologico. L’accertamento medico verifica e attesta il grado d’invalidità del soggetto che parte dal 33% fino ad arrivare alla sua totalità (100%). La percentuale d’invalidità è importante in relazione alla capacità lavorativa della persona invalida, ossia, fino a che punto il grado d’invalidità ne riduce la capacità lavorativa o lo rende incapace di svolgere qualsiasi lavoro.

L’handicap

Riconoscere lo stato dell’handicap, significa prendere in considerazione la difficoltà d’inserimento sociale causata dalla patologia o menomazione da cui è affetta la persona. Quest’ultima, può essere di natura fisica, sensoriale o psicologica. Una situazione di handicap grave può anche non dare luogo un 100% di invalidità, sebbene limiti molto la capacità d’inserimento sociale. La persona portatrice di grave handicap può anche non corrispondere ad una riconosciuta invalidità civile.

Differenze tra pensione di invalidità e inabilità

In materia previdenziale, esistono dei distinguo tra pensione di invalidità e pensione di inabilità. Vediamo quali sono, premettendo che entrambe richiedono un’anzianità minima contributiva.

Pensione di invalidità

L’assegno ordinario di invalidità (legato ai contributi versati) spetta al lavoratore che ha subito una perdita di due terzi della propria capacità lavorativa a causa di un’infermità mentale o fisica che determini una riduzione pari ad almeno il 66,66%.

Oltre al requisito sanitario, si deve tenere presente il requisito contributivo che corrisponde ad almeno cinque anni di contribuzione maturata, di cui almeno tre nei 5 anni precedenti la domanda. L’assegno di invalidità consente la prosecuzione dell’attività lavorativa, il cui calcolo si basa sulle stesse regole dell’ottenimento della pensione di vecchiaia e tiene conto, dunque, del bonus contributivo.

Solitamente, l’assegno ordinario di invalidità è inferiore a quello della pensione di inabilità, in quanto, come vedremo, non è previsto il bonus contributivo, di conseguenza, soprattutto rispetto ai lavoratori più giovani.

L’assegno di invalidità viene ridotto a seconda dei redditi da lavoro presenti, inoltre, non è reversibile ai superstiti né cumulabile con la rendita INAIL.

Pensione di inabilità

La prestazione previdenziale (pensione di inabilità) è riconosciuta solamente in caso di assoluta e permanente possibilità a svolgere qualsiasi attività di lavoro dovuta a infermità, difetti mentali o fisici.

Per inoltrare la domanda di pensione di inabilità, il richiedente deve aver versato almeno cinque anni di contribuzione, di cui tre nel quinquennio precedente la domanda. A differenza di chi percepisce l’assegno ordinario d’invalidità, l’inabile che vuole percepire la pensione deve cessare qualsiasi attività lavorativa a prescindere dalla sua natura (autonoma o dipendente).

Per il calcolo della pensione di inabilità vengono seguite le stesse regole della pensione di vecchiaia. Tuttavia, l’importo dell’assegno previdenziale è calcolato con il sistema misto oppure con il metodo integralmente contributivo, in base all’anzianità contributiva maturata entro il 31 dicembre 1995.

Agli anni di contributi versati, viene aggiunto il bonus contributivo relativo agli anni che intercorrono tra la data della domanda e la data del compimento del 60° anno di età (donne e uomini) entro il tetto massimo di 40 anni di contributi.

La pensione di inabilità a differenza di quella di invalidità è reversibile ai superstiti, ma, come l’altra, non è compatibile con la rendita INAIL.

Differenza pensione di invalidità e inabilità in breve

Per quanto concerne il requisito sanitario, chi fruisce dell’assegno ordinario di invalidità deve aver perso almeno due terzi della propria capacità lavorativa. Chi ottiene la pensione di inabilità ha subito una perdita totale e permanente per lo svolgimento di qualunque tipo di attività lavorativa.

Il requisito contributivo è uguale per entrambi (5 anni di contributi maturati di cui almeno 3 nei 5 anni precedenti la richiesta).

Il calcolo per la pensione di invalidità è basata sui contributi effettivamente versati, l’assegno di inabilità è maggiorato figurativamente dei contributi mancanti al sessantesimo anno di età.

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Prestazione di lavoro occasionale: come essere in regola

Il nuovo contratto di prestazione occasionale va a sostituire il voucher eliminato nel 2017. I prestatori occasionali non sono né lavoratori autonomi né lavoratori subordinati, in quanto le prestazioni in oggetto sono sporadiche e di breve durata.

Le prestazioni occasionali vengono disciplinate a seconda dell’ambito del loro utilizzo:

  • attività professionale o d’impresa;
  • familiare da un privato persona fisica.

Nel primo caso si parla di un contratto a prestazione occasionale, nel secondo caso si usa il Libretto di Famiglia. In entrambi i casi, sia il prestatore che il datore di lavoro devono registrarsi sin dall’inizio all’apposita piattaforma INPS, con l’obiettivo di gestire il rapporto.

Prestazione di lavoro occasionale: limiti di utilizzo

Per prestazioni di lavoro occasionale s’intendono tutte quelle attività che nell’anno civile producono:

  • per ogni prestatore compensi di importo totale fino a 5.000 euro;
  • per ogni utilizzatore compensi di importo fino a 5.000 euro (prestatori complessivi).

Inoltre, il prestatore dal ciascun utilizzatore non può ricevere compensi superiori a 2.500 euro e nemmeno superare le 280 ore rese in un anno civile.

Chi può usare le prestazioni occasionali di lavoro

Possono ricorrere alle prestazioni occasionali:

  • le imprese che non hanno assunti più di cinque dipendenti a tempo indeterminato (mediante il ricorso al contratto di prestazione occasionale).
    i privati che non esercitano attività d’impresa e nemmeno professionale (ricorrendo al cosiddetto “Libretto di famiglia”).

Come anticipato, per dare una possibilità di più ad alberghi e strutture ricettive del turismo, ma che per aumentare l’utilizzo, sono state concesse le prestazioni occasionali fino a quelle con otto dipendenti assunti a tempo indeterminato, per le prestazioni limitate a:

  • titolari di pensione di vecchiaia;
  • Giovani Under 25 che siano iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado o un ciclo di studi universitario;
  • disoccupati;
  • destinatari di prestazione integrative al salario, del Reddito di Inclusione o di altre forme di sostegno al reddito.

Deroga alla normativa per i prestatori occasionali nel turismo

La deroga si applica a tutti coloro la cui attività principale o comunque prevalente si qualifica con l’attività alberghieri, di villaggi turistici, di rifugi di montagna, di colonie marine e montane, di ostelli della gioventù, affittacamere per soggiorni brevi, case ed appartamenti vacanze, B & B, residence, aree di campeggio e aree attrezzate per roulette e camper.

Invece, non si può ricorrere alle prestazioni occasionali nell’esecuzione di appalti o da parte di imprese:

  • dell’edilizia e settori affini;
  • che esercitano attività di escavazione o lavorazione di materiale lapideo;
  • del settore delle miniere, cave e torbiere.

Prestazioni di lavoro occasionali: prestatori di lavoro occasionale

Eccezion fatta per il settore agricolo, famiglie e imprese possono attivare prestazioni di lavoro occasionale con qualsiasi soggetto, a meno che non si tratti di lavoratori con cui sia ancora in corso (o sia cessato da meno di sei mesi) un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa, pena la conversione a tempo pieno e indeterminato qualora sia accertata la natura subordinata.

Nel settore agricolo le prestazioni occasionali sono ammesse solo per le attività rese dai seguenti soggetti:

  • Titolari di pensione di vecchiaia o di invalidità;
  • Under 25, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado ovvero a un ciclo di studi presso l’università;
  • Disoccupati;
  • Percettori di prestazioni integrative del salario, del reddito di inclusione o di altre prestazioni di sostegno al reddito.
  • Tutti i soggetti citati non devono essere stati iscritti l’anno precedente negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli.

Il compenso dovuto per la prestazione occasionale

Il compenso spettante per le prestazioni di lavoro occasionali è stabilito dalle parti, in misura comunque non inferiore a 9,00 € netti all’ora (8,00 € per i privati), ad eccezione del settore agricolo dove il limite sono i minimi salariali mensili degli operai.

Il limite per il compenso giornaliero è pari ad un minimo di 36 euro, anche nei casi in cui la durata della prestazione sia inferiore. Nessun limite invece per le ore eccedenti le quattro, ma nel limite minimo di 9,00 €/h.

L’INPS si occupa della liquidazione del compenso, entro il giorno 15 del mese successivo quello di esecuzione della prestazione.

Peraltro, anche nel lavoro occasionale i prestatori godono della copertura INPS (contributi versati alla Gestione separata) e INAIL, con oneri interamente a carico dell’azienda, cui si aggiungono i costi di gestione.

La prestazione occasionale non è soggetta a IRPEF e non incide sullo status di disoccupato.

I prestatori riceveranno il compenso tramite bonifico sul conto corrente, a fronte della presentazione di univoco mandato o autorizzazione di pagamento emessa dalla piattaforma INPS e stampata dall’utilizzatore che riporti i dati principali dell’attività: identificazione delle parti, luogo, durata della prestazione e importo del compenso.

Prestazioni Occasionali: cosa fare

Innanzitutto per attivare una prestazione di lavoro occasionale, chiunque sia il lavoratore deve registrarsi sulla piattaforma online INPS.

Una volta fatto ciò, il datore deve erogare il compenso. Il versamento può avvenire tramite F24 o sulla piattaforma INPS a mezzo addebito in conto corrente o su carta di credito.

Un’ora prima dell’inizio della prestazione le imprese devono comunicare all’INPS i dati identificativi del prestatore, il compenso pattuito, luogo di svolgimento, oggetto della prestazione, data e ora di inizio e termine della stessa (l’imprenditore agricolo o l’azienda alberghiera possono comunicare la data di avvio e il monte ore complessivo presunto con riferimento a un arco temporale non eccedente i dieci giorni).

I privati invece devono comunicare all’INPS l’avvio dell’attività entro il giorno 3 del mese successivo quello di svolgimento della prestazione e contenente:

  • Dati identificativi;
  • Compenso;
  • Luogo di lavoro;
  • Ambito e durata della prestazione.

Assegno di incollocabilità: importo e destinatari, la domanda

L’assegno di incollocabilità è una prestazione economica erogata nei confronti degli invalidi di guerra, del servizio o del lavoro, che si trovano nell’impossibilità di fruire dell’assunzione obbligatoria come previsto dalla Legge n. 68 del 1999. Dal 1° luglio ne è stato rideterminato l’importo che resta uguale a quello del 2020 pari a 263,37 euro. Lo ha pubblicato sul proprio sito il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali attraverso il decreto ministeriale n. 173 del 1° settembre 2021.

Requisiti per assegno di incollocabilità

Per beneficiare dell’assegno di incollocabilità tutti i soggetti invalidi che ne hanno diritto devono essere in possesso di determinati requisiti, oltre a quelli che riguardano l’aver subito un infortunio  una malattia processionale:

  • l’invalido non deve avere un’età che superi i 65 anni;
  • il grado d’inabilità non deve essere inferiore al 34%, riconosciuto dall’Inail secondo le tabelle allegate al Testo Unico (Dpr. n. 1124/1965) per infortuni sul lavoro che si sono verificati o malattie professionali denunciate fino al 31 dicembre 2006;
  • il grado di menomazione dell’integrità psicofisica o danno biologico superiore al 20% riconosciuto secondo le tabelle per gli infortuni che si sono verificati e per le malattie professionali allegate all’art. 13 del decreto Legislativo n. 38 del 2000, denunciata a partire dal 1° gennaio 2007.

L’assegno viene erogato mensilmente insieme alla rendita ed è rivalutato annualmente, con apposito decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo.

Come effettuare la domanda

Per ottenere l’assegno il lavoratore deve fare domanda alla sede Inail d’appartenenza, oppure tramite via email, o ancora tramite PEC. Una volta ricevuta la richiesta, l’Inail convoca per una visita medica il richiedente per verificare la veridicità di quanto affermato nell’istanza.

Sia in caso di esito positivo che di esito negativo, verrà comunicata rispettivamente: l’accettazione dell’istanza o la motivazione del rifiuto via posta ordinaria o via PEC.

E’ da precisare che l’assegno può essere riconosciuto anche mediante il parere del medico Inail al momento dell’accertamento del danno permanente.

Nella compilazione della domanda vanno indicati i dati anagrafici del richiedente, la descrizione dettagliata dell’invalidità lavorativa, ed eventualmente di quelle extra lavorativa (per cui è necessaria certificazione apposita). Inoltre, una fotocopia del documento d’identità.

Nel caso lo ritenesse opportuno per timore di commettere degli errori e invalidare l’istanza, il lavoratore può rivolgersi a un patronato.

Modalità di pagamento

La somma di denaro spettante alla persona priva di qualsiasi capacità lavorativa, verrà erogata a partire dal mese successivo in cui è stata presentata domanda, tramite un accredito sul conto corrente postale o bancario, oppure un accredito sul libretto di deposito nominativo che sia bancario o postale (escluso per il settore navigazione).

L’accredito può essere effettuato anche su una carta prepagata munita di codice IBAN. Il pagamento può avvenire anche mediante gli istituti di credito convenzionati con l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale per i titolari di rendita che riscuotono all’estero, escluso il settore di navigazione.

Può essere inviato come erogazione al beneficiario anche un assegno fino a un milione di euro, con pagamento in contanti presso sportello posta o cambiario, escluso per il settore navigazone.

La suddetta prestazione economica, ossia l’assegno di incollocabilità non concorre alla formazione del reddito, quindi, risulta esente dall’Irpef.

 

Pignoramento presso terzi: opposizioni

Nonostante il debitore non sia riuscito a soddisfare un credito dovendo soccombere all’iniziativa del suo creditore, la legge italiana offre degli strumenti che gli permettono di influenzare la procedura esecutiva di pignoramento e fare opposizione.

Opposizione all’esecuzione

Premettendo che bloccare un pignoramento c/o terzi ha come oggetto crediti che il debitore vanta nei confronti di un terzo o cose mobili detenute da terzi e appartenenti sempre al debitore, partiamo con l’opposizione all’esecuzione che contesta la legittimità del diritto della parte richiedente il procedimento all’esecuzione. Ciò accade in assenza di titolo esecutivo o in mancanza del diritto sostanziale che il titolo rappresenta.

Qualora l’esecuzione non sia stata ancora avviata, l’opposizione ad essa si può proporre con citazione per opposizione a precetto. Ma, nel caso sia già iniziata, l’opposizione avviene con ricorso al giudice dell’esecuzione stessa. 

Spetterà al giudice competente di territorio e per materia decidere la sussistenza o meno del diritto del creditore a procedere all’esecuzione. In caso di accoglimento della proposta di opposizione, avviene il blocco del pignoramento c/o terzi.

E’ bene precisare che l’opposizione non si può proporre dopo la disposizione già avvenuta di vendita o assegnazione dei beni pignorati, a meno che: siano sopraggiunti degli eventi che hanno impedito al debitore di agire prima, per motivi non dipesi da lui ma che è tenuto a dimostrare l’impossibilità di opporsi antecedentemente.

L’opposizione agli atti esecutivi

L’opposizione agli atti esecutivi viene posta in essere per contestare la regolarità con cui l’opposizione è stata intrapresa. L’art.617 del codice di procedura civile effettuata una distinzione tra l’opposizione proposta prima dell’avvio dell”esecuzione da quella proposta durante la medesima.

Nel primo caso, l’opposizione va presentata con atto di citazione entro 20 gg davanti al giudice dell’esecuzione se il debitore ha eletto domicilio dove il tribunale ha sede o in assenza nel tribunale del posto dove il precetto è stato notificato.

Nel secondo caso, l’opposizione va presentata con ricorso diretto al giudice dell’esecuzione del termine de venti giorni.

L’opposizione del terzo all’esecuzione

L’opposizione del terzo all’esecuzione è il rimedio concesso al terzo che vede pignorati i propri beni che non appartengono al patrimonio del debitore.

Il terzo può effettuare proposta di opposizione con ricorso al giudice dell’esecuzione prima che venga disposta l’assegnazione dei beni o la vendita.

L’art. 620 del codice di procedura civile prevede la possibilità di presentare un’opposizione anche dopo che sia stata disposta la vendita. Tale norma trova applicazione solo per i beni mobili: in caso di vendita di un bene immobile il terzo può solo rivendicare il bene nei confronti dell’acquirente.

Esistono altre procedure che possono bloccare il pignoramento verso terzi, diamo uno sguardo.

Bloccare il pignoramento presso terzi: pagamento all’ufficiale giudiziario

Il debitore può evitare il pignoramento presso terzi consegnando all’ufficiale giudiziario la somma per cui si procede e l’importo delle spese con l’incarico di consegnarli al creditore.

All’atto del versamento si può fare riserva di ripetere la somma versata.

Può altresì evitare il pignoramento di cose, depositando nelle mani dell’ufficiale giudiziario, una somma di denaro uguale all’ammontare del credito per cui si procede e delle spese, aumentato di due decimi.

Bloccare il pignoramento presso terzi con la conversione

Questa modalità prevista dall’art. 495 del codice di procedura civile prevede la sostituzione dei beni all’origine vincolati con una somma di denaro, ma ciò deve avvenire prima che sia disposta l’assegnazione o la vendita di questi. La somma viene determinata con un ordinanza del giudice dopo l’udienza che ha chiamato le parti a comparire per un contraddittorio.

Poi, verificato l’effettivo versamento dell’importo, il giudice dispone la liberazione del bene e la sua sostituzione col denaro versato dall’esecutato.

La richiesta di conversione per bloccare il pignoramento c/o terzi può essere avanzata una sola volta.

Ogni sei mesi il giudice provvede al pagamento del creditore pignorante o alla distribuzione delle somme versate dal debitore.

Se quest’ultimo omette il versamento dell’importo o ritarda di oltre quindici giorni il pagamento di una delle rate, le somme versate formano parte dei beni pignorati.

Bloccare il pignoramento presso terzi: riduzione del pignoramento

Su istanza del debitore o anche d’ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti, il giudice, sentiti il creditore pignorante e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento (art. 496).

I giudici di Cassazione hanno dimostrato una forte tendenza a favorire l’azione di riduzione del pignoramento anche prima dell’udienza per l’autorizzazione alla vendita.

E’ sempre bene ricordare che esistono dei beni che non è possibile pignorare o che lo sono solo in parte, anche di questo c’è da tenere conto del blocco del pignoramento presso terzi.

Allo stesso modo è da prendere in considerazione l’accordo con i creditori come soluzione ideale, in quanto evita spese e tempi necessari per il procedimento esecutivo.

In poche parole, se c’è l’accordo l’esecuzione viene sospesa.

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Riforma fiscale Draghi, Irpef e Irap: delega in Cdm

Il Governo Draghi pare voglia muoversi nella direzione di un provvedimento che prevede il taglio dell’Irap e un intervento fiscale sul terzo scaglione dell’Irpef, quello che include i cosiddetti “redditi medi” tanto per intenderci. Non sarà un’impresa facile dialogare con i partiti politici con posizioni diverse, nonostante il premier Mario Draghi abbia dichiarato che il problema non sono loro ma che è presto per quantificare le risorse. Tuttavia, la Commissione MEF crede che possa trattarsi di una sfida difficile a livello politico. Ma entriamo nel merito della questione fiscale.

Riforma fiscale: la legge delega

Il Governo procederà con cautela per quanto concerne il taglio delle tasse che sarà presente nella prossima Manovra, tanto che Daniele Franco, ministro dell’Economia, ha detto che l’anno prossimo, ossia nel 2022, sarà attuato solo un primo stadio della riforma fiscale. Intanto, è quasi certo che la legge delega relativa potrebbe essere approvata già la prossima settimana.

La legge delega dovrebbe definire solo il contorno degli interventi riguardanti la riforma fiscale, che quanto riportato dalla nota di Aggiornamento del DEF, farà sentire i suoi primi effetti a partire dal 2023. Il MEF che ha previsto una pressione fiscale che nel 2021 dovrebbe aggirarsi intorno al 41,9% del PIL (Prodotto interno lordo), nel 2022 si manterrà probabilmente stabile al 42% per poi scendere solo negli anni successivi di uno 0,2% medio, fino a giungere a una pressione fiscale del 41,5% nel 2024.

Come ribadito dallo stesso Draghi, sarà necessario un lavoro certosino sulle analisi economico giuridiche che darà luogo, in ogni caso, a una discussione in ambito politico.

I tagli

Tra le ipotesi della riforma fiscale più accreditate c’è il taglio dell’Irap che dovrebbero riguardare i professionisti e le imprese individuali, mentre l’Ires per le società rimarrebbe sotto forma di addizionale. In campo, pare possa scendere un’alternativa per le imprese, cioè il taglio del Cuaf (Contributo unico assegni familari).

A fine giugno 2021 le commissioni Finanze Camera e Senato hanno pubblicato un documento che servirà da base per la definizione della legge delega, suggerendo un intervento sul terzo scaglione dell’Irpef, quello comprensivo i redditi tra 28.000 euro e 55.000 euro, la cui attuale aliquota è pari al 38% e che potrebbe subire il taglio di almeno un punto, una mossa che costerebbe circa tre miliardi.

Secondo quanto detto da Mario Draghi, è presto per dare “i numeri”, se ne discuterà in sede di legge di bilancio per la quantificazione delle risorse da dover spostare, ma prima di tutto la legge delega fiscale che dovrà essere discussa nel Consiglio dei Ministri, forse, la prossima settimana.

LEGGI ANCHE: Aliquote e scaglioni IRPEF 2021: il calcolo sui redditi 2020

La riforma del catasto

Il Presidente del Consiglio Draghi ha rimarcato la necessità di effettuare una riforma del catasto che sarà avviata con la delega fiscale, premettendo che nessuno pagherà di più ma nemmeno di meno, ma il tutto deve rientrare nell’ambito della riforma fiscale.

Chi mostra subito il suo dissenso è Matteo Salvini. Per il leader della Lega si tratterebbe di una fregatura per gli italiani. Più o meno sulla stessa linea anche la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che si dice convinta sul fatto che la riforma del catasto con nuove rendite potrebbe portare ad una stangata sulle case.

Letta e Gelmini sulla delega fiscale

Enrico Letta, segretario del Partito Democratico spinge affinché siano premiati i contribuenti che hanno sempre pagato le tasse, sottolineando come nel passato non sia mai stato fatto. Il segretario PD ribadisce la sua contrarietà ai condoni, cui troppo spesso ci è rivolto a discapito di chi le tasse le ha sempre pagate e a favore, invece, dei soliti evasori.

Il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Mariastella Gelmini, afferma che non ci dovranno essere nuove tasse sulla casa. Altresì, sarà di vitale importanza diminuire le tasse per il ceto medio, andando nella direzione di una progressiva abolizione dell’Irap e verso un richiamo allo Statuto del contribuente.

Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli è di altro avviso e crede che nella riforma fiscale si dovrà puntare al Codice Tributario Unico e alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra pressione fiscale ed equità redistributiva del prelievo, è fondamentale abbassare la pressione fiscale”. Per quanto concerne il reddito d’impresa, “andrebbe reintrodotta l’Iri”, ha indicato Sangalli rafforza l’ipotesi di abilizione dell’Irap, facendo anche presente che andrebbe reintrodotta l’Iri Italia, l’Istituto per la Rcostruzione Indistriale leader nelle ricerche di mercato analisi, insight e piattaforme tecnologiche di supporto alla crescita delle aziende del largo consumo.

Ricordiamo che l’Iri, fondata a Roma nel 1933 e diventata Società per Azioni nel 1992 , cessò la sua attività nel 2002.

Chi non ha pagato la rottamazione ter

Cosa accade a chi non paga le scadenze delle rate di rottamazione e saldo e stralcio? Nello specifico, parliamo della pace fiscale e delle relative regole in relazione all’appuntamento del 30/09/2021. Ma potrebbe succedere ancora, quindi, quali sono le conseguenze in generale?

Rottamazione ter: chi non paga

La scadenza del 30 settembre 2021 è giunta, per chi non ha pagato subentra la decadenza dalla definizione agevolata e non sarà più possibile chiedere di rateizzare il debito. Facciamo chiarezza.

Chi ha aderito alla pace fiscale deve rispettare le scadenze delle rate della rottamazione e del saldo e stralcio. Per evitare un immediato decadimento dal piano agevolato, sono stati previsti cinque giorni di tolleranza in assenza di altre deroghe.

Superati anche gli ulteriori giorni concessi, chi non paga perde tutti i benefici della pace fiscale. Tuttavia, questo non sembra aver convinto tutti o evidentemente molti contribuenti per circa 800mila pagamenti non hanno potuto rispettare le precedenti scadenze delle rate, nonostante siano stati sempre concessi cinque giorni di tolleranza. All’appello mancano 4 miliardi di euro, era il denaro che si aspettava entrasse l’Agenzia delle Entrate Riscossione.

Situazione simile potrebbe verificarsi dopo la scadenza del 30 settembre 2021. Quindi, un nuovo capitolo si aprirà per tutti i contribuenti che hanno omesso il pagamento delle rate della rottamazione ter e del saldo e stralcio delle cartelle esattoriali.

Ci sarà un ricalcolo del debito e torneranno ad aggiungersi le sanzioni e gli interessi così come la quota del debito cancellata per chi ha aderito al saldo e stralcio. Ribadiamo che non aver rispettato le scadenze suddette, comporta l’impossibilità di avere accesso a nuove rateizzazioni.

Tutto tornerà nella normalità, ossia le procedure di recupero del debito da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione e, stavolta, senza possibilità di dilazioni per le somme dovute.

Chiunque non pagherà le rate entro le scadenze prestabilite dalla pace fiscale, inclusi i giorni di tolleranza, riceveranno lo stesso trattamento.

Ormai, la data del 30 settembre 2021 è arrivata e riguardava le rate della rottamazione e del saldo e stralcio dovute a luglio 2020. Il prossimo appuntamento con la scadenza delle rate è il 31 ottobre 2021 per quelle relative a novembre 2020. Infine, il 30 novembre 2021, l’ultima scadenza che calcolando i giorni di tolleranza, significherà che entro il 6 dicembre 2021 dovranno essere pagate tutte le rate della pace fiscale dovute per l’anno 2021.

Decadenza pace fiscale e nuove rateizzazioni ma solo in casi specifici

In futuro, chi non rispetta la scadenza per il pagamento delle rate stabilite dalla pace fiscale, non avrà nuove rateizzazioni. Ma visto l’emergenza Covid-19, alla rottamazione sono previste delle deroghe.

Infatti, chi non ha pagato le rate del saldo e stralcio e della rottamazione ter scadute nel 2019 può accedere alla rateizzazione delle cartelle. La stessa regola è stata poi estesa dal decreto Ristori anche per i debiti relativi alla prima e seconda rottamazione decaduti per via del mancato pagamento entro i termini, nel rispetto della scadenza del 31 dicembre 2021.

Le domande di rateizzazione

Per le richieste presentate entro la fine dell’anno, il contribuente può beneficiare del maggior termine di decadenza, che comporta il non venir meno del piano di versamento accordato in caso di mancato pagamento di dieci rate, anche se non consecutive, in luogo delle cinque ordinariamente previste.

Regole emergenziali che si applicano solo in parte ai decaduti dalla pace fiscale. Al momento non sono infatti previste deroghe per chi non ha versato e non verserà le rate relative al 2020 e al 2021 della rottamazione e del saldo e stralcio.

Quali sono i rischi del crowdfunding?

Non c’è dubbio che, almeno in teoria, sia più facile trovare tanti piccoli finanziatori che prestano piccole somme di denaro, piuttosto che convincere un unico finanziatore pronto a prestare i propri soldi per l’espansione di una start-up o di una piccola e media impresa: stiamo parlando di un crowdfunding.

Tra l’altro, il crowdfunding ha il vantaggio di ricevere tante informazioni che possono tornare utile al proprio progetto o impresa, grazie ad una comunità che si forma intorno alla sua piattaforma online. Ma quali sono i rischi di cui deve essere a conoscenza chi decide di utilizzare un crowdfunding per espandere a fini di lucro la propria impresa?

I rischi di un crowdfunding

Il fallimento di un’impresa finanziata da una o più fonti con elevate somme di denaro, non è molto diverso che da quello di un’impresa fallita dopo aver ricevuto tanti piccoli finanziamenti: in ogni caso, vanno restituite tutte le somme ricevute per la raccolta fondi.

Le idee innovative girano in rete e sono visibili a tantissime persone, ciò vuol dire che potenzialmente tanti altri soggetti con i dovuti accorgimenti strategici, potranno copiare il progetto con risultati eccellenti. Per ovviare a questo problema, è consigliabile chiedere una consulenza alla Camera di C0mmercio locale o ancora meglio a un esperto, per capire come proteggere la propria proprietà intellettuale.

Un altro dei rischi in cui si può incorrere è buttarsi in un crowdfunding senza le dovute conoscenze e competenze, sottovalutandone i costi e la gestione. In pratica, si dovrebbe già essere preparati a un piano B, o comunque a mettere da conto eventuali margini di errore. In ogni caso, una consulenza si rende sempre necessaria.

Effettuare una proposta banale nel mondo del crowdfunding, è come darsi in pasto agli squali. Ogni errore o mancanza verrà valutata e questo provocherà un danno alla reputazione non da poco, visto l’ampia platea giudicante.

Ogni mossa compiuta in un crowdfunding deve essere studiata con attenzione, anche perché ci si trova davanti a una tipologia di imprenditorialità diversa da tutte le altre. Tuttavia, vale per tutte le imprese il concetto di promettere solo se si hanno le capacità per garantire.

La piattaforma online va sempre supervisionata, si deve conoscere bene qual è la documentazione da fornire e quali i costi da sostenere per rispettare la normativa vigente. E’ da prendere in considerazione l’idea di avere delle risorse da investire in una consulenza legale.

E’ necessario avere una profonda conoscenza della legislazione che norma l’attività di un crowdfunding, il rischio è di violare la legge senza volerlo ma per mancata conoscenza della disciplina. Per prevenire che ciò possa accadere è sempre consigliato rivolgersi alla Camera di Commercio più vicina o alla pubblica amministrazione più pertinente.

Anche le piattaforme online possono diventare un problema. Alcune di loro sono poco affidabili e non completamente regolari, in tal caso è preferibile rivolgersi a una piattaforma rinomata.

Altresì, è necessario conoscere i diritti degli investitori, in modo da non incappare in un problema legale, soprattutto se si parla di crowdfunding azionario. Conoscerne esigenze e aspettative, gestire eventuali reclami. Tutto questo significa avere una competenza affatto superficiale e avvalersi in continuazione di consulenti e legali con conseguente dispendio di risorse. E’ importante anche costruire una struttura che abbia meccanisimi di governance societari con una certa cognizione di causa.

Infine, si deve tener presente che arriverà il giorno in cui determinati investitori vorranno abbandonare il progetto e vendere le proprie quote, con la conseguenza che altri investitori subentreranno. Anche per questa eventualità, ci si deve far trovare preparati.

In conclusione, utilizzare un crowdfunding non è così semplice come si racconta, a meno che non si voglia tenere conto di tutte le grane economico-legali a cui si può venire sottoposti.

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Come vedere i debiti all’Agenzia delle Entrate?

A volte si ha l’impressione di avere tutto sotto controllo, altre volte no. A tal proposito, può capitare di voler accertarsi della presenza o meno di debiti verso l’Agenzia delle Entrate. A questo punto, necessita un controllo della propria posizione debitoria recandosi direttamente a uno sportello dell’Ufficio o più semplicemente tramite i servizi telematici che la stessa A.D.E. mette a disposizione per qualsiasi contribuente.

Tra l’altro, il periodo più adatto è quello nel quale si sente spesso parlare di rottamazione dei debiti, pace fiscale, saldo e stralcio. Insomma, proprio quando farebbe comodo poter sistemare nel modo meno oneroso possibile un’eventuale posizione debitoria nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, prima che possa arrivare qualche avviso. Quali sono tutti gli strumenti e come utilizzarli che l’Agenzia delle Entrate ci mette a disposizione, lo scopriamo in questo articolo.

Come controllare eventuali debiti con l’Agenzia delle Entrate?

Per scoprire la propria posizione debitoria con il Fisco, la prima cosa da fare è poter recarsi fisicamente allo sportello dell’Agenzia delle Entrate dedicato al contribuente a cui verranno rilasciati tutti i documenti relativi. Laddove, eventualmente risulti un particolare debito a carico del richiedente, quest’ultimo riceverà gli estratti di ruolo aggiornati che non sono altro i documenti che attestano la descrizione dettagliata delle singole cartelle esattoriali, dei vari debiti e dell’ente che vanta i crediti nei confronti del contribuente, dove sono specificate le sanzioni, spese e interessi legali che dal 1° gennaio 2020 sono fissati allo 0,05% annuo.

Per evitare inutili code e perdite di tempo eccessive o addirittura correre il rischio di non essere ricevuto, si può chiedere un appuntamento prima di andare all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione competente del territorio di residenza del contribuente, utilizzando il servizio prenota ticket presenta nell’area pubblica del sito dell’ente o sull’App Equiclick. In ambo i casi è possibile scegliere il giorno e la fascia oraria libera.

Se non si ha la possibilità di raggiungere lo sportello, si può lasciare una delega a una persona di fiducia o accedere tramite lo sportello digitale usando le credenziali d’accesso per entrare nell’area riservata. Il risultato sarà il medesimo del precedente, sarà possibile controllare gli eventuali debiti e nel caso inoltrare una richiesta di rateizzazione o chiedere la sospensione dei debiti o magari, pagare le cartelle esattoriali a proprio carico.

Non esiste un tempo per fare una ricerca sugli estratti di ruolo, più tardi si scoprono situazioni pendenti e più si sarà costretti a pagare a causa delle sanzioni applicate. Ovviamente, se si hala consapevolezza di una situazione debitoria grave che può comportare anche un futuro pignoramento, conviene informarsi quanto prima.

Il controllo della propria situazione debitoria, oltre allo sportello fisico o digitale, si può effettuare tramite il contact center dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione che resta attivo 24h per qualunque tipo di richiesta.

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Se la richiesta è urgente si può inviare una PEC agli indirizzi istituzionali indicati sul portale dell’Agenzia delle Entrate Riscossione con lo scopo di ottenere una risposta quanto più celere possibile. Quando si invia una PEC, si è obbligati a indicare i propri dati anagrafici, il tipo di richiesta, motivare l’urgenza e allegare un proprio documento di riconoscimento. In genere, per la richiesta viene utilizzato il modello RD1.

Lo strumento più agevole messo a disposizione dell’Agenzia delle Entrate Riscossione per conoscere i propri debiti è accedere direttamente all’area personale sul portale dell’ente mediante le credenziali d’accesso personalizzate: SPID, Cie, Cns.

Se per qualsiasi motivo non si ha la possibilità di controllare autonomamente la propria situazione debitoria, si può delegare anche il proprio commercialista o comunque un professionista che renderanno più chiara la situazione anche nel caso dovessero insorgere dei dubbi su cosa pagare e cosa eventualmente no. Infatti, può capitare che alcuni debiti iscritti a ruolo siano in realtà prescritti e per i quali va chiesto l’annullamento davanti al giudice competente. Quindi, il contribuente può impugnare una cartella di pagamento di cui è venuto a conoscenza solo tramite gli estratti di ruolo in quanto non ne sia mai arrivata notifica, quanto meno regolarmente.

Come chiarito dalla Corte di Cassazione, tutte le pretese della Pubblica Amministrazione si prescrivono nel termine di cinque anni.

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Reddito di cittadinanza ed il bonus per autoimprenditorialità

Scatta il semaforo verde per il beneficio addizionale a favore dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza che avviano un’attività autonoma o un’impresa individuale o ancora una società cooperativa entro i primi 12 mesi di fruizione del predetto sussidio.

L’incentivo aggiuntivo ai beneficiari del RdC

Il beneficio aggiuntivo consiste in un ulteriori sei mensilità del Reddito di Cittadinanza da erogarsi, come specificato nel messaggio n. 3212 del 24 settembre 2021 dell’INPS, una tantum per un importo non superiore a 780 euro mensili. Il valore del bonus è calcolato a seconda del mese in cui viene avviata l’attività lavorativa autonoma. Ad esempio, se per il percettore del Reddito di Cittadinanza quel mese vale 600 euro, il beneficio addizionale totale sarà di 3600 euro (600 x 6 mesi).

Gli interessati da tale beneficio addizionale possono inoltrare online la richiesta mediante compilazione del nuovo schema telematico “RdC-Com Esteso” disponibile sul sito INPS al cui accesso si provvede tramite PIN Inps ancora attivo oppure tramite SPID, Carta Nazionale dei Servizi oppure Carta di Identità Elettronica. In alternativa, ci si può rivolgere agli istituti di patronato o ai CAF (Centri di Assistenza Fiscale) tramite i loro sistemi di accesso online.

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A chi spetta il bonus addizionale

Il bonus aggiuntivo volto ai percettori del Reddito di Cittadinanza spetta ai soggetti che si trovano contemporaneamente in determinate condizioni:

  • alla data di presentazione della richiesta del beneficio addizionale, il richiedente è componente di un nucleo familiare il cui RdC è in corso di erogazione;
  • l’attività autonoma lavorativa o di impresa individuale è stata avviata nei primi 12 mesi di fruizione del RdC tra quelle agevolate (nel caso di socio di cooperative, il rapporto mutualistico deve avere a oggetto la prestazione di attività lavorativa);
  • non ha cessato nei 12 mesi precedenti la domanda, un’attività auto imprenditoriale tra quelle agevolate, quindi, che non hanno sottoscritto nel periodo appena indicato, una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorativa da parte del socio, ad eccezione della quota per la quale si chiede il beneficio addizionale.
  • non è componente di nucleo familiare beneficiario di Reddito di Cittadinanza che ha già usufruito di tale bonus.

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Ricordiamo che sul nostro portale potrete trovare altre curiosità che riguardano il sussidio, ad esempio se chi ha partita IVA può richiedere il Reddito di Cittadinanza, oppure se per i datori di lavoro che assumono i percettori di RdC sono previste agevolazioni.

Infine, ma non ultimo in ordine di importanza, la risposta ad una delle tante domande che possono porsi i percettori del Reddito di Cittadinanza, ossia: cosa accade se trovo lavoro mentre percepiscono il RdC?

 

Come funziona il crowdfunding?

Per capire come funziona il crowdfunding, cerchiamo di capire brevemente di cosa si tratta.

Cosa è il crowdfunding

Il crowdfunding è una modalità di raccogliere denaro a favore di imprese e progetti, diametralmente opposta a quella del finanziamento tradizionale.

Infatti, se nel finanziamento tradizionale, ci sono grandi importi che provengono da uno o più fonti, il crowdfunding fa leva su piccole somme di denaro ma versate da tante persone. Tale raccolta avviene attraverso delle piattaforme online.

Non a caso, il crowdfunding è utilizzato in gran parte dalle start-up e da piccole ma anche medie imprese in espansione per avere accesso a finanziamenti alternativi. Indubbiamente, è un modo innovativo di reperire risorse per le imprese, i progetti e per finanziare nuove idee.

Tra l’altro, questa forma di raccolta denaro dà modo di creare intorno al fondo una comunità online utile per acquisire conoscenze sul mercato e raggiungere nuovi clienti.

Come funziona il crowdfunding

Abbiamo parlato di piattaforme online, proprio perchè il crowdfunding è rappresentato da siti web che permettono l’interazione tra i fundraiser (raccoglitori di denaro) e un vasto pubblico (crowd significa folla), attraverso le quali si possono esprimere e raccogliere impegni finanziari.

Solitamente, i fundraiser chiedono il pagamento di una commissione dalle piattaforme di crowdfunding se la campagna di raccolta fondi ha avuto successo. In cambio, tali piattaforme dovrebbero fornire un servizio sicuro e di facile utilizzo.

Molte piattaforme funzionano secondo un modello massimalista, ossia: se si raggiunge l’obiettivo si riceve denaro, altrimenti ciascuno riceve indietro il suo, senza problemi e senza perdite finanziarie.

Esistono più tipi di crowdfunding, di cui tre di essi sono comunemente più usati dalle start-up e dalle piccole e medie imprese in fase di espansione, quindi a fini di lucro.

Crowdfunding: le tipologie

I principali tipi di crowdfunding sono i seguenti:

  • Prestiti peer-to-peer: le persone prestano dei soldi a un’impresa che vuole espandersi per ottenere maggiori ricavi, in base al presupposto che quanto investito possa fruttare degli interessi. In questo caso, la folla è come una banca che presta delle somme di denaro per avere in cambio degli interessi, con la sostanziale differenza anche al posto di un istituto di credito ci sono tanti piccoli investitori.
  • Equity Crowdfunding: in tal caso, si tratta quasi di una scommessa, di un vero e proprio investimento dove è possibile perdere come guadagnare soldi. Quindi, una partecipazione ad un’impresa come accade in borsa, dove si acquistano o vendono azioni ordinarie mettendo a rischio il proprio capitale investito.
  • Rewards Crowdfunding: con questa modalità i privati effettuano una donazione per un progetto o un’attività imprenditoriale con l’auspicio di ricevere in cambio una ricompensa di carattere non finanziario, ad esempio beni o servizi in una fase successiva.
  • Crowdfunding per beneficenza: in questo modo i privati donano piccoli importi per contribuire a ben più grandi obiettivi di finanziamento per un progetto caritativo, quindi, senza l’aspettativa di ricevere in cambi qualcosa di materiale, che sia del denaro, dei beni o dei servizi.
  • Condivisione dei proventi: le imprese possono condividere i guadagni presente e futuri con il pubblico in cambio di un ritorno sul finanziamento effettuato in precedenza.
  • Crowdfunding con titoli di debito: i privati investono in un titolo di debito emesso dall’impresa, come ad esempio un’obbligazione.
  • Modelli ibridi: basta analizzare l’etimologia del termine ibrido, per capire che questi offrono alle imprese l’opportunità di combinare elementi di più tipi di crowdfunding.

La tipologia più diffusa di crowdfunding è il peer-to-peer, dove i prestatori del denaro sperano di incassare degli interessi su quanto hanno investito.

Molto utilizzata anche l’equity crowdfunding che dà l’impressione e il brividio di scommettere o meglio di giocare/investire in borsa anche a rischio di perdere una parte o tutto l’investimento.

Sta prendendo piede anche il rewards crowdfunding che intriga molto i privati che in cambio del loro contributo sperano di ricevere un bene o un servizio e non una somma di denaro.